Burkina Faso: agroecologia, un’economia di speranza

Mentre il Paese attraversa una grave crisi umanitaria, Mani Tese opera con due progetti entrambi improntati alla costruzione di filiere corte e produzioni locali per garantire uno sviluppo agroalimentare di lungo periodo.

MENTRE IL PAESE ATTRAVERSA UNA GRAVE CRISI UMANITARIA, MANI TESE OPERA CON DUE PROGETTI ENTRAMBI IMPRONTATI ALLA COSTRUZIONE DI FILIERE CORTE E PRODUZIONI LOCALI PER GARANTIRE UNO SVILUPPO AGROALIMENTARE DI LUNGO PERIODO.

Il Burkina Faso è uno dei Paesi più poveri del mondo, la sua economia si basa principalmente sull’agricoltura che dà lavoro al 90% della popolazione, in prevalenza rurale. In questo momento il Burkina Faso sta vivendo una grave crisi dovuta all’espandersi di attacchi terroristici condotti da gruppi legati ad al-Qaeda e allo Stato Islamico che stanno cercando di consolidare le loro posizioni nelle zone nord ed est del Paese. L’UNHCR ritiene che dall’inizio della crisi mezzo milione di persone siano state costrette a la- sciare le proprie abitazioni e attualmente è in corso una crisi umanitaria che colpisce 1,5 milioni di abitanti. Mani Tese crede che al doveroso intervento di emergenza per assistere le persone direttamente colpite dalla crisi debba affiancarsi la collaborazione con le comunità locali, ove possibile, per portare avanti programmi di lungo periodo come è il caso dei progetti di promozione e sviluppo dell’agroecologia.

Produciamo Burkinabé, consumiamo Burkinabé

Nella “terra degli uomini integri” (è questo il significato di Burkina Faso in lingua locale), l’agroecologia è stata introdotta fin dai primi anni ‘80 grazie all’attività di Pierre Rabhi, agricoltore, scrittore e pensatore francese di origine algerina, considerato uno dei pionieri dell’agroecologia a livello mondiale, attivo nel Paese africano tra il 1985 e il 1988. Proprio in quegli anni il Burkina Faso stava vivendo la cosiddetta “rivoluzione sankarista” condotta dall’allora visionario Presidente Thomas Sankara, che promuoveva l’indipendenza del paese dal neocolonialismo economico con il motto “produciamo Burkinabé, consumiamo Burkinabé”. Rabhi e Sankara si incontrarono nel 1987: Sankara propose all’agricoltore francese di riscrivere la politica agricola del Burkina Faso. Un progetto rimasto sulla carta. Sankara, infatti, venne assassinato e il Paese africano “normalizzato”. Per quelle politiche agricole significò l’adesione all’agricoltura convenzionale, tesa a massimizzare la produttività dei suoli con l’utilizzo massiccio di fertilizzanti chimici, sementi ibride e in seguito l’introduzione di sementi OGM. Negli anni sono diverse le esperienze che si sono sviluppate di resistenza a questo modello e sempre più organizzazioni locali, sostenute e accompagnate da ONG internazionali, stanno promuovendo, seppur su piccola scala, l’agroecologia. Rabhi e Sankara sono i riferimenti di questo movimento di cui fa parte anche Mani Tese.

I progetti di Mani Tese

Sono due i progetti oggi in corso che, con modalità diverse, richiamano alcuni principi dell’agroecologia. Il primo dal titolo Filiere corte e cibo sano per tutti in Burkina Faso, cofinanziato dalla Regione Veneto e dalla Fondazione Maria Enrica si svolge in nove villaggi nel Comune di Loumbilà, poco distante dalla capitale Ouagadougou. Dal 2014 Mani Tese ha avviato, grazie al contributo di Fondazioni for Africa Burkina Faso, un programma nella zona con il duplice obiettivo di accompagnare i contadini a organizzarsi in Unione prima e cooperativa poi e a migliorare la produzione, in particolare orticola, in linea con i principi dell’agroecologia. L’approccio utilizzato segue le seguenti tappe: 1. Sensibilizzazione della popolazione e dei contadini sui danni dell’agricoltura convenzionale e dell’utilizzo indiscriminato di fertilizzanti chimici sia per quel che riguarda il degrado dei suoli sia per i problemi di salute che ne conseguono; 2. Promozione di forme di produzione alternative attraverso la formazione degli agricoltori sulle tecniche che fanno riferimento ai principi dell’agroecologia. In particolare è stata creata una fattoria dimostrativa gestita dall’Unione di produttori orticoli Nanglobzanga e sono stati sostenuti inizialmente 35 produttori per la conversione agroecologica dei loro terreni; 3. Favorire modalità per valorizzare le produzioni agroecologiche attraverso l’organizzazione di campagne per la valorizzazione del cibo sano e locale, fiere e mercati settimanali che oltre a sensibilizzare sui temi già citati danno l’opportunità ai produttori di vendere direttamente al consumatore; 4. Lavorare in rete promuovendo eventi e scambi tra produttori, è il caso per esempio della collaborazione con l’associazione CNABio (Consiglio nazionale dell’agricoltura biologica in Burkina Faso); 5. Influire sui decisori politici a partire dal basso, ovvero dai sindaci dei comuni dove si opera per fare in modo che l’agroecologia non resti l’esperienza di pochi ma possa essere introdotta nella strategia nazionale di politica agricola. Un primo positivo risultato è il fatto che il sindaco di Loumbilà abbia inserito l’agroecologia nel piano comunale di sviluppo. Il secondo progetto in corso, con il cofinanziamento dell’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo (AICS) e sempre la Fondazione Maria Enrica, si svolge invece nelle province rurali del Boulgou e del Boulkiemdé, oltre che nella capitale, e ha come titolo Imprese sociali innovative e  partecipazione  dei  migranti per l’inclusione sociale in Burkina Faso.

Il progetto si pone l’obiettivo di contribuire allo sviluppo di attività produttive, imprenditoriali e innovative, nell’ambito delle produzioni agroalimentari per ridurre marginalità sociale ed economica e per valorizzare le produzioni locali. Sono, quindi, in corso una serie di azioni finalizzate a sostenere 20 organizzazioni collettive che si occupano prevalentemente di trasformazione di prodotti alimentari burkinabé (dal cous cous di mais ai biscotti di niebé, fino al soumbala e alle arachidi tostate), per migliorare le loro modalità di produzione e creare contatti con potenziali consumatori soprattutto a Ouagadougou. Alcune di queste organizzazioni sono anche sostenute da associazioni della diaspora del Burkina Faso in Italia con le quali lavora il partner di progetto CeSPI. Per la commercializzazione dei prodotti invece l’attività è gestita insieme all’Ong ACRA, che ha costituito Ké de burkinabé un’impresa sociale basata a Ouagadougou allo scopo di supportare i piccoli produttori nel migliorare la qualità dei propri prodotti e il loro confezionamento e infine sviluppare canali di vendita. Con Chico Mendes invece si sta realizzando una campagna di sensibilizzazione dei consumatori Burkinabé rispetto al consumo sano e locale. Il progetto ha infine una componente istituzionale, sempre seguita in collaborazione con ACRA e il comune di Milano, che ha portato il comune di Ouagadougou a sottoscrivere il Milan Urban Food Policy Pact che impegna i sindaci che lo sottoscrivono a lavorare per rendere sostenibili i sistemi alimentari, garantire cibo sano e accessibile a tutti, preservare la biodiversità, lottare contro lo spreco.


THIERA, STORIA DI UN RAGAZZO TORNATO A “VIVERE”

Costretto all’accattonaggio e con una grave forma di cifosi, è stato accolto nel centro di Damnok Toek, in Cambogia, dove sta ricominciando a vivere.

Thiera (nome di fantasia per proteggere la privacy del minore) ha 13 anni ed è nato nella provincia di Kompong Thom, nel centro della Cambogia. È l’ultimo figlio di sette fratelli di una famiglia molto povera e soffre di una grave forma di cifosi.

 

 

Thiera è un ragazzo che ha avuto una vita molto difficile. Subito dopo la sua nascita, il padre fu arrestato e mandato in prigione per aver abusato di una figlia.

Vista la situazione finanziaria molto critica, la madre si risposò con un altro uomo, con la speranza di aiutare economicamente la famiglia, che si trasferì in campagna per vivere di agricoltura.

Thiera e uno dei suoi fratelli – che, come lui, era affetto da disabilità –iniziarono a soffrire per la mancanza di cibo, di assistenza sanitaria e d’istruzione. La situazione finanziaria della famiglia non migliorò e questo iniziò a generare tensioni. Thiera e suo fratello, agli occhi del patrigno, rappresentavano un problema in quanto, a causa della loro disabilità, non potevano aiutare la madre, specialmente nel trasporto di carichi pesanti.

Il patrigno decise allora di vendere Thiera e il fratello ai trafficanti in cambio di denaro e i ragazzi furono costretti a migrare in Thailandia per poi essere forzati a chiedere l’elemosina per strada.

Una volta attraversato illegalmente il confine, i due fratelli furono separati e Thiera fu mandato a Bangkok.

In Thailandia, Thiera lavorò duramente. Costretto a chiedere soldi ogni giorno ai cancelli dei mercati, per rendere più redditizia la sua attività di accattonaggio, il trafficante gli impose di elemosinare privandosi della camicia per mettere in mostra la schiena affetta da cifosi. Thiera doveva chiedere l’elemosina ogni giorno in un mercato diverso: il suo obiettivo era quello di guadagnare 3000 bath (circa 90 dollari) al giorno. Quando non riusciva a raggiungerlo, veniva severamente punito e picchiato. Tutti i soldi raccolti da Thiera venivano presi dai trafficanti, anche quando l’obiettivo giornaliero era stato superato. Fortunatamente i passanti non davano soltanto soldi a Thiera, ma anche cibo e bevande, e questo gli permise quantomeno di nutrirsi adeguatamente.

 

 

Un giorno, mentre Thiera si trovava al mercato per chiedere l’elemosina, una donna iniziò a parlargli offrendogli una bambola. Thiera si accorse ben presto che si trattava di “una trappola” della polizia tailandese. Quando il trafficante richiamò Thiera per fuggire dalla polizia era già troppo tardi e il ragazzo era ormai al sicuro.

Thiera venne arrestato e condotto alla stazione di polizia per essere interrogato e, dopo aver raccontato la sua storia, fu mandato al centro di Ban Phum Vet, dove la polizia thailandese conduce i bambini che provengono illegalmente da altri Paesi.

“Non era la prima volta che venivo arrestato dalla polizia – racconta Thiera – il fratello del trafficante aveva qualche aggancio e ogni volta riusciva farmi liberare per poi farmi tornare a mendicare. Quella volta fu differente perché il fratello non riuscì a contrattare con il poliziotto la mia liberazione”.

Thiera rimase nel centro per sei mesi e, durante il suo soggiorno, fu ascoltato dalla corte di giustizia per tre volte. Thiera ha raccontato che vivere nel centro non era male perché gli educatori gli insegnavano la lingua tailandese e l’artigianato.

In seguito, venne rimandato in Cambogia attraverso Poipet. Fu presso il Poipet Transit Center che venne intervistato dagli assistenti sociali di Damnok Toek che, riconoscendolo come vittima di trafficking di minori, lo portarono al centro di accoglienza di Damnok Toek, sostenuto anche da Mani Tese.

 

 

All’inizio Thiera aveva molta paura di essere mandato in un altro posto che non conosceva, ma l’assistente sociale di Damnok Toek lo rassicurò, spiegandogli che il Centro di accoglienza era un luogo creato apposta per bambini come lui. Lì, avrebbe avuto la possibilità di ricevere tre pasti al giorno e un’istruzione di base e di partecipare a diverse attività ricreative.

A Thiera venne anche spiegato che il centro sarebbe stato un luogo di residenza temporaneo per lui e che lo staff di Damnok Toek avrebbe lavorato sodo per trovare la soluzione più adatta per lui, dando la priorità al suo reinserimento familiare.

Sono trascorsi due mesi dal suo arrivo al centro e Thiera ora sta meglio, ha fatto amicizia e gioca con gli altri bambini del centro. Sta imparando a scrivere e gli piace molto partecipare alle attività artigianali.

Thiera non ha ancora un’idea chiara sul suo futuro, ma vorrebbe tornare a vivere con sua madre e i suoi fratelli.

ECONOMIES FOR FUTURE: IL NUOVO NUMERO DEL NOSTRO GIORNALE

ECONOMIES FOR FUTURE è il titolo del numero di dicembre 2019 dedicato alle nuove visioni economiche per un futuro equo e sostenibile. Leggilo on line!

Nei giorni in cui si tiene la Cop25, Mani Tese torna a parlare di ambiente e di futuro e lo fa con l’uscita dell’ultimo numero del suo giornale.

ECONOMIES FOR FUTURE” è il titolo del semestrale di dicembre 2019 ed è dedicato alle nuove visioni economiche per un futuro equo e sostenibile.
Di fronte alla crisi epocale prodotta dall’attuale modello, serve un nuovo pensiero economico fondato su obiettivi di lungo termine e una capacità di “intelligenza collettiva” per costruire uno “sviluppo economico sostenibile e inclusivo”.

Il numero del giornale rappresenta inoltre una sorta di proseguimento del precedente (“ECOCIDIO”), dedicato alla crisi climatica e alla sfida per la giustizia ambientale.

All’interno del numero di dicembre vengono affrontati diversi argomenti: le sfide della produzione industriale, l’educazione economica per i ragazzi, l’etica nella finanza, la nuova dimensione del settore pubblico, la transizione energetica e la mobilità sostenibile, l’agroecologia in Burkina Faso nel nostro Focus Paese.

Buona lettura!

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MOZAMBICO, INNOVARE LA TRADIZIONE PER SVILUPPARE L’AGROECOLOGIA

A fine ottobre in Mozambico comincia la campagna agricola. Mani Tese, attraverso il “Progetto FORESTE”, cerca di sviluppare un modello agroecologico.

A fine ottobre, in Mozambico – e in particolare nel distretto di Mocubela, dove stiamo lavorando nell’ambito del “Progetto FORESTE” in partnership con le ONG ICEI e COSV – è iniziata la campagna agricola.

A ottobre il terreno aveva infatti appena approfittato di due mesi di riposo, dove le uniche colture presenti erano ananas, manioca e Cajanus cajanus. Questo è stato quindi il momento giusto per addolcire il terreno con qualche colpo di zappa, effettuare la potatura del Cajanus cajanus e preparare i semi migliori per la semina.

La preparazione per la campagna agricola sembra una corsa contro il tempo. Da una parte ci sono gli agricoltori, che con le loro tradizioni iniziano a dissodare la terra o a bruciare i campi; dall’altra ci sono i destinatari del “Progetto FORESTE” che, attraverso il supporto di Mani Tese, hanno messo a punto un modello agroecologico per le comunità rurali autoctone che si adatta alla natura del luogo e alle esigenze di tutti.

Quest’anno i beneficiari del “Progetto FORESTE” hanno potuto inoltre contare sui nuovi silos familiari costruiti da Mani Tese nelle comunità. I silos sono locali di immagazzinamento delle derrate alimentari e delle sementi che, grazie all’ambiente di conservazione migliore, mantengono una percentuale di germinabilità più alta a confronto dei sistemi di immagazzinamento tradizionali.

È molto difficile cambiare la tradizione. La tradizione è infatti il ricordo di un padre che ha tramandato al figlio come usare la zappa o come seminare un seme.

Ma quel padre non poteva immaginare che il figlio avrebbe dovuto confrontarsi con la diminuzione delle piogge e con la mancanza di acqua, né poteva aspettarsi che un giorno sarebbe diminuita la terra fertile. Per questo Mani Tese, con la collaborazione del partner locale Unione Provinciale dei Contadini (UPC-Z), si impegna ogni giorno per sensibilizzare le comunità sul tema dell’agroecologia, rispettando le tradizioni ma allo stesso tempo innovandole.

Non tagliare gli alberi della foresta per allargare le tue coltivazioni; prenditi cura della terra che hai per renderla più produttiva.

Non irrigare necessariamente due volte al giorno, usa la tecnica della pacciamatura che permette di risparmiare tempo, acqua e fatica.  

Non rimuovere i residui di potatura, ma usali per ridare fertilità al suolo.

Con queste raccomandazioni bucoliche il futuro raccolto sarà migliore.

Il “Progetto FORESTE” è cofinanziato dall’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo.

Business e diritti umani: online l’ebook di Mani Tese

È finalmente disponibile il nuovo ebook, gratuito, di Mani Tese “Business e Diritti Umani. Come vincolare la libertà di impresa al rispetto dei diritti umani”.

In occasione dell’apertura del Forum annuale delle Nazioni Unite su “Business & Human Rights”, in programma a Ginevra dal 25 al 27 novembre 2019, Mani Tese è lieta di presentarvi il suo nuovo ebook, frutto di un partecipatissimo ciclo di incontri organizzati nella primavera scorsa con l’obiettivo di condividere tra gli operatori della cooperazione allo sviluppo e della solidarietà italiani una serie di innovazioni nel diritto internazionale e nelle pratiche di “engagement” del settore privato che nel resto d’Europa, in particolare nel nord del continente e in Gran Bretagna, segnano ormai il dibattito in tema di “business e diritti umani”.

Ciò che intendiamo con questa etichetta è un approccio alla sostenibilità integrale del business che va ben oltre la filantropia e la responsabilità sociale di impresa e lo spinge a coniugare, in maniera non derogabile, la produzione di valore monetario con la produzione di valore sociale e ambientale, attraverso la subordinazione del fare profitto al rispetto dei diritti umani e dell’ambiente.

Il libro è curato da Giosuè De Salvo, responsabile advocacy educazione e campagne di Mani Tese, e contiene articoli di: Roberto Antonietti (Università di Padova), Angelica Bonfanti e Martina Buscemi (Università di Milano), Marta Bordignon e Giada Lepore (già Consulente del CIDU), Nicoletta Dentico e Simone Siliani (Fondazione Finanza Etica), Monica Di Sisto (Campagna Stop TTIP), Mauro Meggiolaro (Shareholders for Change), Marco Fasciglione (CNR), Deborah Lucchetti (Campagna Abiti Puliti), Luca Saltalamacchia (Studio Saltalamacchia Napoli), Giorgia Ceccarelli (Oxfam Italia) e Alessandra Prampolini (WWF Italia).

L’ebook “Business e Diritti Umani. Come vincolare la libertà di impresa al rispetto dei diritti umani” è stato realizzato con il contributo dell’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo e rientra nell’ambito del programma di Mani Tese MADE IN JUSTICE per una cultura dei diritti umani e del rispetto dell’ambiente nelle aziende e nella società.

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Appello contro l’indifferenza

La lettera di Mani Tese: contro l’odio e la nuova ondata di fascismo occorre schierarsi. Noi, ancora una volta, ci mettiamo le mani.

A novembre 2018, l’Alto Commissariato per i Diritti Umani delle Nazioni Unite aveva rilevato un aumento degli attacchi d’odio in Italia, legittimati da politici “che abbracciano spudoratamente la retorica razzista e xenofoba anti-immigrante e anti-straniera”.

Oggi, a un anno di distanza, la situazione è tutt’altro che migliorata. I recenti attacchi conto la senatrice Liliana Segre, che l’hanno costretta sotto scorta, non sono che l’ultimo e più eclatante episodio di una serie sempre più violenta di attacchi a matrice fascista che hanno colpito realtà impegnate nella produzione culturale come La Pecora Elettrica, personaggi pubblici simbolo di integrazione come il calciatore Balotelli, e più in generale la gente comune di origine straniera, come è accaduto a Bologna con la mappatura delle case popolari occupate da residenti di origine straniera sulla falsariga dei “censimenti della razza” nazisti.

Assistiamo, sgomenti e indignati, alla crescita incontrollata di hate speech sul web e nel discorso pubblico, che sempre più spesso sfocia in azioni violente contro i gruppi sociali più vulnerabili (migranti, omosessuali, donne) e contro chiunque osi prendere le loro parti. Invece di prendere posizione con fermezza e in modo unanime, buona parte della classe politica nicchia, chiude un occhio o tutti e due, si gira dall’altra parte o addirittura giustifica e apertamente legittima.

Come Mani Tese, riteniamo necessario, ancora una volta, schierarci in modo deciso e inequivocabile al fianco dei più deboli e di chi li difende. Per questo, esprimiamo tutta la nostra solidarietà e vicinanza a Liliana Segre e a tutte le vittime di questa recrudescenza fascista. Gli attacchi d’odio ci fanno paura, ma ancora più paura ci fa l’indifferenza, il fatto che chi avrebbe la possibilità di farlo non prenda posizione e non denunci la deriva sempre più preoccupante delle destre estreme. L’indifferenza, vale sempre la pena di ricordarlo, è stata la culla del nazifascismo all’inizio del XX secolo, e può riprodurre lo stesso risultato in qualsiasi momento storico.

Riteniamo che sia nostro dovere continuare a lavorare affinché i diritti di tutti siano garantiti, perché è cominciando a fare differenze tra “noi” e “loro” che muore la democrazia. I diritti o ci sono per tutti o non ci sono per nessuno. Con una sempre maggiore convinzione, continueremo a lottare per un mondo più giusto ed equo, e ad investire tutte le nostre energie nell’educazione e nella formazione sia in Italia che nel Sud del mondo, perché la cultura e la conoscenza sono le uniche armi efficaci contro il razzismo, il fascismo e l’intolleranza. Lavoriamo nei territori per una società più aperta e inclusiva, che sappia difendersi dalle derive autoritarie, razziste e militaristiche ma soprattutto che abbia il coraggio di prendere posizione e schierarsi ogni volta che sarà necessario.

 

Mani Tese parteciperà alla manifestazione del 10 dicembre a Milano per Liliana Segre.

A breve i dettagli sul ritrovo (seguite i nostri canali social).

KENYA, CONTINUANO LE FORMAZIONI DEI GIOVANI SU TECNOLOGIE SOLARI E BIOGAS

La seconda giornata di formazione del Molo Solar Light Group è stata l’occasione per un incontro con due aziende sociali locali, SCODE e New Andcol Enterprises.

Nelle giornate del 24 e 25 ottobre si è svolta la seconda giornata di formazione del Molo Solar Light Group impartita dagli esperti di E4Impact, acceleratore d’impresa fondato da ALTIS Università Cattolica di Milano per promuovere una nuova generazione di imprenditori a forte impatto sociale in Africa.

Il Molo Solar Light Group è un gruppo di giovani installatori di impianti fotovoltaici che si sta formando nell’ambito del progetto IMARISHA! Energie rurali per la lotta al cambiamento climatico e la salvaguardia ambientale, cofinanziato dall’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo.

Il gruppo si è raccolto adesso sotto il brand YOU GREEN e ha come obiettivo la promozione di soluzioni innovative per la lotta al cambiamento climatico.

Durante la formazione sono state presentate due aziende sociali locali, SCODE e New Andcol Enterprises, attive nella promozione di soluzioni green e climate smart.

A inizio incontro è stato messo in evidenza il grande lavoro di SCODE nella promozione di soluzioni per risolvere il gap energetico delle comunità rurali. In particolare sono stati presentati i fireless cookers e le stufe solari.

Il Molo Solar Light Group ha manifestato poi l’interesse a stabilire una partnership commerciale con SCODE per la vendita e distribuzione di queste soluzioni nelle comunità di riferimento.

La seconda impresa, New Andcol Enterprises, fa invece parte del Biogas Programme, incubato presso l’acceleratore di E4Impact. Durante la visita alla struttura di E4Impact era sorta l’idea di connettere New Andcol e Molo Solar Light Group e la formazione è stata il momento ideale per tale incontro.

New Andcol Enterprises è appunto specializzata in fornitura di biogas, attraverso la costruzione di impianti in muratura migliorata. Questa soluzione, che è stata dibattuta durante la plenaria, presenta alcuni vantaggi per sistemi di grande dimensione ed è più labour intensive rispetto alla soluzione “plug and play” proposta dal progetto IMARISHA a 30 allevatori. Quest’ultima consiste in una sorta di pallone in plastica ad alta resistenza dove avviene la reazione di decomposizione delle deiezioni suine. Questo secondo sistema è valido per sistemi di più ridotte dimensioni rispetto alla costruzione in muratura.

Il Molo Solar Light Group ha mostrato interesse a essere formato nella costruzione dei sistemi in muratura migliorata, in modo da allargare il proprio portafoglio di servizi.

La formazione è stata molto importante – secondo quanto affermato dal formatore e direttore di E4Impact Mr. David Cheboryot – per rinforzare il lavoro della piccola impresa solare. Il lavoro è servito anche a mostrare come il Molo Solar Light Group stia lavorando all’espansione della propria base di giovani coinvolti nella vendita e promozione ed abbia già raggiunto 12 giovani in varie aree.

Più forti dell’acciaio: il nuovo film documentario di Mani Tese

Un viaggio emotivo sull’impatto sociale e ambientale dell’industria siderurgica raccontato con gli occhi di chi non si arrende.

Tre persone, tre vite diverse, tre luoghi distanti. Tutti legati da un unico filo conduttore: l’acciaio. Simbolo dell’industria estrattiva e siderurgica mondiale, l’acciaio fa da ingombrante sfondo al nuovo, intenso, lungometraggio commissionato da Mani Tese, Ong che da oltre 55 anni si batte per la giustizia sociale e ambientale nel mondo, alla regista Chiara Sambuchi “PIÙ FORTI DELL’ACCIAIO”.

Il film verrà presentato in anteprima a Taranto il 25 novembre 2019, alle ore 21, presso il Cinema Bellarmino e a Milano il 28 novembre, alle ore 21, presso il Cinema Anteo con proiezioni a ingresso gratuito, previa iscrizione, che saranno seguite da dibattito.  

A Taranto sarà presente la regista del film Chiara Sambuchi con Alessandro Marescotti, Presidente di Peacelink. A Milano parteciperà Susanna Camusso, Responsabile politiche di genere e internazionali CGIL con Andrea Di Stefano, Direttore di Valori. In entrambe le proiezioni sarà presente la pediatra tarantina Grazia Parisi, protagonista del film.

Più forti dell'acciaio_movie poster_mani tese_2019

PIÙ FORTI DELL’ACCIAIO” è un vero e proprio viaggio emotivo sulle conseguenze sociali e ambientali di una delle filiere produttive più controverse, che inizia dalla più grande miniera a cielo aperto del mondo nello stato amazzonico del Parà, in Brasile, prosegue fino all’impianto siderurgico di Taranto e termina a Duisburg, nell’ ex bacino della Ruhr, in Germania.

“Mani Tese prosegue il suo impegno per la promozione di una cultura di impresa che sia capace di coniugare la redditività con il rispetto dei diritti umani e dei cicli naturali – dichiara Giosuè De Salvo, Responsabile Advocacy, Educazione e Campagne di Mani Teseattraverso la proposta di un documentario profondo, a tratti commovente, che vuole ‘volare alto’ rispetto alla cronaca di questi giorni e innescare un dibattito pubblico sulla transizione industriale richiesta dalle sfide del cambiamento climatico e degli altri obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite, lanciati nel 2015 con orizzonte al 2030”.

I tre personaggi

Pixininga è un piccolo agricoltore brasiliano che lotta per la sopravvivenza dei contadini nella regione brasiliana del Carajas, occupata, per più della metà della sua superficie, dal gigante dell’estrazione mineraria Vale.

Grazia, pediatra tarantina, ha un chiodo fisso: la chiusura dell’acciaieria della sua città, per non dover più spiegare ai suoi piccoli pazienti perché i bimbi e i loro genitori a Taranto muoiono prima degli altri.

Nella cittadina tedesca di Duisburg, nel cuore del bacino della Ruhr, Egbert lavora alla conversione di un enorme stabilimento siderurgico, sanato dopo la sua chiusura, in un parco naturale per famiglie.

PIÙ FORTI DELL’ACCIAIO’ è un film sulla presa di coscienza, sulla volontà indistruttibile di voler scrivere un nuovo corso per il proprio mondo e sulla lotta a cui i nostri tre eroi sono disposti, pur di riuscirci – commenta la regista Chiara Sambuchi –  È la risposta positiva e piena di speranza a una foresta amazzonica deturpata dalla voragine della miniera di ferro di Serra Norte. È la reazione a decenni trascorsi a Taranto respirando diossina e seppellendo madri, padri, amici e sempre più spesso i propri figli. O ancora il risveglio dopo decenni di tremendo inquinamento nel bacino della Ruhr, che finalmente si riappropria di sé”.

Il documentario in breve

Attraverso l’osservazione intima del quotidiano dei tre protagonisti, in tre luoghi simbolo della filiera globale dell’acciaio, “PIÙ FORTI DELL’ACCIAIO” descrive l’impatto dell’industria estrattiva e siderurgica attuale sui delicati equilibri naturali e sulla salute di chi vive a ridosso dei siti produttivi.

Il film documentario mostra lo sforzo personale che ognuno dei tre protagonisti compie contro uno sfruttamento delle risorse umane e naturali spesso cieco e votato al sovra consumo senza fine. Tra lotte legali per mantenere il possesso delle terre e la vita contadina, l’agricoltore Pixininga conduce lo spettatore in una scoperta tragica e affascinante del cuore della foresta amazzonica violata, fino all’immensa miniera di Serra Norte, la più grande a cielo aperto del mondo.

In perenne movimento tra le strade del rione Tamburi, il quartiere accanto all’acciaieria tarantina in cui vivono molti dei suoi piccoli assistiti, la pediatra Grazia lotta contro l’inquinamento causato dalle emissioni della diossina delle ciminiere e dalla perenne esposizione alle polveri di ferro e altre sostanze patogene. Egbert, direttore dei lavori di riqualificazione di una delle regioni storicamente più inquinate di Europa, suggerisce allo spettatore come agire per superare un modello di consumo ormai non più sostenibile.

Scheda del film

Genere: film documentario
Anno di produzione: 2019
Durata: 60 minuti
Regia: Chiara Sambuchi
Direzione della fotografia: Paolo Pisacane, Ralf Klingelhöfer
Montaggio: Simone Veneroso
Casa di produzione: TV Plus, Berlino
Progetto: Mani Tese

Più forti dell’acciaio è un documentario prodotto all’interno del progetto “New Business for Good”, realizzato con il contributo di Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo, e supporta il programma di Mani Tese MADE IN JUSTICE per una cultura dei diritti umani e del rispetto dell’ambiente nelle aziende e nella società

Guarda il trailer del docufilm

Per registrarsi alla prima del film a Taranto:
https://www.eventbrite.it/e/biglietti-piu-forti-dellacciaio-il-docufilm-di-mani-tese-a-taranto-81715634663
Per registrarsi alla prima del film a Milano:
https://www.eventbrite.it/e/biglietti-piu-forti-dellacciaio-il-docufilm-di-mani-tese-a-milano-81717155211