Tamil Nadu, la sofferenza delle adolescenti che lavorano nel tessile
India. I risultati di uno studio comparato sulle condizioni di salute di tre gruppi di adolescenti nei distretti di Coimbatore, Tirupur ed Erode.
L’industria tessile ha vissuto una crescita esponenziale negli ultimi vent’anni. Se nel 2000, infatti, erano venti milioni le persone che impiegava direttamente, oggi si stima siano fra i 60 e i 75 milioni i lavoratori del settore tessile, manifatturiero e calzaturificio. Circa tre quarti di questa forza lavoro è costituita da donne, il che lo rende uno dei principali settori di impiego di manodopera femminile nel mondo.
La crescita dell’industria tessile ha seguito un modello di sviluppo pressoché unico, nei principali paesi europei e nel nord America. Le industrie nazionali hanno progressivamente spostato in paesi in via di sviluppo la produzione delle materie prime e gran parte delle successive fasi di lavorazione. Pur non disponendo, spesso, delle materie prime necessarie, questi paesi possedevano due elementi fondamentali per questo nuovo modello industriale: manodopera a basso costo e in abbondanza, e impianti legislativi fragili.
Lo sviluppo globale dei trasporti e della logistica ha consentito alle merci di viaggiare sempre più velocemente e a costi sempre più contenuti, e questo, unitamente a politiche commerciali favorevoli, ha contribuito a creare e mantenere nel tempo le condizioni necessarie all’espansione dell’industria tessile.
In questa crescita non sono stati solo i numeri, i volumi e i fatturati a lievitare; si sono moltiplicati anche gli attori coinvolti attivamente nei processi di lavorazione, e la filiera è passata da una catena di produzione tendenzialmente lineare e geograficamente contenuta, a un’intricata ragnatela che connette tutto il mondo.
Oltre il 70% delle importazioni tessili verso l’Unione Europea proviene da paesi asiatici; l’India è un paese importante non solo per la produzione di indumenti, ma in larga parte anche per la produzione di filato.
In India l’industria tessile contribuisce al 4% del prodotto interno lordo, e rappresenta l’11% delle esportazioni nazionali. E’ il secondo settore di impiego più grande del paese, con oltre 45 milioni di lavoratori, in larga parte lavoratrici.
In India possiamo osservare il lato oscuro di un modello di produzione e sviluppo basato sulla precarizzazione non solo delle relazioni tra committenti (inter/nazionali) e produttori, ma anche del rapporto tra lavoratore e azienda.
Se abbondano infatti i produttori locali di tutte le dimensioni e capacità, sono le grandi multinazionali a dettare le leggi, i tempi e i margini di guadagno del mercato, col rischio che per abbattere i costi e rimanere competitivi, siano gli ultimi, i più piccoli e i più vulnerabili a pagare i costi reali della produzione.
La mancanza di una normativa internazionale cogente, che imponga la trasparenza della filiera tessile in tutti i fornitori che la compongono, contribuisce ulteriormente al mantenimento dello status quo. Il gruppo di lavoro all’interno del Consiglio ONU per i diritti umani per un trattato vincolante delle Nazioni Unite in materia di imprese e diritti umani è impegnato per colmare questa lacuna normativa, ma nel frattempo il prezzo più alto delle violazioni dei diritti da parte delle imprese continua a essere pagato dai soggetti più deboli.
In India, nello stato meridionale del Tamil Nadu, a pagare questo prezzo sono giovani, giovanissime donne e adolescenti impiegate nelle migliaia di impianti di filatura che punteggiano la brulla campagna. Le fabbriche sorgono ai lati dell’unica strada che collega le principali cittadine, da nord a sud – alti cancelli che nascondono allo sguardo e interminabili mura che respingono il visitatore curioso con cocci di vetro e filo spinato.
Entrano donne, ragazze, adolescenti; escono camion carichi di bobine di filato.
Cosa succeda dietro quei cancelli e quelle mura, in alcuni casi lo sappiamo solo grazie ai racconti delle ragazze e ai segni che portano sul corpo. Lo sappiamo perché una delle attività che svolgiamo in India, in collaborazione col nostro storico partner locale SAVE, è proprio il monitoraggio delle violazioni dei diritti del lavoro.
Tali violazioni riguardano ovviamente, in primis, le lavoratrici impiegate nell’industria – ma emerge con sempre maggiore chiarezza uno scenario le cui conseguenze hanno un impatto inter-generazionale.
Il St. John’s Medical College di Bangalore, in Karnataka, ha recentemente effettuato uno studio comparato sulle condizioni di salute di tre gruppi di adolescenti nei distretti di Coimbatore, Tirupur ed Erode: lavoratrici attualmente impiegate (e impiegate da almeno un anno) nell’industria tessile; adolescenti impiegate in passato nello stesso settore, e infine adolescenti che non sono mai state impiegate.
Dal punto di vista fisico, le adolescenti lavoratrici presentano uno status nutrizionale deficitario e sono generalmente sottopeso, rispetto agli altri due campioni esaminati. Presentano una diffusa anemia, irregolarità nel ciclo mestruale e sintomi di stress fisico e mentale.
Sia le adolescenti attualmente impiegate sia le ex lavoratrici lamentano dolori muscoloscheletrici, specialmente al collo e alle spalle a causa dei movimenti ripetitivi, dei turni di lavoro eccessivamente lunghi e della mancanza di periodi di riposo adeguati. I dolori sono così forti da impedire, in alcuni casi, un impiego normale per circa un anno.
Lo stress psicologico è dovuto anche alla limitata libertà di movimento, per le ragazze che oltre a lavorare risiedono anche all’interno delle fabbriche stesse, dove non hanno accesso spazi e momenti ludici e ricreativi. Ma è proprio in questo ambito che i risultati della ricerca sono più sconvolgenti. Rispetto al campione di adolescenti che non sono mai state impiegate, tra le lavoratrici e le ex lavoratrici si registra un’elevatissima ricorrenza di pensieri suicidi, di tentativi di suicidio e di disturbi comportamentali dovuti ad abusi fisici e verbali subiti durante il lavoro.
L’impiego delle adolescenti negli impianti di filatura della zona è spesso l’unica opportunità economica per famiglie che non riescono più a sopravvivere – come hanno tradizionalmente fatto – grazie all’agricoltura; il lavoro delle ragazze è attivamente promosso anche perché possano mettere da parte i soldi necessari per pagarsi una dote e ambire a un buon matrimonio.
Il loro impiego, tuttavia, non apporta benefici duraturi, e non si rilevano significativi miglioramenti delle condizioni socioeconomiche delle famiglie di origine e delle nuove famiglie che vengono a crearsi. Al contrario, le conseguenze a lungo termine sulla salute psicofisica delle adolescenti impiegate nell’industria tessile rischiano di metterne in pericolo il futuro.
I loro diritti, come i diritti di tutte le persone che subiscono violazioni a causa dell’operato del mondo del business, devono diventare una priorità nell’agenda politica nazionale, europea ed internazionale. La ragnatela delle filiere produttive globali deve diventare sempre più una filiera trasparente di diritti e opportunità condivisi.
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