La filiera amara della canna da zucchero

Leggi e scopri il nuovo dossier sulle condizioni di lavoro e vita dei lavoratori della canna da zucchero in Nicaragua e Guatemala

di  Federica Alfano, Chiara K. Cattaneo, Claudia Zaninelli, Raùl Zecca Castel

Lo zucchero oggi rappresenta uno dei beni di consumo quotidiano più richiesti e diffusi su scala globale.  Il suo consumo è più che raddoppiato dagli anni ’60 al 2009, ed è prevista una crescita costante nei prossimi anni. Al momento si aggira intorno ai 25 kg annui pro capite, ma i paesi sviluppati superano addirittura i 40 kg, come nel caso americano. Un italiano medio ne consuma circa 27 kg all’anno, pari a 70 gr giornalieri, cifra che comunque supera del 50% il limite massimo consigliato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità.

Sempre più studi clinici riconoscono l’eccessivo consumo di zucchero come fattore di rischio non solo rispetto alle patologie metaboliche, ma anche per quelle cardiache e tumorali.

Risulta attualmente meno noto e problematico a livello pubblico il discorso sulle modalità di produzione dello zucchero, in particolare per quanto riguarda le condizioni di lavoro e le gravi violazioni che si verificano all’interno della filiera, che includono forme di lavoro forzato, minorile, sottopagato e insicuro, abusi e violenze, nonché fenomeni di accaparramento e contaminazione di terre e acqua.

Il dossier La filiera amara della canna da zucchero analizza la filiera della canna da zucchero, che sempre più terre, lavoratori e denaro è andata interessando in tutto il mondo negli ultimi decenni. L’ampliarsi delle terre destinate a questa coltivazione è proporzionale all’aumento di livelli di malnutrizione, con l’agricoltura famigliare e quella destinata al consumo locale fortemente penalizzate, e con la diffusione di fenomeni come il land grabbing che accentrano ulteriormente la proprietà della terra. Inoltre risultano notevoli danni all’ambiente dovuti sia all’impoverimento progressivo del suolo e alla perdita di biodiversità, sia alla contaminazione del terreno e delle risorse idriche a causa dell’uso massiccio di fertilizzanti e diserbanti chimici.

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La filiera della canna da zucchero

 

All’interno della filiera della canna da zucchero emerge una forte frammentazione e precarizzazione del lavoro. Attraverso un sistema di subappalti informali, la manodopera viene ingaggiata da terzi a seconda della necessità del momento. Questo sistema penalizza ulteriormente i lavoratori, costretti a lavorare in condizioni precarie dal punto di vista della sicurezza nel breve, medio e lungo termine. Si segnalano fenomeni gravi come impiego del lavoro minorile e la violazione dei diritti dei lavoratori.

Abbiamo scelto di studiare con maggiore attenzione, anche sul campo, la filiera della canna da zucchero in due paesi centroamericani – Guatemala e Nicaragua – due casi esemplificativi delle gravi conseguenze che la filiera della canna da zucchero può produrre sia sulle risorse umane sia sulla questione della terra.

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I Paesi analizzati nel dossier

 

La coltivazione della canna da zucchero in Guatemala ha assunto un’importanza enorme per l’economia nazionale, fino a trasformare il paese nel principale produttore ed esportatore di zucchero della regione e uno dei quattro esportatori principali su scala mondiale. La manodopera bracciante impiegata nel settore è costituita quasi al 90% da popolazione indigena. Sono emersi rapporti di lavoro non contrattualizzati e sommersi, salari al di sotto dei minimi legali, negazione dei diritti sindacali, sfruttamento di lavoro minorile e casi di land grabbing con impatti fortemente negativi sulle popolazioni e l’ambiente.

Il Nicaragua si è posto al centro di recenti attenzioni internazionali a causa della significativa incidenza che la patologia di Insufficienza Renale Cronica Per Cause Non Tradizionali (IRCnT) registra nelle aree agricole e in particolare tra i lavoratori delle piantagioni di canna da zucchero. Per quanto sia stata classificata come una malattia multifattoriale, il mondo accademico e della medicina a livello internazionale concorda sul ruolo predominante dell’utilizzo massiccio di agrochimici impiegati nella coltivazione della canna da zucchero, e nelle condizioni di lavoro dei braccianti.

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Le cause della “Nefropatia mesoamericana”: tutti fattori legati alle condizioni di lavoro

 

Nello scegliere questi due paesi Mani Tese ha inteso però anche proseguire una relazione nata rispettivamente nel 1969 in Guatemala e nel 1973 in Nicaragua e che nei decenni si è concretizzata nel sostegno a organizzazioni e movimenti della società civile locale su diversi fronti: dall’acqua alla terra, dal sostegno all’imprenditoria agricola alla valorizzazione della medicina tradizionale, a fianco delle comunità indigene e delle vittime di violenza politica.

La filiera della canna da zucchero e lo sfruttamento del lavoro minorile nella sua coltivazione in Brasile sono stati al centro dell’impegno di Mani Tese durante la Global March Against Child Labour. Nel 1998 ONG, associazioni di lavoratori e altre realtà della società civile hanno deciso di lanciare una campagna internazionale per la difesa dei diritti dei minori, e per richiamare l’attenzione di opinione pubblica e istituzioni sul problema dello sfruttamento del lavoro minorile; la marcia ha attraversato 90 paesi, per arrivare a Ginevra e contribuire all’adozione della Convenzione ILO 182 sulle peggiori forme di sfruttamento del lavoro minorile. Mani Tese è stata coordinatrice europea della campagna, svolgendo un’azione di lobby politica, di sensibilizzazione dell’opinione pubblica e contemporaneamente di promozione di progetti di cooperazione a tutela dell’infanzia e contro lo sfruttamento del lavoro minorile.

All’interno di questo progetto si è inserita, nel 1998, la pubblicazione del fumetto “Lo zucchero amaro di Carlos José” su diverse filiere produttive che sfruttano il lavoro minorile. In particolare la storia di Carlos José tratta dello sfruttamento nella filiera della canna da zucchero in Brasile e il mancato accesso alla terra per i contadini. Questa azione di sensibilizzazione racconta per immagini il lavoro e l’importante partenariato tra Mani Tese e il movimento politico Sem Terra che si batteva per la riforma agraria.

L’impegno di Mani Tese

Se da un lato è necessario acquisire e promuovere consapevolezza sulle molteplici violazioni che avvengono all’interno della filiera della canna da zucchero, auspicando azioni che la rendano più sostenibile dal punto di vista ambientale e umano, occorre anche tenere presente che queste criticità non possono essere affrontate e risolte con un approccio monotematico.

Il ruolo del business è sicuramente centrale nella complessa sfida di rendere più trasparente e sostenibile la filiera della canna da zucchero, così come devono esserlo la consapevolezza e sensibilità dei consumatori nel domandare che lo zucchero che utilizzano sia prodotto nel pineo rispetto della legislazione che tutela lavoro e ambiente.

Occorre tuttavia ricordare il ruolo preminente che possono e devono ricoprire le istituzioni politiche nazionali e internazionali nell’esigere che la libertà di impresa sia vincolata al rispetto dei diritti umani, e che tale responsabilità ricada sugli attori del business.

Mani Tese ha scelto di operare sui seguenti tre livelli: diversi, complementari, e tutti necessari.

In Nicaragua è impegnata nella prevenzione e nel miglioramento delle cure per i lavoratori malati di Insufficienza Renale Cronica, e della popolazione a rischio di contrarre la malattia. Partner locale è il Centro de Investigacion de Salud, Trabajo y Ambiente (CISTA), della Facoltà di Scienze Mediche dell’Università Nazionale Autonoma del Nicaragua-Leon (UNAN), i cui ricercatori sono impegnati nell’analisi della letteratura internazionale in materia, integrandola con interviste e dati raccolti sul campo. Attraverso il coinvolgimento di leader informali e autorità locali competenti, si è avviato un processo per l’elaborazione e adozione di strategie comuni per affrontare la malattia con l’obiettivo ultimo di farla riconoscere come patologia professionale e produrre norme atte a prevenirne l’ulteriore diffusione.

In Guatemala da più di 10 anni, Mani Tese sostiene diversi movimenti sociali e contadini, tra cui la Coordinadora Nacional Indígena y Campesina (CONIC), che si occupano di sovranità alimentare e accesso alla terra, promuovendo il recupero di tecniche e produzioni locali tradizionali, l’educazione nutrizionale e il rafforzamento delle loro capacità di ingaggio con le autorità locali.

In Italia Mani Tese realizza la campagna di sensibilizzazione “i  exist – say no to modern slavery”, per informare e sensibilizzare i cittadini e le istituzioni sulle diverse manifestazioni delle forme moderne di schiavitù – in particolare il lavoro minorile, il traffico di esseri umani e lo sfruttamento del lavoro nelle filiere. Parallelamente abbiamo di recente promosso un Coordinamento strategico nazionale di associazioni, accademici e Ong (tra queste Amnesty International, Fondazione Finanza Etica, Action Aid, Focsiv e Cospe) con l’obiettivo di incidere su due processi determinanti sul fronte “business & human rights”: il Piano di Azione Nazionale sui Principi Guida dell’ONU su Imprese e Diritti Umani e i negoziati in corso a Ginevra, Consiglio ONU per i Diritti Umani, per un “Trattato vincolante per le società transnazionali ed altre imprese in tema di diritti umani”.

A livello europeo, Mani Tese è infine membro attivo di due importanti network, accreditati presso la Commissione e il Parlamento Europeo: l’European Coalition for Corporate Justice (ECCJ) e la Copenhagen Initiative for Central America and Mexico (CIFCA). ECCJ si batte sin dalla sua fondazione, avvenuta nel 2006, per rendere le imprese legalmente responsabili delle proprie filiere di produzione e fornitura globali e per dare accesso ai tribunali europei alle vittime di abusi commessi da imprese europee in paesi terzi. CIFCA ha come focus il monitoraggio degli accordi politici e commerciali tra l’Unione Europea e l’America Latina e del loro impatto in termini di giustizia sociale e ambientale.

Se l’obiettivo di una filiera della canna da zucchero sostenibile e rispettosa dei diritti è indubbiamente ambizioso, rimane pur sempre un obiettivo raggiungibile attraverso strategie e azioni che sappiano attivare i singoli cittadini, la società civile organizzata, le istituzioni e gli operatori di impresa più sensibili, e riescano a convogliare sforzi e sguardi nella direzione di un sistema economico e produttivo più equo e, in ultima istanza, un mondo più giusto.

 

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LA CONDIZIONE DEI MINORI VITTIME DI TRATTA: NUMERI E SFIDE

Un convegno organizzato da Mani Tese, F4CR network, Comune di Milano, ChiAmaMilano che si terrà a Milano il 26 ottobre

F4CR network organizza – con la collaborazione di Mani Tese, Casa dei diritti del Comune di Milano e ChiAmaMilano – per il 26 ottobre 2017 il Convegno “LA CONDIZIONE DEI MINORI VITTIME DI TRATTA: NUMERI E SFIDE.
Il convegno – caratterizzato da una formazione multidisciplinare – si rivolge a studenti, laureati e professionisti che nutrono interesse per la tematica.

Fra i relatori ci sarà anche Chiara Cattaneo, Program Manager Area Advocacy, ECM e Campagne di Mani Tese che parlerà dell’intervento di Mani Tese e della campagna “I exist – say no to modern slavery”.

Di seguito la locandina con il programma:

LA CONDIZIONE DEI MINORI VITTIME DI TRATTA_mani tese_26_10_2017

10 fatti sull’agricoltura contadina in Europa

Una panoramica del mondo contadino europeo e delle piccole aziende che producono quel cibo buono, sano e sostenibile che cerchiamo ogni giorno

Per prepararci alla Giornata Mondiale dell’Alimentazione (16 Ottobre) proponiamo un approfondimento tematico sull’agricoltura contadina in Europa tramite 10 Fatti che ci restituiscono una panoramica del mondo contadino europeo e della situazione in cui versano le piccole e medie aziende impegnate nel produrre quotidianamente quel cibo buono, sano e sostenibile che il consumatore italiano va sempre più cercando.

1. Quanti contadini ci sono in Europa e quanta terra lavorano?

In Europa sono impegnate nel lavoro agricolo 25 milioni di persone. La maggioranza sono piccoli contadini. Questo si può dedurre dal fatto che delle 12.248.000 aziende agricole, solo il 3% sono quelle che si estendono per più di 100 ettari. Questa minoranza controlla il 50% del territorio agricolo europeo lasciando il restante 50% in condivisione tra tutte le altre aziende che rappresentano il 97% del totale (e non superano i 10 ettari ciascuna).

2. Piccoli agricoltori nutrono gli abitanti dell’Europa

Pur possedendo una superficie arabile tra il 30 al 50% di quella totale, i produttori di piccola scala forniscono l’89% degli alimenti consumati dalla popolazione europea. Lo dimostrano i dati di Eurostat da cui, tra l’altro, si deduce che in 21 Paesi dell’UE le aziende contadine hanno un Margine di Contribuzione Lordo (differenza tra i ricavi totali della produzione ed i costi degli input agricoli) più alto per ettaro rispetto alle aziende agricole industriali.

3. Le piccole aziende agricole creano occupazione

Nei 28 Paesi dell’Unione Europea, le aziende agricole sopra i 100 ettari generano solo il 5% dell’occupazione nel settore agricolo. Prendendo come esempio il comparto del latte, un’azienda di larga scala ha bisogno di 1.9 unità di forza lavoro per produrre 1 milione di litri di latte. Nell’economia basata sull’agricoltura contadina la stessa quantità viene prodotta con 3.3 unità. Questo esemplifica l’efficienza nella creazione di posti di lavoro dell’agricoltura contadina tramite piccoli investimenti di capitale.

4. L’agricoltura contadina basata sull’agroecologia usa molte meno risorse

Le piccole aziende agricole sfruttano proporzionalmente meno combustibili fossili sia nella produzione che nella distribuzione. Per produrre per esempio un 1kg di carne si usano 8.800 chilocalorie in una piccola azienda agricola mentre più di 10.000 in un’azienda agricola di stampo industriale.
I metodi di allevamento di bovini nutriti a foraggio consumano il 50% in meno di energia fossile rispetto ai metodi di allevamento che prevedono bovini nutriti in modo convenzionale”.

5. Le politiche pubbliche sono a beneficio dell’Agrobusiness e dell’esportazione

La Politica Agricola Comune (PAC) è una delle più importanti politiche pubbliche in Europa. La PAC del 2014-2020 ammonta a 400 miliardi e rappresenta il 40% circa del budget europeo. Eppure il modello corrente è chiaramente sbilanciato nella distribuzione di questi aiuti economici. I più grandi beneficiari della PAC sono infatti i grandi proprietari terrieri ed i BIG dell’agrobusiness, non le aziende contadine. Nel 2011, per esempio, le più grandi aziende agricole (1,5% del totale) hanno ricevuto 1/3 dei sussidi della PAC.

6. Chi sono i perdenti rispetto ai sussidi pubblici?

Si è verificato un graduale cambiamento nei sussidi della PAC: dai sussidi dati per incentivare la produzione di un determinato prodotto ai sussidi forniti all’agricoltura indipendentemente dalla tipologia di produzione che l’agricoltore porti avanti. Gli aiuti (ossia i “pagamenti diretti”) vengono in questo modo slegati da come i terreni agricoli vengono utilizzati e distribuiti in base alla sola superfice agricola utilizzabile (SAU). Questo cambiamento va di pari passo con il drammatico fenomeno di concentrazione della terra nella mani di poche grandi aziende.

7. I contadini stanno scomparendo e la terra si sta concentrando nelle mani di pochi

Nel periodo tra il 2000 ed il 2012, in Europa sono scomparsi 4.8 milioni di lavoratori full-time nel settore agricolo. L’Europa ha perso 1/3 delle piccole aziende agricole dal 2003 (12 milioni di aziende agricole) al 2013 (8 Milioni di aziende agricole). Inoltre, la terra è sempre più utilizzata per pratiche non agricole come l’urbanizzazione, l’industria estrattiva, la produzione di petrolio e di gas, gli investimenti sull’energia rinnovabile, i trasporti, il turismo, i centri commerciali e così via.

8. Crolla il reddito dei piccoli, sale alle stelle il profitto dei grandi

I margini di guadagno del settore agricolo sono stati usurpati dalle industrie degli input agricoli (sementi, fertilizzanti, pesticidi etc.) e dalla grande distribuzione organizzata. Considerando l’arco di tempo tra il 2000 ed il 2016 i prezzi per gli input agricoli sono cresciuti più del doppio rispetto ai prezzi pagati agli agricoltori per i loro prodotti. Se prendiamo per esempio in esame un’azienda tedesca di stampo industriale notiamo che del ricavo avuto da 100 Kg di cereali prodotti, il corrispondente 75% è stato usato per pagare le industrie degli input agricoli. Questa dipendenza dagli input industriali non garantisce una sostenibilità economica dell’azienda agricola, avendo al contrario l’effetto strutturale di renderla fragile e poco autonoma.

9. Lavoratori stipendiati, migranti, donne e giovani sono tra coloro che sono maggiormente colpiti dalle politiche agricole dominanti

I lavoratori stipendiati rappresentano una parte importante del settore agricolo e dovrebbero essere considerati come produttori di cibo a tutti gli effetti. Ogni anno, il settore agricolo dell’Unione Europea dà occupazione ad almeno mezzo milione di lavoratori stagionali provenienti dai Paesi esterni all’Unione Europea. Tra di essi, le donne svolgono un ruolo importantissimo: pur essendo parte di quella forza lavoro, possiedono meno del 22% delle proprietà agricole. Allo stesso modo, prendendo in esame il caso italiano per quanto riguarda il settore agricolo e la componente migrante dei lavoratori, vengono impiegati intorno ai 430.000 lavoratori ogni anno tramite un’intermediazione illecita (caporali), dei quali almeno un quarto è vittima di gravi forme di sfruttamento. La grande maggioranza proviene dall’Africa, dall’Est Europa, dai Balcani, dall’India e dal Pakistan.

10. Contro queste tendenze, i contadini e i loro alleati stanno combattendo in ogni parte d’Europa

Nel 1969, Sicco Mansholt, Commissario Europeo dell’Agricoltura e pioniere della PAC, lanciando il piano di modernizzazione dell’agricoltura europea, predisse che le piccole aziende agricole sarebbero presto scomparse. Nel 2017, i contadini d’Europa sono uniti senza distinzione di classi, razza, genere, attraverso le frontiere. Queste nuove convergenze tra persone implicano una compenetrazione delle questioni agrarie, lavorative, ambientali e politiche, e stanno facendo nascere nuove forme di lotta e solidarietà in ogni parte d’Europa e del mondo.

Mani Tese appoggia e sostiene la mobilitazione di Via Campesina e del suo Coordinamento europeo.

Per approfondire

La Via Campesina è il più grande movimento internazionale della società civile contadina, nato nel 1993 a Mons in Belgio. Mette assieme milioni di contadini, piccole e medie aziende agricole, braccianti (con una particolare attenzione per la rappresentanza femminile, migrante e di tutti i “Sem Terra”). Questa coalizione ha definito il concetto di sovranità alimentare nel 1996, in alternativa alla sicurezza alimentare proposta lo stesso anno dalla FAO durante il World Food Summit. La Via Campesina porta avanti da allora una battaglia affinché l’ideale della sovranità alimentare diventi realtà, difendendo la piccola-media agricoltura davvero sostenibile. Il suo Coordinamento Europeo è formalmente riconosciuto nel 2008 e mette assieme 27 associazioni di produttori (su scala nazionale e regionale), lavoratori agricoli e organizzazioni rurali di 17 Paesi europei. Il Coordinamento è membro della Via Campesina e ne è il suo specchio regionale. Si mobilita a favore dei diritti dei contadini per un’agricoltura locale e “biodiversa”, affinché le politiche ed i finanziamenti europei all’agricoltura vadano in una direzione di equità e sostenibilità nel rispetto delle comunità coinvolte.

Contenuti liberamente tratti dal sito www.eurovia.org

GIORNATA DELL’ALIMENTAZIONE: MANI TESE LANCIA LA CAMPAGNA “MANGIA, DONA, AMA”

Cambiare il futuro delle migrazioni tramite la sovranità alimentare: i nostri progetti in Guinea-Bissau. Sosteniamoli con cene ed eventi conviviali!

MANGIA, DONA, AMA è il titolo della campagna di Mani Tese lanciata in occasione della Giornata Mondiale dell’Alimentazione 2017, che si terrà il 16 ottobre e il cui slogan scelto dalla FAO per quest’anno è “Cambiamo il futuro delle migrazioni. Investiamo nella sicurezza alimentare e nello sviluppo rurale”.

Attraverso la campagna MANGIA, DONA, AMA, l’iniziativa di raccolta fondi di Mani Tese, è da oggi possibile conoscere e sostenere i progetti dell’ONG in Guinea Bissau, dove la promozione dello sviluppo rurale, e in particolare sovranità alimentare, sono risultati particolarmente efficaci nella prevenzione dei rischi della migrazione irregolare.

Il contesto internazionale

Secondo la FAO (dati 2015) nel mondo sono 244 milioni i migranti internazionali e 763 quelli interni. Il fenomeno migratorio è complesso e non può non considerare come i tre quarti delle persone che vivono sotto la soglia di povertà, quindi potenziali migranti, basino il proprio sostentamento sull’agricoltura. Creare le condizioni che permettano ai giovani che vivono in aree rurali, o alla periferia di grandi città, di rimanere nel proprio Paese e di disporre di mezzi di sussistenza più resilienti è quindi una componente cruciale di qualsiasi piano per affrontare questa sfida.

Il paper “Migrazioni e sovranità alimentare: il caso Guinea-Bissau”

In occasione della Giornata Mondiale dell’Alimentazione, Mani Tese ha pubblicato sul proprio sito un paper ispirato al tema lanciato dalla FAO illustrando la propria esperienza in Guinea-Bissau. Il documento, liberamente scaricabile, racconta in breve un caso di successo di cooperazione internazionale dove la promozione di una filiera avicola basata sui principi della sovranità alimentare ha creato attività di autosostentamento e opportunità di sviluppo locale utili per prevenire i rischi della migrazione irregolare.

“Mani Tese è da sempre impegnata in progetti di cooperazione internazionale che prevedono lo sviluppo rurale dei Paesi in cui opera – dichiara Giovanni Sartor, Responsabile Cooperazione Internazionale di Mani Tese – In particolare, siamo convinti che uno dei metodi più efficaci per ridurre la fame e sostenere lo sviluppo dei popoli, prevenendo quindi i rischi della migrazione irregolare, sia la promozione della sovranità alimentare, intesa come il diritto di decidere autonomamente cosa produrre scegliendo metodi di coltivazione sostenibili, rispettosi dell’ambiente e delle tradizioni locali”

L’intervento in Guinea-Bissau ha previsto la creazione di un’impresa sociale per la riproduzione di polli e la produzione di uova e mangimi, tra i prodotti di base dell’alimentazione locale importati. Attiva da circa un anno e mezzo, l’impresa sociale avviata (CEDAVES) è oggi in grado di produrre e vendere ogni mese 2.000 pulcini, 10.000 uova e 20 tonnellate di mangimi con margini di guadagno che, già dopo poco più di un anno di vita, la rendono completamente sostenibile.

Il progetto ha avuto così successo che è stato riproposto, in parte, anche nell’ambito di successive attività promosse in Guinea-Bissau da Mani Tese volte a prevenire i rischi della migrazione irregolare, in particolare dei giovani. Sono stati infatti recentemente realizzati altri quattro pollai gestiti da associazioni giovanili come opportunità per migliorare la condizione nutrizionale ed economica e per dare la possibilità di svolgere un’attività importante per lo sviluppo del proprio villaggio offrendo un’alternativa all’opzione della migrazione.

La campagna MANGIA, DONA, AMA

Partecipare alla campagna MANGIA DONA AMA a sostegno dei progetti per lo sviluppo rurale e la sovranità alimentare di Mani Tese è molto semplice. È sufficiente organizzare una cena, un aperitivo, uno show cooking, un corso di cucina o un qualsiasi evento conviviale e trasformarlo in un’occasione di solidarietà per garantire cibo sano, sostenibile e prodotto localmente per le popolazioni della Guinea-Bissau.
I fondi raccolti andranno a sostegno dei progetti di Mani Tese nel Paese.

Scarica la locandina della campagna
Scarica il paper “Migrazioni e sovranità alimentare: il caso Guinea Bissau”

UN’ALTRA VITTIMA DEL LAVORO MINORILE NELLE FABBRICHE TESSILI INDIANE

di Martina Milos MADURAI, India – Ancora una volta gli occhi del mondo sono puntati sulle fabbriche tessili indiane in cui si riforniscono i brand della moda mondiale, e ancora una volta ad attirare l’attenzione è stata la morte di una giovanissima lavoratrice. La ragazza si chiamava N. Kalaiyarasi, aveva 14 anni e lavorava al […]

di Martina Milos

MADURAI, India – Ancora una volta gli occhi del mondo sono puntati sulle fabbriche tessili indiane in cui si riforniscono i brand della moda mondiale, e ancora una volta ad attirare l’attenzione è stata la morte di una giovanissima lavoratrice. La ragazza si chiamava N. Kalaiyarasi, aveva 14 anni e lavorava al Dingul Cotton Textile Mills, in Tamil Nadu.

Sabato 30 settembre si era sentita male durante il turno di lavoro ed era stata portata in pronto soccorso da una compagna. Era stata dimessa con una prescrizione di riposo assoluto, ma già il giorno seguente Kalaiyarasi era al lavoro. Se non si fosse presentata avrebbe perso il prezioso bonus di 2.700 rupie (41.52 dollari) che le lavoratrici ricevono per Diwali, la “festa delle luci” che si celebra ogni anno tra ottobre e novembre.

La notizia della sua morte è stata diffusa dalla Tamilnadu Textile and Common Labour Union (TTCU) che fa parte del MSI-TN, Multistakeholder Initiative – Tamil Nadu, un network promosso da Mani Tese per mettere in rete le associazioni e gli attivisti che si occupano del tessile. Secondo T. Sesurai, consulente del TTCU, “la sua morte poteva essere evitata. Rendere discrezionale l’elargizione del bonus non è accettabile. Le ragazze sono già pagate meno del dovuto, quindi tecnicamente il bonus è un loro diritto”.

Parlare di diritti nelle fabbriche tessili dell’India non è semplice. La miniera di capi d’abbigliamento e tessuti a basso costo che approvvigiona i mercati internazionali è un’enorme macchina complessa e ramificata che rappresenta il 15% delle esportazioni e conta 45 milioni di lavoratori e lavoratrici.

Si tratta per lo più di giovani donne della più modesta condizione sociale, provenienti da comunità in cui il tasso di alfabetizzazione è minimo e su cui ancora pesa l’eredità dell’appartenenza alle caste più basse. Lavorano fino a 12 ore al giorno in un ambiente in cui le intimidazioni e le molestie a sfondo sessuale sono la norma e le condizioni di sicurezza non sono garantite.

Kalaiyarasi è morta martedì 3 ottobre di polmonite, all’ospedale governativo di Madurai dove era stata ricoverata domenica in seguito all’aggravarsi delle sue condizioni. La sua storia è l’ennesimo episodio di mancato rispetto degli standard minimi di sicurezza dei lavoratori, perché la ragazza lavorava per troppe ore consecutive, senza maschera protettiva e perché non c’era personale sanitario per le 200 dipendenti dello stabilimento.

I dirigenti della fabbrica non hanno rilasciato dichiarazioni. Hanno organizzato un incontro con la famiglia della ragazza, ma per giornalisti e associazioni che chiedono conto dell’accaduto il telefono squilla a vuoto. Il TTCU, intanto, ha chiesto che venga versato ai familiari un risarcimento pari a 15 anni di stipendio: una cifra esorbitante solo a prima vista, perché la paga di Kalaiyarasi ammontava a 3,54 dollari al giorno.

AL PICCOLO TEATRO CON MANI TESE PER LO SPETTACOLO “EMILIA”

la promozione speciale per gli amici di Mani Tese per lo spettacolo Emilia in scena al Piccolo Teatro Grassi martedì 17 ottobre 2017.

Mani Tese insieme al Piccolo Teatro di Milano è lieta di segnalarvi la promozione speciale al prezzo di 16 euro (anziché 33) per lo spettacolo Emilia in scena al Piccolo Teatro Grassi martedì 17 ottobre 2017.

Emilia è stata la tata di Walter e ora è in difficoltà. Dopo vent’anni i due si ritrovano e il ragazzo, ora adulto e benestante, la introduce nella sua famiglia. Giulia Lazzarini torna sulle scene come protagonista del testo del drammaturgo argentino Claudio Tolcachir.

Emilia è un’analisi sul rapporto tra realtà e memoria, sulla famiglia e sulle sue dinamiche interne.

Per prenotare la prima dello spettacolo di martedì 17 ottobre alle ore 20.30 scrivere a comunicazione@piccoloteatromilano.it specificando nell’oggetto MANITESE/EMILIA, seguito dal vostro nome, cognome e numero di posti da riservare.

(I biglietti dovranno essere prenotati e ritirati entro venerdì 13 ottobre)

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JOSUALDO: LA MIA ESPERIENZA NEL PROGETTO “ANTULA è GIOVANE”

Il progetto Antula è giovane, in Guinea Bissau, si è concluso da poco. Il progetto aveva come obiettivo quello di offrire ai giovani delle comunità residenti fonti di sostentamento che rappresentino valide alternative alla partenza e, nel contempo, quello di promuovere l’integrazione sociale ed economica dei migranti di ritorno. Antula è giovane ha portato risultati […]

Il progetto Antula è giovane, in Guinea Bissau, si è concluso da poco. Il progetto aveva come obiettivo quello di offrire ai giovani delle comunità residenti fonti di sostentamento che rappresentino valide alternative alla partenza e, nel contempo, quello di promuovere l’integrazione sociale ed economica dei migranti di ritorno.

Antula è giovane ha portato risultati notevoli, i cui sviluppi abbiamo documentato sul nostro sito nelle settimane precedenti. A conclusione di questo percorso, oggi pubblichiamo la testimonianza di un nostro giovane collaboratore guineense che l’ha seguito in prima persona.

“Mi chiamo Josualdo J. C. Lopes Semedo e sono un ingegnere agroalimentare residente a Bissau in Guinea Bissau.
Ho lavorato come responsabile dalla reintegrazione socio-professionale dei migranti di ritorno e sono responsabile delle attività produttive all’interno del progetto “Antula è jovem!” implementato dalla ONG Mani Tese e OIM e finanziato dall’Unione Europea che ha avuto inizio il 27 febbraio 2017 e si è concluso il 27 agosto 2017.

L’esperienza di lavorare nel campo dei flussi migratori mi ha fatto crescere sia come persona che a livello professionale. Tenendo in considerazione il lavoro fatto sul territorio posso capire realmente cosa è la migrazione irregolare e le difficoltà che hanno affrontato i nostri fratelli che hanno scelto questa via per arrivare in Europa.

È stato scioccante ascoltare la dura realtà e le sofferenze che hanno dovuto affrontare i migranti nel corso del loro viaggi, dove sono stati spesso vittime delle autorità regionali o di furti di banditi che spacciatisi per autorità o fatti prigionieri o addirittura assassinati per aver resistito ai furti, oppure ancora ritornati tramite l’OIM. Questi racconti mi hanno motivato ancora di più a lavorare con Mani Tese nello sviluppo di questo progetto, che ha avuto l’obiettivo di rafforzare l’integrazione sociale e economica dei migranti di ritorno attraverso opportunità di formazione e inclusione professionale nel quartiere di Antula.

Il progetto ha previsto l’implementazione di corsi di informatica, di base e avanzata, grazie ai quali i giovani beneficiari hanno potuto avere accesso in a questo nuovo mondo dove chi non ha le conoscenze informatiche è considerato analfabeta.

Un’altra attività è stata l’avvio di microimprese in ambito sartoria e panetteria/pasticceria. Le 30 persone beneficiarie di queste attività erano per la maggioranza disoccupate e senza professione. Oggi si sono diventate sarti e panettieri.

Sono davvero felice di aver partecipato a questo progetto, che ha aiutato a realizzare quello che sembrava un sogno per molti e ora invece è realtà. Desidero ringraziare Mani Tese per questa opportunità e tutto il personale di progetto (in particolare il nostro coordinatore Piero Meda!) e un grazie a OIM che continua a sostenere i nostri giovani per prevenire i pericoli della migrazione irregolare”.

Josualdo J. C. Lopes Semedo

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Josualdo (secondo da sinistra) con alcuni ragazzi e ragazze del progetto “Antula è giovane”

CAMPAGNA “ERO STRANIERO”: ULTIMI GIORNI PER FIRMARE!

Il 15 ottobre si chiude la raccolta firme per la proposta di legge popolare della campagna Ero Straniero – L’umanità che fa bene.

di Martina Milos

Il 15 ottobre si chiude la raccolta firme per la proposta di legge popolare della campagna Ero Straniero – L’umanità che fa bene. Mancano meno di 2.000 firme per raggiungere le 50.000 necessarie a presentare la legge in Parlamento. L’obiettivo è ambizioso ma ormai è a portata di mano. Sarebbe un peccato lasciarsi sfuggire l’occasione, perché la campagna Ero Straniero porta avanti un’idea su cui, al netto delle strumentalizzazioni, potremmo essere tutti d’accordo: se vengono in Italia, gli immigrati devono lavorare e pagare le tasse.

Dalla piazza di Pontida al CARA di Mineo, tutti considerano il lavoro regolare un diritto-dovere imprescindibile e una condizione necessaria per la permanenza in Italia dei cittadini stranieri. Il problema è che la legge italiana distingue nettamente tra le vittime di guerre e persecuzioni, titolari di protezione internazionale, e i migranti economici, categoria a cui appartiene anche chi fugge da situazioni di estrema miseria. Per questi ultimi la legge Turco-Napolitano, poi modificata dalla Bossi-Fini, non prevede canali regolari di ingresso, né strumenti per regolarizzare la propria condizione dopo aver trovato lavoro. Le sanatorie grazie a cui negli anni passati molti immigrati hanno ottenuto il permesso di soggiorno erano misure straordinarie e l’ultima risale al 2012. Ad oggi l’unica via percorribile per chi non può vantare un conflitto o una dittatura nel suo Paese è quella che comincia con un “viaggio della speranza” e finisce, se tutto va bene, con la clandestinità in Italia.

Un clandestino, o irregolare come sarebbe meglio dire, non può essere assunto con un contratto regolare. Lavorerà in nero, non pagherà tasse e farà concorrenza alla manodopera non qualificata italiana, perché un irregolare costa meno ed è più ricattabile anche di un italiano povero.

La proposta di Ero Straniero è semplice: istituire un permesso di soggiorno temporaneo per ricerca di lavoro, che permetta ai cittadini extracomunitari di arrivare in Italia per vie sicure e rimanerci fino a un anno cercando un’occupazione. In caso di successo questo tipo di permesso dovrebbe potersi convertire nel permesso di soggiorno ordinario per motivi lavorativi, altrimenti al termine del periodo previsto il migrante dovrebbe lasciare il territorio nazionale. La permanenza e il viaggio sarebbero totalmente a carico suo o di un eventuale “sponsor”, quindi non graverebbe sul sistema di accoglienza.

Contemporaneamente si propone la regolarizzazione dei cittadini extracomunitari irregolari che possano dimostrare di essere ormai radicati in Italia. Seguono una serie di proposte che riguardano l’integrazione dei richiedenti asilo attraverso programmi di formazione e occupazione, l’accesso effettivo ai servizi sanitari per gli immigrati di qualsiasi status giuridico e alcune misure per estendere l’accesso ai servizi sociali per gli immigrati regolari. Ci sono poi l’elettorato attivo e passivo nelle elezioni amministrative per i titolari di un permesso per soggiornanti di lungo periodo e, immancabilmente, l’abolizione definitiva del reato di clandestinità.

Nel complesso, l’adozione di queste norme rappresenterebbe un cambio di rotta nella politica di gestione dell’immigrazione, dal paradigma securitario al paradigma dell’inclusione. Non comporterebbe un aumento esponenziale dei flussi né un rischio in termini di sicurezza, perché renderebbe più facile controllare gli ingressi e contribuirebbe a eliminare quelle sacche di emarginazione e povertà da cui la criminalità attinge le sue risorse. Non costituirebbe una spesa, anzi garantirebbe nuove entrate per il precario sistema previdenziale italiano.

Infine, migliaia di persone non sarebbero indotte a rischiare la vita in mare o in Libia o nel Sahara, o in qualsiasi altro luogo in cui i trafficanti dettano legge e i diritti umani sono parola vuota: anche senza i vantaggi precedenti, è già un ottimo motivo per andare a firmare.