UN PROGETTO SULL’AGRICOLTURA CIRCOLARE IN MOZAMBICO
L’obiettivo è migliorare la sicurezza alimentare delle comunità di Maquival (Zambezia) attraverso il rafforzamento di agricoltura e allevamento.
Lo scorso dicembre, a Quelimane (Mozambico), si è tenuta la cerimonia di avvio del progetto “Agricoltura circolare per ridurre la fame in Zambezia” cofinanziato dall’Otto Per Mille a gestione statale. All’evento hanno partecipato, oltre al personale di Mani Tese, anche i rappresentanti delle autorità locali e alcuni beneficiari delle comunità coinvolte. Ovviamente si è rispettato il distanziamento sociale e tutti i partecipanti indossavano le mascherine.
Il progetto ha l’obiettivo di migliorare la sicurezza alimentare e la situazione nutrizionale delle comunità di Maquival, che si trova vicino alla città di Quelimane nella provincia della Zambezia, attraverso il rafforzamento di agricoltura e allevamento. L’approccio utilizzato è quello dell’agricoltura circolare, che prevede di ridurre il più possibile i rifiuti e gli sprechi derivanti dalla produzione agricola, dall’allevamento e dall’irrigazione, riutilizzando e valorizzando i prodotti di scarto.
La pandemia, purtroppo, ha rallentato alcune attività, in particolare quelle che prevedevano la presenza di più persone, come le formazioni e la stessa cerimonia di lancio del progetto. Nonostante le difficoltà lo staff sta avanzando con numerose iniziative e i beneficiari del progetto vedono già i primi risultati.
A breve pubblicheremo una notizia dedicata alle prime attività di progetto, intanto condividiamo qui di seguito alcune foto della cerimonia:
[rl_gallery id=”71376″]
Vuoi anche tu un business sostenibile? Cambiamo insieme le regole del gioco!
Fai sentire la tua voce per rendere le imprese multinazionali legalmente responsabili del loro impatto sulle persone e sul pianeta.
di Giosuè De Salvo, Responsabile Advocacy, Educazione e Campagne di Mani Tese
Le imprese multinazionali si trovano oggi ad operare in tutto il mondo in un contesto di sostanziale impunità. Molte, troppe di loro si rendono responsabili di devastazioni ambientali, violazioni sistematiche dei diritti dei lavoratori, espulsioni di popoli indigeni dalle loro terre ancestrali e sfruttamento reiterato del lavoro minorile. Coloro che resistono agli abusi vengono, quando va bene, licenziati in tronco, quando va male, finiscono in carcere, scompaiono nel nulla o, peggio, perdono la vita.
Dopo anni di denunce da parte di associazioni, Ong e sindacati, la Commissione Europea è finalmente pronta a prendere in considerazione una nuova legge comunitaria che renda le imprese legalmente responsabili del loro impatto sulle persone e sul pianeta.
Ci riferiamo a norme cosiddette di “due diligence” (in italiano, dovuta diligenza) in ambito di diritti umani e ambiente che dovrebbero imporre a tutte le aziende – dai giganti dei combustibili fossili e dell’agro-business, ai rivenditori di moda e ai produttori di elettronica – di dotarsi di politiche e comportamenti efficaci nel garantire che i diritti umani e l’ambiente non siano danneggiati né dalle operazioni da loro direttamente intraprese a livello globale, né all’interno delle catene di fornitura di cui si avvalgono sui cinque continenti.
Che cos’è la “Human Rights and Environmental Due Diligence”?
È generalmente intesa come il processo che le imprese devono mettere in campo per identificare, prevenire, ridurre e rendere conto degli impatti negativi delle loro attività o di quelle che coinvolgono filiali, subappaltatori, fornitori a loro afferibili.
Prima
di avanzare una proposta al Consiglio e al Parlamento, come è abitudine, la
Commissione vuole sentire la voce dei cittadini europei, la tua, la nostra
voce. Ha quindi aperto una consultazione pubblica a cui Mani Tese partecipa e
invita a partecipare.
coprire i diritti umani, gli impatti ambientali e sociali lungo l’intera catena di fornitura;
avere denti: le aziende devono rischiare sanzioni pesanti se infrangono le regole;
rendere le aziende responsabili delle cattive pratiche sia in patria che all’estero;
coinvolgere i sindacati e le Ong presenti negli stabilimenti e sui territori di produzione nella preparazione dei piani di “due diligence” in ogni fase del percorso;
assicurare che le imprese si consultino sempre con le comunità e gli individui (potenzialmente) interessati e, quando richiesto dalle convenzioni internazionali, ottengano il loro consenso;
rendere più facile per tutte le vittime di abusi aziendali, sindacati e società civile cercare giustizia nei tribunali dell’Unione Europea, laddove nei Paesi di origine delle vittime non ci siano le condizioni per garantire il diritto a un equo processo.
Abbiamo bisogno di quante più persone possibile per convincere la Commissione Europea a cambiare le regole del gioco per porre fine all’impunità aziendale e far rispettare i diritti umani e l’ambiente.
L’orologio sta ticchettando.
Aiutaci a creare pressione, dì la tua fino all’8 febbraio 2021!
12. Jeanne’s couscous
Jeanne, together with her companions, produces couscous and other food products highly appreciated by customers. Their dream is to be known throughout the country.
Jeanne is in charge of the Zemestaaba cooperative and we have already met her in one of the stories of our 5×1000 campaign. Jeanne is a woman, mother of a family and enterprising, as she defines herself. In 2005 she created the Zemestaaba cooperative (which means “working together, understanding at work”), which previously existed but in the form of an informal group.
The idea was to give work to women who, after the rainy season, found themselves without employment and therefore unable to provide for their own expenses. The dream, says Jeanne, is to become a reality recognized and appreciated throughout the province and in Burkina Faso and slowly Zemestaaba is succeeding.
Thanks to the training received by Mani Tese and the constant accompaniment, Jeanne was in fact able to obtain other loans and to expand her business, which wants to represent a possibility of constant income for all the women who are part of it.
“The formations opened our eyes and made us take the right attitude to be a company. For example, we worked out our business plan with the help of Mani Tese and the FIAB” says Jeanne “The constant accompaniment, then, allowed us to straighten the game on many things in our facilities and thanks to constant monitoring we have produced many important documents that were explained to us during the trainings. Also a little while ago the coordinator asked me for the “management notebook” to see what activities we have done this month and all this allows us to improve our management and organization”.
Zemestaaba transforms corn into couscous, biscuits, flour and many other products highly appreciated by its customers: the best-selling product is precisely the corn couscous, followed by that of rice, the soumbala in cubes and the corn and rice biscuits. Jeanne, in particular, is responsible for coordinating the various teams that make up Zemestaaba: she is the one who organizes work shifts, schedules deadlines and checks that all the hygiene aspects related to work are respected.
Her personal dream is that of being able to live only from her work, from the transformation of local products, in which she has been investing for a lifetime.
[rl_gallery id=”70108″]
The women of the Zemestaaba cooperative
One of the Zeemstaba members bakes the corn biscuits
[rl_gallery id=”70109″]
The oven and the mixer that the cooperative bought thanks to the project
The main products of the Zemestaaba cooperative are couscous, biscuits and flour
Dal 2018 sono stati messi in pratica diversi interventi per migliorare e sostenere la produzione e la commercializzazione dei prodotti agricoli, per incentivare il consumo di cibo locale, sano e nutriente, e per ridurre la povertà generando allo stesso tempo sviluppo sostenibile.
Nell’ambito del progetto viene promossa l’adozione di pratiche innovative e sostenibili, e la collaborazione con altre associazioni, società e istituzioni italiane rappresenta uno strumento utile ed efficace per uno scambio di esperienze.
Alcune attività del progetto Quelimane Agricola sono state realizzate in partnership con il Comune di Milanoe la sua controllataMM Spa che si occupa anche della gestione del sistema idrico nella città di Milano. Negli anni passati sono avvenute diverse visite di scambio tra Italia e Mozambico: il Comune di Milano e MM Spa sono andati più volte a Quelimane per interventi di cooperazione e a novembre 2019 rappresentanti del Municipio di Quelimane e della FIPAG (Fundo de Investimento e Património do Abastecimento de Água) hanno potuto visitare gli impianti di depurazione e i laboratori di analisi di MM. Da questi scambi Mozambico-Italia è nata la volontà di approfondire alcune tematiche legate alla gestione delle acque.
A causa dell’emergenza da COVID-19, quest’anno non è stato possibile fare missioni in loco, né collaborare in Italia con i partner mozambicani. Per far fronte all’impossibilità di viaggiare è stato deciso di realizzare un webinar, da mettere a disposizione del Municipio di Quelimane e della FIPAG, sul miglioramento della gestione e della distribuzione delle acque.
In video tutorial MM metterà a disposizione il proprio know how e i risultati ottenuti nella città di Milano per raggiungere due importanti obiettivi nella città di Quelimane: il primo riguarda la gestione delle acque residue dei mercati cittadini, quindi le modalità di collettamento e di trattamento delle acque; il secondo obiettivo, invece, riguarda la riduzione della percentuale di acqua dispersa, quindi gli sprechi dovuti alle perdite dei sistemi idrici.
L’impossibilità di incontrarsi da un lato ha reso più complicato questo scambio di esperienze e di buone pratiche, dall’altro però ha permesso di trovare alternative valide per non interrompere e, anzi, per mantenere viva la cooperazione tra Milano e Quelimane.
UN CORSO DI WEB JOURNALISM PER I GIOVANI DELLA GUINEA-BISSAU
Il corso è stato molto utile non solo per imparare tecniche di web journalism, ma anche per ottenere informazioni su temi delicati quali quello delle migrazioni.
A molti potrebbe sembrare bizzarro il fatto di implementare un corso di web journalism in un Paese come la Guinea-Bissau e, in particolar modo, in una città rurale come Gabu. Infatti l’informazione giornalistica via web viene vista da moltissime persone come una peculiarità dei Paesi sviluppati che possono godere di un collegamento alla rete molto più veloce ed efficace.
Tuttavia, bisogna considerare che il web e i social media sono oggi molto usati anche dai giovani del continente africano, visto che ormai i prezzi degli smartphone e dei pacchetti internet sono talmente competitivi da poterne permettere l’acquisto anche ai membri delle classi popolari africane. E questo vale anche per i giovani della Guinea-Bissau, i quali sono molto attivi su social media come Facebook e Instagram.
Da ciò si può dedurre che formare dei giovani interessati al giornalismo sulla comunicazione via web può essere molto utile sia per fornire ad essi nuove conoscenze e competenze, sia per informare su varie sfide che riguardano la Guinea-Bissau come, ad esempio, la migrazione.
Inoltre, l’utilità di avere dei giovani ben formati sul web journalism è anche quella di evitare che la gioventù guineense caschi nell’inganno delle ormai famose “fake news” che anche in Guinea-Bissau distorcono la realtà, ad esempio per quanto concerne “l’eldorado” Europa e le opportunità che concede, rappresentazione che spinge molti giovani a tentare un viaggio molto rischioso per un sogno che, molto spesso, è lontano dalla realtà.
Tornando al corso, la durata è stata di 6 giorni e hanno partecipato 12 studenti, provenienti da differenti associazioni giovanili di Gabu e provincia, con esperienza pregressa nell’ambito della comunicazione. Il corso è stato tenuto da un giornalista della televisione nazionale che ha garantito un’alta qualità dell’insegnamento.
Il corso ha avuto una forte parte teorica in cui i partecipanti hanno potuto apprendere il ruolo del giornalista nel suo complesso e l’importanza del web journalism per affrontare tematiche complesse come la povertà e le migrazioni. Inoltre, gran parte del corso è stato focalizzato sull’importanza dei social media nella comunicazione giovanile e come renderla accattivante ma al contempo utile per questo target. Tuttavia, importante è stata anche la parte pratica del corso con esercitazioni su come fare video ed articoli che poi saranno postati sui social media.
Concludendo, si può affermare che il corso di web journalism è stato molto utile per dare una formazione basica ad aspiranti giovani giornalisti su un settore in forte espansione e con opportunità sia lavorative che di informazione per il cambiamento sociale ancora inesplorate. La messa in pratica di questi insegnamenti, però, non finisce qui, infatti continuerà con un fondo di 500 euro destinato all’implementazione di una campagna di divulgazione tramite i social network di argomenti come diseguaglianza di genere, migrazione e povertà di cui saranno protagonisti alcuni dei nostri studenti.
Di seguito alcune foto del corso:
Incontrare la cooperazione – Guida on line per I giovani
È online la guida realizzata nell’ambito del percorso Padovamondo per favorire la partecipazione di ragazze e ragazzi alla vita delle associazioni del vasto mondo della cooperazione di Padova.
Incontrare la cooperazione – Guida on line per i giovani è un progetto sviluppato all’interno del Tavolo 7 Pace Diritti Umani e Cooperazione del CSV – Padova nell’anno di Padova Capitale del Volontariato, per promuovere percorsi di cittadinanza attiva per le nuove generazioni.
L’obiettivo è di valorizzare le possibilità di incontro tra le associazioni padovane che si occupano di cooperazione internazionale e gli studenti e le studentesse dell’Università di Padova ed in generale i giovani, attraverso lo svolgimento di stage e tirocini curriculari nel percorso formativo universitario, il volontariato e le esperienze di conoscenza all’estero.
La guida è stata realizzata con il contributo dei giovani e delle associazioni padovane dell’Area Pace, Diritti Umani e Cooperazione Internazionale. Contiene i racconti delle esperienze dei ragazzi e delle ragazze che hanno svolto un periodo di stage o volontariato presso queste associazioni tra il 2018 e il 2020 e le schede descrittive delle opportunità di collaborazione per i giovani nel 2021.
La guida è stata presentata in occasione della cerimonia di premiazione del 27° Premio Volontariato internazionale, che si è svolta a Padova sabato 5 dicembre 2020, Giornata Mondiale del Volontariato.
ZAMBEZIA: DOPO IL CICLONE IDAI, ORA SI AFFRONTANO LE CONSEGUENZE DELLA PANDEMIA
Intervista a Maria Vittoria Moretti, Responsabile del progetto di intervento che ha gestito l’emergenza in Mozambico dopo il Ciclone insieme al World Food Programme.
Nella notte tra il 14 e il 15 marzo del 2019, in Mozambico si è abbattuto il devastante ciclone Idai, con conseguenze tragiche in molte zone del Paese. Nel distretto di Chinde, che si trova sulla foce del fiume Zambezi, il ciclone è stato particolarmente violento e ha provocato forti piogge e numerosi allagamenti, distruggendo abitazioni, infrastrutture e coltivazioni.
Il distretto sta affrontando la delicata fase di ripresa post-emergenza, che ha visto l’avvio del programma, da poco concluso, del World Food Programme “EMERGENZA CIBO DOPO IL CICLONE IDAI” (Food Assistance for Assets – FFA), in cui Mani Tese ha partecipato come partner.
Obiettivo principale dell’intervento è stato quello di migliorare le condizioni di vita della popolazione colpita dal ciclone, fornendo alimenti di prima necessità e al tempo stesso rilanciando attività produttive come la costruzione di pozzi, latrine e strade di collegamento.
All’emergenza ambientale quest’anno si è però purtroppo sommata l’emergenza sanitaria con il diffondersi della Pandemia COVID-19.
Maria Vittoria Moretti è stata Responsabile Paese in Mozambico per Mani Tese e a capo del progetto EMERGENZA CIBO DOPO IL CICLONE IDAI realizzato in partnership con il World Food Programme, e ci ha spiegato cosa è stato fatto.
Maria Vittoria, quali sono state le conseguenze e i danni alla popolazione in Mozambico del ciclone IDAI?
“Non mi trovavo ancora presente sul territorio quando il ciclone IDAI ha colpito il Mozambico, ma, arrivando un paio di mesi dopo, ho potuto constatare con i miei occhi la devastazione che ha creato, ancora molto evidente. Le popolazioni colpite hanno perso tutto e, quando il “tutto” non ha incluso anche la vita, li ha lasciati senza abitazione, senza campi da coltivare, senza bestiame, senza energia, senza infrastrutture né collegamenti stradali e servizi di base e, nelle aree più colpite, senza neppure accesso all’acqua potabile. La situazione è poi degenerata con malattie e infezioni cha hanno causato altre perdite umane e la mobilitazione di vari attori internazionali accorsi nel Paese a supporto del Governo nelle operazioni di pronto intervento e successivamente di recovery”.
In cosa è consistito l’intervento di aiuto alle comunità colpite del progetto “Emergenza cibo dopo il ciclone Idai” realizzato in partnership con il WFP?
“Il lavoro svolto dall’equipe di Mani Tese nel Distretto di Chinde, uno dei più poveri e isolati della Provincia della Zambezia, a sua volta una delle province più colpite dal ciclone IDAI, è stato un intervento di post-emergenza. L’azione ha previsto una consegna mensile di pacchi alimentari (cereali, legumi e olio) in cambio di lavoro da parte dei beneficiari per risolvere insieme problemi infrastrutturali della comunità: riabilitazioni di ponti e strade, apertura di nuovi campi da coltivare, pulizia di canalette di drenaggio, etc…”
Come è nata la partnership con il World Food Programme?
“Come Mani Tese abbiamo partecipato al bando FFA 2020 presentando al WFP il progetto per il Distretto di Chinde. Il progetto è stato ritenuto efficace e così, dopo esserci aggiudicati il bando, abbiamo subito iniziato a lavorare insieme all’equipe WFP con sede in Zambezia fornendo una risposta utile e tempestiva per la popolazione”.
Quanti beneficiari ha interessato il progetto e quante tonnellate di cibo sono state distribuite? Puoi darci qualche dato?
“Il progetto è iniziato il 20 novembre 2019 nella località di Chinde raggiungendo 4000 famiglie su 25 comunità. Il totale dei beneficiari direttamente coinvolti nell’intervento è stato di 20.000 persone.
Mensilmente ciascuna delle 4000 famiglie beneficiarie ha ricevuto per 16 giorni di lavoro, compresi corsi di formazione e sessioni di sensibilizzazione, una razione composta da 40kg di cereali tra riso e mais, 6 kg di fagioli e 3,75 kg di olio, corrispondenti circa a 267 grammi di cereali, 40 grammi di fagioli e 25 grammi di olio al giorno per persona.
Ci sono state delle variazioni dovute a una carenza di pacchi alimentari nel Paese dal mese di febbraio, che ha comportato inizialmente la riduzione della razione mensile, fino alla sua completa sospensione, con la ripresa in aprile della distribuzione e l’estensione di 2 mesi di progetto, che si è concluso il 31 di maggio 2020.
Prima dell’avvio del progetto è stata svolta una valutazione per la selezione dei beneficiari in base ai criteri di vulnerabilità definiti dal WFP insieme al governo locale e in stretta collaborazione con l’INGC (Istituto gestione calamità naturali).
Durante il progetto è stato svolto un monitoraggio continuo.”
Per quanto riguarda i lavori realizzati insieme ai destinatari del progetto, quali sono stati i principali risultati?
“Tra le varie attività svolte con i beneficiari di progetto è stata realizzata la pulizia di tre strade secondarie nel distretto di Chinde nella comunità di Maguiguane, Chacuma e Matilde, la costruzione di un ponte con materiale locale che fungerà da via di evacuazione, la costruzione di aule scolastiche con materiale locale nella comunità di Pambane, l’installazione di numerosi Tipy Taps nelle scuole (stazioni lavaggio mani, realizzate con materiali locali e di recupero), la riforestazione di mangrovie nel distretto costiero di Chinde”.
Dopo il COVID, come è cambiato il vostro intervento? Quali sono state le conseguenze sulle attività del progetto?
“In seguito all’emergenza COVID19 è stato necessario rimodulare le attività di progetto e, insieme al WFP, abbiamo deciso di sospendere le attività lavorative delle comunità beneficiarie, implementando invece azioni di informazione e sensibilizzazione sulla pandemia coadiuvati dal Dipartimento della Salute di Chinde. Il Dipartimento ci ha assistiti durante la distribuzione dei pacchi alimentari dal mese di marzo supportandoci nell’applicazione delle misure di sicurezza anti COVID19 imposte dal governo. Il governo ha anche imposto la riduzione degli spostamenti marittimi e terrestri per ridurre il rischio di contagio interno al distretto, ma la nostra equipe ha avuto dei permessi speciali per continuare le operazioni di distribuzione”.
Quali sono state le difficoltà che avete incontrato?
“Le difficoltà incontrate sono state innumerevoli iniziando dalla posizione geografica del distretto, che si trova isolato e con collegamenti terrestri e marittimi quasi inesistenti con il resto della provincia. I mezzi di trasporto sono limitati anche sull’isola e il loro noleggio per le operazioni di distribuzione di materiali e alimenti non è sempre stato facile. Complesso è stato anche l’ottenimento del combustibile, che deve essere trasportato dalla terra ferma poiché non esiste una stazione di servizio nel distretto di Chinde.
Il distretto inoltre non ha energia elettrica, che viene fornita solo attraverso generatori che, durante i temporali, vengono spesso staccati facendo scomparire anche la rete telefonica. Potete immaginare la precarietà di un distretto che si trova a corto dei servizi di base, anche solo pensando a scuole e ospedali che si ritrovano privi di elettricità per lunghi periodi.
Le difficoltà non si sono limitate al distretto: ci sono stati ritardi anche di giorni da parte dei trasportatori locali per la consegna dei materiali a Chinde, dove poi venivano presi in carico da Mani Tese. Abbiamo dovuto anche affrontare la perdita di un carico alimentare dovuto a un naufragio!
Infine c’è stata la sospensione della distribuzione di pacchi alimentari nel mese di febbraio, che ha comportato alcuni problemi con i beneficiari che avevano già svolto il lavoro per il ricevimento mensile dei pacchi. La nostra equipe, insieme al governo locale, l’INGC e l’equipe locale del WFP, è però sempre stata pronta dimostrandosi all’altezza delle varie difficoltà. Un risultato evidente dall’ottimo rapporto che abbiamo mantenuto sin dall’inizio con le istituzioni locali, molto soddisfatte dell’intervento ricevuto”.
Maria Vittoria Moretti, Responsabile Paese in Mozambico per Mani Tese e capo del progetto EMERGENZA CIBO DOPO IL CICLONE IDAIAttività di piantumazione di mangrovie per combattere l’erosione del terreno a Chinde
[rl_gallery id=”69856″]
Distribuzione di pacchi alimentari nella comunità Jorge
Monitoraggio e valutazione delle attività da parte dello staff di progetto
UN PREMIO A MANI TESE PER L’INTEGRAZIONE DEI RIFUGIATI IN GUINEA-BISSAU
L’UNHCR ha consegnato allo staff di Mani Tese un premio per l’impegno a favore del miglioramento delle condizioni di vita dei rifugiati in Guinea-Bissau.
L’8 dicembre l’UNHCR ha celebrato per la prima volta in Guinea-Bissau la commemorazione della “Dichiarazione ufficiale di integrazione locale effettiva dei rifugiati di lunga durata”, firmata dal governo del Paese il 5 dicembre 2017.
Questa dichiarazione ha permesso ai rifugiati presenti in Guinea-Bissau di iniziare un processo di naturalizzazione che si è concretizzato in questi anni con la consegna di documenti di identità guineensi e la partecipazione aprogetti di integrazione locale.
Si tratta di un evento molto importante per i rifugiati e per la Guinea-Bissau, in quanto unico paese nel continente africano a compiere un passo così importante nell’ambito dei diritti umani e, in particolare, del diritto alla cittadinanza, che rappresenta il risultato dello sforzo e del lavoro di diverse istituzioni.
Anche l’equipe di Mani Tese, che dal 2017 lavora nella regione di Cacheu a fianco di più di 35 comunità, ha ricevuto un riconoscimento per lo sforzo profuso in questi anni per il miglioramento delle condizioni di vita dei rifugiati naturalizzati.
Tutto lo staff è quindi salito sul palco. Da quattro anni molti di loro sono impegnati giorno dopo giorno, per permettere il raggiungimento di questo storico traguardo per i rifugiati naturalizzati e per la Guinea-Bissau e contribuiscono alla realizzazione di questo progetto d’integrazione.
“Tutto il successo è frutto di un lavoro di equipe” si legge sulla motivazione del premio a Mani Tese “La meta più distante è raggiunta da chi ha una saggia speranza. Per trovare la strada, non importa tanto dove si è stati, ma dove si vuole arrivare. Grazie per la dedizione e il contributo per il processo di naturalizzazione”.
“Per Mani Tese – dichiara Sara Gianesini, capo progetto – ricevere questo premio è davvero motivo di grande soddisfazione, perché rappresenta il riconoscimento del grande impegno della nostra ONG e dei risultati che ha prodotto”.
Qui alcune immagini dell’evento e della premiazione:
Sul palco il Ministro degli Interni Botche Candé, la rappresentante UNHCR in Guinea-Bissau S.ra Eunice Queta Esteves e il rappresentante dei rifugiati senegalesi in Guinea-Bissau.
Gruppo Culturale Pilar140 formato da ragazzi/e rifugiati e nazionali