INDAGINE SUGLI IMPATTI DELLA PANDEMIA FRA LE COMUNITÀ DELLA GUINEA-BISSAU

Ridotto da tre a due pasti al giorno il consumo di cibo fra le famiglie. L’indagine di Mani Tese per capire criticità e bisogni generati dalle misure di prevenzione del virus imposte dal governo.

Anche la Guinea-Bissau, come il resto del mondo, è stata colpita dalla pandemia di Covid-19 e, precisamente, ha registrato i primi casi di positività il 25 marzo 2020. Pochi giorni dopo, il 28 marzo, veniva decretato lo stato di emergenza sanitaria e a luglio i casi Covid confermati avevano superato il migliaio.

Non bisogna farsi ingannare dal basso numero assoluto di contagiati, perché la popolazione della Guinea-Bissau è all’incirca quella di una città medio-grande (circa 1,9 milioni di persone) e, ovviamente, il monitoraggio dell’epidemia non può essere così puntuale come nei Paesi europei a causa della mancanza di strutture sanitarie.

In ogni caso, anche qui sono stati presi dei provvedimenti per fermare la diffusione del virus ed è stata nominata commissario per la gestione della pandemia Magda Robalo, in passato già in prima linea nella lotta contro colera, malaria, morbillo ed ebola.

In Guinea-Bissau, le principali misure di prevenzione sono state: l’imposizione del distanziamento sociale, la limitazione degli spostamenti, la chiusura delle frontiere, la riduzione degli orari dei negozi e la sospensione delle “Lumos”, ovvero delle fiere dedicate al commercio.

Mani Tese è attiva in Guinea-Bissau in diversi progetti e regioni del Paese. In particolare nella regione di Cacheu, col progetto “Protezione e soluzioni durevoli per rifugiati e richiedenti asilo in Guinea-Bissau” cofinanziato da UNHCR, fra maggio e giugno 2020 ha deciso di avviare un’indagine, in collaborazione con le comunità locali, per capire quali siano gli effetti delle misure preventive sulla vita delle persone e quali possano essere i bisogni primari in questo periodo di emergenza.

Metodologia dell’indagine

Per mantenere il distanziamento sociale, Mani Tese ha optato per un’indagine tramite sondaggio telefonico da realizzare in 34 villaggi della regione Cacheu che ospitano un totale di 4.957 rifugiati e naturalizzati. In seguito, i villaggi sono diventati 33 a causa di problemi riscontrati nelle comunicazioni telefoniche con il villaggio di Bagui.

Sono state intervistate 3 persone per villaggio per un totale di 99 persone. Il criterio di selezione era 2 donne e 1 uomo e di queste/i 2 dovevano essere rifugiati e 1 cittadino. La privacy dell’intervistato era preservata poiché venivano registrati solo sesso, età e status (cittadino o rifugiato) e non l’identità.

Risultati dell’indagine

I risultati dell’indagine evidenziano un impatto importante delle restrizioni sull’economia delle comunità di intervento (regione di Cacheu). Da una parte, infatti, la sospensione delle fiere agricole ha la conseguenza di frenare il commercio locale; dall’altra parte la chiusura delle frontiere svantaggia i villaggi vicini al confine col Senegal che vivono del commercio trasfrontaliero. L’84,8% degli intervistati ha quindi affermato che la pandemia e le restrizioni governative hanno avuto un forte impatto sulla vendita dei prodotti.

Sempre secondo l’indagine un impatto particolarmente negativo l’hanno avuto le famiglie che vivono grazie alla commercializzazione degli anacardi, che rappresentano il principale prodotto della regione. Il 63,6% di queste famiglie, infatti, è stata costretta a vendere gli anacardi al di sotto del prezzo di mercato. Un altro 32%, invece, conserverà una parte significativa degli anacardi in attesa di prezzi migliori.

Le restrizioni per la prevenzione del Covid hanno quindi un impatto importante sulla situazione economica della maggior parte degli intervistati. La sospensione delle fiere e la chiusura delle frontiere, in particolar mondo, hanno determinato una contrazione del reddito familiare (perdite rispetto all’anno precedente tra il 20% e l’80%), con un impatto diretto e immediato sulle abitudini di consumo, soprattutto legate al cibo. Infatti, se prima della pandemia la maggior parte delle famiglie consumava tre pasti, ad aprile ne venivano consumati solo due nella quasi totalità dei casi.

Dal punto di vista sociale e comunitario, lo stato di emergenza decretato dal governo ha portato a un cambiamento significativo nel modo di vivere in tutte le comunità di intervento, poiché durante questo periodo, le persone hanno smesso di svolgere le attività socioculturali come feste di matrimonio, cerimonie tradizionali e tutto ciò che può far incontrare e riunire le persone. Inoltre, la maggior parte degli intervistati ha dichiarato di rispettare le misure preventive come il frequente lavaggio delle mani, il distanziamento sociale e l’uso delle mascherine.

Conclusioni: quali i bisogni delle comunità?

Agli intervistati è stato infine chiesto: quale aiuto chiederebbe al governo ora? 87 persone hanno risposto aiuti alimentari, in 16 hanno chiesto sementi agricole, e 12 degli intervistati hanno  richiesto un aumento dei materiali per la prevenzione del Covid-19 e di continuare con la sensibilizzazione nelle comunità.

Queste risposte e l’analisi complessiva dell’indagine ci hanno aiutato a capire le principali e prioritarie necessità delle comunità di intervento. Dopo una prima distribuzione di cibo e beni di prima necessità effettuata a maggio, quindi, ne è seguita un’altra nel mese di dicembre per rispondere in maniera ancora più efficace ai bisogni delle comunità.

In totale Mani Tese insieme a UNHCR hanno consegnato: 32.000 kg di sacchi di riso, 1.480 litri di olio vegetale, 1.000 kg di cipolle, 2.360 litri di aceto, 480 secchi per il lavaggio delle mani, 2.268 barre di sapone, 1.560 litri di candeggina e 2.600 mascherine di tessuto.

Qui di seguito alcune foto della consegna dei beni:

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13. Mariam e i prodotti della tradizione

Mariam produce burro di karité e soumbala e vorrebbe che la sua cooperativa diventasse un punto di riferimento per l’intero villaggio.

Mariam Nombre è la presidente della cooperativa di donne Sabtenga Wambako, che prende il nome dal villaggio di appartenenza – Sabtenga – e dal quartiere – Wambako – che letteralmente significa “il luogo delle scimmie”.

L’attività principale della cooperativa è la trasformazione del burro di karité e del soumbala, due prodotti della tradizione burkinabè. Il soumbala, in particolare, è usato come insaporitore per condire i pasti e aiuta a regolare la pressione sanguigna; il burro di karité viene invece utilizzato come olio alimentare, unguento cosmetico o pomata da massaggio in caso di lussazioni o strappi muscolari. Inoltre, entrambi i prodotti vengono utilizzati in riti come matrimoni e funerali.

Una delle caratteristiche di Sabtenga, ci racconta Mariam, è che lei e le sue colleghe non comprano i prodotti da trasformare, ma li producono direttamente nel proprio terreno che hanno potuto predisporre alla coltivazione grazie al contributo di un’associazione della diaspora burkinabé in Italia, Solidarietà Sabtenga di Treviso, che dal 2013 le accompagna nelle loro attività.

Solidarietà Sabtenga e lo si capisce anche dal nome, è nata proprio per sostenere l’omonimo villaggio dal quale, negli anni, sono partite per cercare un futuro in Italia moltissime persone e molte di loro hanno trovato una “seconda casa” nella provincia di Treviso, dove Mani Tese è attiva con diverse attività che coinvolgono le diaspore non solo del Burkina Faso.

Nell’ambito del progetto Imprese sociali innovative e partecipazione dei migranti per l’inclusione sociale in Burkina Fasocofinanziato dall’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo e dalla Fondazione Maria Enrica, la cooperativa di donne Sabtenga Wambako e Solidarietà Sabtenga di Treviso hanno rinnovato il loro partenariato e questo ha permesso loro di partecipare al bando per il sostegno e finanziamento di un’attività di micro impresa in Burkina Faso nell’ambito del lotto riservato ai partenariati con la diaspora burkinabé in Italia.

Le due associazioni sono così rientrate fra i soggetti beneficiari del progetto e hanno avuto la possibilità di partecipare a percorsi formativi sia in Italia, grazie al partenariato con CeSPI, sia in Burkina Faso e nel paese africano Mariam e la sua cooperativa hanno partecipato a un percorso di incubazione di impresa e ottenuto un finanziamento  per costruire un locale per la preparazione di soumbalà e burro di karité con un piccolo impianto solare e un mulino.

Mariam ci confessa di voler diventare un punto di riferimento e un esempio per tutte le donne del villaggio che non credono di poter diventare economicamente autonome. In conclusione al nostro incontro, poi, si rivolge ai giovani della sua zona facendo un appello affinché non tentino la strada della migrazione irregolare. Mariam è infatti consapevole dei rischi che si corrono durante le migrazioni e l’esperienza di Sabtenga Wambako è la dimostrazione che anche in Burkina Faso si può riuscire.

Qui di seguito, alcune foto di Mariam nei campi e vicino ai macchinari della cooperativa.

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IL TEATRO FORUM PER SENSIBILIZZARE SULLA VIOLENZA DI GENERE

Insieme ad alcune compagnie teatrali locali abbiamo visitato sette province del Burkina Faso per sensibilizzare sulla violenza di genere.

Nel mese di dicembre il clima del Burkina Faso è perfetto: di giorno fa caldo ma non troppo (sui 35° che per gli standard locali significa camicia a maniche lunghe), di notte la temperatura scende attorno ai 20°, così da dormire piacevolmente con la finestra aperta e una copertina addosso. Con questo clima mite, le persone passano molto più tempo all’aperto ed è quindi il periodo migliore per realizzare attività di sensibilizzazione nelle comunità.

Con l’équipe del progetto Promozione sociale e dei diritti delle donne e dei bambini per il miglioramento dei servizi sanitari e di stato civile”, finanziato dall’Unione Europea nell’ambito del programma “popolazione” di cui è capofila Fondazione ACRA, e insieme ad alcune compagnie teatrali locali, nelle ultime settimane abbiamo visitato i mercati di sette province per raccontare il problema della violenza di genere.

Se in Italia si parla molto (anche se mai abbastanza) di femminicidio, qui in Burkina Faso le tipologie di violenza sono diverse, ma il problema esiste ed è molto grave. Infatti in Burkina più di 1 donna su 3 (esattamente il 37%) dichiara di essere stata vittima di violenza durante la sua vita (Rapporto Sigi-OCSE 2018) e su 1.861 casi di persone vittime di violenza domestica, il 67% sono donne (Rapporto annuale statistiche del Ministero delle Donne e della Famiglia 2018).

Ci troviamo quindi in un contesto in cui, pur essendo il Paese firmatario delle principali convenzioni internazionali sulla tutela dei diritti umani, la donna subisce ancora violenze, giustificate in alcuni casi da abitudini socio-culturali e tradizioni. Tra le azioni e le violenze a cui le donne sono sottoposte ci sono il ripudio, lo stupro, il matrimonio forzato, la mutilazione genitale e l’allontanamento delle donne per stregoneria. Inoltre spesso le donne sono anche escluse dall’eredità, come se non fossero parte della famiglia al pari degli uomini, e se c’è da scegliere chi mandare a scuola, viene sempre privilegiato il figlio maschio.

Tutto ciò accade anche se la Costituzione burkinabé sancisce l’uguaglianza tra uomo e donna. Così, parlare di questo problema e sensibilizzare quante più persone possibile, diventa urgente e fondamentale. E il teatro forum è lo strumento ideale. Si tratta infatti di una forma artistica che nasce per far riflettere: la pièce mostra una situazione reale, in cui si pone il pubblico davanti ad un problema, e poi i partecipanti sono chiamati ad interagire con gli attori per dare la loro interpretazione dei fatti e la loro opinione. Sono sempre momenti molto animati in cui in tanti desiderano esprimersi, dire la loro e talvolta condividere le proprie esperienze. Alla fine si torna a casa con un insegnamento.

La sensibilizzazione non è però un’attività isolata. Infatti, sempre nell’ambito dello stesso progetto, stiamo formando le organizzazioni del territorio sui diritti delle donne, in modo che esse possano divenire punto di riferimento e di ascolto per chi ne abbia necessità e siano in grado di aiutare le eventuali vittime e indirizzarle verso gli organi competenti.

Qui di seguito alcune foto di una performance di teatro forum con protagonisti gli attori e le attrici delle compagnie teatrali e alcuni partecipanti del pubblico.

Tratta, prostituzione e schiavitù, nuove frontiere e nuove sfide

In occasione della Giornata Mondiale contro la Tratta, un convegno su un fenomeno in continua e drammatica evoluzione: sabato 6 febbraio in diretta Facebook sulle pagine di Centro Pime, Caritas Ambrosiana e Mani Tese.

Cambiano le rotte, ma cambiano anche le politiche di accoglienza. Cambiano le modalità di sfruttamento e cambiano pure le vittime della tratta costrette a prostituirsi. Chi sono le nuove schiave della prostituzione coatta? Da dove vengono? Dove e come sono forzate a vendere il loro corpo?

Anche quest’anno, in vista della Giornata mondiale di preghiera e riflessione contro la tratta voluta da Papa Francesco (che si celebra l’8 febbraio, festa di Santa Bakhita), il Centro Pime di Milano, Mani Tese e Caritas Ambrosiana propongono, in collaborazione con Ucsi Lombardia, un’occasione preziosa di confronto e approfondimento su un fenomeno in continua e drammatica evoluzione.

Focus conclusivo sulla tragedia che coinvolge proprio in queste settimane migliaia di migranti lungo la rotta balcanica, dove sono vittime di gravissime violazioni dei diritti umani.

GLI INTERVENTI

LAURENCE HART, direttore Ufficio OIM per il Mediterraneo
Le rotte della tratta

Video testimonianza di Joy (Nigeria-Italia)

CINZIA BRAGAGNOLO, coordinatrice Numero Verde Antitratta
Lo sfruttamento in Italia

MANUELA DE MARCO, Ufficio politiche migratorie e protezione internazionale di Caritas Italiana
Le risposte possibili (e necessarie)

Conclusione: Focus Balcani

NELLO SCAVO, giornalista di Avvenire, esperto di migrazioni
La gelida vergogna

IL FENOMENO

Nel mondo sono oltre 40 milioni le vittime di tratta. Tra queste, il 72% sono donne, mentre il 23% sono minori. Fra le principali finalità della tratta vi sono lo sfruttamento sessuale (quasi 60%) e il lavoro forzato (34%). In questi ultimi anni il fenomeno della tratta è cambiato anche in Italia, specialmente per quanto riguarda la prostituzione coatta. Sono diminuite infatti le donne nigeriane – i cui sbarchi sono calati drasticamente, ma il cui sfruttamento è diventato ancora più brutale in Libia – e sono aumentare le donne di altre nazionalità così come le persone transessuali. Il fenomeno, inoltre – anche a causa del Coronavirus – si è ulteriormente spostato dalla strada all’indoor (e all’online), rendendo le vittime ancora più invisibili, inavvicinabili e vulnerabili.

L’IMPEGNO DI PIME, MANI TESE E CARITAS AMBROSIANA

Pime, Mani Tese e Caritas Ambrosiana operano in contesti diversi per la prevenzione del traffico di esseri umani e la protezione delle vittime. 

«Il Pime è presente in diversi Paesi di origine e transito delle vittime di tratta – spiega padre Mario Ghezzi, direttore del Centro Pime di Milano, rientrato in Italia dopo 17 anni in Cambogia – Il nostro principale impegno è nell’ambito dell’educazione e della sensibilizzazione per cercare di prevenire la partenza di giovani senza prospettive e senza progetti migratori mirati, che li spingono quasi inevitabilmente nelle mani di trafficanti e sfruttatori. Grazie alla nostra rete di missionari e volontari, in diversi Paesi d’Africa, Asia e America Latina, e grazie al sostegno di molti amici e benefattori qui in Italia, cerchiamo di promuove istruzione e sviluppo, specialmente nei luoghi più poveri e abbandonati, e di offrire così ai giovani opportunità di vita dignitosa e prospettive di futuro».

Mani Tese ha lanciato, nel 2016, il programma di sensibilizzazione “I EXIST – say no to modern slavery” per prevenire e contrastare le cause delle schiavitù moderne, nell’ambito del quale ha promosso iniziative di sensibilizzazione e avviato progetti in India e Cambogia a sostegno delle vittime di lavoro minorile, trafficking e sfruttamento lungo le filiere produttive. Dal 2017 ha inoltre avviato in Guinea-Bissau una collaborazione con l’organizzazione locale AMIC per strutturare e rafforzare il sistema di protezione per donne e minori vittime di violenza, in particolare di matrimonio forzato e/o precoce, e per i minori trafficati talibè rimpatriati dal Senegal.

L’impegno di Caritas Ambrosiana sul tema della tratta è a tutto tondo. Promuove attività di ricerca e di sensibilizzazione attraverso studi, convegni e campagne sul tema. Inoltre, l’organismo diocesano è attivo sul campo in collaborazione con la Cooperativa Farsi Prossimo, con l’offerta di diversi servizi alle vittime: dal primo incontro realizzato dall’unità di strada all’inserimento in percorsi di integrazione reso possibile da una rete di case e alloggi protetti presenti nel territorio. Caritas Ambrosiana, con altre Caritas diocesane, assicura anche accoglienza ai richiedenti asilo che giungono nel nostro Paese attraverso i “Corridoi Umanitari” attivati in alcuni contesti di particolare emergenza.

GRIDA DI DOLORE: TUTTI UNITI CONTRO LA VIOLENZA DI GENERE IN GUINEA-BISSAU

Da diversi anni Mani Tese si occupa di promuovere i diritti delle donne e contrastare la violenza di genere.

La violenza contro le donne è un problema diffuso in tutta la Guinea-Bissau e in tutto il mondo e Mani Tese, presente in Guinea-Bissau dal 1979, da diversi anni è attiva per promuovere e garantire i diritti di bambine e donne vittime di violenza e sfruttamento.

Grazie al progetto “Integrazione dei richiedenti asilo e dei rifugiati senegalesi”, cofinanziato da UNHCR, nei 34 villaggi dove Mani Tese opera sono stati creati comitati di protezione che si occupano di informare la popolazione sui diritti delle donne e di assistere le vittime di violenza di genere.

È importante e necessario un cambiamento di mentalità e una maggiore coscienza del problema, per questo in ogni comunità sono state formate cinque persone con il compito di mediare nei casi di violenza per denunciare, sensibilizzare e prevenire la violenza stessa.

Guarda il reportage e ascolta le testimonianze delle donne vittime di violenza che Mani Tese supporta.

FORMAZIONI SULL’AGRICOLTURA CIRCOLARE E DISTRIBUZIONE DI SEMI IN MOZAMBICO

Dopo alcuni ritardi causati dalla pandemia di Covid-19, il nostro progetto dedicato all’agricoltura circolare in Mozambico procede a pieno ritmo.

Dopo alcuni mesi dedicati alle attività preparatorie, come la selezione dei beneficiari e la presentazione dell’iniziativa alle autorità locali, ed alcuni ritardi causati dalla pandemia di Covid-19, il progetto “Agricoltura circolare per ridurre la fame in Zambezia”, cofinanziato dall’Otto Per Mille a gestione statale, procede ora a pieno ritmo.

In sei comunità, nei pressi della città di Quelimane (Mozambico), sono state infatti distribuite sementi e piante di alberi da frutto e sono stati anche acquistati attrezzi agricoli per aiutare gli oltre 300 beneficiari durante il loro lavoro quotidiano.

Sono state svolte poi diverse attività formative dedicate all’agricoltura circolare durante le quali i produttori hanno appreso alcune tecniche agricole, sostenibili e replicabili, per limitare il più possibile le perdite di semi e per migliorare la produzione in termini di quantità e qualità.

Qui di seguito le foto delle formazioni e della consegna degli attrezzi agricoli:

UN PROGETTO SULL’AGRICOLTURA CIRCOLARE IN MOZAMBICO

L’obiettivo è migliorare la sicurezza alimentare delle comunità di Maquival (Zambezia) attraverso il rafforzamento di agricoltura e allevamento.

Lo scorso dicembre, a Quelimane (Mozambico), si è tenuta la cerimonia di avvio del progetto “Agricoltura circolare per ridurre la fame in Zambezia” cofinanziato dall’Otto Per Mille a gestione statale. All’evento hanno partecipato, oltre al personale di Mani Tese, anche i rappresentanti delle autorità locali e alcuni beneficiari delle comunità coinvolte. Ovviamente si è rispettato il distanziamento sociale e tutti i partecipanti indossavano le mascherine.

Il progetto ha l’obiettivo di migliorare la sicurezza alimentare e la situazione nutrizionale delle comunità di Maquival, che si trova vicino alla città di Quelimane nella provincia della Zambezia, attraverso il rafforzamento di agricoltura e allevamento. L’approccio utilizzato è quello dell’agricoltura circolare, che prevede di ridurre il più possibile i rifiuti e gli sprechi derivanti dalla produzione agricola, dall’allevamento e dall’irrigazione, riutilizzando e valorizzando i prodotti di scarto.

La pandemia, purtroppo, ha rallentato alcune attività, in particolare quelle che prevedevano la presenza di più persone, come le formazioni e la stessa cerimonia di lancio del progetto. Nonostante le difficoltà lo staff sta avanzando con numerose iniziative e i beneficiari del progetto vedono già i primi risultati.

A breve pubblicheremo una notizia dedicata alle prime attività di progetto, intanto condividiamo qui di seguito alcune foto della cerimonia:

Vuoi anche tu un business sostenibile? Cambiamo insieme le regole del gioco!

Fai sentire la tua voce per rendere le imprese multinazionali legalmente responsabili del loro impatto sulle persone e sul pianeta.

di Giosuè De Salvo, Responsabile Advocacy, Educazione e Campagne di Mani Tese

Le imprese multinazionali si trovano oggi ad operare in tutto il mondo in un contesto di sostanziale impunità. Molte, troppe di loro si rendono responsabili di devastazioni ambientali, violazioni sistematiche dei diritti dei lavoratori, espulsioni di popoli indigeni dalle loro terre ancestrali e sfruttamento reiterato del lavoro minorile. Coloro che resistono agli abusi vengono, quando va bene, licenziati in tronco, quando va male, finiscono in carcere, scompaiono nel nulla o, peggio, perdono la vita.

Dopo anni di denunce da parte di associazioni, Ong e sindacati, la Commissione Europea è finalmente pronta a prendere in considerazione una nuova legge comunitaria che renda le imprese legalmente responsabili del loro impatto sulle persone e sul pianeta.

Ci riferiamo a norme cosiddette di “due diligence” (in italiano, dovuta diligenza) in ambito di diritti umani e ambiente che dovrebbero imporre a tutte le aziende – dai giganti dei combustibili fossili e dell’agro-business, ai rivenditori di moda e ai produttori di elettronica – di dotarsi di politiche e comportamenti efficaci nel garantire che i diritti umani e l’ambiente non siano danneggiati né dalle operazioni da loro direttamente intraprese a livello globale, né all’interno delle catene di fornitura di cui si avvalgono sui cinque continenti.

Che cos’è la “Human Rights and Environmental Due Diligence”?

È generalmente intesa come il processo che le imprese devono mettere in campo per identificare, prevenire, ridurre e rendere conto degli impatti negativi delle loro attività o di quelle che coinvolgono filiali, subappaltatori, fornitori a loro afferibili.

Prima di avanzare una proposta al Consiglio e al Parlamento, come è abitudine, la Commissione vuole sentire la voce dei cittadini europei, la tua, la nostra voce. Ha quindi aperto una consultazione pubblica a cui Mani Tese partecipa e invita a partecipare.

Firmando al seguente link: www.enforcinghumanrights-duediligence.eu/it indicheremo tutti insieme quali sono gli elementi imprescindibili della nuova normativa.

Affinché funzioni, essa deve:

  • coprire i diritti umani, gli impatti ambientali e sociali lungo l’intera catena di fornitura;
  • avere denti: le aziende devono rischiare sanzioni pesanti se infrangono le regole;
  • rendere le aziende responsabili delle cattive pratiche sia in patria che all’estero;
  • coinvolgere i sindacati e le Ong presenti negli stabilimenti e sui territori di produzione nella preparazione dei piani di “due diligence” in ogni fase del percorso;
  • assicurare che le imprese si consultino sempre con le comunità e gli individui (potenzialmente) interessati e, quando richiesto dalle convenzioni internazionali, ottengano il loro consenso;
  • rendere più facile per tutte le vittime di abusi aziendali, sindacati e società civile cercare giustizia nei tribunali dell’Unione Europea, laddove nei Paesi di origine delle vittime non ci siano le condizioni per garantire il diritto a un equo processo.

Abbiamo bisogno di quante più persone possibile per convincere la Commissione Europea a cambiare le regole del gioco per porre fine all’impunità aziendale e far rispettare i diritti umani e l’ambiente.

L’orologio sta ticchettando.

Aiutaci a creare pressione, dì la tua fino all’8 febbraio 2021!