CAMPAGNA “ERO STRANIERO”: ULTIMI GIORNI PER FIRMARE!

Il 15 ottobre si chiude la raccolta firme per la proposta di legge popolare della campagna Ero Straniero – L’umanità che fa bene.

di Martina Milos

Il 15 ottobre si chiude la raccolta firme per la proposta di legge popolare della campagna Ero Straniero – L’umanità che fa bene. Mancano meno di 2.000 firme per raggiungere le 50.000 necessarie a presentare la legge in Parlamento. L’obiettivo è ambizioso ma ormai è a portata di mano. Sarebbe un peccato lasciarsi sfuggire l’occasione, perché la campagna Ero Straniero porta avanti un’idea su cui, al netto delle strumentalizzazioni, potremmo essere tutti d’accordo: se vengono in Italia, gli immigrati devono lavorare e pagare le tasse.

Dalla piazza di Pontida al CARA di Mineo, tutti considerano il lavoro regolare un diritto-dovere imprescindibile e una condizione necessaria per la permanenza in Italia dei cittadini stranieri. Il problema è che la legge italiana distingue nettamente tra le vittime di guerre e persecuzioni, titolari di protezione internazionale, e i migranti economici, categoria a cui appartiene anche chi fugge da situazioni di estrema miseria. Per questi ultimi la legge Turco-Napolitano, poi modificata dalla Bossi-Fini, non prevede canali regolari di ingresso, né strumenti per regolarizzare la propria condizione dopo aver trovato lavoro. Le sanatorie grazie a cui negli anni passati molti immigrati hanno ottenuto il permesso di soggiorno erano misure straordinarie e l’ultima risale al 2012. Ad oggi l’unica via percorribile per chi non può vantare un conflitto o una dittatura nel suo Paese è quella che comincia con un “viaggio della speranza” e finisce, se tutto va bene, con la clandestinità in Italia.

Un clandestino, o irregolare come sarebbe meglio dire, non può essere assunto con un contratto regolare. Lavorerà in nero, non pagherà tasse e farà concorrenza alla manodopera non qualificata italiana, perché un irregolare costa meno ed è più ricattabile anche di un italiano povero.

La proposta di Ero Straniero è semplice: istituire un permesso di soggiorno temporaneo per ricerca di lavoro, che permetta ai cittadini extracomunitari di arrivare in Italia per vie sicure e rimanerci fino a un anno cercando un’occupazione. In caso di successo questo tipo di permesso dovrebbe potersi convertire nel permesso di soggiorno ordinario per motivi lavorativi, altrimenti al termine del periodo previsto il migrante dovrebbe lasciare il territorio nazionale. La permanenza e il viaggio sarebbero totalmente a carico suo o di un eventuale “sponsor”, quindi non graverebbe sul sistema di accoglienza.

Contemporaneamente si propone la regolarizzazione dei cittadini extracomunitari irregolari che possano dimostrare di essere ormai radicati in Italia. Seguono una serie di proposte che riguardano l’integrazione dei richiedenti asilo attraverso programmi di formazione e occupazione, l’accesso effettivo ai servizi sanitari per gli immigrati di qualsiasi status giuridico e alcune misure per estendere l’accesso ai servizi sociali per gli immigrati regolari. Ci sono poi l’elettorato attivo e passivo nelle elezioni amministrative per i titolari di un permesso per soggiornanti di lungo periodo e, immancabilmente, l’abolizione definitiva del reato di clandestinità.

Nel complesso, l’adozione di queste norme rappresenterebbe un cambio di rotta nella politica di gestione dell’immigrazione, dal paradigma securitario al paradigma dell’inclusione. Non comporterebbe un aumento esponenziale dei flussi né un rischio in termini di sicurezza, perché renderebbe più facile controllare gli ingressi e contribuirebbe a eliminare quelle sacche di emarginazione e povertà da cui la criminalità attinge le sue risorse. Non costituirebbe una spesa, anzi garantirebbe nuove entrate per il precario sistema previdenziale italiano.

Infine, migliaia di persone non sarebbero indotte a rischiare la vita in mare o in Libia o nel Sahara, o in qualsiasi altro luogo in cui i trafficanti dettano legge e i diritti umani sono parola vuota: anche senza i vantaggi precedenti, è già un ottimo motivo per andare a firmare.

GIORNATA DELL’INSEGNANTE: QUALE LEZIONE PER OGGI?

di Valeria Schiavoni, Formatrice di Mani Tese Oggi è la Giornata Mondiale dell’Insegnante, stabilita dall’Unesco a partire dal 1994 per mobilitare il supporto a favore di questa professione e per assicurare che l’insegnamento vada incontro ai bisogni delle future generazioni. Quest’anno ha questo slogan: “Teaching in Freedom, Empowering Teachers”. Un film, The Teacher, del regista […]

di Valeria Schiavoni, Formatrice di Mani Tese

Oggi è la Giornata Mondiale dell’Insegnante, stabilita dall’Unesco a partire dal 1994 per mobilitare il supporto a favore di questa professione e per assicurare che l’insegnamento vada incontro ai bisogni delle future generazioni. Quest’anno ha questo slogan: “Teaching in Freedom, Empowering Teachers”.

Un film, The Teacher, del regista ceco Hrebejk, mette al centro della pellicola proprio questo mestiere. Cosa ci può raccontare di utile la pellicola in un giorno come questo?

Maria Drazdechová, la protagonista del film, è a dir poco la peggior insegnante che potreste trovare il vostro primo giorno di scuola: arrivista, vendicativa, poco interessata alla formazione degli alunni quanto ossessivamente concentrata sul proprio benessere. Esemplificativa la frase con cui si apre il film: “ora leggerò i vostri nomi, ognuno si alzerà in piedi e dirà ad alta voce qual è il lavoro di mamma e papà”.

Nel film gli alunni sono incollati ai banchi di scuola senza poter dimostrare la loro effettiva preparazione, in attesa che i genitori prestino i propri servigi alla professoressa. Dietro all’apparenza leziosa e alle sue gonne colorate, l’insegnante ricatta adulti e ragazzi per buoni voti, in cambio di dolci, acconciature, riparazioni di mobili e pulizie di casa. Grazie alla spinta della Dirigente scolastica questa sceneggiatura vacillerà: i genitori verranno chiamati a prendere posizione in merito alla professoressa, mostrandosi così complici del sistema corrotto o coraggiosi di operare un cambiamento profondo.

Il mondo dei ragazzi è speculare a quello degli adulti, nel quale si ricalca lo stesso immobilismo sociale, dovuto alla paura di mettersi contro la docente perché vedova di un alto ufficiale comunista. Siamo, infatti, nella Bratislava del 1983. La pellicola mostra un conservatorismo scolastico che imita a pieno regime quello sociale e politico nel quale l’opportunismo e la pavidità diventano la norma. Allo stesso tempo, suggerisce che questo immobilismo possa essere rotto proprio a partire da quella dimensione dell’imparare, carica di possibilità, da cui si può trarre coraggio per modificare lo status quo.

Questa quindi una possibile chiave di lettura del film che invita a pensarci ancora tutti sui banchi di scuola, ad esplorare diversi modelli d’insegnamento, ben lungi da quelli che si presentano come rigido mantenimento delle etichette sociali. È un invito a credere nel potere trasformativo dell’apprendimento, là dove l’insegnante è colui che accoglie le sfide del nostro tempo ed, insieme agli studenti, si impegna affinché si possa andare incontro a quel cambio di paradigma necessario per creare un mondo più giusto, sostenibile e pacifico.

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COSÌ IL BUSINESS DETTA LE REGOLE ALLA POLITICA

di ELIAS GEROVASI, responsabile Progettazione e Partenariati di Mani Tese NELL’UNIONE EUROPEA LE LOBBY SONO 9772, IPERATTIVE SOPRATTUTTO NEL SETTORE ENERGETICO, TECNOLOGICO E BANCARIO. GLI INCONTRI CON L’ESECUTIVO UE SONO 7000 ALL’ANNO E NEL 75% DEI C ASI RIGUARDANO LA GRANDE INDUSTRIA. INTANTO A LIVELLO GLOBALE NON ESISTONO ANCORA REGOLAMENTAZIONI VINCOLANTI. Se volessimo dare una […]

di ELIAS GEROVASI, responsabile Progettazione e Partenariati di Mani Tese

NELL’UNIONE EUROPEA LE LOBBY SONO 9772, IPERATTIVE SOPRATTUTTO NEL SETTORE ENERGETICO, TECNOLOGICO E BANCARIO. GLI INCONTRI CON L’ESECUTIVO UE SONO 7000 ALL’ANNO E NEL 75% DEI C ASI RIGUARDANO LA GRANDE INDUSTRIA. INTANTO A LIVELLO GLOBALE NON ESISTONO ANCORA REGOLAMENTAZIONI VINCOLANTI.

Se volessimo dare una definizione neutra di lobbismo, potremmo indicarlo in termini generali come “l’insieme delle tattiche e strategie con le quali i rappresentanti dei gruppi di interesse (i lobbisti) cercano di influenzare a beneficio dei gruppi rappresentati la formazione ed attuazione delle politiche pubbliche”.

Nonostante una pessima reputazione presso l’opinione pubblica, si tratta di un’attività del tutto lecita se non addirittura auspicabile. Il lobbismo infatti non è patrimonio esclusivo dei poteri occulti e viene praticato quotidianamente da organizzazioni di diversa natura, come ad esempio le società di consulenza in materia di affari pubblici, gli studi legali, le ONG, i centri di studi, le aziende o le associazioni di categoria.

Eppure c’è chi sostiene che il lobbismo, soprattutto quello esercitato dal mondo business, abbia cambiato per sempre la politica, le sue dinamiche, il suo reale potere. Se un tempo le lobby reagivano a specifiche sollecitazioni, spesso quando venivano toccati direttamente gli interessi di una certa categoria, oggi esercitano un’azione onnipresente e proattiva nei confronti della politica. Il modo in cui le grandi corporation e le aziende interagiscono con i governi (nazionali e sovranazionali) non si limita più a proteggere gli spazi del business; oggi il mondo profit cerca nei governi un partner da coinvolgere a 360° alla ricerca di un’interazione sistemica tra business e politica.

Un esempio concreto è l’iperattivismo delle corporation transnazionali sulle istituzioni comunitarie, unico fenomeno osservabile con una certa evidenza grazie alla costituzione del Registro europeo dei lobbisti, che si riferisce sia alla Commissione Europea che all’Europarlamento. Le lobby presenti a Bruxelles sono più di 9000, in un anno gli incontri tenutisi tra l’esecutivo UE e le lobby sono stati oltre 7000 e nel 75% dei casi si è trattato di incontri con rappresentanti della grande industria. Il registro permette alle organizzazioni di classificarsi in sei macro categorie: società di consulenza, lobbisti interni di aziende, organizzazioni non governative, centri studi, comunità religiose e amministrazioni locali. Oltre la metà (51,07%) delle 9.772 organizzazioni registrate rientra nella seconda categoria: lobbisti interni e associazioni di categoria, commerciali e professionali.

Secondo i dati del registro, i settori di business più presenti nelle istituzioni attraverso i propri lobbisti sono quello energetico (petrolifero), tecnologico (internet) e bancario. Nella classifica sempre aggiornata da Transparency international, a investire milioni in lobbying sono le grandi corporation come Google, Airbus, Microsoft, Unicredit, IBM, Deutsche Telekom, Facebook, ecc. Tra i nomi italiani i più presenti sono stati Confindustria, Enel, Eni. In generale il tema forte delle lobby italiane è quello energetico tanto che in classifica ci sono anche Edison, Snam e Terna.

Un recente rapporto sulle lobby in Italia e in Europa, pubblicato da OpenPolis, dipinge un quadro ancora poco trasparente dell’attività dei cosiddetti portatori d’interesse in 22 Stati UE su 27. In assenza di interventi legislativi, nel 31% dei Paesi sono stati avviati percorsi di autoregolamentazione. L’Italia è ferma ad alcune prime sperimentazioni. Nel 2016 la giunta per il regolamento di Montecitorio ha approvato la Regolamentazione dell’attività di rappresentanza di interessi nella Camera dei deputati. A inizio settembre dello stesso anno, il ministro per lo Sviluppo economico ha lanciato un registro per la trasparenza dello stesso MISE che conta ad oggi poco più di 500 soggetti. Nel frattempo si sta muovendo anche il Parlamento, con alcune proposte di legge che andrebbero verso l’introduzione di un registro obbligatorio.

A livello internazionale il problema dell’influenza crescente delle lobby delle multinazionali è ben nota già dalla fine degli anni ‘70 quando le Nazioni Unite istituirono un apposito gruppo di studio per monitorare i tentativi di pressione del mondo business. Uno dei casi più documentati fu quello legato alle aziende produttrici di tabacco che hanno operato per molti anni con il deliberato proposito di sovvertire gli sforzi dell’OMS per regolamentare l’uso del tabacco.

A partire dagli anni ‘80 il fronte dei diritti umani è sicuramente quello su cui le corporation hanno concentrato il loro massimo sforzo, da quando di fatto si è aperto il dibattito internazionale sugli strumenti giuridicamente vincolanti per regolamentare le imprese transnazionali.

Uno dei più grandi risultati ottenuti dalle lobby del business contro l’introduzione di regolamentazioni internazionali vincolanti per le aziende in sede Nazioni Unite è stato messo a segno in occasione della Conferenza delle Nazioni Unite su Ambiente e Sviluppo (UNCED) – il ‘Summit della Terra’ – tenutasi a Rio de Janeiro nel 1992. Lo UNCTC aveva elaborato un serie di raccomandazioni sulle “società transnazionali e lo sviluppo sostenibile” da inserire nel programma d’azione dell’Agenda 21. Ma una coalizione di governi occidentali e lobbisti aziendali è riuscita a ottenere che questo capitolo sulla responsabilità ambientale delle imprese transnazionali fosse rimosso in blocco dall’ordine del giorno della conferenza.

Quella dimostrazione di forza del lobbismo globale segnò un punto di svolta anche nelle ambizioni delle stesse Nazioni Unite in materia di business e diritti umani. L’influenza delle multinazionali infatti è aumentata in modo significativo con l’arrivo di Kofi Annan al Segretariato generale dell’ONU nel 1997. Fu proprio Annan con la sua partecipazione al World Economic Forum di Davos a segnare la transizione “from regulation to partnership” chiamando a raccolta 25 alti dirigenti aziendali, compresi i rappresentanti di Coca-Cola, Unilever, Mc- Donalds, Goldman Sachs e British American Tobacco. Pochi anni dopo sempre a Davos fu lo stesso Kofi Annan a lanciare il Global Compact, un’iniziativa globale che ha spostato l’attenzione sui valori e l’apprendimento comune, piuttosto che sulle regole e sul diritto. Nel suo discorso di presentazione non mancò di sottolineare quanto fossero state forti e tenaci le pressioni dei gruppi d’interesse sui tentativi di regolamentazione delle aziende transnazionali in materia di violazione dei diritti umani.

Articolo comparso sul Giornale di Mani Tese di maggio 2017

GIORNATA MONDIALE DELL’ALIMENTAZIONE: MANGIA, DONA, AMA!

Il 16 ottobre si celebra la Giornata Mondiale dell’Alimentazione.
Festeggiala con noi e partecipa alla nostra campagna “MANGIA, DONA, AMA”

Il 16 ottobre si celebra la Giornata Mondiale dell’Alimentazione.
Festeggiala con noi e partecipa alla nostra campagna “MANGIA, DONA, AMA“: potrai aiutarci a sostenere i nostri progetti in Guinea Bissau organizzando cene, aperitivi, show cooking, corsi di cucina o un qualsiasi evento conviviale, che diventerà un’occasione per garantire cibo equo, sano e sostenibile per tutti!
I fondi raccolti grazie alla tua iniziativa andranno a sostegno dei nostri progetti in Guinea Bissau per lo sviluppo rurale e la sovranità alimentare.

Scopri tutti i modi in cui puoi aiutarci:
https://manitese.it/cosa-puoi-fare-tu/mangia-dona-ama/

#MangiaDonaAma #GiornataAlimentazione2017 #WorldFoodDay2017

MANGIA DONA AMA_MANI TESE_2017

ACHILLE TEPA CANDIDATO AL PREMIO VOLONTARIATO FOCSIV!

Achille Tepa è un uomo straordinario che lavora con noi da diversi anni in #Benin ed è candidato al PREMIO DEL VOLONTARIATO INTERNAZIONALE 2017 di Focsiv!

“Ho lasciato volontariamente la funzione pubblica per lavorare a Mani Tese dal gennaio 1992 e sono stato nominato rappresentante del Benin il 1 agosto 1995. Certo, la proposta di lavorare per Mani Tese mi era stata fatta da Silvano Orlandi (ex Presidente), ma la decisione di accettare l’incarico abbandonando la funzione pubblica è stata una scelta personale molto rischiosa all’epoca.
Oggi, sono felice di ciò che posso fare per il mio paese grazie a Mani Tese.”

Achille Tepa è un uomo straordinario che lavora con noi da diversi anni e sta facendo tantissimo per il suo popolo in #Benin. Crediamo meriti davvero di vincere il PREMIO DEL VOLONTARIATO INTERNAZIONALE 2017 di Focsiv, a cui è candidato.

Se volete votarlo, ecco come fare:

COME VOTARE:
1. Registrati sul sito http://premiodelvolontariato.focsiv.it/it o accedi se hai già un account
2. Scegli ACHILLE YOTTO TEPA nella sezione Volontari del Sud
3. VOTA e invita i tuoi amici a fare lo stesso

Leggi la scheda di Achille e guarda il video della sua candidatura!

 

achille tepa_mani tese_2017

SFRUTTA ZERO, I POMODORI CHE COMBATTONO LE NUOVE SCHIAVITÙ

Quando arriviamo per la conferenza stampa, alla Masseria Boncuri tira un’aria da momento importante, silenziosa e sospesa. I ragazzi dell’Associazione Diritti a Sud chiacchierano nel portico con i migranti come hanno sempre fatto in questi mesi, ma non c’è troppa voglia di ridere o scherzare. La presidentessa Rosa Vaglio ci accoglie comunque con un sorriso […]

Quando arriviamo per la conferenza stampa, alla Masseria Boncuri tira un’aria da momento importante, silenziosa e sospesa. I ragazzi dell’Associazione Diritti a Sud chiacchierano nel portico con i migranti come hanno sempre fatto in questi mesi, ma non c’è troppa voglia di ridere o scherzare.

La presidentessa Rosa Vaglio ci accoglie comunque con un sorriso e ci guida all’interno. L’ingresso è tappezzato di cartelli con le regole e gli orari della casa, scritti in diverse lingue.

Da Novembre 2016, quando è stata riaperta, la struttura ospita 16 persone, quelle rimaste nelle campagne intorno a Nardò (in provincia di Lecce) dopo la chiusura della tendopoli dei lavoratori stagionali a fine settembre. In realtà, ci spiega Rosa, in 7 mesi ne sono state accolte molte di più, almeno una quarantina, grazie al lavoro dei volontari che hanno abitato fianco a fianco con gli accolti garantendo la propria presenza ventiquattr’ore su ventiquattro. Del resto Boncuri non è un posto qualunque. Le masserie sono nate come strutture legate al sistema del latifondo per ospitare contadini e braccianti stagionali, e molte di esse mantengono la loro funzione originaria. Solo che quelli che riempiono d’estate i campi del sud Italia oggi sono soprattutto migranti che arrivano per lavorare a qualsiasi condizione, diventando facile preda di forme di sfruttamento, e in alcuni casi di schiavitù. Fu proprio Boncuri il luogo simbolo dello sciopero dei braccianti del 2011, guidato da Yvan Sagnet, che portò l’attenzione dei media italiani sul fenomeno e segnò l’inizio di un lungo percorso fino alla legge contro il caporalato dell’Ottobre 2016.

Al piano terra, nel salone di fianco alle cucine, è stato allestito lo spazio per accogliere pubblico e giornalisti. Diritti a Sud ha convocato la conferenza stampa insieme al Consiglio italiano per i Rifugiati (CIR) per spiegare le ragioni della decisione di non proseguire nella gestione della struttura. Nei 7 mesi di gestione, affermano, l’amministrazione li ha lasciati soli, provvedendo solo in minima parte al sostegno delle necessità economiche di gestione a cui si è aggiunto un inverno inaspettatamente rigido, che ha visto perfino la neve cadere nel Leccese. Ma più di ogni altra cosa brucia la mancanza di progettualità, la situazione di provvisorietà continua che determina il verificarsi ogni anno dello stesso rituale di sfruttamento, delle stesse emergenze, degli stessi interventi straordinari.

“Con la fine del Ramadan, a partire dall’ultima settimana di Giugno il grosso degli stagionali arriverà come ogni anno per lavorare nei campi”, dice Angelo Cleopazzo, vicepresidente dell’associazione. “Nonostante le proposte che abbiamo portato al tavolo territoriale per l’accoglienza dei lavoratori stagionali non è stato fatto nulla per scongiurare il ripetersi di un’emergenza che si potrebbe e dovrebbe ampiamente prevedere”. È questo più di ogni altro il motivo che ha spinto Diritti a Sud a lasciare la gestione della masseria Boncuri.

“Ma ciò non significa che staremo con le mani in mano”, continua Angelo. “Il nostro unico riferimento sono le persone, e ad esse continuiamo a rivolgerci. È dal 2009 che siamo presenti a fianco dei migranti e continueremo a fornire assistenza e accompagnamento anche fuori dalla masseria, come sempre”.

Ma i ragazzi si Diritti a Sud non si fermano a questo: da qualche anno hanno in progetto di andare oltre l’accoglienza e l’assistenza e partire dal punto chiave, il lavoro. “L’idea ci è arrivata un paio di anni fa grazie agli amici dell’associazione Nezanet-Solidaria di Bari” racconta Rosa. “Vogliamo produrre passata di pomodoro tramite una filiera pulita, dalla semina alla trasformazione e la vendita. Siamo partiti nel 2015 con 2.500 bottiglie di passata di alta qualità senza sfruttamento del lavoro e lo scorso siamo arrivati a 13.000 bottiglie”.

L’idea ha preso forma con il progetto Sfrutta Zero, che si basa su un principio semplice: dimostrare che è possibile creare occasioni di lavoro dignitose senza distinzioni tra migranti, contadini e giovani precari, in un luogo dove la disoccupazione giovanile supera abbondantemente il 40%. E così i ragazzi di Diritti a Sud si sono organizzati, hanno affittato un terreno e hanno piantato le prime piantine finanziando l’avvio dell’attività tramite il crowdfunding. Mentre ci accompagnano al campo, più di un ettaro quest’anno, la soddisfazione e l’orgoglio sono evidenti. A comporre i filari ci sono 15.000 piantine di pomodoro Penny, più 2.500 di Fiaschetto e Regina. La produzione è portata avanti con il supporto di un agronomo che coordina il gruppo che segue i lavori agricoli, applicando metodi naturali. Altri si occupano di distribuzione e logistica, altri ancora di commercializzazione e vendita. Il risultato è un prodotto che da simbolo del caporalato può diventare simbolo di emancipazione, un messaggio molto potente vista l’attenzione mediatica sul tema.

La forza comunicativa di un pomodoro pulito e controcorrente sembra riflettersi positivamente sui circuiti di vendita. Il marchio Sfrutta Zero distribuisce le proprie passate su tutto il territorio nazionale, sfruttando le reti di acquisto eticamente orientate già esistenti. A differenza di altri progetti che mettono al centro l’agricoltura come strumento di coesione sociale, Diritti a Sud vende meno sul territorio locale e più in giro per l’Italia, dove si propone come buona pratica di cambiamento. Assieme al pomodoro la gente acquista anche la sua storia, testimoniata dai volti che compaiono sulle etichette e dai video postati sui social.

Un messaggio positivo, di attivazione e di proposta, riconosciuto nel 2017 a Diritti a Sud e al progetto Sfrutta Zero dal Premio Internazionale all’impegno sociale “Rosario Livatino – Antonino Saetta – Gaetano Costa”, uno dei più importanti premi antimafia che sostiene “l’impegno dei cittadini onesti, che quotidianamente operano per assicurare la civile convivenza”.

Articolo comparso su BioEcoGeo di agosto/settembre 2017

“L’ORDINE DELLE COSE”, IL FILM SUI MIGRANTI E CHI LAVORA PER FERMARLI

Andrea Segre si cimenta in una narrazione introspettiva che esplora il punto di vista dei funzionari inviati in Libia a negoziare con le autorità locali

di Martina Milos

La questione della collaborazione tra Italia e Libia per chiudere la rotta del Mediterraneo centrale è stata un punto cruciale del dibattito estivo sulla gestione dei flussi migratori: l’uscita nelle sale de “L’ordine delle cose” di Andrea Segre non poteva capitare in un momento più adatto. Da anni impegnato nel racconto delle migrazioni, questa volta il regista si cimenta in una narrazione introspettiva che esplora il punto di vista dei funzionari inviati in Libia a negoziare con le autorità locali.

Attraverso gli occhi di Corrado, poliziotto specializzato in missioni internazionali, lo spettatore scopre una Libia fuori controllo, in cui il potere è conteso tra una manciata di uomini forti in lotta tra loro e i più deboli diventano fonte di guadagno attraverso estorsioni e lavoro forzato. È la Libia di cui già parlava il dossier ONU del dicembre 2016 e su cui continua a concentrarsi l’attenzione di numerose ONG e osservatori internazionali. Andrea Segre la ricostruisce basandosi sui racconti di centinaia di sopravvissuti (alcuni dei quali recitano nel ruolo dei prigionieri di un centro di detenzione) e sulla documentazione raccolta dal collega Khalifa Abo Khraisse, anch’egli attore nel film, che da anni lavora come giornalista per documentare le condizioni dei migranti in Libia.

Di fronte alle palesi violazioni dei diritti umani con cui è costretto a confrontarsi, il protagonista mantiene un atteggiamento distaccato e professionale, ma l’equilibrio raggiunto in anni di esperienza vacilla davanti alla richiesta d’aiuto di una giovane migrante somala. Dal momento in cui al “flusso” da fermare si sostituiscono un volto e una storia, per Corrado l’accettazione pragmatica dell’ordine delle cose cede il passo ad una dolorosa riflessione sui limiti del compromesso etico su cui si basa la legittimità della sua missione.

Il 7 settembre, giorno in cui il film è stato presentato al Festival di Venezia, il presidente di Medici Senza Frontiere Internazionale ha scritto una lettera aperta ai capi di stato e di governo europei, che conclude chiedendo al Presidente del Consiglio italiano se le violenze che i migranti subiscono in Libia siano davvero il prezzo che, per fermare i flussi, i governi europei sono disposti a pagare. “L’ordine delle cose” pone allo spettatore la stessa domanda, offrendo spunti per cercare insieme una risposta diversa di quella che finora di fatto abbiamo dato.

PRESENTATI A MILANO I RISULTATI DEL PROGETTO SOBERANOS IN GUATEMALA

Durante il V Convegno del Coordinamento Universitario Cooperazione allo Sviluppo (CUCS), Giulio Castelli e Beatrice Laurita hanno presentato in un pannello esplicativo il lavoro realizzato dal Dipartimento di Gestione dei Sistemi Agrari, Alimentari e Forestali (GESAAF) dell’Università degli Studi di Firenze nell’ambito del progetto SOBERANOS “Diritto al cibo per i contadini del Corredor Seco,  Regione […]

Durante il V Convegno del Coordinamento Universitario Cooperazione allo Sviluppo (CUCS), Giulio Castelli e Beatrice Laurita hanno presentato in un pannello esplicativo il lavoro realizzato dal Dipartimento di Gestione dei Sistemi Agrari, Alimentari e Forestali (GESAAF) dell’Università degli Studi di Firenze nell’ambito del progetto SOBERANOS “Diritto al cibo per i contadini del Corredor Seco,  Regione Occidentale in Guatemala”, in partenariato con Mani Tese

In particolare, il progetto Soberanos mira alla promozione di una gestione sostenibile della risorsa idrica, anche attraverso l’installazione di sistemi di raccolta dell’acqua piovana.

Nella prima fase del progetto, nel 2014, 34 famiglie beneficiarie, situate nelle comunità di Rodeo e Muyurcò (municipi di Jocotan), sono state oggetto della costruzione di strutture per la raccolta di acqua piovana da tetto; l’acqua viene convogliata in invasi scavati nel terreno e portata agli orti familiari per mezzo di pompe EMAS. Queste ultime sono strumenti molto semplici e a bassissimo costo, facili da realizzare e da mantenere, costruiti con materiali reperibili in loco e pertanto assolutamente sostenibili.

Durante la seconda fase del progetto, dal 26 aprile al 15 maggio 2017, è stata effettuata la diagnostica delle strutture di raccolta dell’acqua piovana precedentemente costruite. Si è, quindi, proceduto con la realizzazione di un cantiere scuola per la costruzione di una cisterna migliorata: la struttura è stata fabbricata con un coronamento di adobe, mattoni di terra cruda prodotti dalla comunità locale di Lantinquin, rivestita con un’intonacatura in argilla e successivamente impermeabilizzata con un telo di polietilene. Si è inoltre realizzato un workshop per la costruzione di una pompa EMAS nella comunità Dos Quebradas.

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