Per un cacao giusto in Costa d’Avorio
Il reportage realizzato per conto di Tese nell’ambito del progetto “Food Wave” finanziato dalla Commissione europea e coordinato dal Comune di Milano mostra le difficoltà dei produttori e della sostenibilità ambientale nel Paese ma anche le opportunità di una produzione rispettosa e biologica.
La Costa d’Avorio si staglia come il principale produttore mondiale di cacao, con una produzione che tocca i 2,2 milioni di tonnellate. Questo dato, tuttavia, è solo la punta dell’iceberg di una realtà complessa, dove la tradizione agricola si scontra con le pressioni della modernizzazione e le esigenze della sostenibilità ambientale, sociale ed economica. La filiera del cacao è un microcosmo che riflette le dinamiche globali: da un lato, la standardizzazione imposta dal mercato internazionale, dall’altro, la lotta per preservare le peculiarità locali e la biodiversità. La filiera del cacao in Costa d’Avorio non inizia solo con la raccolta delle fave, ma si intreccia profondamente con la storia del territorio stesso e con le complesse dinamiche del diritto fondiario. I lavoratori del cacao, nonostante un reddito sopra la media nazionale, lottano contro la povertà. Discrepanze tra stipendio e costo della vita rendono difficile per molti giovani come Roland, un lavoratore di un laboratorio di cacao, sostenere sé stessi e le loro famiglie. Questa situazione evidenzia la necessità di un cambiamento nel sistema di retribuzione e di supporto ai lavoratori del settore i quali, da una parte si trovano in difficoltà di fronte a una calmierazione del prezzo a livello nazionale piuttosto arbitraria, circa 1,52 euro, mentre dall’altra i produttori delle zone rurali fanno fatica a incontrare le esigenze dell’esportazione. La filiera del cacao presenta dunque questioni di insostenibilità economica che si riverberano anche nella componente sociale e ambientale. Da una parte, un rapporto del 2022 dell’International Cocoa Initiative mostra che il 26% dei minori in un campione di 800mila produttori è vittima di lavoro minorile. Dall’altra, dal 1950 la Costa d’Avorio ha perso il 90% delle foreste, con il cacao tra i responsabili principali; l’uso crescente di pesticidi e fertilizzanti chimici per aumentare la produzione aggrava la situazione. Per questi motivi, diverse realtà nel Paese si stanno orientando al biologico. Un modo per far fronte all’insostenibilità della filiera, in particolare al livello del piccolo/medio produttore. Troviamo esempi come quelli delle cooperative di Yosran e Ndikro, situati nella regione di Tiassalé, che producono cospicue rendite sfruttando sistemi agroecologici e tecniche di produzione e fermentazione biologiche. Pratiche che non richiedono l’utilizzo di pesticidi o fertilizzanti chimici per incrementare la produzione. Queste colture di alta qualità necessitano però di un maggior sostegno a un’adeguata commercializzazione visto che al momento i costi gravano sul produttore. I vantaggi sono notevoli, non solo per la maggiore sostenibilità ambientale, ma anche per la possibilità di adempiere alle normative internazionali. Non © Luca Rondisolo, questo tipo di produzione sviluppa anche una cultura positiva relativa alla gestione comune degli ambienti, con i produttori che sono più spinti a collaborare per attività trasversali ma comunque utili come la produzione del compost o di repellenti bio. Ciò è accaduto lungo le sponde del fiume Bandama, dove col tempo è stata costruita una vera e propria biofabbrica. Un settore così altamente produttivo offre grandi opportunità anche nella trasformazione della materia prima, un modo per migliorare il mercato interno dato che al momento i prodotti derivati come il pain au chocolat o tavolette di cioccolato vengono quasi totalmente importati dalla Francia producendo un paradosso singolare; è l’esempio di Choco+ della Fondazione Gruppo Abele di Torino. Progetto che ha realizzato veri e propri laboratori di produzione a Grand Bassam che al giorno d’oggi produce circa duemila chilogrammi di cioccolato trasformato costruendo un sistema di produzione capace di sviluppare persino linee di cosmetici come burro di cacao, saponette e oli essenziali. Un sistema di filiera che non solo riesce a offrire opportunità lavorative di livello, ma che paga due euro al chilo il cacao, andando a migliorare la situazione anche delle aree rurali dove viene coltivato. Le iniziative biologiche e agroforestali, insieme ai progetti di trasformazione locale, rappresentano non solo un’ancora di salvezza per la biodiversità e per le comunità rurali, ma anche un modello di business che può rispondere alle esigenze di un mercato sempre più consapevole e esigente ma che soprattutto garantisce dei benefici che si estendono a tutta la filiera del cacao, da chi coltiva le fave a chi si delizia con il prodotto finito.
Dossier Mani Tese in collaborazione con Altreconomia