John Ngugi, collaboratore di Mani Tese in Kenya, ci racconta la sua storia: dalle origini alla sua esperienza in Italia fino al ritorno nella sua comunità.
di John Ngugi, collaboratore di Mani Tese in Kenya
Sono nato in un contesto umile. Divenuto orfano a 17 anni, ho dovuto lavorare duramente per mantenere i miei fratelli più piccoli. Mentre i miei compagni di classe studiavano, io lavoravo in una macelleria a Nairobi. Fu lì che scoprii la mia passione per la cucina, quando vidi che la maggior parte dei clienti preferiva il mio modo di preparare il cibo rispetto a quello degli altri chef.
Quando gli studenti dell’UNISG (University of Gastronomic Sciences) arrivarono in visita alla scuola secondaria di Njenga Karume, iniziai a interessarmi ai loro corsi e feci la conoscenza del referente dell’università.
In quel periodo il nostro Paese fu attraversato dalle violenze post-elezioni del 2007-2008 e Molo, la città in cui vivevo, ne divenne il teatro principale. Fummo così costretti a trasferirci per trovare un luogo sicuro. Nel mentre, inviai la mia candidatura all’UNISG, feci colloqui ed esami e, finalmente, vinsi una borsa di studio.
La mia esperienza in Italia fu emozionante. La vita a Bra mi sembrava troppo bella per essere vera. Provenivo infatti da una situazione di violenza, dove gli uomini si uccidevano gli uni con gli altri e il sangue era ormai divenuto la norma. Avevo appena compiuto diciannove anni e l’unica cosa che conoscevo era la fame.
Nel mio piccolo mondo avevo sempre immaginato diversi tipi di cibo e a Bra riuscii a realizzarli.
Per adattarmi alla vita in Italia dovetti lavorare su molti fronti. Come prima cosa, imparai una lingua con cui ogni persona sembrava cantare, accompagnata da molti gesti del corpo. Mi iscrissi a dei corsi di italiano, che però non furono facili. Tuttora pronunciare alcune sillabe mi riesce difficile. Decisi di concentrarmi sulle parole più usate, che ripetevo ogni notte ad alta voce nella mia stanza. Iniziai inoltre a interessarmi alla cucina italiana e a quella mediterranea. Fu lì che incominciai seriamente a pensare al mio futuro una volta rientrato nel mio Paese.
Ai corsi ci vennero dati molti libri alquanto corposi, la maggior parte dei quali di filosofia e scritti in italiano, cosa che mise in difficoltà gli studenti stranieri come me. Ma le esplorazioni sul campo, insieme alle interviste con diversi produttori, mi illuminarono su ciò che volevo fare veramente.
Sul volo di ritorno decisi di lavorare per la mia comunità con NECOFA e, successivamente, con Mani Tese.
Questo è il quinto anno che collaboro con loro in veste di partner locale.
Lavorare con la mia comunità per me è una passione. Grazie al mio lavoro, sono riuscito ad aiutare gli agricoltori, specie quelli nelle aree semi-aride, spingendoli ad abbandonare l’allevamento e a coltivare piantagioni.
Il desiderio di sperimentare in cucina mi ha inoltre portato a insegnare a mia moglie ‘la scienza in cucina e l’arte di mangiare bene’ che ho esteso alle comunità di Molo e Baringo.
La mia esperienza con Manitese mi ha permesso di denunciare i casi di ingiustizia ambientale nei confronti delle comunità indigene che vivono nella foresta di Mau.
Se penso al lavoro svolto, mi vengono in mente le facce sorridenti delle donne a cui è stato alleggerito il carico di legna da ardere o di quelle che sono riuscite a comprare una vitella da mungere grazie ai soldi ricavati dalla vendita di piante. Mi viene in mente lo sciopero evitato nelle scuole grazie al fatto che ora gli studenti possono votare i propri rappresentanti.
Penso agli agricoltori che possono finalmente accedere ai servizi e ai fondi del governo grazie ai nostri corsi di formazione.
Sono davvero felice di aver trovato un’associazione che si impegna per migliorare e dare autonomia alla comunità locale.
Sebbene i livelli di povertà siano ancora alti e ad alcuni agricoltori manchino i beni primari, per loro oggi non è più così difficile sperare e credere in un futuro migliore, anche grazie al mio esempio.
Avere l’opportunità di fare questo lavoro è un privilegio.
GUINEA BISSAU, INAUGURATA LA SALA D’INFORMATICA A GABÙ
Inaugurata la sala d’informatica del Centro Multifunzionale della Gioventù di Gabù nell’ambito del progetto “Ritorniamo per rimanere”.
Il 16 maggio è stata inaugurata la sala d’informatica del Centro Multifunzionale della Gioventù di Gabù, in Guinea Bissau. Il centro è tornato a essere funzionale grazie a una ristrutturazione prevista nell’ambito del progetto “No bin pa fika!” (“Ritorniamo per rimanere“) finanziato dall’Unione Europa e implementato dallo IOM (Organizzazione Internazionale per le Migrazioni) attraverso Mani Tese.
Obiettivo di questo nuovo progetto è quello di offrire ai giovani delle comunità residenti fonti di sostentamento che rappresentino valide alternative alla partenza e di promuovere l’integrazione dei migranti di ritorno attraverso la formazione e l’inserimento professionale.
A fine maggio dieci computer sono stati consegnati alla direzione del centro di Gabù per i primi corsi di informatica previsti dal progetto e destinati a 150 beneficiari, tra cui molti migranti di ritorno.
Auguriamo buona fortuna alla direzione del centro, che possa tornare a sviluppare tante attività per i giovani della regione di Gabù!
GIORNATA MONDIALE DELL’AMBIENTE: I “NOSTRI” REPORTER PER UN GIORNO
On line su Giustiziambientale.org tutti gli articoli che ci avete inviato in risposta alla call “Reporter ambientale per un giorno!”
In occasione della Giornata Mondiale dell’Ambiente, pubblichiamo sul sito Giustiziambientale.org, il portale dedicato all’attivismo ambientale promosso da Mani Tese insieme ad altri esperti, gli articoli che ci avete inviato in risposta alla nostra call “Reporter ambientale per un giorno!“.
Vi abbiamo chiesto di segnalarci casi di ingiustizia ambientale nel vostro territorio e ci avete inviato dei contributi davvero interessanti, non solo relativi all’Italia ma anche all’estero.
Nella sezione “Reporter per un giorno“, sul sito Giustiziambientale.org troverete contributi su vari temi, fra cui: territori inquinati da cemento e discariche abusive, effetti dell’inquinamento sulle condizioni sociali ed economiche delle comunità interessate, testimonianze di cittadini, riflessioni sull’economia circolare…
Nei prossimi giorni condivideremo sui social i vostri articoli, nel frattempo un caloroso “grazie” a tutti/e coloro che hanno partecipato! Il sito Giustiziambientale.org resta a disposizione di quanti vogliano inviare ulteriori articoli e approfondimenti su queste tematiche.
SOVRANITÀ ALIMENTARE: QUANDO ESSERE INDIPENDENTI SIGNIFICA ESSERE LIBERI
In Guinea Bissau i prezzi delle uova importate raddoppiano mentre quelli delle uova prodotte localmente grazie al nostro progetto restano invariati!
In Guinea Bissau, mentre i prezzi delle uova importate raddoppiano, quelli delle uova prodotte localmente dal centro di promozione avicola CEDAVES avviato da Mani Tese, per fortuna, restano invariati. Ad aprile il CEDAVES ha inoltre inaugurato un nuovo punto vendita, dove tutta la popolazione del quartiere di Antula di Bissau ha ora la possibilità di reperire a prezzi contenuti i prodotti locali del centro fra cui uova, pulcini, polli, mangimi e materiale vario per l’allevamento e l’agricoltura. Il negozio, alimentato esclusivamente da pannelli solari, sta già intraprendendo accordi con associazioni di produttori e ONG per diversificare e aumentare ancora di più la gamma di beni venduti.
“Essere indipendenti in termini alimentari significa essere liberi. Per questa ragione, vogliamo lavorare per l’autoproduzione e per la sovranità alimentare, che è oggi una delle priorità della Guinea Bissau”. È così che Alfredo Cà, il coordinatore locale del progetto promosso da Mani Tese in Guinea Bissau “Nó pui asas pa disinvolvimentu”, nel 2015 si presentava al documentario Guinendadi.
Alfredo è una di quelle persone che credono in quello che fanno, ci mettono tutto di sé e trasmettono grande energia. Coordina l’equipe che lavora nel CEDAVES e gli animatori sparsi sul territorio. Il suo lavoro però continua anche a casa, dove aiuta la moglie Paula nel coordinamento del loro pollaio famigliare che, partito con 25 galline, adesso ne conta più di 600. Il pollaio, dice Alfredo, serve per pagare l’università ai suoi quattro figli.
Alfredo è coerente con ciò che dice: a casa sua trovi solo cibo locale e non trovi mai lattine di bibite gasate. In Guinea Bissau viene chiamato “militante das galinhas” perché crede fermamente che il settore avicolo possa contribuire allo sviluppo della Guinea Bissau.
Il valore sociale della proiezione di Gall-Peters
di Stefano Lechiara È noto che tra la realtà e la sua rappresentazione vi è sempre un certo margine di volatilità. Un gap che dipende dai limiti dell’umano, dal mezzo che viene impiegato, dalle condizioni psicologiche dell’osservatore, dagli obiettivi che si intendono perseguire, siano essi espressi o reconditi. La realizzazione di una carta geografica non […]
di Stefano Lechiara
È noto che tra la realtà e la sua rappresentazione vi è sempre un certo margine di volatilità. Un gap che dipende dai limiti dell’umano, dal mezzo che viene impiegato, dalle condizioni psicologiche dell’osservatore, dagli obiettivi che si intendono perseguire, siano essi espressi o reconditi.
La realizzazione di una carta geografica non fa eccezione: non descrive la realtà, ma ce la racconta e, nel farlo, indugia su quei dettagli che può e vuole rappresentare.
Anche la mappa interattiva attraverso cui è possibile consultare le molteplici attività svolte nel mondo da Mani Tese ricade inevitabilmente sotto questa logica. Essa presenta una fisionomia inusuale, tale da farla risultare ai nostri occhi grossolana e fumettistica. Le proporzioni di grandezza e forma a cui siamo abituati saltano e le superfici delle terre emerse paiono deformate: alcune aree geografiche sembrano sovradimensionate e altre, di converso, risultano rimpicciolite, quasi “disidratate”.
Eppure una tale mappatura digitale è stata realizzata a partire da una specifica proiezione matematico-geometrica del nostro pianeta, nota come proiezione “Gall-Peters” o, semplicemente, “Carta di Peters”.
Proprio come ogni altra carta geografica, quella di Peters non è evidentemente esatta ma, a differenza di tutte le altre, la si può definire Giusta.
La carta in proiezione Peters presente sul sito di Mani Tese ritorna inoltre nelle attività di Educazione alla Cittadinanza Globale svolte dalla ONG. In questo contesto il planisfero concepito alla maniera di Peters gioca infatti un ruolo decisivo sia dal punto di vista scenico sia sotto il profilo argomentativo. Vale quindi la pena osservare le ragioni che hanno condotto Mani Tese all’adozione concettuale e, per certi versi, anche strategica di una tale prospettiva (non solo) cartografica del nostro pianeta.
Da Mercatore a Peters
La Carta di Peters vede la luce nel 1973. L’obiettivo dichiarato di chi ne ha voluto e curato la realizzazione – lo storico tedesco Arno Peters – è quello di rimpiazzare proprio quel modello classico così largamente utilizzato in quegli anni. Il modello tradizionale in questione, che vede l’Europa al centro del mondo, è stato disegnato nel 1569 da Geraldus Mercator, un cartografo fiammingo. Sorprendentemente, la maggior parte dei planisferi ancora oggi in circolazione, incluse le mappe interattive implementate sul sistema google maps, deriva proprio da quel prototipo cinquecentesco.
Quanto detto lascia scaturire alcune perplessità: qual è, tra le due, la carta corretta? Ancora, perché sussiste una certa discrezionalità nella scelta? A tutta prima si potrebbe rispondere che non esistono geografiche corrette; almeno non in assoluto, bensì solo in termini relativi.
Le carte di Mercatore e Peters sono entrambe per qualche verso corrette e, dunque, scorrette per qualche altro. La ragione di ciò va ricercata nella forma sferico-geodetica del nostro pianeta. Trasporre su una superficie piana e bidimensionale una forma geometrica ellissoidale implica sempre l’inevitabile distorsione delle sue peculiarità tridimensionali. Qualunque sistema o artifizio venga adottato nella trasposizione, cioè, il risultato sarà sempre un planisfero distorto e orfano di dettagli: mantenere determinate caratteristiche equivale a perderne certe altre. Il tutto dipende allora dalla scelta del cartografo che, in funzione dei propri obiettivi, dovrà stabilire cosa salvare e cosa sacrificare.
È sulla scorta di questi presupposti che si può, in parte, comprendere l’egemonia plurisecolare del planisfero di Mercatore. L’obiettivo del cartografo era quello di realizzare una mappa in grado di agevolare il tracciamento di rotte nautiche lungo le superfici terrestri. Per raggiungere tale scopo la terra viene suddivisa in una serie di linee rette orizzontali (paralleli) e verticali (meridiani Ogni parallelo – e in ciò risiede l’elemento di novità ed efficacia – è tracciato in modo da tagliare tutti i meridiani sullo stesso angolo (retto). In altre parole, meridiani e paralleli si incrociano sempre a 90°. Tale sofisticazione è in grado di generare un sistema di coordinate per la navigazione: tracciata una “lossodromica” (linea retta che taglia i meridiani) sarà possibile raggiungere una data destinazione mantenendo costante l’angolo sulla bussola.
Se un vantaggio immediato dovuto alla proprietà di isogonia della carta è l’estrema e sorprendente efficacia di un suo impiego in campo nautico, l’effetto collaterale che ne scaturisce consiste, però, nella duplice perdita di equidistanza ed equivalenza.
Come si può ricavare dall’immagine, i meridiani non sono tracciati in modo da essere confluenti ai poli (come nella realtà) bensì, al fine di garantire l’isogonia, restano tra loro paralleli. Il risultato è che in tanto dall’Equatore ci si dirige verso il Polo Nord, in quanto le terre rappresentate aumentano inverosimilmente la loro superficie: il gigantismo fasullo della Groenlandia ne è l’esempio più tangibile.
Se una siffatta discrepanza trova una prima giustificazione nella funzione tecnico-strumentale a cui la mappa deve assolvere, la severità della sproporzione rimanda, invece, a ragioni di carattere socio-culturale.
Per un navigatore del Cinquecento, che si approccia al “Nuovo Mondo” con il piglio di un predatore che va per terre sconosciute, intraprendere una traversata oceanica significa accettare l’incognita di approdi inaspettati. Il punto di partenza, però, deve rimanere sempre lo stesso: l’Europa. Il Vecchio Continente è più che un saldo punto di riferimento geografico. È anche un orizzonte valoriale incontaminabile, un paradigma rassicurante da difendere e, soprattutto, da esportare.
Sicuramente non immune da certe “presunzioni culturali”, invece di mantenere in posizione centrale l’Equatore, Mercatore sceglie di collocare graficamente l’Europa al centro della carta. L’Europa diventa così il punto che taglia in due esatte metà il globo, con l’inevitabile conseguenza di uno spostamento dell’Equatore più in basso.
Questa scelta si rivela determinante poiché contribuisce a rendere più drastica la distorsione delle proporzioni. Ne segue che tutte le aree dell’emisfero sud risultano ristrette, mentre tutte le aree collocate nell’emisfero nord risultano dilatate, ancor più di quanto già non lo siano a causa della proprietà isogonica della mappa.
È questo il motivo per cui se da un lato Groenlandia, Canada, Stati Uniti e Russia, ad esempio, ci appaiono erroneamente immensi, dall’altro Sud America, Africa e India risultano molto meno estesi di quanto non siano.
La Carta di Mercatore trionfa poiché, pur sacrificando l’esatta estensione delle aree, rispetta con grande accuratezza le forme di continenti e Paesi, quindi fornisce un reticolo di coordinate che si rivela ottimale per l’orientamento nautico. Non è tutto. Si potrebbe obiettare che tutto ciò non basti a giustificarne l’impiego anche in quei contesti che con l’ambito nautico non hanno nulla a che vedere. A meno di credere che l’obiettivo dell’istruzione scolastica sia la preparazione di una schiera di futuri marinai, non vediamo il perché Mercatore debba svettare, ad esempio, nelle classi di ogni ordine e grado in tutto il mondo.
La secolarizzazione di questa carta dipenderà dunque da ragioni più profonde. Lo sviluppo coerente di una tale intuizione si deve, prevalentemente, alla sensibilità e alla tenacia di Arno Peters, storico tedesco operante nella seconda metà dello scorso secolo.
Egli nota che la deformazione cartografica di Mercatore, che privilegia in termini di centralità e grandezza taluni Paesi a danno di altri, si sia progressivamente radicata proprio mentre, col passare del tempo, gli stessi Paesi che risultano graficamente ingigantiti intraprendono processi di conquista e sfruttamento a detrimento di quelli che, guarda caso, appaiono rimpiccioliti, isolati e, in qualche modo, in una posizione di implicita subalternità.
La fortuna della Carta di Mercatore, secondo Peters, rispecchia, in un primo momento, la concezione eurocentrica con cui si apre la “modernità”. Una cesura nella storia umana nella quale, peraltro, la scienza e la tecnica cominciano ad essere strumentali al diffondersi di una ideologia basata sul dominio dell’uomo sull’altro uomo e, parallelamente, degli uomini sulla natura. L’Europa pone sé stessa, ovvero la propria identità culturale e i propri bisogni, al centro del mondo. L’immagine geografica di un’Europa in posizione centrale con un Sud posto ai suoi piedi è pienamente sovrapponibile all’immagine storica di un’Europa imperialista che, con violenza e supponenza, piega al suo volere la periferia globale che la delimita: Sud America, Africa, Asia e, infine, tutti quei popoli che pur essendo a “nord”, sono però minoranze etniche di radice non europea.
Come spiega lo stesso Arno Peters, infatti, l’immagine eurocentrica si è dimostrata funzionale allo sfruttamento del “Terzo Mondo” da parte delle potenze industrializzate anche nell’epoca post-coloniale. Dacché «la lotta per sostituire la vecchia carta geografica si trasforma nella lotta contro l’ideologia dello sfruttamento», Peters pensa sia giunto il momento di realizzare una mappa che possa restituire al Sud globale quella dignità cartografica che gli spetta di diritto.
Nella Carta di Peters, come si può facilmente intuire, l’Equatore viene ad essere ricollocato al centrodel mondo cosicché possa finalmente tagliare in due metà eguali il pianeta. In secondo luogo, meridiani e paralleli vengono riconfigurati in modo tale che all’aumentare della latitudine la superficie delle aree rimanga costante, senza dilatarsi. Sul piano geografico le caratteristiche vantaggiose della sua proiezione sono molteplici: equidistanza; equivalenza; fedeltà all’asse terrestre; rappresentazione totale del pianeta senza necessità di operare tagli, giunture, duplicazioni; distribuzione omogenea delle inevitabili imperfezioni; colori distintivi per ogni continente e Paese.
La carta in proiezione Peters rende esattamente le proporzioni relative dei vari continenti, rispettando le dimensioni effettive e la loro distanza dall’Equatore. Non può però fare a meno di distorcerne le forme che, infatti, risultano alterate.
Malgrado questa intrinseca difficoltà, il lavoro di Peters ha una portata rivoluzionaria, non solo quando restituisce una prospettiva inedita del nostro mondo, ma soprattutto nel momento in cui sdogana una verità sino a quel momento sottaciuta: da Anassimandro sino ai giorni nostri, nessuna carta geografica può vantare pretese di oggettività scientifica o di neutralità sul piano ideologico.
Un secondo elemento di innovatività è dovuto alla capacita della nuova carta di denunciare le ambizioni propagandistiche che si celano dietro la vecchia carta.
Nell’immaginario collettivo si insinua l’irresistibile tentazione inconscia di credere che tanto più uno Stato sia esteso in grandezza quanto più sia importante e dunque che sia legittimo, quasi fisiologico, un suo ampliamento in termini politici ed economici. Nella concezione di Mercatore l’Europa è al centro ed il resto del mondo è considerato come l’estensione delle sue propaggini. Comparando la carta di Mercatore e quella in proiezione Peters ci rendiamo conto di come la centralità di certe aree e la loro relativa ampiezza siano una menzogna geografica. L’immagine che segue può aiutare a comprenderlo:
Dal confronto tra le due mappa scopriamo che: la Groenlandia, la cui area appariva grossomodo equivalente a quella dell’Africa si rivela, nella realtà, 14 volte più piccola; l’Europa non è più grande del Sud America dato che questo, con i suoi 17,8 milioni di km² è il doppio rispetto al Vecchio Continente (9,7 milioni km²); l’India, che in Mercatore appare molto meno estesa della Scandinavia si rivela essere tre volte più grande; l’Italia non è affatto più ampia della Somalia ma, in confronto, occupa la metà dello spazio; Il Brasile, da solo, è grande quanto gli USA.
Ci rendiamo così conto che a uscirne maggiormente danneggiata dalla predominanza storica della Carta di Mercatore è, probabilmente, l’Africa. Nella proiezione classica l’Africa appare, nella migliore delle ipotesi, di grandezza equivalente rispetto a quei continenti e Paesi che, storicamente, hanno fatto e continuano a fare della prima un bacino da cui attingere in risorse naturali e manodopera schiavista.
In ultima analisi, nell’esegesi di Peters, la Carta di Mercatore non è che un veicolo ideologico volto ad affermare, in modo subliminale, la pretesa superiorità di alcune Nazioni e così giustificarne la supremazia rispetto a quelle realtà meno “progredite”. Continenti e Paesi a sud del mondo risultano drasticamente ridotti in rapporto alla superficie e, in più, sono schiacciati verso il basso, quasi ad evocare una certa loro marginalità e subalternità.Ciò, potenzialmente, alimenta pregiudizi e favorisce la progressiva accettazione di una logica coloniale.
Nelle intensioni di Arno Peters, così, la diffusione di una nuova carta va di pari passo con la diffusione di una sensibilità volta ad affermare la parità di ogni popolo nell’acesso ai diritti, alla giustizia e alle possibilità di sviluppo. Sul piano socio-culturale, cioè, la Carta di Peters liquida il privilegio geopolitico di certe superpotenze e colloca sullo stesso piano Peasi industrializzati e Paesi in via di Sviluppo, accantonando ogni eventuale sponda geografica che possa alimentare dicotomie e disparità. Il retropensiero che si ricava osservando la Carta di Peters è che, infatti, non essendoci un singolo Paese al centro (ovvero la superpotenza di turno), nessun popolo può rivendicare esclusività ed importanza, ma tutti hanno pari dignità.
Il valore della proiezione di Gall-Peters nelle strategie di cooperazione allo sviluppo e di educazione di Mani Tese
Come si può intuire, le ragioni che hanno spinto Mani Tese all’acquisizione della prospettiva di Peters sono legate al potenziale trasformativo che questa sprigiona. Nonostante la sua ambizione cartografica stenti ancora oggi a decollare, anche a causa delle imprecisioni tecniche che la sua proiezione comporta, va riconosciuto che la lezione che vi sottende rimane attuale e, soprattutto, coerente con la nostra visione.
Sin dalla sua origine, avvenuta nel pieno del “boom economico” e della “Guerra Fredda”, Mani Tese ha immediatamente intuito la necessità di un cambio di passo ed ha quindi inteso profondere il suo impegno di giustizia verso l’equità, la concordia tra i popoli, la diffusione trasversale dei diritti, la tutela delle minoranze, la nonviolenza, il diritto specifico di tutti a “non rimanere indietro”, la sostenibilità umana e ambientale delle attività economiche.
Questa vocazione le ha permesso di strutturare la sua azione strategica in funzione di una Giustizia che ovunque venga promossa e applicata (società, economia, ambiente) sia intesa anzitutto come tensioneverso l’uguaglianza: tutti gli esseri umani, indipendentemente dalla loro collocazione geografica, meritano le stesse opportunità e, soprattutto, meritano di essere messi nella condizione di esercitare la propria autonomia in qualsiasi campo, senza dover dipendere da modelli “deformati” di sviluppo imposti dall’esterno o dall’alto.
Cooperare allo sviluppo significa, oggi più che mai, rendere sostanziale il modello equanime e paritario di convivenza umana predelineato da Peters nel suo planisfero. Significa altresì lottare contro il persistere di quella stessa logica di giustizia selettiva che vuole alcuni popoli in posizione di privilegio ed altri in condizione di subalternità e minorità. Significa, ancora, contrastare quelle dinamiche macro-economiche che, ancora oggi, sono compatibili con una visione di un mondo a due velocità di eurocentrica memoria. Peters esemplifica il nostro rifiuto rispetto ad una “ideologia dello sviluppo” che corre su binari prettamente economici e che, nel continuare a garantire una (falsa) prosperità ad uso e consumo dei soliti Paesi, danneggia fortemente minoranze etniche e comunità impoverite su cui scarica il costo ambientale, sociale ed umano della propria fuorviante idea di progresso.
Crediamo quindi che l’appello dello storico tedesco a considerare il mondo sotto una luce nuova sia non solo ancora valido ma addirittura urgente. Coltiviamo il suo monito quando, nei progetti di cooperazione allo sviluppo di cui ci facciamo carico, proprio in tre dei continenti a “Sud” del mondo: ci opponiamo alle schiavitù moderne cercando di prevenire quella spirale che conduce all’asservimento umano ai fini del profitto economico; diffondiamo pratiche virtuose connesse alla sovranità alimentare rinsaldando così i legami sociali delle comunità e gettando le basi per una loro progressiva emancipazione dal giogo imposto dai colossi internazionali; denunciamo il depauperamento delle risorse naturali di africani, sudamericani e asiatici, ed il conseguente accaparramento delle loro possibilità di sviluppo; cerchiamo di contrastare quelle dinamiche di povertà che avviluppano villaggi, disgregano le società e creano individui atomizzati costretti a intraprendere pericolose migrazioni con scarse prospettive di sopravvivenza.
Infine, la prospettiva di Peters non soltanto è qualcosa che graficamente esemplifica, accompagna o corrobora i processi di sviluppo che Mani Tese implementa nei tre continenti in cui opera. La carta di Peters è un paradigma da cui muovere per articolare un cambiamento che coinvolga, anzitutto, i nostri stessi stili di vita e, più in generale, il modo in cui noi “occidentali” percepiamo il mondo e vi agiamo di conseguenza. Nella visione di Mani Tese è strutturale la convinzione che tra cooperazione allo sviluppo ed educazione allo sviluppo vi sia un rapporto irrinunciabile, tale che un’attività non potrebbe essere pensata senza il supporto dell’altra. Per questo ci dedichiamo da sempre, al di “qua dell’Equatore”, ad attività di sensibilizzazione, campagne ed alla Educazione alla Cittadinanza Globale (ECG).
L’ECG consiste nella proposta di percorsi di apprendimento volti a trasmettere competenze trasversali di cittadinanza attiva. All’interno di questo filone di lavoro la Carta di Peters assume la dignità di uno strumento educativo impareggiabile. I processi di educazione “attiva”, nella nostra visione, non possono prescindere da una metodologia di stampo maieutico. I soggetti coinvolti sono cioè chiamati a compiere percorsi partecipativi e circolari che, una volta problematizzati gli aspetti più contraddittori connessi all’attualità, mirano a trasformare i partecipanti in attori del cambiamento. Il planisfero in proiezione Peters diventa qui uno strumento di straordinaria efficacia in quanto è in grado di assolvere a due funzioni complementari nel processo di stampo maieutico: in “negativo”, permette infatti di attuare un ribaltamento prospettico di quelle presunzioni eurocentriche sedimentatesi nelle nostre coscienze e, per ciò stesso, agevola in un secondo momento l’attivazione dei soggetti verso la costruzione di una società globalizzata nei diritti, solidale, inclusiva, aperta e sostenibile.
Molti percorsi educativi si svolgono all’interno della nostra sede nazionale in cui è presente una installazione didattica interattiva che, nell’alternare momenti di simulazione a giochi di gruppo, attività esplorative, dibattiti guidati e brainstorming, ha obiettivo di stimolare nei partecipanti non solo la “testa”, ma anche “cuore” e “mani”.
All’inizio di ogni percorso ludico-didattico i ragazzi che partecipano vengono invitati, dopo un giro di presentazioni, a sedersi in cerchio su un grande planisfero realizzato con pallet in legno e gli animatori che conducono l’attività chiedono ai ragazzi di osservarlo con particolare attenzione. Si tratta proprio del planisfero di Peters. A un primo sguardo sembra un classico planisfero appeso in tutte le classi italiane, ma piano piano alcuni iniziano a notare delle differenze: “l’Africa è al centro!”, “è troppo grossa!”, “la Groenlandia è troppo piccola in questa carta!”, “le forme dei continenti sono allungate!”. Si tratta della prima fase, quella del “ribaltamento”. Il planisfero su cui sono seduti, diviene un elemento chiave che, come si diceva, mette in luce le contraddizioni legate alla nostra percezione della Terra e la distanza tra tale percezione e la realtà. Nel prosieguo dell’attività è possibile riscontrare in che modo la carta geografica tradizionale abbia realmente contribuito a plasmare il modo con cui percepiamo il mondo in senso lato: il loro immaginario di adolescenti è colonizzato da modelli letterari, cinematografici, esistenziali prettamente eurocentrici o, comunque, “occidentalisti”. Scopriamo infatti sono pochi i ragazzi che sentono il desiderio di visitare uno stato africano, al contrario la maggior parte dei ragazzi esprime il desiderio di viaggiare in Nord America e non confonderebbe mai gli Stati Uniti con il Canada o con il Messico.
A questa prima fase, di ribaltamento prospettico, seguono le fasi di “scoperta” e “attivazione”. I ragazzi vengono pertanto invitati ad accantonare, per qualche ora, le loro abitudini, i loro stereotipi, le loro certezze. Si propone loro di considerare il mondo nella sua globalità e interdipendenza regionale. Sul planisfero vengono riprodotti gli squilibri nella distribuzione del cibo e della ricchezze. I partecipanti viaggiano così alla scoperta degli elementi naturali, prendono atto del fatto che l’iper-sfruttamento delle risorse naturali violenta la natura e danneggia intere popolazioni.
A chiusura del ciclo, vi è un momento in cui i ragazzi sono chiamati ad esprimersi sulle possibilità di trasformazione delle negatività a partire dal ripensamento di certi comportamenti individuali e sociali. Pensare al mondo nella sua globalità, alla maniera di Peters, significa essenzialmente raggiungere la consapevolezza che ogni scelta che compiamo ha un effetto, più o meno impattante, su scala globale. Ci si rende conto che i nostri consumi e stili di vita possono supportare indirettamente diffuse violazioni di diritti umani e ambientali ma, proprio per questo, possono essere ripensati e dunque dar luogo ad un mutamento qualitativo dei conflitti. Attraverso Peters quindi, i nostri percorsi mirano alla responsabilizzazione, a far sì che da parte del problema ognuno di noi possa divenire parte della soluzione. Basta adottare uno sguardo più ampio, generoso nella prospettiva e lungimirante nelle scelte.
Va detto che, purtroppo, ad aver compreso la portata educativa della prospettiva di Peters non sono ancora in molti. Solo di recente, in un articolo pubblicato sul The Guardian, si dà notizia del fatto che in tutte le scuole di Boston la Carta di Mercatore è stata rimpiazzata con quella di Peters.
LE DONNE DEL BENIN IN BURKINA FASO: UN INCONTRO FRA LE DUE NOSTRE EQUIPE
Il rappresentante di Mani Tese del Benin Achille Tepa in visita in Burkina Faso con una delegazione di donne produttrici e trasformatrici di manioca
Il mese scorso il rappresentante di Mani Tese del Benin,Achille Tepa, è venuto in vista in Burkina Faso con una delegazione di donne produttrici e trasformatrici di manioca e con due animatori. L’equipe del Benin ha potuto visitare le attività che realizziamo qui in Burkina (produzione orticola, conservazione della cipolla, applicazione di tecniche agroecologiche, microfinanza…) e di altri attori presenti sul territorio che si occupano di agroecologia.
Oltre al grande interesse che i visitatori hanno manifestato, c’è stato anche il piacere di ritrovarci ancora insieme (la maggior parte di noi si conosceva già) e di condividere questa nuova esperienza. Lo scambio è stato reciproco e arricchente per entrambe le equipe. Le produttrici di manioca beninesi, infatti, hanno portato dei prodotti realizzati da loro a base di manioca accolti con grande soddisfazione e l’incontro con il comitato di gestione della nostra Unione di produttori orticoli di Loumbila si è trasformato in un vero e proprio evento di degustazione, in cui le donne beninesi si sono mostrate veramente organizzate portando anche le stoviglie.
La missione si è conclusa con la soddisfazione generale per quanto realizzato e la speranza dei nostri visitatori di poterci accogliere un giorno non troppo lontano in Benin per farci conoscere anch’essi le loro attività.
REPORTER AMBIENTALE PER UN GIORNO!
Sei a conoscenza di episodi o casi di ingiustizia ambientale vicino a casa tua o nel tuo territorio? Raccontaceli in un articolo (corredato da foto) entro il 2 giugno. La tua storia verrà pubblicata sul sito www.giustiziambientale.org il 5 giugno, in occasione della Giornata Mondiale dell’Ambiente. Cosa aspetti? Diventa anche tu “reporter ambientale per un […]
Sei a conoscenza di episodi o casi di ingiustizia ambientale vicino a casa tua o nel tuo territorio?
Raccontaceli in un articolo (corredato da foto) entro il 2 giugno.
La tua storia verrà pubblicata sul sito www.giustiziambientale.org il 5 giugno, in occasione della Giornata Mondiale dell’Ambiente.
Cosa aspetti? Diventa anche tu “reporter ambientale per un giorno” e contribuisci al contrasto dello sfruttamento delle risorse naturali e alla tutela dei diritti umani!”
Mani Tese vuol dire anche mani sporche di terra e di fango, come quelle di Beatrice, Antonio e Giulio e degli abitanti della comunità di Lantinquin. Siamo ancora in Guatemala dove, nell’ambito del progetto SOBERANOS e grazie all’assistenza tecnica del Dipartimento di Gestione dei Sistemi Agrari, Alimentari e Forestali (GESAAF) dell’Università degli Studi di Firenze, […]
Mani Tese vuol dire anche mani sporche di terra e di fango, come quelle di Beatrice, Antonio e Giulio e degli abitanti della comunità di Lantinquin.
Siamo ancora in Guatemala dove, nell’ambito del progetto SOBERANOSe grazie all’assistenza tecnica del Dipartimento di Gestione dei Sistemi Agrari, Alimentari e Forestali (GESAAF) dell’Università degli Studi di Firenze, prosegue la riabilitazione e la costruzione di sistemi di raccolta di acqua piovana proveniente dai tetti delle abitazioni.
L’11 maggio è stato organizzato un “cantiere scuola” che ha visto come risultato la costruzione di un serbatoio costituito da un micro invaso scavato in terra adiacente all’abitazione. E’ stato realizzato lo scavo e con materiale locale, blocchi di adobe e argilla, si sono rialzati i bordi fino ad ottenere la sommità orizzontale. Il micro invaso ha forma di un tronco di piramide rovesciata con base minore di 2 x 0,7 m, maggiore di 3 x 2 m, profondità di 1 m e capienza di circa 4,000 litri.
L’impermeabilizzazione è stata ottenuta con un rivestimento in film doppio di polietilene nero, che sarà usato anche per la copertura. Sarà dotato inoltre di una recinzione con rete metallica per evitare l’ingresso di persone e animali.