NUOVI SCHIAVI PER UCCIDERE IL PIANETA

Sono 35 milioni le persone nel mondo costrette al lavoro forzato, spesso impiegate in attività che minano gli ecosistemi naturali come l’abbattimento illegale delle foreste. Dunque, combattere le schiavitù moderne significa anche fermare l’ecocidio della terra.

di ELIAS GEROVASI, Responsabile Progettazione e Innovazione di Mani Tese.

 

SONO 35 MILIONI LE PERSONE NEL MONDO COSTRETTE AL “LAVORO FORZATO”, SPESSO IMPIEGATE PROPRIO IN ATTIVITÀ’ CHE MINANO GLI ECOSISTEMI NATURALI COME L’ABBATTIMENTO ILLEGALE DI FORESTE. COMBATTERE LE MODERNE SCHIAVITÙ’ SIGNIFICA ANCHE FERMATE L’”ECOCIDIO” DELLA TERRA.

Dagli allevamenti di gamberetti nel Golfo del Bengala alle miniere d’oro abusive in Ghana, dai giacimenti congolesi di tantalio (il metallo che dà vita ai nostri smartphone) alle foreste amazzoniche, fino al granito scavato illegalmente in India (importato per le lapidi a buon mercato nei cimiteri europei), affiora sempre lo stesso legame nascosto: schiavitù moderne e distruzione dell’ambiente sono facce della stessa medaglia, sfregi allo stesso pianeta.

L’ecocidio dei lavoratori forzati

Alcuni lo chiamano “ecocidio”, la distruzione massiva dell’ambiente naturale (la deforestazione è il fenomeno più conosciuto di questo processo), attuato in buona parte ricorrendo all’economia del lavoro forzato. Basti pensare che il 40 % della de- forestazione globale è basata sul lavoro di schiavi, un fenomeno che da solo è responsabile di almeno 2,5 milioni di tonnellate di CO2 all’anno. Se fosse un Paese, l’attuale sistema schiavista globale conterebbe all’incirca lo stesso numero di abitanti del Canada, 35 milioni di persone, e sarebbe il terzo produttore mondiale di anidride carbonica dopo Cina e Stati Uniti. A mettere in stretta relazione le schiavitù moderne e il degrado ambientale con questi numeri è Kevin Bales, cofondatore del gruppo di Advocacy Free the Slaves e autore di diversi saggi sull’argomento. Scavando profondamente su questo legame Bales ha scoperto un circolo vizioso guidato dai nostri modelli di consumo e supportato da trattati inter- nazionali e regolamenti ambientali non proprio ispirati alla sostenibilità.

Modelli di consumo insostenibili

Tutti sappiamo ormai quanto i comportamenti umani siano responsabili del cambiamento climatico, dai trasporti (automobili, autobus, aerei) all’alimentazione (agricoltura, allevamenti industriali), tutte attività che consumano combustibili fossili e aumentano i livelli di CO2 nell’aria. Tutto ciò che possiamo fare per ridurre queste emissioni è benvenuto, ma ciò che spesso non riusciamo a percepire è che i trasporti (per esempio) rappresentano solo il 14% delle emissioni di CO2, mentre altre fonti non solo incidono di più, ma sono anche potenzialmente più facili da ridurre. L’esempio più rilevante è proprio quello della deforestazione, che contribuisce al 17% di tutte le emissioni di CO2 ed è strettamente legata ai fenomeni di sfruttamento del lavoro e lavoro forzato. Negli ultimi 20 anni, nonostante la quantità di terra e foreste accantonate come riserve e spazi protetti sia notevolmente aumentata, nei Paesi del sud globale il disboscamento legale è diminuito a scapito di un aumento drammatico del taglio illegale. In parole povere, il vuoto creato dai recenti trattati ambientali ha lasciato spazio libero all’azione di organizzazioni criminali che operano nel settore dello sfruttamento illegale delle risorse naturali; la vendita del legname di contrabbando rappresenta uno dei prodotti di punta di questi traffici, seguita da altri lucrosi prodotti basati sempre sul lavoro schiavo come oro, minerali per l’industria elettronica, gamberetti o pesce.

Tramite la catena di approvvigionamento dei nostri acquisti di telefoni, computer, gioielli e cibo (sia per i nostri animali domestici che per noi stessi), i criminali che sfruttano schiavi traggono grandi profitti strappando le foreste dalla terra e accelerando di conseguenza il cambia- mento climatico.

Da qui la proposta alternativa dello stesso Bales nelle pagine del suo ultimo libro “Blood and Earth” dove invita i lettori a salvare il pianeta non solo attraverso pratiche green e riduzione delle emissioni ma liberando gli schiavi del mondo e combattendo con tutti i metodi possibili le economie dello sfruttamento.

 

Articolo pubblicato sul numero di Giugno 2019 del Giornale di Mani Tese.

 

LA LOTTA DEL MOZAMBICO CONTRO I CAMBIAMENTI CLIMATICI

Mani Tese opera nel Paese con tre progetti indirizzati alle comunità rurali per aumentare la consapevolezza sui temi ambientali e favorire modelli di agricoltura resiliente.

di EMMA TARGA e FEDERICO SACCHINI, Mani Tese

 

MANI TESE NEL PAESE CON TRE PROGETTI INDIRIZZATI ALLE COMUNITÀ’ RURALI PER AUMENTARE LA CONSAPEVOLEZZA SUI TEMI AMBIENTALI E FAVORIRE MODELLI DI AGRICOLTURA RESILIENTE.

Negli ultimi mesi il Mozambico ha ottenuto una certa visibilità mediatica per via dei danni provocati da due cicloni, l’Idai e il Kenneth, che si sono abbattuti sul Paese e sugli stati limitrofi a distanza di un mese l’uno dall’altro, causando distruzione e morte. Questi fenomeni, sempre più frequenti e diffusi, non rappresentano altro che una delle conseguenze dei cambiamenti climatici di cui il Mozambico, come tutto il continente africano, è una delle maggiori “vittime”. Eppure l’Africa produce solo il 4% del totale delle emissioni di gas serra, principale causa degli effetti clima alteranti del Pianeta, e il Mozambico si posiziona al 104esimo posto su scala mondiale nella classifica delle emissioni per Paese.

Da anni, inoltre, il Mozambico è colpito dal fenomeno della deforestazione. Stando ai dati raccolti dalla Global Forest Watch, lo stato africano nel periodo tra il 2001 e il 2017 avrebbe perso circa il 10% della sua area forestale. Nonostante gli sforzi del governo, il Paese perde ogni anno lo 0,35% del suo suolo forestale (percentuale che arriva allo 0,62% nella provincia della Zambezia), una minaccia per l’ecosistema, per la biodiversità e per gli abitanti delle zone rurali, che proprio dalle attività agro forestali traggono la loro principale fonte di sussistenza, con la conseguenza di una maggiore insicurezza alimentare nelle aree rurali.

 

ozambico cambiamenti climatici mani tese 2019 (2)

 

Costruire consapevolezza

Di questa situazione sono testimoni le comunità locali che ne subiscono le conseguenze, ma che non sempre hanno gli strumenti per capire fino in fondo che cosa stia loro succedendo. Nel febbraio scorso, la società cooperativa ELIANTE, partner del progetto FORESTE, che Mani Tese sta realizzando nel Distretto di Mocubela, ha raccolto alcune interviste per comprendere la percezione delle comunità rispetto ai cambiamenti climatici. Tra le persone incontrate, Americo Sualé della comunità di Gurai e Jeronimo Vidigare della comunità di Maneia hanno espresso pareri preoccupati sui cambiamenti del clima, ma hanno attribuito una motivazione “divina” a quello che sta succedendo nella speranza che tutto, prima o poi, torni come prima. Anche altri contadini intervistati concordano nel riconoscere con preoccupazione lo slittamento, ormai di un paio di mesi, del periodo delle piogge che spesso si manifestano con forte intensità, che non genera un beneficio per le colture o per i fiumi e laghi ma devasta il paesaggio con il suo forte impatto distruttivo. Ne è un esempio il passaggio dei due cicloni a poche settimane di distanza, fenomeni che in precedenza si realizzavano a distanza di 4-5 anni. Un tempo, inoltre, i periodi di siccità venivano smorzati dalle piccole piogge, mentre negli ultimi anni si è assistito a lunghi periodi con forti venti secchi che spingono lontano le nuvole.

 

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Mani Tese in Mozambico: progetti di resilienza

L’impegno della ONG nel Paese ha oggi tra le sue priorità la mitigazione degli effetti dei cambiamenti climatici. Gli interventi realizzati forniscono alle popolazioni che ne sono vittime gli strumenti adeguati, da un lato a comprendere le cause di quello che sta succedendo, dall’altro, a rafforzare e aumentare la resilienza comunitaria rurale, che altro non è che l’abilità degli agricoltori di continuare a svolgere le proprie attività in un contesto caratterizzato da rischi e incertezze sempre maggiori. Mani Tese opera in particolare nella provincia della Zambezia, situata al centro del lungo e stretto Paese. Si tratta di una delle zone più povere, dove circa il 70% della popolazione vive sotto la soglia di povertà e la principale fonte di reddito deriva dal settore agro forestale.

Sono tre i progetti in corso, due dei quali avviati rispettivamente nel 2017 e nel 2018, mentre il terzo è iniziato nel mese di marzo 2019, proprio per rispondere alla situazione di emergenza causata dall’avvento del ciclone Idai.

Il progetto FORESTE, cofinanziato dall’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo (AICS) e di cui capofila è l’Ong ICEI, iniziato nel marzo 2017, ha come obiettivo principale quello di contribuire all’implementazione di strategie di mitigazione e adattamento ai cambiamenti climatici, migliorando la resilienza delle comunità rurali e riducendo la pressione antropica sulle risorse naturali del distretto di Mocubela. Le attività di cui è responsabile Mani Tese, realizzate in collaborazione con la controparte locale UPCZ (Unione dei Contadini della Provincia del- la Zambezia), mirano a dar vita a un sistema agro forestale che vada a contrastare gli effetti del cambiamento climatico e, al contempo, limiti le conseguenze legate alla deforestazione. L’attività agro-silvo-pastorale è svolta seguendo pratiche eco sostenibili in grado di rigenerale un suolo ormai impoverito grazie all’introduzione di tecniche di conservazione dell’ecosistema. Inoltre il progetto prevede la realizzazione di 20 campi agro forestali, 20 pozzi, 10 allevamenti comunitari e 10 silos per la conservazione di derrate alimentari e sementi. Al contempo è implementata una componente di sensibilizzazione sulle sfide ambientali del territorio che coinvolge autorità locali, associazioni e comunità locali.

Con il progetto QUELIMANE AGRICOLA, anch’esso cofinanziato dall’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo (AICS), Mani Tese ha, invece, costituito un importante partenariato che vede coinvolti l’Ong ICEI, l’Università degli Studi di Firenze, il Municipio di Quelimane, il Comune di Milano, il Comune di Reggio nell’Emilia, la Fondazione E35, Gnucoop soc. coop. – IT for non profit e infine la controparte locale UPCZ. L’intervento ha come obiettivo principale il miglioramento sia qualitativo che quantitativo della produzione agricola grazie all’introduzione di tecniche agro ecologiche sostenibili. Promuove inoltre la costituzione di un sistema di conservazione e stoccaggio del raccolto al fine di migliorarne la successiva commercializzazione preservandone le qualità alimentari. Il progetto punta a ridurre le perdite di prodotto agricolo nella fase di post raccolto, in una zona dove incidono per un valore del 30-50% sulla produzione totale. Infine, è prevista la realizzazione di una piattaforma open source in grado di forni re ai contadini informazioni sul meteo, ma anche sui prezzi dei prodotti, l’andamento dei mercati e la presenza di fiere. Il progetto ha visto il suo avvio nel mese di luglio 2018; nel mese di marzo, tuttavia, a causa del ciclone Idai le popolazioni beneficiarie hanno subito grossi danni alle loro coltivazioni.

Si è deciso dunque di intervenire con un progetto di emergenza, RIPARTIAMO SEMINANDO, volto a recuperare almeno parte del raccolto previsto. Dal mese di aprile Mani Tese ha distribuito grandi quantità di sementi per sopperire alle perdite dei contadini e scongiurare almeno in parte la crisi alimentare che scaturirà nei prossimi mesi.

 

Articolo pubblicato sul numero di Giugno 2019 del Giornale di Mani Tese.

LA SFIDA DA NON PERDERE

Negli ultimi dieci anni, sono state due le crisi globali che hanno segnato la vita della comunità internazionale: la crisi finanziaria dei mutui sub-prime e la crisi climatica, che ha scalato la classifica dei trend topics dal 2015 a oggi.

di GIOSUÈ DE SALVO, Responsabile Advocacy, Educazione e Campagne di Mani Tese. 

DIETRO LA FACCIATA DEL MARKETING DELLA SOSTENIBILITÀ, LE IMPRESE CONTINUANO A ERODERE RISORSE E DIRITTI. IMPEGNARSI PER L’AMBIENTE SIGNIFICA LAVORARE OGNI GIORNO PER UN NUOVO SISTEMA ECONOMICO AL SERVIZIO DI TUTTI E NON DI POCHI. 

Negli ultimi dieci anni, guerre a parte, sono state due le crisi globali che hanno segnato la vita della comunità internazionale: la crisi finanziaria dei mutui sub-prime, che ha avuto il suo apice tra il 2008 e il 2014, e la crisi climatica, che ha scalato la classifica dei trend topics dal 2015 ad oggi. Nel primo caso, l’impegno solenne era quello di chiudere una volta per tutte il casinò finanziario e di ridurne l’influenza sull’economia reale e la società. Non solo non è stato fatto, ma ci troviamo oggi in una situazione probabilmente peggiore. La stessa finanza è riuscita, da una parte, a ribaltare l’immaginario collettivo, addossando la responsabilità della crisi sugli Stati e i loro debiti pubblici, dall’altra, a rivitalizzare il mito della crescita senza fine. Nel secondo caso, ci sono voluti almeno quindici anni per riconoscere – trumpisti, terrapiattisti e lobbysti petroliferi a parte – che viviamo nell’antropocene ovvero in un’era geologica in cui l’ambiente terrestre viene fortemente condizionato dall’azione umana. Nonostante ciò, le promesse di riduzione delle emissioni di anidride carbonica da parte dei 196 Stati delle Nazioni Unite, e fra loro quelle di Stati Uniti, Unione Europea, Russia e Cina, sono tuttora insufficienti a scongiurare l’innesto di un’apocalisse climatica che potrebbe rendere impossibile la vita umana su larga parte del pianeta. In entrambi i casi quello che guida alla NON scelta da parte degli Stati e delle istituzioni sovranazionali appare essere l’incapacità di rinunciare all’attuale stile di vita e di immaginarne uno nuovo, che si basi su modelli di produzione di beni e servizi realizzati per soddisfare bisogni reali (e non indotti) e per consentire la rigenerazione delle risorse naturali rinnovabili.

A fronte di questa inerzia, dietro la facciata populista del marketing della sostenibilità, si assiste invece a una rincorsa selvaggia a scavare il fondo del barile, non solo del petrolio residuo, ma di tutte le risorse naturali e di tutti i diritti sociali che siano in qualche modo monetizzabili: foreste, laghi, fiumi, mari e terre fertili, ma anche diritto alla salute, all’istruzione, all’abitare, alla previdenza e alla sicurezza sociale. Saskia Sassen, docente della Columbia University di New York e sociologa di fama internazionale, lo chiama capitalismo estrattivo. Una tendenza sotterranea che riguarda processi apparentemente diversi quali l’impoverimento della classe media nei paesi ricchi, lo sfratto di milioni di piccoli agricoltori nei paesi poveri e le pratiche industriali distruttive per la biosfera. Il risultato: la fine della logica inclusiva che ha governato l’economia capitalistica a partire dal secondo dopoguerra e l’affermazione di una nuova, pericolosa dinamica. Quella delle “espulsioni”. Espulsioni dai centri storici dei cittadini, espulsioni dalle campagne dei contadini, espulsioni dalle terre ancestrali dei popoli indigeni. Papa Francesco le chiama “vite di scarto” e con la sua enciclica “Laudato Si” afferma forte e chiaro che “un vero approccio ecologico diventa sempre un approccio sociale, che deve integrare la giustizia nelle discussioni sull’ambiente, per ascoltare tanto il grido della terra quanto il grido dei poveri”.

foto Matteo Masi mani tese 2019
© Matteo Masi

 

Dare voce ai diritti 

 

Giustizia ambientale e giustizia sociale sono quindi due facce della stessa medaglia. Una medaglia di volontà e di impegno che come Mani Tese ci siamo appuntati sul petto da tempo. Da quando ci è parso evidente che, in Africa come in Italia, avere accesso a un ambiente sano e poter incidere sulle decisioni che riguardano lo sfruttamento delle ricchezze naturali che lo compongono, siano precondizioni fondamentali all’esercizio dei nostri diritti. Ce lo hanno insegnato gli Ogiek in Kenya, con la loro lotta per tornare ad abitare la Foresta di Mau, dopo essere stati cacciati dall’avanzata delle monocolture di tè, delle piantagioni di pini ad uso commerciale e della deforestazione illegale. Ce lo hanno insegnato i movimenti ambientalisti e indigeni dell’Ecuador che si battono contro l’estrazione di petrolio nel Parco dello Yasuni, cuore della Foresta Amazzonica, affinché Chevron-Texaco paghi 8 miliardi di dollari di compensazione per l’ecocidio perpetrato a Lago Agrio e che si oppongono all’apertura di una miniera d’oro, canadese, al centro del Paramo di Kimsakocha, fonte di acqua limpida dell’Azuay. Ce lo insegnano le associazioni e i comitati tarantini che chiedono con caparbietà, preparazione e compostezza la chiusura dell’Ex-ILVA, ora Arcelor Mittal, e la bonifica e la riconversione di una terra che è diventata nel tempo un vero e proprio caso di razzismo ambientale, nel momento in cui si è chiesto ai suoi cittadini di scegliere tra due diritti, salute e lavoro, che, da un punto di vista costituzionale, sono inscindibili.

La transizione necessaria 

 

Anche in questi casi manca la capacità di immaginare un futuro diverso e di pianificare la transizione necessaria. Una transizione che per essere efficace dovrebbe coinvolgere governi centrali, enti locali, istituzioni internazionali, università, imprese e società civile, e avere come meta finale quella di edificare una nuova “casa comune”, che abbia come pavimento i diritti umani, tutti, e come soffitto i limiti del pianeta non valicabili (cambiamento climatico, acidificazione degli oceani, perdita di biodiversità, utilizzo dall’acqua dolce, cambiamenti nell’utilizzo del suolo, ecc). Tra le mura di questa casa, l’attività economica potrebbe svilupparsi in modo equo e inclusivo e consentire di raggiungere, entro il 2030, i famosi Obiettivi di Sviluppo Sostenibile. Mancano solo undici anni e, se ci pensate, questo implicherebbe che, entro solo undici anni (più o meno il tempo entro il quale i nostri figli completano il ciclo di istruzione obbligatoria): l’Ex-ILVA non solo sia chiusa ma che la bonifica e la riconversione siano a pieno regime; che l’estrazione degli idrocarburi e degli altri minerali ad uso industriale, in Ecuador e in tutto il mondo, non solo sia vietata ma anche sostituita da energie e materie prime rinnovabili; che gli Ogiek, e tutti i popoli indigeni che lo desiderano, siano reinsediati nelle loro terre ancestrali; che la finanza e la tecnologia, da leve del capitalismo estrattivo, siano riportate al servizio dell’economia reale, della pace e della democrazia attraverso una serie di regole che ristabiliscano il primato della politica sugli interessi privati di pochi.

 È una corsa contro il tempo che fa tremare i polsi, soprattutto se consideriamo il panorama attuale come punto di partenza. Ma è una sfida ineludibile in cui ognuno di noi può e deve fare la sua parte sia come cittadino responsabile che come attivista. A partire da…ora!

 

Articolo pubblicato sul numero di Giugno 2019 del Giornale di Mani Tese.

24 maggio: in piazza per la giustizia ambientale con Mani Tese!

Mani Tese dedica un numero del giornale ai cambiamenti climatici con un poster da stampare per manifestare durante il secondo sciopero globale per il clima.

ECOCIDIO” è il titolo del nuovo numero del giornale di Mani Tese (scaricabile gratuitamente dal sito Manitese.it) che l’Ong quest’anno ha deciso di dedicare alla crisi climatica e alla sfida per la giustizia ambientale.

Giustizia ambientale e giustizia sociale sono due facce della stessa medaglia – dichiara Giosuè De Salvo, Responsabile Advocacy, Educazione e Campagne di Mani TeseUna medaglia di volontà e di impegno che come Mani Tese ci siamo appuntati sul petto da tempo. Da quando ci è parso evidente che, in Africa come in Italia, avere accesso a un ambiente sano è una precondizione essenziale all’esercizio dei nostri diritti fondamentali”.

“Ce lo hanno insegnato gli Ogiek, una delle più antiche tribù indigene del Kenya, con la loro lotta per tornare ad abitare la Foresta di Mau – continua De Salvodopo essere stati cacciati dall’avanzata delle monocolture di tè e dalla deforestazione illegale. Ce lo hanno insegnato i movimenti ambientalisti e indigeni dell’Ecuador che si battono contro l’estrazione di petrolio nel Parco dello Yasuni, cuore della Foresta Amazzonica, e affinché Chevron-Texaco paghi 8 miliardi di dollari per l’ecocidio perpetrato al confine con la Colombia. Ce lo insegnano le associazioni e i comitati tarantini che chiedono la chiusura dell’Ex-ILVA, ora Arcelor Mittal, e la bonifica e la riconversione di una terra che è diventata un vero e proprio caso di razzismo ambientale, nel momento in cui si è chiesto ai suoi cittadini di scegliere tra due diritti, salute e lavoro, che sono costituzionalmente inscindibili”.

 

LA TRANSIZIONE NECESSARIA

Secondo Mani Tese per affrontare la crisi climatica occorre pianificare una transizione necessaria che, per essere efficace, dovrebbe coinvolgere governi centrali, enti locali, istituzioni internazionali, università, imprese e società civile. Una transizione che deve avere come meta finale quella di edificare una nuova “casa comune”, che abbia come pavimento i diritti umani, tutti, e come soffitto i limiti del pianeta non valicabili. Tra le mura di questa casa, l’attività economica potrebbe svilupparsi in modo equo e inclusivo e consentire di raggiungere, entro il 2030, i famosi Obiettivi di Sviluppo Sostenibile.

“Mancano solo undici anni, è una corsa contro il tempo che fa tremare i polsi – conclude de Salvosoprattutto se consideriamo il panorama attuale come punto di partenza. Ma è una sfida ineludibile in cui ognuno di noi può e deve fare la sua parte sia come cittadino responsabile che come attivista. A partire da ora”.

https://manitese.it/wp-content/uploads/2019/05/poster-rettangolare-mani-tese-2019.jpgIL FUTURO DEL PIANETA NELLE NOSTRE MANI: IL POSTER DI MANI TESE

Il 24 maggio Mani Tese scenderà in piazza per il secondo sciopero mondiale per il clima insieme ai suoi volontari e volontarie e lo farà ritornando alle origini ovvero riportando le “mani” al centro, quelle stesse mani che da più di 55 anni si protendono per la giustizia e che questa volta si metteranno a disposizione per clima e per il pianeta.

Insieme al giornale di Mani Tese, infatti, è possibile scaricare un poster da stampare e usare per manifestare il proprio impegno durante il climate strike. La particolarità del poster è la presenza di due fessure nelle quali infilare le proprie mani che andranno così fisicamente a sorreggere un’immagine della Terra. IL SUO FUTURO È NELLE NOSTRE MANI recita lo slogan.

PER MANIFESTARE CON MANI TESE

L’appuntamento per gli amici e le amiche di Mani Tese che desiderano manifestare insieme il 24 maggio 2019 a Milano è alle 17.30 in Piazza Cairoli, di fronte all’ingresso della Decathlon.

PER SCARICARE GRATUITAMENTE IL GIORNALE E IL POSTER DI MANI TESE

È possibile scaricare il giornale e il poster di Mani Tese in pdf sul sito Manitese.it all’indirizzo https://manitese.it/il-nostro-giornale/.

Alla scoperta del cacao buono… per davvero!

Vi aspettiamo il 22/5 a Firenze e il 23/5 a Milano per la presentazione del dossier sulla filiera del cacao in Ecuador con degustazione di cioccolato etico!

Tra dicembre 2016 e febbraio 2017 il prezzo del cacao battuto nelle principali borse merci internazionali crollò mediamente da 3.000 a 1.900 dollari per tonnellata. In virtù di ciò, le più influenti multinazionali del cioccolato si aggiudicarono per tutto il 2017 forniture di cacao a un prezzo inferiore del 30% rispetto all’anno precedente, risparmiando oltre 4 miliardi di dollari. Di tale risparmio, però, non beneficiarono né i consumatori finali né i circa 5,5 milioni di piccoli produttori che videro i loro già risibili introiti ridursi ulteriormente.

Questo episodio è solo l’ultimo caso di ingiustizia in un mercato caratterizzato da gravi squilibri tra i piccoli produttori e i grandi attori del commercio, dell’industria e della finanza, dominato dalla speculazione finanziaria, che definisce i prezzi secondo criteri poco ragionevoli e trasparenti.

Mani Tese, nell’ambito del progetto Cacao Corretto: Rafforzamento delle filiere del cacao e del caffè per la sovranità alimentare dell’Ecuador, realizzato da Mani Tese e COSPE, in collaborazione con FIAN Ecuador e CEDERENA, e cofinanziato dall’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo,  ha realizzato un dossier sull’esperienza ecuadoriana di un modello produttivo e commerciale basato sulla gestione associativa del cacao prodotto attraverso l’empowerment di quattro associazioni di produttori locali che raggruppano oltre duemila famiglie.

Obiettivo del progetto Cacao Corretto – dichiara Claudia Zaninelli, Desk Officer Cooperazione Internazionale di Mani Teseè quello di promuovere e sperimentare processi di agroecologia, economia sociale e pianificazione territoriale partecipativa nell’ambito della filiere dal cacao e del caffè nel nord dell’Ecuador e nella regione centrale costiera. Nel report abbiamo cercato di dimostrare come la promozione di un modello produttivo e commerciale farmer-based consenta di spostare gli equilibri di potere all’interno della supply chain producendo un considerevole aumento della capacità negoziale degli agricoltori e, di conseguenza, una significativa riduzione della loro dipendenza e subalternità rispetto agli intermediari. Si tratta di una valida alternativa al modello attuale di mercato, grazie alla quale i contadini sono finalmente in grado di trattenere un margine di guadagno più alto da usare all’interno delle proprie comunità”.

Il dossier sarà presentato nell’ambito dell’evento ALLA SCOPERTA DEL CACAO BUONO…PER DAVVERO! che si terrà a Firenze il 22 maggio 2019  alle ore 18.00 presso la Sala Pasquini (ex vetrate) in Piazza Madonna Della Neve 6 e a Milano il 23 maggio 2019 alle ore 18.00 presso La Buona Bottega in Piazzale Baracca 6.

L’ingresso è libero e gratuito fino a esaurimento posti. Si consiglia di confermare la propria presenza a eventi@manitese.it

SCARICA IL DOSSIER “CACAO CORRETTO”

Di seguito il programma dei due eventi:

(clicca sulle immagini per scaricare le locandine in PDF)
presentazione report cacao milano Mani Tese 2019

 

1979-2019: 40 ANNI DI MANI TESE IN GUINEA-BISSAU

Una festa per celebrare la nostra storia nel Paese. Dal 1979 a oggi Mani Tese in Guinea-Bissau è cresciuta notevolmente grazie all’impegno di tante persone!

Quest’anno si sono celebrati i 40 anni di Mani Tese in Guinea-Bissau, uno dei Paesi in cui la presenza di Mani Tese è storicamente più rilevante. Le attività in Guinea-Bissau hanno infatti avuto inizio già nel 1979, con interventi legati all’ambito della salute nell’arcipelago delle Bijagos, grazie alle missioni di medici e infermieri italiani.

Nel 2009 ha poi avuto inizio una nuova tappa, con la prima Rappresentante Paese, Silvia Russo, che ha aperto la sede nazionale a Bissau e fatto decollare i primi progetti di cooperazione.

Per festeggiare questo lungo percorso, il 24 aprile è stata organizzata una grande festa, con la partecipazione di chi ha ci ha accompagnati nel corso degli anni: i diversi partner locali, quali ADIM, AMIC, ASAS DE SOCORRO, OJUBAP, GEIOJ, ma anche molte Ong internazionali e finanziatori storici e potenziali.

Se dal 1979 a oggi Mani Tese in Guinea-Bissau è cresciuta notevolmente, è grazie all’impegno di più persone che si sono dedicate ai molteplici progetti realizzati sul territorio. Particolare merito va dato a Braima, il nostro autista di fiduciache collabora con noi da 10 anni. Come sorpresa per Braima, dalla sede italiana è arrivato un video-messaggio, mentre il personale della sede in Guinea-Bissau gli ha consegnato un attestato di merito per la dedizione e l’impegno costanti.

La festa è stata anche un’occasione per inaugurare la nuova sede nazionale a Bissau e per presentare le tre equipe di Mani Tese nel Paese, stanziate a Bissau, a São Domingos e a Gabu. Nel complesso, la squadra è composta da 35 guineensi e 6 espatriati, tra i quali Paola, Sara, Guido, Gianmarco, Martina e il nostro instancabile Rappresentante Paese, Piero.  A oggi questo team si occupa di sei diversi progetti sulle tematiche dei diritti umani e della sovranità alimentare.

I festeggiamenti sono poi proseguiti con balli e cibo. Ad aprire le danze è stato il  gruppo culturale Netos de Bandim (nostro partner nel progetto Terra Ricca), che ha presentato i balli tipici delle principali etnie guineensi. Il buffet, infine, prevedeva solo prodotti locali e le immancabili uova del Cedaves, l’impresa sociale promossa da Mani Tese.

Insomma, una giornata di festa che tutto il nostro personale in Guinea-Bissau non dimenticherà facilmente!

Auguri Mani Tese in Guinea-Bissau!

SCOPRI I NOSTRI PROGETTI NEL PAESE

40 anni guinea-bissau mani tese 2019
40 anni di Mani Tese in Guinea-Bissau.
aperitivo festa guinea-bissau mani tese 2019
Aperitivo per la festa di Mani Tese
Balli tipici guineensi
buffet piatti tipici festa 40 anni mani tese 2019
Buffet di piatti tipici
festeggiamenti 40 anni guinea-bissau mani tese 2019
Festeggiamenti
netos de bandim balli tradizionali guinea bissau mani tese 2019
Balli tradizionali con i Netos de Bandim
paola pietro festa 40 anni guinea bissau mani tese 2019
Paola e Piero di Mani Tese

Premio Mani Tese: vince il progetto d’inchiesta su Amazon

Si aggiudica il premio per il giornalismo investigativo il progetto “Amazon: indagine su uno smaltimento al di sopra di ogni sospetto”.

Si è tenuta ieri (2 maggio 2019), presso la Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, la cerimonia di premiazione del Premio Mani Tese per il giornalismo investigativo e sociale
Il premio, promosso da Mani Tese con il contributo dell’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo (AICS), ha come obiettivo quello di portare alla luce storie e inchieste relative all’impatto dell’attività d’impresa sui diritti e sull’ambiente.

Sono stati 6 i finalisti selezionati dalla giuria su 134 candidature ricevute, che ieri sera hanno presentato il loro progetto d’inchiesta di fronte ai giurati presenti in sala: Gad Lerner, Tiziana Ferrario, Gianluigi Nuzzi, Emilio Ciarlo, Direttore Comunicazione di AICS e Francesco Loiacono, Caposervizio di Fanpage.it.

Alla selezione dei finalisti avevano contribuito, inoltre, le giornaliste Eva Giovannini e Stefania Prandi e il direttore di Fanpage.it Francesco Piccinini.

“Il livello qualitativo dei progetti candidati al premio è stato talmente elevato che, di comune accordo con la giuria, abbiamo deciso di dare la possibilità a più progetti di essere presentati posponendo quindi la scelta del vincitore finale alla serata di premiazione” ha dichiarato sul palco Giorgia Vezzoli, Responsabile della Comunicazione Istituzionale di Mani Tese, che ha aggiunto “Questo è il primo premio indetto da Mani Tese e non a caso è stato dedicato al sostegno concreto del giornalismo indipendente perché crediamo che indagare sia un dovere e che sapere sia un diritto di tutti e di tutte”.

A vincere il premio aggiudicato dalla giuria è stato il team composto da Roberto Pisano, Elisabetta Muratori e Rosario Daniele Guzzo con il progetto d’inchiesta “Amazon: uno smaltimento al di sopra di ogni sospetto”.

L’inchiesta si propone di identificare i meccanismi di smaltimento della merce invenduta da parte di Amazon, uno degli attori protagonisti dell’e-commerce a livello globale. Approfondendo gli aspetti finali della filiera produttiva sul mercato italiano, gli autori intendono verificare la policy di gestione della merce invenduta e la sua sostenibilità ambientale. “Come denunciato da Brune Poirson, sottosegretario di Stato alla Transizione Ecologica del Governo francese – scrivono gli autori nel loro progetto d’inchiesta – il regolamento adottato da Amazon rende di fatto più conveniente distruggere un bene nuovo ancora imballato, piuttosto che metterlo nuovamente in circolo nel mercato o stoccarlo in magazzino per lunghi periodi con ricadute permanenti sull’ambiente”.

Ai vincitori del Premio verrà assegnato un contributo monetario fino ad un massimo di 7.500 euro per la copertura delle spese di realizzazione del servizio.

Il team ha ora 90 giorni di tempo per realizzare l’inchiesta che, a questo punto, è già molto attesa.

A proposito del Premio Mani Tese
Il Premio Mani Tese per il giornalismo investigativo e sociale è un’iniziativa promossa da Mani Tese, Ong che da oltre 50 anni si batte per la giustizia nel mondo, e rientra nell’ambito del progetto “New Business for Good” realizzato con il contributo di Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo (AICS).
Il premio, riservato a giornalisti indipendenti/freelance (singoli o in gruppo) di ogni età, nazionalità e genere, intende sostenere la produzione di inchieste originali su tematiche concernenti gli impatti dell’attività di impresa sui diritti umani e sull’ambiente in Italia e/o nei Paesi terzi in cui si articolano le filiere globali di produzione. 

AGROECOLOGIA, GENERE E MICROFINANZA IN BURKINA FASO

Un workshop sui risultati raggiunti dal programma “Partenariato per lo sviluppo sostenibile tra Italia e Burkina Faso” e sulle raccomandazioni per il futuro.

Di Karim Sawadogo, Coordinatore Progetto Mani Tese “Partenariato per lo sviluppo sostenibile tra Italia e Burkina Faso”

Il programma Partenariato per lo sviluppo sostenibile tra Italia e Burkina Faso è giunto ormai al quinto e ultimo anno di attuazione. Dal 2014 a oggi molto è stato fatto per contribuire al miglioramento delle condizioni di vita delle popolazioni rurali e alla piena realizzazione del diritto all’alimentazione. Gli attori del progetto hanno sviluppato gli interventi prevalentemente attorno a tre assi tematici trasversali: l’agroecologia, il genere e la microfinanza.

Nell’ultimo anno di progetto è stato avviato un percorso di capitalizzazione delle esperienze realizzate, per condividerle nel contesto del Burkina Faso e alimentare così la riflessione sull’importanza di queste tematiche nelle strategie di sviluppo del Paese, anche in vista di successivi interventi. A questo scopo sono stati prodotti un kit con materiali sul programma (composto da schede esperienziali e tecniche) e un documento di capitalizzazione congiunto sui tre assi tematici, che è stato alla base del seminario svoltosi il 27 marzo 2019 a Ouagadougou.

L’evento, moderato da Pegu Ouedraogo della RTB (canale televisivo del Burkina Faso), ha visto coinvolti i diversi attori del programma e in particolare i responsabili dei tre assi tematici, che hanno presentato i risultati del loro lavoro di studio e analisi delle attività realizzate e dei risultati ottenuti.

L’evento è stato anche l’occasione per volgere lo sguardo al futuro e formulare raccomandazioni utili.  Non sono infatti mancate domande e consigli da parte del pubblico, composto da produttori, produttrici e trasformatrici di prodotti agricoli, rappresentanti di istituzioni finanziarie e casse rurali, servizi tecnici statali, rappresentanti dei comuni, organizzazioni che promuovono l’agroecologia e finanziatori. Oltre agli aspetti tecnici dei temi proposti, fra i punti trattati è emersa anche una questione di metodo, ovvero la necessità di coinvolgere le organizzazioni di base di agricoltori per identificare i problemi e, soprattutto, le soluzioni perché, come diceva Joseph Ki – Zerbo (storico e uomo politico burkinabé), «Noi non ci sviluppiamo, ci miglioriamo».

A proposito del programma Partenariato per lo sviluppo sostenibile tra Italia e Burkina Faso

Il progetto Partenariato per lo sviluppo sostenibile tra Italia e Burkina Faso è realizzato con il contributo di Fondazioni for Africa – Burkina Faso (FPA-BF) in Burkina Faso e in Italia nel quadro di un’azione congiunta di 28 fondazioni italiane di origine bancaria. Il progetto è stato avviato in Burkina Faso nel gennaio 2014 ed è realizzato da un consorzio di ONG italiane (ACRA, CISV, LVIA, Mani Tese), un’associazione italo-burkinabé (Watinoma), la Fondazione Slow Food per la biodiversità e CeSPI (Centro studi di politica internazionale) per la componente diaspora. Il progetto è attivo in sette regioni del Paese: Est, Centro-Est, Centro-Ovest, Plateau Central, Sud-Ovest, Alti bacini.

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