Trattato onu su diritti umani e imprese: a che punto siamo?

Proseguono i negoziati, ma mancano certezze sui punti chiave: cronaca sintetica della quinta sessione del Gruppo di Lavoro Intergovernativo delle Nazioni Unite, Ginevra, 14-18 ottobre 2019

di Riccardo Rossella e Giosuè De Salvo *

Dal 14 al 18 ottobre si è svolta a Ginevra la quinta sessione del Gruppo di Lavoro Intergovernativo delle Nazioni Unite per la definizione di un trattato vincolante su imprese e diritti umani. La sessione ha segnato una nuova tappa nel percorso verso l’adozione di uno strumento internazionale giuridicamente vincolante, necessario per superare l’attuale impianto basato su principi guida e codici di condotta di natura volontaria e garantire la responsabilità delle imprese – in particolare quelle a carattere transnazionale – in caso di abusi lungo le loro catene di fornitura e l’accesso alla giustizia da parte delle vittime.

Nei cinque anni trascorsi dal suo avvio ufficiale in seno al Consiglio dei Diritti Umani dell’ONU nel 2014, il Gruppo Intergovernativo, presieduto dall’Ecuador, ha visto un crescente coinvolgimento da parte di Stati, organismi internazionali e realtà della società civile, portando alla definizione di una prima bozza di testo (Zero Draft) nel 2018 e di una nuova versione (Revised Draft) nel luglio 2019. Se l’avanzamento del processo negoziale e la crescente attenzione sul tema rappresentano segnali incoraggianti, la strada per il raggiungimento di un accordo realmente incisivo appare, però, ancora lunga. La sessione da poco conclusa ha infatti fornito un’ulteriore conferma delle resistenze dei Paesi che sono sede delle maggiori imprese multinazionali. In particolare, Russia e Cina hanno osteggiato a più riprese le proposte maggiormente progressiste, mentre i diplomatici dell’Unione Europea – che nel 2014, insieme a quelli degli Stati Uniti, avevano votato contro l’istituzione del gruppo di lavoro –  si sono nuovamente astenuti dal partecipare attivamente al negoziato adducendo come motivazione, ormai ricorrente, l’assenza di un mandato chiaro da parte della Commissione Europea e degli Stati Membri.
Le diverse posizioni tra Stati, oltre che tra i diversi stakeholder, fanno sì che quelli che dovrebbero essere gli elementi portanti del trattato restino ancora oggetto di discussione. La versione del testo alla base del round di negoziati appena conclusosi era del resto già stata bersaglio di critiche da parte delle organizzazioni della società civile, che a livello globale stanno attivamente contribuendo al processo e monitorandone l’evoluzione attraverso reti e campagne quali la Treaty Alliance, di cui Mani Tese fa parte, o la Global Campaign to Dismantle Corporate Power and Stop Impunity.
Tra i punti che destano maggiore preoccupazione rientrano: l’allargamento del campo di applicazione del trattato dalle società transnazionali a tutte le tipologie di società; l’incertezza rispetto all’effettiva previsione di obblighi giuridici direttamente in capo alle imprese, invece che agli Stati, facendole diventare per la prima volta nella storia soggetti del diritto internazionale; la necessità di superare il principio cardine secondo cui la case madre di una “big corporation” non può essere portata in giudizio in Europa o negli Stati Uniti o un’altra nazione industrializzata per rispondere degli abusi compiuti da imprese da loro controllate in Paesi terzi che non sono in grado di garantire un equo processo alle vittime.

Si tratta di questioni essenziali per il fine ultimo del trattato: superare l’attuale sistema di impunità di cui le imprese multinazionali godono e che consente loro di eludere le giurisdizioni dei singoli Stati, anche attraverso l’influenza esercitata sulle istituzioni finanziarie internazionali e sugli accordi commerciali e di tutela degli investimenti siglati tra gli Stati stessi. Non è un caso infatti che, oltre alle questioni aperte appena citate, un altro tema cruciale sia l’inserimento del principio di supremazia della protezione dei diritti umani sulla protezione dei diritti economici previsti da queste due tipologie di accordi. In sua assenza il rischio è quello di perpetrare un sistema in cui i meccanismi di risoluzione delle controversie tra Stati e imprese, i famigerati ISDS (Investment Dispute Settlement Body), sacrificano la sovranità dei popoli sull’altare degli interessi economici e finanziari.

Gli input alla discussione forniti dai vari stakeholder andranno ora ad alimentare una nuova bozza di testo, attesa entro giugno 2020. L’auspicio è che questa possa costituire un passo in avanti sostanziale nella giusta direzione, ovvero dotare la comunità internazionale di un trattato vincolante capace di garantire la protezione delle persone e delle comunità che si sono viste violate nelle loro libertà fondamentali e negli ecosistemi da cui dipendono. Mani Tese continuerà a monitorare il processo negoziale, collaborando in modo fattivo con la società civile globale per far sì che questo avvenga.

Per un approfondimento di quanto accaduto giorno per giorno durante la sessione negoziale si vedano i bollettini della European Coalition for Corporate Justice, di cui Mani Tese è membro.

 

*  Area Advocacy, Educazione e Campagne di Mani Tese 

 

 

Mani Tese indice un premio per neolaureati con un’idea per cambiare il mondo!

Verrà premitata la migliore tesi su “business, diritti umani e ambiente” con un contributo monetario per la specializzazione post laurea.

Mani Tese lancia un premio dedicato alle migliori tesi di laurea con un’idea in grado di coniugare sviluppo economico, giustizia sociale e ambientale.

Il Premio Mani Tese per tesi di laurea su “business, diritti umani e ambiente” intende infatti promuovere le migliori idee che circolano in ambito universitario su come superare gli attuali modelli di impresa ad alto impatto sociale e ambientale e come sostanziare la cultura dei diritti umani e dell’ecologia integrale in azienda e, più in generale, nei sistemi economici che consentono di distribuire ricchezza e opportunità.

A chi è rivolto
Il Premio è riservato a laureati/e di tutte le facoltà e i master nell’anno accademico 2018/2019 (entro la data di scadenza del bando) di ogni età, nazionalità e genere che intendano proseguire i loro studi su temi affini a quelli del premio.

Il premio
Il Premio consiste in un contributo monetario fino a un massimo di 3.500 euro a copertura delle spese di iscrizione a master o corsi di specializzazione in partenza nell’anno 2020.

Come partecipare
La partecipazione al Premio è gratuita. Per concorrere è necessario compilare il modulo di iscrizione allegando, oltre alla tesi completa in formato PDF, la propria biografia, l’abstract della tesi e l’indicazione e i collegamenti a possibili master/corsi che si intendono frequentare nel 2020.
Il termine di scadenza per l’invio delle tesi è il 24 novembre 2019. I risultati della selezione saranno annunciati entro il 20 dicembre 2019.

La giuria
La selezione dei vincitori sarà rimessa all’insindacabile giudizio della Giuria – composta da accademici e/o esperti del settore di Mani Tese, Oxfam Italia, Action Aid Italia, Fondazione Finanza Etica, Fondazione Sodalitas, Comune di Milano e WWF Italia – sulla base degli elaborati presentati, avendo come principali criteri di valutazione: l’aderenza al tema, l’originalità dello studio, la qualità scientifica, il grado di visionarietà della tesi proposta.

I promotori del premio
Il premio si inserisce all’interno del progetto “New Business for Good”, realizzato con il contributo di Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo (AICS), supportando il programma di Mani Tese MADE IN JUSTICE per una cultura dei diritti umani e del rispetto dell’ambiente nelle aziende e nella società.

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Blockchain Fighting Poverty

Corso di formazione gratuita per promuovere la conoscenza di questa nuova tecnologia ed evidenziarne le potenzialità per la cooperazione internazionale.

Blockchain è ormai un termine che negli ultimi mesi è sulla bocca di tutti.

Blockchain fighting poverty” è il corso per conoscere i possibili campi di applicazione di questa tecnologia nel settore della cooperazione internazionale, che Mani Tese e Gnucoop organizzano a novembre a Milano presso la sede di Mani Tese.

Il corso è rivolto a operatori della cooperazione internazionale e a chi, in particolare, gestisce progetti di distribuzione in contesti di emergenza o di filiere produttive.

Il corso è completamente gratuito perché inserito all’interno dell’iniziativa Innovazione per lo sviluppo promossa da Fondazione Cariplo e Compagnia di San Paolo.

Per informazioni ed iscrizioni https://academy.gnucoop.com/course/view.php?id=5.

 

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A Milano arriva la School Week!

Dal 18 al 22 ottobre 2019 si tiene la prima settimana dedicata alle scuole organizzata dal Municipio 8 del Comune di Milano.

Non solo Fashion Week, Design Week, Movie Week…A Milano non poteva mancare la School Week, la settimana dedicata alle scuole organizzata dal Municipio 8!

L’intento di questa prima iniziativa, per ora su scala municipale, è mettere al centro dell’attenzione il mondo delle scuole non solo come luoghi di formazione per eccellenza ma come presidi culturali di tutto il territorio.

La School Week è promossa da Municipio 8 Comune di Milano, Sistema Bibliotecario Milano, Mani Tese e Università degli Studi di Milano Bicocca con il patrocinio del Comune di Milano.

Le scuole della zona con le loro attive associazioni dei genitori, supportate dal Municipio 8, propongono diverse iniziative per creare un momento di riflessione collettiva sulle tante buone pratiche formative già presenti e sui modi per estenderle.

Dal 18 al 22 ottobre 2019 verranno coinvolti bambini/e e ragazzi/e in una serie di attività e laboratori in tutte le biblioteche scolastiche e civiche della zona.
La giornata clou della settimana sarà la giornata del 19 ottobre presso il Centro Civico di Via Quarenghi 21 con la mattina, dalle 9.00, dedicata a dibattiti su edilizia scolastica e metodi educativi e all’animazione e laboratori gratuiti per bambini/e. Il pomeriggio, dalle 14.30, sarà dedicato a un open day di tutte le scuole superiori del Municipio 8 e un World Cafè sulle Scuole Aperte con quattro aree tematiche.

Clicca sull’immagine e scarica il programma dettagliato degli eventi:

Il programma della giornata del 19 ottobre:

NAPOLI, RIPETUTE INTIMIDAZIONI A MANI TESE: NOI ANDIAMO AVANTI

Ben tre atti intimidatori in 10 giorni. Sono quelli che hanno colpito, nelle scorse settimane, la sede di Mani Tese a Napoli. Vetri rotti, immobili danneggiati, scritte con spray, il furto di un modesto incasso (150 euro) che l’associazione Mani Tese Campania devolve in progetti di sviluppo sociale per chi ha poco o nulla. “Non […]

Ben tre atti intimidatori in 10 giorni. Sono quelli che hanno colpito, nelle scorse settimane, la sede di Mani Tese a Napoli.

Vetri rotti, immobili danneggiati, scritte con spray, il furto di un modesto incasso (150 euro) che l’associazione Mani Tese Campania devolve in progetti di sviluppo sociale per chi ha poco o nulla.

“Non siamo arrabbiati, siamo solo molto tristi – sono stati i commenti a caldo dei volontari e delle volontarie all’indomani di uno degli ennesimi atti vandalici – Mani Tese ha una missione: la giustizia sociale, e ci aspettiamo che ognuno possa sentirsi partecipe e coinvolto in questa lotta per il benessere e la pace di tutti. Quando ciò non succede, possiamo solo rimboccarci le maniche e ricominciare”.

Diverse le ipotesi sull’origine delle intimidazioni. Si pensa alla pista della rete degli usurai per via dell’importante lavoro anti usura che l’associazione svolge sul territorio: Mani Tese, attraverso le sue iniziative sociali e di micro credito, di fatto sottrae decine di vittime agli strozzini nel quartiere.

Di certo Mani Tese a Napoli è scomoda, come lo sono tutte le organizzazioni che si occupano degli ultimi, dando vita a un contesto sociale in cui prevalgano la solidarietà e l’integrazione.

Mani Tese Campania è presente da 25 anni in piazza Cavour, anche con un mercatino dell’usato. “La sede in piazza Cavour rimane. – Ne è certo Paolo Greco, Presidente di Mani Tese CampaniaResta per erogare servizi per tutte le persone, senza distinzione, e per ospitare organizzazioni anche contro l’usura”.

Agli atti intimidatori e di vandalismo rispondiamo con l’azione su e per il territorio – aggiunge Paolo confermando l’apertura verso l’intera cittadinanza e avvalendoci di percorsi di co-progettazione per rispondere sempre di più ai bisogni che ci giungeranno da chi vive la piazza e il quartiere”.

A conferma di queste parole, la presentazione di Mani Tese delle nuove attività dell’Agenzia di cittadinanza per la Terza Municipalità, , avvenuta a poca distanza dagli atti vandalici. Tante le iniziative che verranno realizzate nel nuovo anno: assistenza agli anziani, progetti per i minori a rischio, corsi di italiano, percorsi di affiancamento per il reddito d’inclusione, arredo urbano per riscattare piazza Cavour…

“Siamo vicini alle amiche e agli amici di Napoli – dichiara Sara de Simone, Presidente di Mani TeseColpendo Napoli, hanno colpito tutti noi di Mani Tese impegnati in una comune lotta di impegno di giustizia. Un impegno che dura da oltre 55 anni e che non abbiamo nessuna intenzione di cessare o di ridimensionare. È dal 1964 che promuoviamo valori come solidarietà e integrazione a fianco degli ultimi. Non ci hanno fermati prima e non ci fermeranno adesso”.

“Per l’anno prossimo – conclude de Simonel’Ong sta progettando la realizzazione di un importante evento di sensibilizzazione sul tema della sostenibilità e sarà proprio Napoli la città in cui stiamo pensando di organizzarlo”.

ECUADOR: CAUSE E CONSEGUENZE DI UNA CRISI ANNUNCIATA

Da una settimana l’Ecuador è un paese fuori controllo: manifestazioni pacifiche represse nel sangue, governo in esilio e saccheggi.

di Tancredi Tarantino, cooperante e docente universitario, collaboratore storico di Mani Tese in Ecuador

Da una settimana l’Ecuador è un paese fuori controllo. Le manifestazioni di indigeni, lavoratori e studenti si susseguono in tutto il paese, mentre la repressione da parte di esercito e polizia si fa sempre più violenta e indiscriminata. Il Governo ha abbandonato la capitale e il Parlamento è chiuso da giorni. Lo stato d’emergenza, decretato dal Presidente Lenín Moreno, limita le libertà fondamentali dei cittadini mentre il coprifuoco riduce la mobilità nelle ore notturne. I saccheggi e le rapine sono numerosi in tutto il paese e lo Stato è assente.

Ad accendere le proteste della popolazione locale è stata l’adozione da parte del governo, lo scorso 2 ottobre, di una serie di misure di riduzione della spesa pubblica. L’esecutivo, senza nessun dialogo previo con le parti sociali, ha eliminato i contributi pubblici sulla benzina, ridotto il salario degli impiegati statali e dimezzato i giorni di ferie.

A dettare il nuovo corso della politica economica ecuadoriana è il Fondo Monetario Internazionale che, a fronte di un credito di oltre 4 miliardi di dollari, concesso per contrastare la recessione e la mancanza di liquidità che opprime il paese sudamericano, ha preteso una serie di aggiustamenti strutturali volti a ridurre la spesa pubblica, flessibilizzare il mercato del lavoro e privatizzare le aziende pubbliche che godono di buona salute.

Un accordo, quello con l’Fmi, le cui negoziazioni sono avvenute nella massima riservatezza, senza alcun dialogo con la popolazione e senza un passaggio formale in Parlamento, come previsto invece dalla Costituzione ecuadoriana.

A scendere in strada per primi sono stati i lavoratori del settore dei trasporti, che il 3 ottobre hanno indetto uno sciopero generale per protestare contro l’aumento del combustibile. Dalla sera alla mattina, la benzina è aumentata del 20% mentre il prezzo del diesel è raddoppiato, con conseguenze preoccupanti anche per la produzione e il trasporto delle merci.

Nei mercati, il prezzo dei prodotti è aumentato immediatamente, e in alcuni casi è più che raddoppiato. Con la conseguenza che, mentre i tassisti paralizzavano Quito, le organizzazioni indigene si riversavano in strada bloccando le principali arterie del paese e annunciando una marcia verso la capitale.

Così, quando in seguito ad un accordo con il governo che garantiva l’aumento delle tariffe, i tassisti e gli autisti d’autobus hanno annunciato la fine dello sciopero, gli indigeni e i contadini stavano già camminando verso Quito. E la protesta dilagava anche in altre città del paese.

Per fronteggiare una situazione che fin da subito è sembrata scappare di mano al governo, il presidente Moreno ha decretato lo stato d’emergenza, limitando il diritto di associazione, la libertà d’espressione e l’inviolabilità del domicilio. Successivamente, ha lasciato la capitale, spostando il governo a Guayaquil, principale centro economico del paese, e decretando il coprifuoco dalle 20:00 alle 5:00, in prossimità di edifici dello Stato e altri luoghi sensibili.

Nel frattempo, il 7 ottobre, gli indigeni hanno raggiunto la capitale e si sono uniti alle proteste cittadine, chiedendo al governo di ritirare il pacchetto di riforme approvato.

Con un atto dimostrativo, l’8 ottobre, i manifestanti hanno occupato per qualche ora il Parlamento e chiesto le dimissioni del presidente Moreno. Nelle stesse ore, un mandato di perquisizione veniva emesso contro la Radio Pichincha, una radio pubblica di opposizione al governo Moreno che sta raccontando le proteste di questi giorni. Una ventina di poliziotti ha fatto irruzione nella sede della radio, sequestrando prove relative alle trasmissioni degli ultimi giorni. Il giorno successivo, Arcotel, l’autoritá locale per le telecomunicazioni, ha sospeso le attività della radio, che è stata così costretta a chiudere.

A Quito, cuore delle manifestazioni di questi giorni, le proteste si concentrano soprattutto nel centro-nord della città, dove hanno sede alcune delle istituzioni principali dello Stato. Finora, la repressione da parte di esercito e polizia è stata violenta e indiscriminata, tanto da allertare anche alcuni organismi internazionali, come la Commissione Interamericana dei Diritti Umani che ha manifestato la propria preoccupazione per la violenza esercitata dalle forze dell’ordine contro i manifestanti.

Gas lacrimogeni e proiettili di gomma sono stati sparati ad altezza d’uomo da esercito e polizia, ferendo diversi manifestanti e prendendo di mira zone neutrali dove vengono assistiti i manifestanti e i feriti. È quanto accaduto nelle ultime ore nella Casa della Cultura Ecuadoriana e nelle università Cattolica e Salesiana. Secondo quanto riportano i volontari che stanno garantendo una prima assistenza medica in quei luoghi, due bambini e due anziani sarebbero morti per asfissia a causa dei gas lacrimogeni sparati tra i pazienti.

Di fronte alla persecuzione che sta subendo anche il personale medico, la Croce Rossa ha sospeso le proprie attività chiedendo al governo che si riconosca la neutralità dell’organizzazione umanitaria.

E mentre la ministra dell’Interno, María Paula Romo, si è scusata pubblicamente per la repressione nei centri di accoglienza e di prima assistenza medica, in alcune città si registrano saccheggi e atti di vandalismo contro negozi e case.

Al momento, sono circa 800 le persone arrestate e almeno due i morti. Ma gli scontri a Quito non accennano a diminuire. In un comunicato, diramato il 9 ottobre, l’esercito si deresponsabilizza per eventuali episodi violenti che possono accadere nel corso delle manifestazioni. “Gli unici responsabili – si legge nel comunicato – saranno coloro i quali attenteranno contro l’ordine pubblico”.

Intanto, le Nazioni Unite stanno dialogando con l’esecutivo e con la Conaie, la principale confederazione indigena del paese, per provare a mediare tra le parti e arrivare ad un accordo per riportare la calma nel paese. Accordo che, al momento, non è stato raggiunto.

DOPO LA VIOLENZA: L’ACCOGLIENZA DELLE DONNE IN GUINEA-BISSAU

Famiglie ospitanti e spazi di accoglienza: una rete informale di sostegno a chi ha il coraggio di denunciare episodi di violenza o di matrimoni forzati.

Di Paola Toncich, Rappresentante Paese in Guinea-Bissau, Mani Tese

 

Per “spazi informali di accoglienza” in Guinea-Bissau, Paese con un’alta incidenza di matrimoni forzati, si intendono persone e famiglie volontarie che accolgono nelle loro case ragazze e donne vittime di violenza sia nella capitale, Bissau, sia nelle regioni più isolate, dove non esistono centri di accoglienza formali. Questa definizione è stata adottata nell’ambito del progetto di Mani Tese e co-finanziato dall’Unione Europea e promosso insieme ad altri partner Libere dalla violenza: Emancipazione per donne e bambine in Guinea-Bissau (titolo originale: “No na cuida de no vida, mindjer“che in italiano significa “Ci prendiamo cura della nostra vita, donna”).

Per introdurre un nuovo approccio nella mobilitazione contro la violenza di genere, Mani Tese si sta occupando dell’identificazione e della mappatura di questi spazi, nonché del rafforzamento delle loro capacità materiali attraverso la consegna alle famiglie ospitanti di alcuni kit di appoggio alle vittime (che contengono generi alimentari, capi di abbigliamento, materiale scolastico e medicine) e sessioni formative sull’assistenza sociale di base e sugli strumenti legali contro la violenza domestica vigenti nel Paese.

 

Attualmente sono già stati identificati 12 spazi informali nelle regioni di Bafata, Gabu, Quinara e Tombali e nella città di Bissau, di cui 9 hanno ospitato o ospitano vittime di abusi e soprattutto vittime di tentativo di matrimonio precoce o forzato. Chi non ha ancora ospitato si rende disponibile per un anno, in attesa delle ragazze e delle donne che potrebbero aver bisogno di essere accolte.

Attualmente le vittime alloggiate sono 25 di cui 21 per matrimonio forzato e precoce e 4 per violenza domestica.

Le persone che ricevono una vittima sono per la maggior parte attiviste per i diritti umani, operatori del settore (poliziotti, assistenti sociali) o appartenenti ad alcuni credi religiosi (pastori evangelici). Ma ci sono anche persone che spontaneamente si offrono di accoglierla.

Dopo la denuncia alle autorità, le vittime di violenza sono accompagnate dalla polizia e dall’equipe di progetto nelle “strutture ospitanti”, che vengono supervisionate sia per quanto riguarda le loro esigenze che il corretto rapporto con le vittime.

Il progetto di Mani Tese dispone inoltre di un’assistente sociale che fornisce supporto psicosociale alle vittime ospitate dalle famiglie e che si occupa di accompagnarle attraverso colloqui e sessioni di assistenza per superare i traumi causati dalla violenza.

Nel caso di matrimonio forzato, il responsabile giuridico di Mani Tese identifica inoltre, insieme alla polizia, i famigliari della vittima per comprendere le ragioni dell’atto, per sensibilizzarli e tentare di conciliare le posizioni. Nel caso la famiglia d’origine non sia disposta a riaccogliere la ragazza, l’equipe identifica dei parenti prossimi non consenzienti al matrimonio che possano ospitarla.

Anche nel caso in cui la vittima abbia subito abusi o violenza domestica, dopo la denuncia (che non sempre porta a processo a causa dell’inadempimento della giustizia) e l’accoglienza temporanea negli spazi informali, lo staff di progetto cerca la soluzione migliore per reinserire la ragazza o la donna in società. La difficoltà del reinserimento dipende dal fatto che difficilmente la vittima accetta di uscire dalla propria comunità per ricominciare una vita altrove. Nella fase di reintegrazione, la cui durata dipende dalla gravità della violenza subita, le famiglie e le ragazze vengono seguite attraverso visite domiciliari e contatti telefonici.

Nei prossimi mesi verrà istituita una rete con lo scopo di mettere in contatto fra loro le famiglie ospitanti nelle regioni d’intervento. Una rete che crei interscambio, condivisione delle esperienze e delle necessità delle famiglie per garantire protezione a chi trova il coraggio di fuggire dalla violenza.

 

Bartolo: “Sulle migrazioni ci hanno raccontato menzogne”

Le parole del medico di Lampedusa al convegno di Mani Tese

Ci hanno raccontato bugie, menzogne”. Sono le parole di Pietro Bartolo, intervenuto sabato 28 settembre al convegno di Mani Tese “Diritti oltre i confini – La cooperazione internazionale per un mondo senza frontiere”.

Il medico di Lampedusa ora Eurodeputato è stato ospite alla festa della Federazione Mani Tese a Catania, tenutasi a distanza di 55 anni dalla costituzione della storica Ong.

Sono tante le menzogne che, per Bartolo, ci hanno raccontato in riferimento alla narrazione delle migrazioni.

“Ci hanno parlato di malattie infettive gravi, ma queste persone (ndr: i migranti arrivati per mare) non ne portano”. E poi ancora “Li chiamano clandestini, si dice di loro che sono terroristi, che ci vengo a rubare il lavoro, le case, che sono delle prostitute…Io penso che sono esseri umani e non mi stancherò mai dirlo”.

Esseri umani, persone. Le stesse persone che Bartolo ha curato. L’insistenza su questo punto è continua, come se il medico più noto di Lampedusa sentisse la necessità di riaffermare, anche nelle parole, un’umanità che abbiamo perduto.

“In questo momento stanno morendo dei bambini, delle donne, degli uomini, ora, in questo momento”.  Sono tante, troppe queste morti sulla coscienza che Bartolo, con implacabile resistenza, mostra nelle terrificanti immagini degli innumerevoli corpi che, da medico, ha dovuto toccare, valutare, identificare. Un compito terribile, di cui Bartolo porta tutto il peso addosso.

“Salvini ha detto che non abbiamo bisogno di bambini confezionati…Lui non sa che cosa sono i bambini confezionati, lo so io…Nei sacchi li ho visti i bambini. Morti…Vestiti a festa dalle mamme”.

La sua è una vera e propria chiamata alle armi al senso di umanità, quella stessa umanità di cui lui, invece, pare totalmente invaso.

“Sono stato un marinaio e sono stato un naufrago – racconta – So cosa significa stare in mezzo al mare per ore aspettando la morte. Io sono stato fortunato, ma molti di loro perdono la vita ed è inaccettabile che possa succedere tutto questo in un modo “civilizzato”, dove l’indifferenza ha preso il sopravvento.

Se pensiamo che l’Africa è il continente più ricco del mondo, ci sarà un motivo, ce lo siamo mai chiesti? Quel motivo siamo noi che abbiamo scambiato quel continente come un mercato da dove prendere tutto. Loro hanno tutto: hanno i diamanti, terre rare, il petrolio e noi gli abbiamo tolto tutto. Li abbiamo costretti ad andare via e adesso che loro sono venuti a chiederci un minimo di sopravvivenza, un lavoro anche il più umile, sarebbe opportuno dare loro quello che a loro spetta”.

Sulle migrazioni il pensiero di Bartolo è molto chiaro: “Il fenomeno delle migrazioni nasce con l’uomo. Non è un fatto temporaneo che riguarda solo l’Italia ma riguarda tutto il mondo. Le persone migrano a causa dei conflitti, delle persecuzioni o dei cambiamenti climatici. La migrazione non è un’emergenza, è un fatto strutturale. Il problema è saperlo gestire con intelligenza e lungimiranza”.

Non mancano, a questo proposito, gli affondi. All’Europa, prima di tutto, e al tradimento dei valori che stanno alla base della nostra civiltà.

“L’Europa è stata molto disattenta da questo punto di vista, la stessa Europa basata su principi e valori che stanno alla base della nostra vita, come accoglienza, solidarietà e rispetto dei diritti umani. Diritti umani che nascono con l’uomo, che sono stati riconosciuti a livello internazionale e oggi sono messi in discussione”.

“Una volta coloro che salvavano le persone erano eroi. Oggi chi salva le persone diventa un delinquente e deve pagare delle sanzioni”. Ma chi salva le persone per fortuna c’è, come le Ong o come i pescatori: “I porti non sono mai stati chiusi, grazie ai pescatori. Perché i pescatori non li puoi fermare”.

E tuttavia la situazione resta drammatica: “Migliaia di persone sono morte in questo mare. Più di quaranta mila persone muoiono sotto i nostri occhi, nel mare di Lampedusa. Il mare nostrum è diventato un cimitero”.

Rivedi l’intervento di Pietro Bartolo nel video del convegno