“ANTULA E’ GIOVANE!”, UN NUOVO PROGETTO IN GUINEA BISSAU PER L’INTEGRAZIONE DEI MIGRANTI DI RITORNO

Il 25 aprile abbiamo lanciato ufficialmente un nuovo progetto in Guinea Bissau. “Antula è jovem!” è un progetto finanziato dall’Unione Europea e gestito da IOM, che intende favorire la reintegrazione sociale ed economica dei migranti di ritorno sviluppando corsi di formazione d’informatica, attività culturali nell’ambito del teatro e della radio comunitaria e promuovendo la nascita […]

Il 25 aprile abbiamo lanciato ufficialmente un nuovo progetto in Guinea Bissau.

Antula è jovem!” è un progetto finanziato dall’Unione Europea e gestito da IOM, che intende favorire la reintegrazione sociale ed economica dei migranti di ritorno sviluppando corsi di formazione d’informatica, attività culturali nell’ambito del teatro e della radio comunitaria e promuovendo la nascita di due microimprese (panetteria e sartoria) dedicate ai giovani, che possano rappresentare fonti di sostentamento e valide alternative alla migrazione.

Alla cerimonia hanno partecipato diverse personalità fra cui la responsabile programma sviluppo rurale della UE, il direttore generale IOM Guinea Bissau, il rappresentante del Ministro dell’Agricoltura e del primo ministro e il rappresentante della FAO in Guinea Bissau. Oltre 200 le persone persone intervenute: rappresentanti della società civile guineense e internazionale, delle autorità locali, delle associazioni di base, e molti giovani e cittadini del quartiere di Antula.

Durante la giornata è stata inoltre inaugurata la sala di informatica del centro sociale di Antula che sarà sede dei corsi di formazione organizzati nell’ambito del progetto.

Scopri di più su “Antula è jovem!

Tavolo autorità mani tese 2017 guinea bissau
Il tavolo delle autorità

 

antula è giovane_mani tese_2017
Israel dos Santos (Rappresentante IOM), Piero Meda (Mani Tese), Carla Sorneta (Rappresentante UE)

 

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Teatro sulla migrazione

 

Inaugurazione sala informatica
Inaugurazione della sala di informatica da parte del direttore IOM della Guinea Bissau

 

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La sala di informatica dotata di 15 computer

GIUSTIZIA AMBIENTALE: CHE COS’È, COME SI OTTIENE, COSA PUOI FARE TU!

Recentemente Mani Tese ha promosso, insieme ad altri esperti, il portale Giustiziambientale.org, un sito che intende dare voce agli attivisti ambientali.   Ma che cos’è la giustizia ambientale? Mercoledi 10 maggio, presso il negozio PATAGONIA a Milano, cercheremo di capirlo insieme ad esperti di cooperazione internazionale, editori, ricercatori universitari e giornalisti attivi sul campo.   […]

Recentemente Mani Tese ha promosso, insieme ad altri esperti, il portale Giustiziambientale.org, un sito che intende dare voce agli attivisti ambientali.

 

Ma che cos’è la giustizia ambientale?
Mercoledi 10 maggio, presso il negozio PATAGONIA a Milano, cercheremo di capirlo insieme ad esperti di cooperazione internazionale, editori, ricercatori universitari e giornalisti attivi sul campo.

 

Di seguito la locandina. Cliccate sulla foto per scaricare la versione in PDF.

Giustizia_ambientale_mani_tese_10_maggio_2017

MISURARE LA RESILIENZA DEI COMUNI DELLA MARTESANA

Il “Territorial Resilient Index” è un sistema di rilevazione della resilienza dei territori che fornisce indicazioni sulle aree dove è più elevato il consumo di suolo. Uno strumento importante per effettuare scelte strategiche relative al settore agricolo, alla tutela degli spazi liberi e alle attività di partecipazione.   Durante la serata di Giovedì 4 maggio […]

Il “Territorial Resilient Index” è un sistema di rilevazione della resilienza dei territori che fornisce indicazioni sulle aree dove è più elevato il consumo di suolo. Uno strumento importante per effettuare scelte strategiche relative al settore agricolo, alla tutela degli spazi liberi e alle attività di partecipazione.

 

Durante la serata di Giovedì 4 maggio 2016, a Cernusco sul Naviglio, verranno presentati i risultati dell’applicazione dell’indice sul territorio della Martesana e sarà consegnato agli amministratori locali un “tool operativo” per valutare il livello di resilienza dei propri Comuni.

 

L’evento rientra nell’ambito del progetto Agroecologia in Martesana.

Clicca qui per scaricare il pdf.

Martesana_4 maggio_mani tese_2017

ANATHI: “LAVORAVO 6 GIORNI ALLA SETTIMANA PER 12 ORE AL GIORNO”

Il mio nome è Anathi* e ho 18 anni. Vengo da un villaggio del distretto Puthukottai in India. Quando ero piccola, vivevo come una normale bambina della mia età. Ero circondata dalla mia famiglia, andavo a scuola e avevo molti amici. La mia materia preferita era matematica. Da grande volevo diventare dottoressa. Mi piaceva giocare, […]

Il mio nome è Anathi* e ho 18 anni. Vengo da un villaggio del distretto Puthukottai in India.

Quando ero piccola, vivevo come una normale bambina della mia età. Ero circondata dalla mia famiglia, andavo a scuola e avevo molti amici. La mia materia preferita era matematica. Da grande volevo diventare dottoressa. Mi piaceva giocare, ballare e cantare. La mia famiglia non aveva molto, ma eravamo felici.

Quando avevo solo 15 anni, i miei genitori mi informarono che non avrei più continuato con la scuola. La mia famiglia aveva dei debiti da ripagare e aveva bisogno di più soldi. Piansi quando mio padre mi diede questa notizia. Non volevo smettere di andare a scuola ma, allo stesso tempo, non volevo che la mia famiglia soffrisse la povertà.

Mio padre aveva raccontato dei nostri problemi finanziari a un vicino, che gli ha parlato di lavori ben pagati per giovani donne e lo aveva messo in contatto con un agente del lavoro conosciuto nel nostro villaggio. L’agente disse a mio padre che avrei guadagnato molti soldi e che avrei avuto abbastanza denaro non solo per aiutare la mia famiglia a ripagare i prestiti, ma anche per far studiare la mia sorellina e mettere da parte qualcosa per il mio matrimonio.

Mi spaventai molto quando venni a sapere che avrei dovuto lavorare in una fabbrica e non sarei potuta tornare a casa ogni giorno a mangiare con la mia famiglia. Non avevo mai vissuto fuori dal mio villaggio. Mi confidai con la mia migliore amica, che aveva saputo di altre ragazze che avrebbero lavorato tramite accordo con l’agente. Sapendo che avrei avuto compagnia in quel nuovo luogo, smisi di sentirmi così male.
Tre settimane dopo partii per lavorare alla fabbrica. Fu molto triste per me salutare la mia famiglia e i miei amici e provai un grande dolore.

Quando arrivai alla fabbrica, mi dissero che avrei vissuto lì. C’erano molte ragazze della mia età e alcune sembravano più giovani di me. Fummo alloggiate in un ostello molto sporco. Non c’era un vero e proprio bagno né attrezzature da cucina pulite. Avrei voluto andarmene immediatamente. Il giorno seguente, incontrai i miei supervisori e mi fu chiesto di firmare il contratto, che non riuscii a capire con chiarezza ma firmai lo stesso su consiglio dell’agente di lavoro. Prima di arrivare alla fabbrica, l’agente mi aveva consigliato di firmare tutti i documenti perché significavano che avrei ricevuto cibo, alloggio e denaro.

Il lavoro in fabbrica era duro. Dovevo lavorare sei giorni a settimana per 12 ore al giorno. Una volta mi ammalai e non riuscii a lavorare. Il mio supervisore mi disse che sarei stata punita per non essermi presentata al lavoro e che non avrei potuto lasciare l’ostello per comprare le medicine. Rimasi malata per una settimana con mal di testa e febbre senza ricevere alcuna visita di un dottore.

Durante il primo anno di lavoro, mi fu concesso di visitare la mia famiglia solo un paio volte. Mia madre un giorno venne a trovarmi, ma fu mandata via.

Durante il secondo anno in fabbrica, continuai ad ammalarmi. Lavorare lunghe ore senza pausa mi faceva spesso stare male. Ogni volta che non mi presentavo a lavoro, il mio supervisore mi minacciava. Mi urlava contro e mi umiliava davanti a tutti. Presentati un reclamo formale, ma fu peggio. Il supervisore continuò ad essere prepotente picchiandomi se lavoravo troppo lentamente. Dopo che fui picchiata la prima volta, mi ripromisi che da quel giorno avrei sofferto in silenzio perché temevo per la mia sicurezza.

Una notte, in ostello, sentii una delle mie amiche piangere. Le chiesi il perché e lei mi disse che il nostro supervisore l’aveva violentata e pensava che non sarebbe più potuta tornare a casa perché avrebbe portato disonore alla sua famiglia. La convinsi ad andare a dormire e che avremmo deciso cosa fare la mattina successiva. Quella notte, la mia amica si uccise. Ero così piena di rabbia che urlai contro il supervisore, il quale mi colpì su tutto il corpo. Subii gravi lesioni e venni espulsa dalla fabbrica.

Quando tornai a casa, mio padre era deluso e anch’io ero delusa da me stessa perché non avevo né denaro né istruzione.
La mia famiglia era ancora in povertà.

Un giorno SAVE (ndr: Organizzazione non governativa con cui collabora Mani Tese) visitò il mio villaggio. Non conoscevo questa organizzazione ma venni a sapere che avrebbe organizzato un corso di formazione per giovani donne come me e chiesi loro di aiutarmi. Quando le persone di SAVE ascoltarono la mia storia, mi dissero che avrei potuto partecipare al programma di formazione professionale.
Grazie a loro, ho potuto imparare il mestiere di sarta e ora conosco i miei diritti di lavoratrice. Lavoro, guadagno il mio stipendio e non vengo maltrattata.

Ogni tanto mi dispiace per quello che mi è accaduto. Non avrei mai voluto iniziare a lavorare così giovane, ma sono contenta di avere ottenuto la possibilità di ricominciare da capo. Con i miei soldi posso aiutare la mia famiglia e adesso posso raccontare la mia esperienza alle altre ragazze del villaggio, affinché non si ritrovino anch’esse nella mia stessa situazione.

*I nomi usati in questa storia sono di fantasia per proteggere la privacy delle persone coinvolte.

ONG: LA POLITICA NON STRUMENTALIZZI CHI SALVA VITE UMANE

Condividiamo e diffondiamo di seguito il comunicato di AOI (di cui fa parte anche Mani Tese), CINI e Link2007 in merito alle recenti accuse di alcuni parlamentari e personaggi politici nei confronti delle Ong umanitarie.   Le Ong rispondono a testa alta alle accuse, continuando a salvare vite umane.   L’Associazione delle organizzazioni italiane di […]

Condividiamo e diffondiamo di seguito il comunicato di AOI (di cui fa parte anche Mani Tese), CINI e Link2007 in merito alle recenti accuse di alcuni parlamentari e personaggi politici nei confronti delle Ong umanitarie.

 

migranti_mani tese_2017

Le Ong rispondono a testa alta alle accuse,
continuando a salvare vite umane.

 

L’Associazione delle organizzazioni italiane di cooperazione e solidarietà internazionale “AOI”, il Coordinamento italiano delle ONG nternazionali “CINI”, “LINK 2007 Cooperazione in rete”, in rappresentanza delle Ong e Osc impegnate in cooperazione internazionale, aiuto umanitario e accoglienza di rifugiati e migranti, esprimono indignazione e condanna in merito alle gravi dichiarazioni e accuse di alcuni parlamentari e personaggi politici nei confronti delle Ong umanitarie che con navi private soccorrono in mare i naufraghi provenienti dalle coste libiche, vittime dei trafficanti.

 

In particolare ci riferiamo alle dichiarazioni dell’on.le Luigi di Maio, del M5S, Vice Presidente della Camera.
Sue le parole: “le organizzazioni non governative sono accusate di un fatto gravissimo, sia dai rapporti Frontex che dalla magistratura, di essere in combutta con i trafficanti di uomini, con gli scafisti, e addirittura, in un caso e in un rapporto, di aver trasportato criminali”. Egli definisce ‘ipocrita’ chi intende difenderle, dimostrando il grado di superficialità, ignoranza della realtà e strumentalizzazione che sta diffondendosi anche ai più alti livelli istituzionali.

 

Esprimiamo pubblicamente e con forza il nostro pieno sostegno alle Ong impegnate nei soccorsi in mare, che da qualche mese stanno subendo attacchi gravissimi e non giustificati per il solo fatto di salvare vite umane. Il presunto “ruolo oscuro” che viene genericamente loro addebitato dimostra la volontà di denigrare il mondo dell’umanitarismo, che per definizione agisce secondo i principi di umanità, imparzialità, non discriminazione, indipendenza.

 

L’aumento drammatico delle morti in mare e le migliaia di salvataggi a seguito dei naufragi dei barconi dei trafficanti – dovuti anche alla mancanza di canali regolari di ingresso in Europa – sono da alcuni ormai considerati una normalità e si rischia l’assuefazione a queste tragedie evitabili e alle sofferenze che esse comportano.

 

Ma c’è chi, nella società, nella politica e nei media non accetta questo tipo di “normalità” e non tollera il rumore sguaiato e grossolano di chi, senza avere alcuna visione, strategia politica e capacità propositiva, si rifiuta di guardare la realtà e di affrontarla salvaguardando i valori di umanità e solidarietà, che sono alla base della nostra convivenza. A loro facciamo appello, a livello governativo, politico, sociale, mediatico, perché si uniscano a noi nel reagire a questa deriva che colpevolizza ingiustamente e strumentalizza le Ong, invece di interrogarsi sulle responsabilità delle politiche europee in relazione alle morti in mare.

 

E’ di fronte al ritiro delle istituzioni, a politiche migratorie fallimentari e alle scelte prevalentemente securitarie e di corto respiro dell’Unione europea e degli Stati membri, che alcune Ong italiane ed europee si sono sentite in dovere di avviare nel Mediterraneo centrale attività di ricerca e soccorso di bambini, donne e uomini in balia delle onde e in grave pericolo di vita. Dando così fastidio a chi, pur di limitare gli arrivi, è disposto a chiudere gli occhi di fronte all’enorme tragedia umanitaria che, in definitiva, rappresenta il declino della nostra civiltà e dei suoi valori.
L’operato delle Ong, coordinato con i centri istituzionali operativi, non è purtroppo sufficiente per affrontare la tragedia del traffico di vite umane nel Mediterraneo occidentale, ma certamente ha contribuito e contribuisce in modo significativo a far sì che il numero di persone inermi in fuga da violenza, guerra e povertà non sia spaventosamente più ampio.

 

Nonostante le “notizie” di reati che vengono fatte circolare, finora nessuna Ong risulta essere stata accusata dalla magistratura. Qualora la magistratura stessa dovesse rilevare elementi a suo parere tali da procedere contro alcune, la nostra ferma richiesta è che venga fatta chiarezza al più presto. Ma con la medesima enfasi oggi chiediamo che cessi immediatamente ogni forma di generica denigrazione e diffamazione a mezzo stampa per pura strumentalizzazione politica. Le audizioni parlamentari in corso presso la Commissione Difesa del Senato stanno contribuendo a verificare l’operato delle singole Ong e chiarire eventuali equivoci ed escludere compromissioni delle organizzazioni umanitarie nei traffici di vite umane. Certamente l’Agenzia europea Frontex non ha mai definito ‘taxi del mare’ le imbarcazioni delle Ong, come invece l’on.le Di Maio ha scritto e detto in questi giorni.

 

Ricordiamo che anche l’operazione militare italiana di salvataggio “Mare Nostrum” è stata accusata nel settembre 2014 da Frontex di produrre un effetto di pull factor, inducendo indirettamente i trafficanti a portare sui gommoni un numero maggiore di persone nella certezza della loro ‘salvezza’ da parte delle navi militari italiane vicine alle acque libiche. Ma con la chiusura di “Mare Nostrum”, nel novembre dello stesso anno, le partenze sono continuate e perfino aumentate, contraddicendo oggettivamente la valutazione di Frontex. E’ la vicinanza dell’Europa il vero pull factor e le istituzioni politiche europee e italiane dovrebbero ben saperlo.

 

Le Ong impegnate nel soccorso in mare hanno più volte ribadito che non vi è, né potrebbe esserci, alcun interesse economico lucrativo nelle loro attività, rendendosi inoltre disponibili a qualsiasi controllo istituzionale in merito. Sono in mare per sopperire alla decisione di Frontex di “vigilare, non salvare”, operano in stretto raccordo con la nostra Guardia Costiera e le Capitanerie di porto, come confermato dal comando di Eunavfor Med.

 

Le loro attività di salvataggio sono realizzate con fondi privati, con il sostegno di fondazioni e attraverso libere donazioni di cittadini, senza finanziamenti pubblici. I vertici della Guardia di Finanza, ascoltati dalla Commissione Difesa del Senato, hanno poi negato l’esistenza all’oggi di prove di collegamenti fra Ong e organizzazioni che gestiscono il traffico di migranti, come invece si continua subdolamente ad affermare.

 

Nel nostro ruolo di rappresentanti di importanti reti di ONG e Organizzazioni della Società Civile, nel condannare la superficialità e la gravità delle citate affermazioni denigratorie delle attività umanitarie di ricerca e salvataggio delle Ong – oggi anche a livello di alte responsabilità istituzionali – ribadiamo l’esigenza che esse siano valutate dal Parlamento italiano: per la gratuità delle accuse che contengono e per la conseguente distorta informazione mediatica. Quest’ultima rischia di minare la fiducia dei cittadini e dei nostri stessi sostenitori in merito all’onestà, la trasparenza, l’efficacia degli interventi umanitari e di cooperazione internazionale, allontanando l’opinione pubblica dal ‘farsi protagonista’ della solidarietà attiva e della cooperazione per lo sviluppo dei Paesi più poveri, vero argine alle migrazioni della disperazione.

 

Silvia Stilli – Portavoce AOI
Antonio Raimondi – Portavoce CINI
Paolo Dieci – Presidente Link 2007

MOLTI ATTORI, MOLTE VIOLAZIONI NELLA LUNGA FILIERA DEL TESSILE

La filiera del tessile è complessa, con numerosi passaggi che vanno dalla coltivazione del cotone fino al confezionamento dei capi di abbigliamento. Questo contribuisce ad aumentare il rischio che al suo interno avvengano importanti violazioni di diritti umani, diritti del lavoro, diritti ambientali. L’elenco delle manifestazioni più eclatanti include lavoro forzato, peggiori forme di lavoro […]

La filiera del tessile è complessa, con numerosi passaggi che vanno dalla coltivazione del cotone fino al confezionamento dei capi di abbigliamento. Questo contribuisce ad aumentare il rischio che al suo interno avvengano importanti violazioni di diritti umani, diritti del lavoro, diritti ambientali. L’elenco delle manifestazioni più eclatanti include lavoro forzato, peggiori forme di lavoro minorile, mancato rispetto delle norme di base del diritto del lavoro, negazione delle libertà di associazione, discriminazione contro donne e migranti – e per quanto riguarda l’ambiente, utilizzo e smaltimento impropri delle acque e impiego di agenti chimici pericolosi.

Se i responsabili di queste violazioni sono molteplici, e includono in alcuni casi attori statali, sono sempre i lavoratori e le popolazioni delle zone in cui operano le imprese a pagarne le conseguenze. In passato l’attenzione tendeva a concentrarsi principalmente sulle fasi finali della filiera tessile, ma è evidente che la coltivazione e le fasi di filatura e tessitura non sono meno esposte a violazioni gravissime. Analogamente il concetto di responsabilità si è andato sempre più ampliando e articolando in concetti come liability, corporate social responsibility, due diligence.

Consapevoli della vulnerabilità della filiera tessile, e in linea con un più generale movimento internazionale che da tempo e con forza esige la tutela dei diritti umani rispetto agli interessi del business, sono andati moltiplicandosi gli sforzi per identificare e mitigare i rischi, e per monitorare e certificare processi e prodotti.

Complice anche una maggiore attenzione di consumatori e società civile, il business ha ideato nuove azioni per comunicare trasparenza e monitoraggio della filiera: iniziative di RSI, audit, ispezioni, programmi volontari di certificazione, monitoraggio e piani ampia-mente pubblicati di cambiamento e miglioramento. Non sono mancate le collaborazioni tra grandi multinazionali e i loro corrispettivi nel mondo delle organizzazioni non governative, per l’elaborazione di codici di condotta volontari, e per la limitazione dei danni e l’inclusione di categorie potenzialmente danneggiate dall’operato stesso del business.

Tuttavia molte di queste azioni hanno carattere volontario, sono pagate dalle stesse imprese, che possono scegliere discrezionalmente se e come accogliere critiche e suggerimenti. Seguire i soldi aiuta a comprendere le relazioni di potere. Se dunque non servono ad incidere in maniera significativa sulla realtà, se anche all’interno di catene produttive certificate e sottoposte ad audit possono avvenire tragedie immani come il crollo del Rana Plaza, il rischio è che siano solo rumore di fondo, conducendo a una situazione di responsabilità eccessivamente diffusa e diluita. E mentre si distoglie attenzione e pressione dai veri responsabili, deresponsabilizzando e disautorando stati ed entità sovranazionali, tutto, nel mondo reale, procede come prima: ‘business as usual’.

Mani Tese in India

L’industria tessile è tra le più antiche dell’India, e per il ruolo che ha assunto nei secoli, ha una rilevanza che trascende la sola sfera economica. Sfera economica che peraltro domina a pieno titolo: sebbene in leggerissima flessione nell’ultimo biennio, la produzione tessile rappresenta il 10% del totale della produzione manifatturiera, costituisce il 2% del PIL e rappresenta il 14% del totale delle esportazioni, con 45 milioni di persone impiegate direttamente nel settore, e 60 milioni impiegati indirettamente. A questi numeri occorre affiancare quelli relativi al cotone, principale coltura a valore economico del paese, e che vede impiegati direttamente poco meno di 6 milioni di contadini, e circa 50 milioni di persone impiegate in attività connesse alla lavorazione e al commercio del cotone.

Il Tamil Nadu, nel sud dell’India, è uno dei punti nevralgici soprattutto per quanto riguarda la lavorazione del cotone, ed è qui infatti che da oltre venti anni Mani Tese collabora con l’organizzazione non governativa SAVE. Sin da subito l’azione delle due organizzazioni si è concentrata sullo sfruttamento del lavoro minorile nell’industria tessile e del confezionamento, e con il mutare della situazione sul campo, è stato necessario ampliare non solo il campo dei beneficiari, ma anche degli interlocutori.

La forza lavoro impiegata, infatti, è ora composta prevalentemente da giovani e giovanissime donne, e da migranti provenienti dagli stati più poveri del nord del paese; entrambe categorie vulnerabili e vittime di gravissime violazioni che non sono peraltro occasionali, ma anzi strutturali e necessarie alle imprese per il raggiungimento di profitti sempre maggiori.

Le aziende per cui producono sono notissime multinazionali che qui commissionano l’intera produzione. Superate le campagne di boicottaggio e ‘name and shame’ a favore di un approccio multistakeholder, Mani Tese e SAVE continuano a essere impegnati in un effettivo e costante monitoraggio sul campo delle modalità di attuazione del business, in azioni di informazione e formazione della società civile e della popolazione locale, e in azioni di diretta assistenza alle lavoratrici e ai lavoratori vittime di violazioni. Particolare attenzione viene riservata ai casi più gravi di sfruttamento del lavoro minorile, e a pratiche illegali di reclutamento di lavoratrici nella maggior parte dei casi minorenni.

Quello che osserviamo è che la responsabilità della filiera tessile tende ad essere scaricata localmente. È necessario che oltre a un engagement delle aziende sul campo ci siano anche strumenti nazionali e internazionali che chiaramente indentifichino le responsabilità del mondo del business. Le legislazioni anti-schiavitù promulgate negli ultimi anni vanno in questa direzione, ma ad oggi paiono essere più efficaci nella formulazione che non nell’attuazione.

Quello che chiediamo è che il business sia ritenuto responsabile delle filiere produttive, e che i governi non si limitino a legiferare, ma promuovano e garantiscano anche il pieno ed effettivo rispetto di queste leggi.

Gli interessi economici non possono avere priorità sui diritti umani. Non si può accettare che la responsabilità di promuovere e proteggere questi diritti venga abdicata, né dagli stati, né dalle imprese, perché nessuno può più credere che la ricchezza prodotta dal basso possa non essere ripagata.

MOSTRA FOTOGRAFICA “DI SOLE E DI SABBIA. LE DONNE DEL MOZAMBICO”

Il 26 aprile, alle ore 17, nello spazio La Tenda di Modena verrà inaugurata la mostra fotografica “Di sole e di sabbia. Le donne del Mozambico” che resterà aperta fino al 3 maggio con ingresso gratuito. La mostra nasce all’interno del progetto Alfabetizzazione, formazione e diritti per lo sviluppo rurale in Zambézia – Mozambico realizzato […]

Il 26 aprile, alle ore 17, nello spazio La Tenda di Modena verrà inaugurata la mostra fotografica “Di sole e di sabbia. Le donne del Mozambico” che resterà aperta fino al 3 maggio con ingresso gratuito.

La mostra nasce all’interno del progetto Alfabetizzazione, formazione e diritti per lo sviluppo rurale in Zambézia – Mozambico realizzato da Mani Tese e Nexus Emilia-Romagna e co-finanziato dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Modena.

Gli scatti sono splendide immagini di vita quotidiana della fotoreporter Annalisa Vandelli. Ci mostrano uno squarcio di normalità scandita dal lavoro nei campi e al mercato, dai corsi di alfabetizzazione, dallo svago. In un attimo ci catapultano in una realtà estremamente diversa dalla nostra ma che pure permette di riconoscersi in un sorriso, una lieve malinconia o un desiderio di riscatto…Emozioni che appartengono a tutti.

Di seguito il programma dell’evento di inaugurazione della mostra (clicca sull’immagine per scaricare la versione in pdf):

ostra mozambico_mani tese_2017

INDUSTRIA, DANNO AMBIENTALE E DIRITTI UMANI: IL CASO ILVA DI TARANTO

Giovedì 27 aprile 2017, presso l’Università degli Studi di Milano, Mani Tese promuove un incontro pubblico organizzato nell’ambito del corso di Politica dell’ambiente sul caso Ilva insieme al Dipartimento di Beni Culturali e Ambientali e al Centro di ricerca “Sostenibilità e Human Security: agende di cooperazione e governance” dell’ Università degli Studi di Milano.   […]

Giovedì 27 aprile 2017, presso l’Università degli Studi di Milano, Mani Tese promuove un incontro pubblico organizzato nell’ambito del corso di Politica dell’ambiente sul caso Ilva insieme al Dipartimento di Beni Culturali e Ambientali e al Centro di ricerca “Sostenibilità e Human Security: agende di cooperazione e governance” dell’ Università degli Studi di Milano.

 

Interviene e modera Valerio Bini, Presidente di Mani Tese.

 

Evento Ilva_Mani Tese_2017