Lo studio sui migranti Burkinabé: tornare, investire, intraprendere nel paese d’origine

CeSPI, partner di Mani Tese, ha pubblicato lo studio “Tornare, Investire, Intraprendere nel Paese d’origine: Generazioni Burkinabé a confronto”.

Ieri, 30 giugno, in concomitanza con la fine della seconda annualità del progetto “Imprese sociali innovative e partecipazione dei migranti per l’inclusione sociale in Burkina Faso”, cofinanziato dall’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo (AICS), di cui Mani Tese è capofila, CeSPI ha pubblicato lo studio Tornare, Investire, Intraprendere nel Paese d’origine: Generazioni Burkinabé a confronto.

CeSPI è uno dei partner del progetto che si occupa, in particolare, del coinvolgimento della Diaspora del Burkina Faso in Italia e lo studio indaga i temi del possibile ritorno o investimento in Burkina Faso attraverso un confronto tra le esperienze delle prime e seconde generazioni di burkinabé in Italia.

Se la prima generazione di migranti burkinabé risulta essere più omogenea (uomini, prevalentemente di etnia bissà, arrivati nel sud Italia, poi risaliti nelle regioni del nord dove sono stati raggiunti dalle famiglie), i giovani presentano profili molto più diversificati che dipendono, in larga misura, dall’età di arrivo in Italia, dal percorso di istruzione seguito e dal mantenimento del legame con il Burkina Faso.

Emergono dunque comportamenti e immaginari diversi, per quanto riguarda sia l’invio di rimesse che il pensiero legato agli investimenti e al ritorno: la prima generazione invia denaro con continuità per sostenere le spese della vita quotidiana dei parenti rimasti in patria, mentre i giovani tendono a contribuire alla somma inviata dai genitori (“rimesse mediate”), oppure a indirizzare l’aiuto a parenti non coperti da altri flussi o a sostenere micro-attività di amici e coetanei. 

Entrambi i gruppi di età condividono un simile pensiero sugli investimenti che riguarda soprattutto settori conosciuti (immobiliare, sostegno a micro-business di familiari); alcuni giovani, diversamente, immaginano – pur su un piano ancora poco concreto – anche l’avvio di attività più innovative o maggiormente connesse alle competenze acquisite in Italia.

Secondo Anna Ferro e Valentina Mutti, autrici dello studio, per rafforzare il ruolo della diaspora verso il proprio Paese di origine,  è importante promuovere percorsi e strumenti di orientamento, formazione e assistenza tecnica individuale e di gruppo al fare impresa e di conoscenza più aggiornata del contesto locale in Burkina Faso e delle istituzioni preposte; il potenziamento delle competenze tecniche dei migranti in Italia nella direzione dei propri ambiti di interesse, in vista sia del rientro che degli investimenti; il rafforzamento di alcune realtà giovanili nell’individuazione della propria mission, nella propria crescita, conoscenza ed esperienza in relazione alle tematiche della cooperazione internazionale; lo sviluppo della figura del trade/investment attaché presso le rappresentanze diplomatiche burkinabé in Italia, che offrirebbe un punto di riferimento attorno a cui convogliare mappature, scambi e possibili partnership di migranti interessati all’imprenditoria.

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8. Gertrude e la fabbrica di burro di Karitè

Il sogno di Gertrude è avere una grande fabbrica di burro di karité per rendere i suoi lavoratori economicamente indipendenti.

Gertrude ha 63 anni. Alla sua età, in Burkina Faso, molti si arrendono alla vecchiaia. Ma non lei. Da 16 anni Gertrude ha fondato il gruppo, ora cooperativa, Wend Raabo. Di più, ne è la presidente. Crede fermamente che l’unione faccia la forza e per questo motivo ha creato la cooperativa. “Da soli andiamo più veloce, ma insieme andiamo più lontano”, spiega, perché mettendo insieme conoscenze ed esperienze si può crescere di più.

Gertrude e le sue colleghe producono burro di karité, un prodotto appunto dell’albero di karité, universalmente noto per le sue proprietà idratanti e nutrienti in campo cosmetico, ma che si usa anche come alimento. E per di più gli alberi di karité fanno ombra a tutto il villaggio!

Gertrude mi dice che anche a casa sua il burro di karité non deve mai mancare: lo usa per cucinare, per massaggiare i bambini, per tenere idratate eventuali ferite e soprattutto, dopo ogni doccia, per avere sempre una pelle bella morbida (il segreto della sua giovinezza: guardare le foto per credere!)

Ovviamente Wend Raabo ha molti concorrenti sul mercato burkinabé: “non li temiamo” dice Gertrude “è vero che ci sono tante associazioni e gruppi che lo producono, ma il nostro è tra i migliori”. Grazie al progetto “Imprese sociali innovative e partecipazione dei migranti per l’inclusione sociale in Burkina Faso”, infatti, Wend Raabo ha ricevuto un equipaggiamento per una produzione moderna ed efficiente che permette di ridurre gli sprechi e aumentare quantità e qualità.

Gertrude, quando ha fondato Wend Raabo, ha voluto che vi entrassero molti giovani, una fascia della società che fa fatica ad accedere a finanziamenti per l’avvio di imprese, a cui spesso mancano mezzi e la possibilità di frequentare corsi di formazione e che per questo ha un tasso di disoccupazione altissimo: “vorrei che Wend Raabo diventasse una grande fabbrica di burro di karité” dice Gertrude “ io sarei la direttrice e darei lavoro a tanti giovani e tante donne che riceverebbero un salario e potrebbero così essere economicamente indipendenti. Da parte mia potrei pagare le spese scolastiche dei miei nipoti e prendermi cura di tutta la famiglia, perché sono vedova e possono contare solo su di me”.

Qui di seguito alcune foto di Gertrude e della sua cooperativa.

 

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Fast fashion, una campagna digital per cambiare il sistema moda in Italia

Al via oggi #CambiaMODA!, iniziativa promossa da Istituto Oikos, Mani Tese e Fair per mobilitare i cittadini e fare pressione su aziende e decisori politici. La richiesta: favorire un’industria dell’abbigliamento trasparente, che rispetti l’ambiente e le persone.

L’industria tessile è una delle più inquinanti al mondo: produce 1,2 miliardi di tonnellate l’anno di gas serra, più dei trasporti aerei e marittimi internazionali messi insieme (Ellen MacArthur Foundation 2017). Questo settore ha impatti enormi anche sul consumo dell’acqua: basti pensare che per produrre una sola t-shirt ne occorrono circa 3.900 litri, quanta ne beve in media una persona in 5 anni (Friends of the Earth 2015). Secondo i dati della Campagna Abiti Puliti, coalizione italiana della Clean Clothes Campaign, si stima che 60 milioni di lavoratori alimentino l’industria globale dell’abbigliamento, generando miliardi di profitti. La maggior parte lavora per un numero di ore disumano e fa più di un lavoro per far quadrare i conti. Circa l’80% di questa forza lavoro è composta da donne e non percepisce un reddito dignitoso.

L’impatto della pandemia
Oggi, complice la pandemia che ha colpito il pianeta, questa industria sta affrontando una crisi economica e sociale senza precedenti e a pagarne il prezzo più alto sono i milioni di lavoratori e lavoratrici impiegati nel settore. Il coronavirus ha reso ancora più evidenti i limiti di un sistema globale fondato sulle disuguaglianze, che annulla le tutele ed espone tutti a un futuro incerto. I marchi hanno fatto perdere all’industria dell’abbigliamento miliardi di dollari cancellando gli ordini indebitamente e facendo fallire molte fabbriche, con conseguenze devastanti sui lavoratori. Rifiutando di pagare prezzi che consentano ai lavoratori di percepire un salario dignitoso, i marchi committenti lasciano le persone che producono i loro vestiti senza alcun mezzo di sostentamento. Milioni di lavoratori vivono a rischio di precarietà abitativa e di sussistenza e molte fabbriche sono al collasso economico.

La campagna e la comunità #CambiaMODA!
Per questo motivo Istituto Oikos, Mani Tese e Fair lanciano la nuova piattaforma #CambiaMODA! (www.cambiamoda.it): l’obiettivo ambizioso è contribuire a cambiare il sistema moda in Italia.
Nella forte convinzione che una comunità abbia più forza e più potere del singolo, l’invito è rivolto soprattutto ai giovani. Per incoraggiarli ad aderire all’iniziativa e chiedere a gran voce: adeguati ammortizzatori sociali per i lavoratori del settore colpiti dall’attuale crisi; misure sanitarie e di sicurezza efficaci ed eque condizioni di lavoro per tutti e tutte; una riduzione drastica di rifiuti, inquinamento ed emissioni di CO2 da parte dei grandi marchi; verità e trasparenza su come vengono prodotti ivestiti che compriamo.

Come aderire
Entrare a far parte della comunità #CambiaMODA! è molto semplice: basta registrarsi sul sito www.cambiamoda.it. Sono molti i modi in cui contribuire: da una semplice azione sui social a una più attiva partecipazione agli eventi e iniziative promossi nell’ambito della campagna di sensibilizzazione, fino alla scelta di unirsi al team di ambassadors che ha già deciso di abbracciare la causa. Tra queste, molte persone che hanno fatto della passione per moda e lifestyle il proprio lavoro, come la fashion design blogger Marinella Rauso, la youtuber Sofia Viscardi, la travel blogger Francesca Barbieri.

Un cambio di rotta decisivo, che favorisca filiere trasparenti, responsabili ed eque, è quindi estremamente urgente: per proteggere l’ambiente, la salute e i diritti di tutte le persone coinvolte nella filiera, in Italia e nel mondo.

Per maggiori info: www.cambiamoda.itinfo@cambiamoda.it
Media kit per la stampa disponibile a questo link:
https://drive.google.com/drive/folders/1CdSwdJ3WfcopS5JpRVV8cpNoUlsEqX6z

La comunità Cambia MODA! fa parte di un progetto educativo e di sensibilizzazione promosso in Italia da una rete di 7 partner (Mani Tese, Istituto Oikos, Fair, Altis – Alta Scuola Impresa e Società, Koinètica, Lottozero, Guardavanti) e finanziato dall’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo. L’iniziativa prevede inoltre percorsi di formazione per insegnanti e studenti, eventi pubblici di informazione e sensibilizzazione, workshop rivolti a operatori d’impresa.

Scopri di più sul progetto

 

7. I polli di Idrissa

Idrissa, dell’associazione Union des Jeunes Leaders du Boulgou, ci racconta di come abbia iniziato l’attività di allevamento dei polli, un “affare” molto serio in Burkina Faso.

L’Union des Jeunes Leaders du Boulgou o UJLB (Unione dei giovani leader di Boulgou) è un’associazione il cui nome mi ha sempre colpito. Tendenzialmente in Burkina Faso le associazioni e le imprese hanno o il nome del proprietario o un titolo benaugurante come ad esempio “insieme per la solidarietà”, “il Signore ci aiuta”, “sia fatta la volontà di Dio” o cose così. UJLB è decisamente inusuale. Di conseguenza andava approfondito e quindi mi faccio raccontare qualcosa da Idrissa, un giovane di 32 anni che fa parte dell’associazione da 5 anni.

“Leader si è, non si diventa” spiega Idrissa “Il leader è colui che ti mostra il cammino da intraprendere, che conduce gli altri”. “Io sono un leader. Sono un leader dinamico e lavoratore”.

E così Idrissa mi racconta la sua storia, di come sognasse di fare il commerciante, ma poi, entrato in contatto con UJLB, di come abbia capito che l’attività di allevamento dei polli nel suo villaggio potesse essere molto conveniente, visto che insieme al riso e ai fagioli, il pollo è uno degli alimenti più consumati.

Il pollo in Burkina Faso è festa. Si mangia nella zuppa, grigliato, all’aglio, fritto, nella salsa. Se inviti un Burkinabé a cena e non hai il pollo è quasi un dispetto. E poi parliamo di polli ruspanti, piccoli e atletici… i celebri poulet bicyclette di cui si legge a ogni angolo di strada.

Grazie al progetto “Imprese sociali innovative e partecipazione dei migranti per l’inclusione sociale in Burkina Faso” Idrissa e 19 membri dell’Unione hanno ricevuto diverse formazioni per rendere questa attività ancora più redditizia e ora sono nella fase in cui, costruito il pollaio, stanno installando i macchinari per autoprodurre il mangime.

L’UJLB, inoltre, ha una forte relazione di amicizia con la Ligue culturelle des Jeunes Burkinabé di Montebelluna (Treviso): un’associazione composta da 20 giovani migranti Burkinabé il cui presidente è Lucien Bambara. Anche la Ligue culturelle è coinvolta nel progetto e si è impegnata a cofinanziare la costruzione del pollaio. Lucien, che lo scorso mese di gennaio è stato in Burkina Faso per dare una mano alla costruzione e verificare l’avanzamento dei lavori, ritiene che l’attività intrapresa possa veramente garantire un reddito ai giovani del UJLB, alcuni dei quali hanno anche alle spalle storie di fallimenti migratori e sono stati costretti a rientrare dalla Libia a mani vuote.   

Idrissa si sta impegnando molto in questo progetto e da bravo leader ha le idee chiare: il lavoro in associazione potrà essere infatti un trampolino di lancio per ciascuno dei ragazzi perché possano un giorno avere una casa grande e bella e, perché no, con un pollaio da 1000 polli ciascuno.

Perché i polli, in Burkina Faso, sono un affare serio!

Idrissa Yankine del villaggio di Garango (Boulgou)

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KENYA, MASCHERINE AUTOPRODOTTE DISTRIBUITE NELLE COMUNITÀ DI BARINGO

Il Karunga Women Group sta realizzando mascherine lavabili che Mani Tese distribuisce fra le comunità della contea di Baringo (Kenya).

L’epidemia globale di Covid-19 sta toccando da vicino anche il Kenya. Per ora meno gravemente rispetto ad altri Paesi dal punto di vista sanitario (5.206 casi e 130 decessi al 25 giugno secondo i dati WHO), ma già fortemente dal punto di vista economico.

In questo contesto stiamo continuiamo a supportare le comunità locali e, da qualche settimana, abbiamo iniziato la distribuzione di mascherine. Queste vengono prodotte in loco dal Karunga Women Group che è stato supportato da Mani Tese in vari progetti negli anni passati e che si trova nella zona di Molo (Kenya occidentale).

È un intervento win win che aiuta le donne, spesso ragazze madri, ad avere un reddito in questo frangente difficile e allo stesso tempo rende disponibili per le comunità mascherine lavabili e di qualità.

La prima distribuzione è stata realizzata a Baringo dove, attraverso le ricerche sul campo, è emerso che la maggioranza dei nostri beneficiari era sprovvista di misure di protezione. Un primo lotto di 100 mascherine è stato distribuito nelle comunità di Salabani, Kataran, Eldume and Sokote.

Un secondo lotto, invece, è stato distribuito nella zona del mercato di Marigat allo scopo di sostenere le donne che si occupano della vendita di frutta e ortaggi che sono anche cruciali per la raccolta dei residui organici per il nostro lavoro sugli insetti.

Fra i gruppi beneficiari della distribuzione di mascherine, c’è anche il Joy Hope presso la missione cattolica di Marigat, che è composto da persone sieropositive, una della categorie a più alto rischio.

Il nostro impegno in Kenya continua con questi piccoli gesti per continuare il lavoro a fianco delle comunità e rafforzare la loro resilienza anche contro il pericolo rappresentato dal Covid.

Di seguito alcune foto dal mercato di Marigat, dalla comunità di Kataran e dal gruppo Joy Hope della missione cattolica di Marigat.

Mercato di Marigat
Comunità di Kataran
Il gruppo Joy Hope della missione cattolica di Marigat

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IN TAMIL NADU ABBIAMO DISTRIBUITO CIBO A 40 MILA FAMIGLIE IN DIFFICOLTÀ

A causa del lockdown, molti lavoratori indiani hanno perso il lavoro e non hanno risparmi per sopravvivere: insieme al nostro partner SAVE abbiamo così distribuito 40 mila kit di sopravvivenza per famiglie, contenenti riso, farina, patate e latte.

Tiruppur, una delle capitali mondiali della lavorazione del cotone nello stato indiano del Tamil Nadu, rappresenta una delle mete principali per i lavoratori provenienti dalle città vicine e, ancor di più, per quelli provenienti da altri stati dell’India. Purtroppo, però, i contratti di lavoro a cui sono assoggettati hanno spesso poche garanzie.

Durante il lockdown, infatti, molti operai hanno perso il lavoro e, senza alcun supporto da parte dei datori di lavoro, la situazione delle loro famiglie si è aggravata notevolmente poiché non avevano risparmi che permettessero loro di sopravvivere.

Nel frattempo, i proprietari di casa continuavano a chiedere l’affitto per le case dove alloggiavano: appartementi dove 5 o 6 persone vivonoin stanze di dimensioni di 10×10 metri, con tetti in lamiera che non isola gli spazi interni e quindi la temperatura resta alta tutto il giorno. In queste condizioni precarie, aggravate dal forzato lockdonwn e quindi dall’obbligo di restare a casa, sono stati soprattutto le donne e i bambini a soffrire di più.

Garantire cibo e beni di prima necessità è stato il nostro obiettivo e grazie all’associazione SAVE, nostro partner nel progetto “Combattere e prevenire le schiavitù moderne nel Tamil Nadu”, abbiamo fornito più di 40 mila pasti alle famiglie dei lavoratori di Tiruppur oltre a materiale per l’igiene.

Finito il lockdown, sono iniziate le proteste da parte dei lavoratori che, non trovandosi nel loro luogo di residenza, richiedevano un servizio di trasporto per tornare alle loro città di origine. I trasporti risultavano molto costosi e i lavoratori erano spesso costretti a vendere i loro beni per potersi permettere il viaggio. Alcuni, spinti dal desiderio di ricongiungersi alle proprie famiglie, si sono persino messi in viaggio a piedi, pensando di raggiungere villaggi anche a 1000 chilometri di distanza da Tiruppur.

Siamo dunque intervenuti insieme al nostro partner  SAVE per supportare i lavoratori nella ricerca di un trasporto sicuro.

Di seguito una serie di foto che testimoniano il nostro impegno e quello di SAVE nell’aiutare i lavoratori del Tamil Nadu:

 

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Mozambico un paese lontano che ci è molto vicino

All’insegna di rapporti storicamente forti con l’Italia, Mani Tese opera dal 1967 con numerosi progetti indirizzati soprattutto alle filiere agroalimentari.

di Giulia Donnici, Desk Cooperazione di Mani Tese

Tra un taglio e una piega, qualche tempo fa una parrucchiera di Quelimane mi confessò, emozionata, che negli anni Settanta si era perdutamente innamorata, ricambiata, di un italiano che lavorava nel settore automobilistico. Non potrebbe esserci, per me, testimonianza più autentica dei profondi legami tra Italia e Mozambico che, nel 1975, più o meno il periodo in cui la parrucchiera si innamorava, raggiunse l’indipendenza dal Portogallo. Da allora il Paese africano piombò in una lunga e sanguinosa guerra civile alla cui cessazione diede un contributo fondamentale proprio il nostro Paese, grazie alla mediazione della Comunità di Sant’Egidio, con gli “Accordi di Roma” firmati il 4 ottobre del 1992.

Non può perciò sorprendere il fatto che, nel frattempo, l’Italia sia diventata il primo investitore europeo in Mozambico, seguito da Paesi Bassi e Portogallo, e il terzo a livello globale, dopo Emirati Arabi e Stati Uniti. Se il 2018 ha visto l’interscambio commerciale tra Italia e Mozambico raggiungere il valore record di 524 milioni di euro, il 2019 ha segnato un rallentamento. Si tratta comunque di un valore di 373 milioni di euro, tra esportazioni in Mozambico di macchinari, alimenti, prodotti farmaceutici e fertilizzanti, e importazioni di alluminio e rubini.

Crescita economica e criticità

Il 2019 è stato un anno particolarmente critico per il Mozambico: due cicloni, Idai e Kenneth, si sono abbattuti sul Paese tra marzo e aprile provocando centinaia di vittime. In ottobre, in un clima di forte tensione, si sono svolte nuove elezioni che sono state vinte dal Frelimo, al potere dal 1975, e contestate dalla Renamo, l’ex guerriglia che ora è il principale partito di opposizione. A ridosso del 2020, inoltre, la provincia di Cabo Delgado è stata nuovamente oggetto di feroci violenze da parte di cellule jihadiste, che dal 2017 hanno causato oltre 500 morti. A Cabo Delgado, tra l’altro, questi attacchi minacciano quello che potrebbe essere il più grandioso progetto energetico dell’Africa: lo sfruttamento di giacimenti di gas naturale nel bacino del fiume Rovuma che da diversi anni attrae imprese straniere e, tra queste, alcune italiane.

Il Fondo Monetario Internazionale ha previsto una crescita dell’economia del Mozambico dell’8,6% per il 2023 e del 10,6% per il 2024 ma questi numeri diventeranno reali solo se verrà garantita stabilità politica e sicurezza.

Mani Tese in Mozambico

Mani Tese è presente in Mozambico dal lontano 1967, quando fece dono alla comunità di Alua, nella Provincia di Nampula, di un trattore. Da allora il suo impegno nel Paese è cresciuto con numerosi progetti che hanno visto la nascita di scuole di falegnameria, la costruzione di pozzi e mulini, l’organizzazione di corsi di alfabetizzazione, il sostegno alle associazioni dei contadini e l’organizzazione di campagne contro l’AIDS.

Dal 2010 Mani Tese è riconosciuta e autorizzata dal Ministero degli Affari Esteri del Mozambico come ONG che può operare direttamente nel Paese e, negli ultimi anni, si è specializzata nella promozione dell’agricoltura sostenibile, in particolare dell’agroecologia, nella lotta ai cambiamenti climatici, nel rafforzamento di sistemi alimentari locali e della commercializzazione dei prodotti agricoli sani e nutrienti, nella promozione di partnership a livello accademico e istituzionale. È in prima linea, infine, con interventi tempestivi durante le emergenze, come le recentissime alluvioni che hanno colpito duramente il Paese.

Oggi Mani Tese opera prevalentemente nella Provincia della Zambézia, una delle più vulnerabili del Mozambico. Dati della World Bank del 2018 stimano infatti che il 62% della popolazione della Provincia si trovi sotto la soglia di povertà.

Il progetto “Quelimane agricola” e gli altri

Il progetto “Quelimane agricola: produce, cresce e consuma sostenibile”, cofinanziato dall’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo, si propone di contribuire allo sviluppo rurale sostenibile della provincia della Zambézia attraverso il rafforzamento del sistema agroalimentare locale e dei suoi principali attori: produttori, settore privato e autorità locali. L’intervento, iniziato nel 2018, è realizzato in partenariato con UPC-Z (Unione dei contadini della Provincia della Zambézia), l’ONG ICEI, l’Università degli Studi di Firenze, il Municipio di Quelimane, il Comune di Milano, il Comune di Reggio nell’Emilia, la Fondazione E35, e Gnucoop. Ne parliamo più approfonditamente nelle pagine successive.

Mani Tese partecipa ad altri importanti progetti nella regione della Zambézia

Iniziato nel 2017, il progetto Foreste, di cui è capofila l’ONG ICEI, è cofinanziato dall’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo e ha come obiettivo principale quello di contribuire all’implementazione di strategie di mitigazione e adattamento ai cambiamenti climatici, migliorando la resilienza delle comunità rurali e riducendo la pressione antropica sulle risorse naturali del distretto di Mocubela. Le attività di cui è responsabile Mani Tese, che realizza in collaborazione con la controparte locale UPC-Z mirano a dar vita a un sistema agroforestale in grado di contrastare gli effetti del cambiamento climatico e della deforestazione.

L’attività agro-silvo-pastorale è svolta seguendo pratiche ecosostenibili che permettono di rigenerare un suolo ormai impoverito grazie all’introduzione di tecniche di conservazione dell’ecosistema. Inoltre, il progetto prevede la realizzazione di campi agroforestali, pozzi, allevamenti comunitari e silos per la conservazione di derrate alimentari e sementi. Tutto questo si sta accompagnando a un incessante lavoro di sensibilizzazione che coinvolge comunità e autorità locali sulle sfide ambientali del territorio.

In corso dal 2019, il progetto Sostenibilità urbana: valorizzazione delle buone pratiche in Italia e Mozambico, co-finanziato dal Comitato lecchese per la pace e la cooperazione tra i popoli, vuole contribuire alla sostenibilità urbana della Provincia della Zambézia e dei comuni del territorio lecchese: rafforzando e valorizzando le buone pratiche di sostenibilità urbana, attraverso lo scambio e la costruzione di partnership virtuose tra Italia-Mozambico e sensibilizzando il territorio lecchese sui temi legati alla sostenibilità urbana con focus specifico sulle buone pratiche legate al settore food.

Avviato in seguito al passaggio del ciclone Idai, il progetto Emergenza Cibo dal novembre del 2019 vede Mani Tese in prima linea nel programma Food Assistance for Assets, finanziato dal World Food Programme Mozambico. L’obiettivo principale di questo intervento di emergenza è il miglioramento delle condizioni di vita della popolazione di Chinde – un distretto della Provincia della Zambézia particolarmente colpito dal ciclone – fornendo alimenti di prima necessità e, al tempo stesso, rilanciando attività produttive ed infrastrutturali, come la costruzione di pozzi, latrine e strade di collegamento.

Ultimo in ordine cronologico, iniziato nei primi mesi del 2020, il progetto Agricoltura circolare per ridurre la fame In Zambézia, co-finanziato da Otto per mille a gestione statale, si propone di migliorare la sicurezza alimentare e la situazione nutrizionale delle comunità del distretto di Maquival, nell’area periurbana di Quelimane, attraverso il rafforzamento di agricoltura e allevamento. L’approccio proposto è quello dell’agricoltura circolare che ha l’obiettivo di ridurre il più possibile i rifiuti e gli sprechi derivanti dalla produzione agricola, dall’allevamento e dall’irrigazione, riutilizzando e valorizzando i prodotti di scarto.

MANI TESE E ICEI IN PRIMA LINEA CONTRO IL CORONAVIRUS IN ZAMBEZIA

In Zambezia, dove i casi di coronavirus stanno crescendo rapidamente, Mani Tese e ICEI stanno facendo attività di sensibilizzazione e prevenzione.

Mani Tese e ICEI, che collaborano nei progetti “Quelimane agricola” e “FORESTE”, nelle ultime settimane hanno consegnato materiali per la sensibilizzazione e la prevenzione del coronavirus in diverse comunità della provincia della Zambezia (Mozambico centrale), dove purtroppo i casi Covid-19 stanno aumentando rapidamente.

Nel dettaglio sono state distribuite biciclette dotate di megafoni per informare la popolazione, in portoghese e chuabo (lingua locale), su come prevenire il virus e dove recarsi in caso di sospetto di contagio. Gli stessi messaggi sono stati diffusi anche attraverso due radio molto seguite nella zona, Rádio Zambeze FM e Nova Rádio Paz.

Altri beneficiari, che vivono in aree remote ma hanno a disposizione un cellulare, sono stati invece raggiunti da SMS informativi sul Covid-19 e condivideranno le informazioni ricevute con i loro familiari e vicini. Infine, sono state distribuite delle mascherine che sono state cucite da sarti di Quelimane rispettando le indicazioni dell’OMS e del Ministero della Sanità del Mozambico.

mani-tese-icei-in-prima-linea-contro-coronavirus_mani-tese-2020

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