In occasione della festa del papà, vi raccontiamo la storia di Peter Kibe, un padre molto speciale in Kenya.
Oggi vogliamo raccontarvi la storia di un papà molto speciale in Kenya. Il suo nome è Peter Kibe ed è un agricoltore che vive a Molo.
Come ogni papà, Peter vuole il meglio per i suoi figli ma, a causa della crisi economica e della mancanza di risorse, la sopravvivenza per la sua famiglia era diventata davvero difficile.
È stato allora che Peter ha incontrato Mani Tese, che stava lavorando in collaborazione con NECOFA al progetto AgriChange per migliorare le condizioni di vita delle persone.
Nell’ambito di questo progetto, Peter ha potuto ricevere una formazione sull’agricoltura sostenibile e ha imparato nuove tecniche per la coltivazione dei funghi.
Grazie a queste attività, Peter ha migliorato il suo reddito, ha potuto garantire cibo sufficiente per la sua famiglia e ha anche iniziato a vendere i suoi prodotti al mercato locale.
La vita di Peter e della sua famiglia oggi è cambiata. La sua attività funghicola è diventata un esempio di successo e ha ispirato altri agricoltori ad apprendere le medesime tecniche e a intraprendere le proprie attività.
Quello di Peter è solo uno dei tanti esempi di come Mani Tese possa fare davvero la differenza nella vita di tante famiglie qui in Kenya.
Per il 19 marzo, fai un regalo solidale con noi e regala a un papà del Sud del mondo la possibilità di rendere felice la sua famiglia:
Auguriamo a tutti i papà come Peter, che lottano ogni giorno per garantire il benessere delle loro famiglie, una felice festa del papà!
Emergenza ciclone Freddy in Mozambico!
Il ciclone Freddy si è abbattuto su Quelimane e sulle zone dove siamo presenti per realizzare i nostri progetti di cooperazione, e la situazione ora è di emergenza.
Il ciclone Freddy si è abbattuto su Quelimane e sulle zone dove siamo presenti per realizzare i nostri progetti di cooperazione, e la situazione ora è di emergenza.
Ci sono case scoperchiate. Tralicci dell’elettricità e alberi sono caduti.
Comunicazione ed elettricità al momento sono interrotte e quindi anche l’accesso all’acqua.
Anche le strade per raggiungere le zone rurali sono interrotte e si segnala la presenza di persone sfollate.
Cercheremo di tenervi aggiornati.
Mani Tese opera a fianco della popolazione colpita con i suoi progetti di cooperazione internazionale, oggi ancora più importanti perché permetteranno alle comunità di risollevarsi dopo questa calamità.
Per chi può e vuole aiutare, abbiamo aperto una raccolta fondi di emergenza.
> Modalità di donazione:
– Carta di credito sul sito di Mani Tese inserendo l’importo che desideri donare
– Bonifico bancario intestato a Associazione MANI TESE ONG Onlus presso banca Popolare Etica (IBAN: IT 57 F 05018 01600 000010203040)
– CCP, Conto Corrente Postale: n° 291278 intestato a Associazione Mani Tese ONG ONLUS , P.le Morandi 2, 20121 Milano
Inserendo come causale (bonifico/CCP): EMERGENZA CICLONE FREDDY
Il lancio ufficiale del progetto “nutrire la citta”
Si parte! Lanciato ufficialmente il progetto “Nutrire la città” a Ouagadougou, in Burkina Faso, davanti alle autorità locali. Obiettivo: riqualificare 150 ettari della cintura verde e promuovere l’agroecologia.
Il 16 febbraio si è tenuto a Ouagadougou l’evento di lancio del progetto “Nutrire la città” presso la Mairie Centrale. L’atelier è stato organizzato da ACRA in collaborazione con il Comune di Ouagadougou, partner di progetto insieme a Mani Tese, Watinoma, Ke De Burkinabè, Etifor e Gnucoop.
All’evento era presente anche Domenico Bruzzone, Direttore dell’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo, che nel suo discorso di apertura ha ringraziato gli operatori delle Ong presenti rimarcando l’importanza del loro lavoro sul campo e del ruolo che giocano i cooperanti per la buona riuscita dei progetti.
“Gli operatori delle Ong sono coloro che agiscono e riescono a rendere efficaci gli aiuti. Un’azione come quella intrapresa nel 2018 da Mani Tese non si deve fermare” ha dichiarato.
Flavio Boffi per ACRA e Eugenio Attard per Mani Tese hanno presentato il progetto enunciando gli obiettivi e i risultati attesi, sottolineando l’importanza di una buona comunicazione tra le parti.
“Interagire e continuare a scambiarsi informazioni e punti di vista è fondamentale per la buona riuscita del progetto in questi tre anni” ha affermato Flavio Boffi di ACRA.
“Mani Tese si impegnerà a fondo per collaborare e portare avanti gli interventi in modo partecipato e in continuità con quanto fatto in precedenza, affinché si possano ottenere dei risultati sostenibili e durevoli per la città e per le comunità interessate” ha concluso Eugenio Attard di Mani Tese.
Nutrire la città si inserisce in un piano statale più ampio che riguarda la lotta alla desertificazione e lo sviluppo di città sostenibili. Durante l’evento è emerso il profondo interesse dei cittadini per la buona riuscita dell’intervento e il desiderio di farsi coinvolgere nelle attività.
Valentin BAYIRI, rappresentante del Comune di Ouagadogou, ha dichiarato: “Il Burkina ha l’obiettivo di risistemare 150 ettari della cintura verde. Per riuscirci è fondamentale la collaborazione con attori che puntano sull’agricoltura sostenibile e l’agroecologia. In città, a causa del forte utilizzo di prodotti chimici in agricoltura in alcune zone è aumentato il tasso di persone che soffre di tumori. Dobbiamo trasformare la produzione alimentare in qualcosa di più sano e per riuscirci dobbiamo, insieme, co-costruire questo grande processo”.
Ouagadougou sta vivendo una crescita demografica senza precedenti e per garantire a tutti salute e cibo è necessario lavorare sul miglioramento delle filiere alimentari locali e sostenibili. Coinvolgere le famiglie di produttori, in particolare le donne, è il punto di partenza per costruire un futuro migliore per la città.
“Le madri sono i Ministri dell’Interno delle nostre famiglie – ha affermato BAYIRI – dobbiamo partire dal loro coinvolgimento per riuscire a migliorare il benessere della popolazione oggi e per il futuro”. Il progetto “NUTRIRE LA CITTÀ – Agricoltura urbana e produzione del cibo sano e locale per lo sviluppo di un sistema agroalimentare sostenibile e inclusivo”, è cofinanziato dall’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo (AICS) e promosso da Fondazione ACRA (capofila), Mani Tese insieme con Gnucoop, Etifor, ITAL WATINOMA e ASSOCIATION WATINOMA, Ke Du Burkinabé, Mairie Di Ouagadougou.
Coltivare la pace in Burkina Faso
Il progetto SEmInA ha aiutato le famiglie del Nord ad affrontare la povertà e il terrorismo attraverso l’agroecologia. Le parole delle famiglie destinatarie del progetto che sono venute a trovarci nella nostra sede di Ouagadougou.
Il 15 ottobre 2015 a Milano viene siglato il Milan Urban Food Policy Pact da più di 100 città nel mondo e, in occasione del World Food Day, viene presentato dal Segretario Generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon. Dal 2016, nell’ambito di questo patto, è stato avviato un forum regionale sulle politiche alimentari cittadine per l’Africa francofona e nel 2021 il forum si è svolto proprio a Ouagadougou, in Burkina Faso.
La capitale del Paese già negli anni ‘60 aveva cominciato a parlare di politiche alimentari e nel 1976 aveva iniziato i lavori per sviluppare una cintura che avrebbe circondato la città come un vero e proprio polmone verde. L’obiettivo era ristorare 2.100 ettari per conservare la biodiversità, fornire prodotti forestali a scopo alimentare, proteggere la città dal vento, dalla polvere e dall’erosione del suolo.
Purtroppo, però, i lavori si sono interrotti nel 1990 e, da allora, la cintura verde di Ouagadougou è rimasta un’opera pubblica realizzata a metà, con solo 1032 ettari coltivati. La sottoscrizione del Milan Urban Food Policy Pact da parte del Comune di Ouagadougou ha però segnato l’inizio di un nuovo periodo di lavori per la riabilitazione della cintura con l’obiettivo di garantire la sostenibilità alimentare a una città nel pieno di un’esplosione demografica.
Bintou e Roland sono arrivati nella sede di Mani Tese a Ouagadougou dalla regione del Nord dopo un lungo viaggio compiuto insieme ad altre quattro persone per raccontare al nostro staff la loro esperienza a conclusione del progetto SEmInA – Superare l’emergenza incentivando l’agricoltura e per parlare della situazione del loro territorio. È la prima volta che i protagonisti di un progetto di emergenza in zone di difficile accesso umanitario e con i quali siamo stati costantemente in contatto per quasi due anni, riescono a raggiungerci in capitale.
Finanziato dall’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo, il progetto SEmInA ha supportato le comunità di Bintou e Roland nello sviluppo di orti famigliari agroecologici, che hanno aiutato a superare l’insicurezza alimentare delle comunità in un contesto di forte emergenza.
I comuni di Nodin e Yalka, da cui provengono Bintou e Roland, si trovano nella provincia di Yatenga, dipartimento di Ouahigouya. Si tratta di zone molto colpite dagli attacchi terroristici, con un elevatissimo numero di sfollati interni. Nel solo mese di dicembre 2022, infatti, secondo i dati di UNHCR, la Regione del Nord contava 21.996 persone sfollate.
In Burkina Faso[1] la vita delle famiglie che vivono in situazioni precarie ruota spesso intorno alle attività di estrazione mineraria.
“Prima del progetto SEmInA molte famiglie si dedicavano alla ricerca dell’oro nelle miniere, soprattutto dopo che lo stato d’insicurezza era aumentato, spesso utilizzando tecniche artigianali dannose per la salute e l’ambiente” racconta Roland.
“Nella provincia di Yatenga – spiega Bintou, una destinataria del progetto di cui avevamo già parlato – diverse famiglie si dedicano alla ricerca dell’oro per provare a garantire un futuro migliore ai propri figli. Altre si dedicano all’agricoltura ma usano molti fertilizzanti. Grazie alle formazioni di Mani Tese, però, oggi abbiamo capito l’importanza di utilizzare le tecniche agroecologiche e, con gli strumenti forniti, abbiamo iniziato a lavorare la terra in modo più sano”.
Il progetto SEmInA ha infatti incentivato la produzione di miglio, ortaggi e la trasformazione di alcuni prodotti, la cui vendita ha aumentato il reddito famigliare. Nel corso del progetto i gruppi di famiglie coinvolti hanno ricevuto degli utensili per il lavoro agricolo, hanno partecipato alla costruzione di pozzi per irrigare i propri terreni e oggi possono usufruire anche di due centri di trasformazione per i propri prodotti.
Mani Tese è anche intervenuta in situazioni di emergenza fornendo assistenza alimentare ed economica a 120 famiglie vulnerabili.
“Poter produrre il nostro cibo in modo sano ci permette di dar da mangiare alla famiglia senza dover andare a cercare l’oro e senza dover uscire dal villaggio, rischiando di incontrare milizie armate, o senza dover aspettare il cibo importato” afferma Roland.
La condivisione degli utensili per coltivare e la creazione di gruppi di gestione delle risorse comuni ha inoltre rinsaldato il legame tra le famiglie che, per via della paura, rischiava di rompersi. “Dopo le formazioni abbiamo fatto vedere quello che abbiamo imparato ai nostri vicini, e grazie al progetto, abbiamo riacquistato un po’ più di fiducia verso gli altri” conclude Bintou “Ora coltiviamo insieme, produciamo il nostro cibo e ci sentiamo un po’ più al sicuro, nonostante tutto”.
Il problema più grande in queste comunità, come ci ha raccontato Bintou, è infatti proprio la mancanza di fiducia. Le persone non si fidano più le une delle altre. Inoltre le scuole, come ha spiegato Roland, sono chiuse in molti villaggi e i ragazzi sono in giro senza poter studiare.
In un contesto del genere coltivare insieme diventa quindi uno strumento non solo per garantire cibo ma anche per costruire la pace.
[1] Drechesel F., Engels B., Schäfer M., «Les mines nous rendent pauvres » : L’exploitation minière industrielle au Burkina Faso, GLOCON Contry Report n°2, dicembre 2018, p. 5.
Storie di donne: Graciela è finalmente libera di scegliere
Fuggita da un matrimonio forzato da ragazzina, oggi Graciela è una giovane donna indipendente. “Finché ci sarà un centro di accoglienza, ci sarà sempre una possibilità di scelta”.
Mi chiamo Graciela*, ho 21 anni e sono vittima di un tentativo di matrimonio forzato da parte di mia zia, che quando avevo diciott’anni voleva darmi in sposa a suo marito.
All’epoca, sapute le sue intenzioni, scappai di casa e mi rifugiai presso una donna che mi aveva sempre trattata come una figlia. Questa signora però iniziò a sfruttarmi facendomi lavorare duramente e costringendomi ad abbandonare gli studi.
Fu allora che venni accolta presso il centro di accoglienza per le donne vittime di violenza.
Al centro ho trovato la pace e il sostegno per superare la paura, la tristezza e la delusione della mia famiglia. Ho anche stretto amicizia con altre ragazze. Ho avuto l’opportunità di studiare per due anni scolastici frequentando anche un corso di sartoria, di imprenditorialità e di gestione alberghiera e domestica.
Da tre anni lavoro in una clinica di Ostetricia e Ginecologia, dove svolgo le pulizie. Grazie a questo lavoro, posso pagarmi gli studi. Ho infatti l’ambizione di imparare e di esplorare nuove opportunità per me perché voglio diventare una donna indipendente, onesta e istruita…Una grande donna.
Alle ragazze che si trovano nella mia situazione vorrei offrire conforto attraverso la mia esperienza. Io ho provato una disperazione, una paura e un dolore tali da non credere quasi più in me stessa. Mi sono sentita sola al mondo perché non potevo contare sulla mia famiglia, che mi considerava una traditrice.
Grazie al centro di accoglienza, però, pian piano sono riuscita a stare meglio.
Oggi vivo con un altro parente, il mio zio materno, e sono trattata con dignità e rispetto.
Non dobbiamo mai permettere agli altri di compiere delle scelte al nostro posto approfittandosi della nostra ingenuità o della nostra insicurezza perché, finché ci sarà un centro di accoglienza, ci sarà sempre una possibilità di scelta.
*Nome di fantasia per tutelare la privacy della ragazza.
Storie di donne: Pola, sfuggita a un matrimonio forzato
Mi chiamo Pola*, ho 23 anni e sono scappata da un matrimonio forzato. Mia zia, che mi ha cresciuta da quando avevo due anni, tre anni fa voleva darmi in sposa a suo marito. Mi diceva che ormai ero vecchia e che dovevo prendere il suo posto. Per questo mi aveva cresciuta dopo la morte […]
Mi chiamo Pola*, ho 23 anni e sono scappata da un matrimonio forzato.
Mia zia, che mi ha cresciuta da quando avevo due anni, tre anni fa voleva darmi in sposa a suo marito. Mi diceva che ormai ero vecchia e che dovevo prendere il suo posto. Per questo mi aveva cresciuta dopo la morte dei miei genitori.
Io mi sono rifiutata di sposarmi perché mio zio, per me, era come un padre.
Dopo il mio rifiuto, fortunatamente sono stata accolta al centro di accoglienza di AMIC, che mi ha ospitata per quattro mesi.
Al centro ho trovato sostegno e mi sono sentita finalmente rispettata. Le operatrici mi hanno insegnato che tutte le persone hanno il diritto di scegliere la propria vita e che non sono obbligata a sposarmi se non voglio.
Al centro ho anche ricominciato a studiare: ho frequentato un corso di gestione alberghiera e domestica, un corso di imprenditorialità e un corso di sartoria.
Nonostante le minacce di mia zia, alla fine sono riuscita a non sposare mio zio.
Ora che ho lasciato il centro, il mio obiettivo è quello di continuare a studiare perché voglio diventare una donna istruita e indipendente.
Oggi mi sono separata dal mio compagno, con cui ho una figlia di due anni e che lui non mi aiuta a mantenere e, grazie ai corsi che ho seguito mentre ero al centro, sto cercando un lavoro con cui essere indipendente.
Se un giorno vorrò sposarmi, sarò io a scegliere quando e con chi.
Alle altre ragazze nella mia situazione vorrei dire che ogni persona ha il diritto di fare le proprie scelte di vita e di non avere paura di denunciare la propria famiglia o chiunque intenda violare i loro diritti, perché ci sono organizzazioni e persone disposte ad aiutarle e a sostenerle.
Con il tempo il dolore passa e ci si rialza da terra più forti e più mature.
*Nome di fantasia per tutelare la privacy della ragazza.
Storie di donne: Aisha non vuole più morire
La nostra cooperante in Guinea-Bissau ci racconta l’esperienza di una ragazza madre abbandonata dal compagno, che ha ricominciato a vivere grazie al centro di accog
Di Marika Sottile, coordinatrice del progetto “No tene diritu a um vida sem violência” di Mani Tese
Mi chiamo Marika Sottile e lavoro in Guinea-Bissau come coordinatrice del progetto No tene diritu a um vida sem violência finanziato dall’Unione Europea e promosso da Mani Tese in partenariato con FEC – Fé e Cooperação, ENGIM – Fondazione Ente Nazionale Giuseppini Murialdo, AMIC – Associação dos Amigos da Criança.
Per farvi capire l’importanza di questo progetto, voglio raccontarvi un episodio che mi è accaduto.
Una domenica pomeriggio del mese di ottobre scorso stavo facendo una passeggiata nel centro della città di Bissau con la mia coinquilina, quando abbiamo incontrato Aisha*.
Nascosta dietro un camion, accovacciata su stessa, Aisha, non appena ci ha viste, si è avvicinata a noi e ci ha chiesto aiuto perché stava molto male. Subito dopo, infatti, ha iniziato a vomitare.
Aisha stava soffrendo di depressione post-parto. Era scappata dalla casa di sua zia, aveva comprato dell’acido e l’aveva bevuto con l’idea di voler morire e di doverlo meritare perché non provava nessun amore per il figlio nato nove mesi prima e avuto da un uomo che l’aveva abbandonata.
Non aveva con sé né soldi, né documenti, né telefono.
Aisha aveva assolutamente bisogno di un servizio di primo soccorso urgente. Non abbiamo trovato un’ambulanza così abbiamo chiamato un taxi e l’abbiamo portata noi stesse all’ospedale centrale di Bissau, dove abbiamo atteso a lungo prima che potesse effettuare tutti gli esami necessari. L’ospedale, per altro, era sprovvisto sia di flebo che di siringhe, che abbiamo dovuto comprare noi in farmacia.
Aisha, a causa delle sue condizioni precarie di salute, sarebbe dovuta rimanere sotto sorveglianza quella notte ma all’ospedale non c’era posto. L’unico luogo che poteva ospitarla per qualche tempo era il Centro di Accoglienza per le vittime di violenza di genere di Bissau, gestito da AMIC e sostenuto da Mani Tese, la ONG per cui lavoro.
Così ho chiamato Laudolino, responsabile del Centro, che, nonostante le tante difficoltà della struttura, ha subito accettato di prendersi cura di Aisha. Presso il centro, la ragazza ha ricevuto dei pasti adeguati, è stata accompagnata a svolgere una radiografia e ha ricevuto le medicine per la sua ripresa psico-fisica.
Aisha è rimasta al centro una settimana. Nel frattempo, lo staff del centro si è attivato per ritrovare la sua famiglia, che ha infine deciso di sostenerla incoraggiandola a intraprendere un percorso psico-fisico di recupero. Con le dovute precauzioni, Aisha è stata reinserita dal personale del centro che ne ha verificato la sua effettiva ripresa e il suo benessere.
Qui in Guinea-Bissau l’assistenza sanitaria e sociale è pressoché assente e le persone si sentono abbandonate a sé stesse. Soprattutto le donne, spesso purtroppo vittime di violenza. Per fortuna ci sono organizzazioni locali che tentano di sopperire alla mancanza dei servizi ma che hanno bisogno di tutto il sostegno possibile.
Per questo, Mani Tese sta lavorando per supportare gli unici due centri di accoglienza per le donne nel Paese, da un lato, potenziando la protezione delle vittime di violenza di genere e, dall’altro, aiutandoli a raggiungere l’autosufficienza economica.
Si tratta però di un processo che richiede tempo e risorse. Nel frattempo, le ragazze e le donne vittime di violenza di genere continuano ad arrivare ai centri e non possono aspettare. Hanno bisogno di aiuto e ne hanno bisogno subito.
Aisha al centro di Bissau ha sentito il supporto di tutti coloro che l’hanno sostenuta e questo l’ha convinta che non meritasse di morire ma che poteva trovare altrove il sostegno che non ha ricevuto dal padre di suo figlio.
*Nome di fantasia per tutelare la privacy della ragazza.
8 Marzo: libere dalla violenza
In Guinea-Bissau la disuguaglianza e la violenza di genere sono allarmanti. Aiutaci a sostenere gli unici due centri di accoglienza per le donne presenti nel Paese!
La Guinea-Bissau è un piccolo Paese dell’Africa Occidentale con un altissimo indice di povertà, una forte instabilità politica e una grave carenza di lavoro e risorse. È un Paese di cui si parla poco, dove Mani Tese è presente da più di 40 anni per sostenere, in particolare, le donne.
In Guinea-Bissau la disuguaglianza e la violenza di genere sono a livelli allarmanti.
Più della metà delle donne (il 52%) ha subito mutilazione genitale femminile. Si tratta, soprattutto, di bambine tra gli 0 e i 14 anni (30%). In uno studio realizzato nel 2021 nel quadro del progetto NO NA CUIDA DE NO VIDA, MINDJER!, in particolare, ben il 60% delle donne intervistate ha confessato di aver subito questa pratica.
Moltissime donne hanno subito o subiscono violenza. Il 67% delle donne intervistate ha dichiarato di essere stata vittima di almeno un tipo di violenza. In particolare, delle 978 donne intervistate che hanno o hanno avuto un partner, ben 613 hanno affermato di aver subito violenza da quest’ultimo.
Pochissime sono le donne che denunciano gli atti di violenza. Il 68% non ha raccontato a nessuno l’accaduto e solo lo 0,5% lo ha riferito a un medico.
Tantissime ragazze sono costrette a matrimoni forzati e precoci. Su 871 donne che hanno risposto alla domanda sulla decisione del loro matrimonio, solo 22 donne (2,5%) hanno dichiarato di avere deciso da sole di sposarsi e 73 (8,4%) hanno preso questa decisione come coppia. Nella stragrande maggioranza dei casi, (81,1% delle donne), il matrimonio è stato deciso dalla famiglia del marito.
Lontane dai riflettori e da ogni forma di assistenza, molte donne in Guinea-Bissau non hanno nessuno su cui contare, se non il personale degli unici due centri di accoglienza per vittime di violenza di genere presenti in tutto il Paese e sostenuti da Mani Tese: il centro di Bissau e quello, più recente, di São Domingos.
Bambine che hanno subìto mutilazioni genitali, ragazzine costrette a sposarsi con uomini molto più grandi di loro, donne abusate dai propri compagni o famigliari…Questi centri di accoglienza rappresentano, a oggi, l’unica speranza di sopravvivenza per tantissime di loro.
Mani Tese sta facendo tutto il possibile per mantenerli attivi ma le necessità sono tante e sono urgenti.
Serve cibo con cui assicurare pasti caldi e completi a tutte le ospiti.
Serve un forno con cui preparare gli alimenti non solo per nutrire le donne accolte ma anche per essere venduti e poter generare così un reddito sicuro per il centro.
Servono medicine con cui curare le donne vittime di violenza.
Serve il carburante per i mezzi di trasporto con cui poterle accompagnare in ospedale in caso di emergenza o per visite di controllo.
Servono più mamme sociali, così come qui vengono chiamate le operatrici dei centri, che forniscono una prima assistenza, preziosissima, anche e soprattutto emotiva alle donne accolte.
Servono mura di recinzione più alte per tenere al sicuro le donne da chi vorrebbe far loro di nuovo del male o riportarle a casa con la forza.