25 Novembre con le donne della Guinea-Bissau

Aiutaci a mantenere attivi gli unici due centri di accoglienza per le donne vittime di violenza di genere in Guinea Bissau.

In Guinea-Bissau, un piccolo Paese dell’Africa Occidentale con un altissimo indice di povertà, la disuguaglianza e la violenza di genere sono a livelli allarmanti.

Moltissime donne hanno subito o subiscono violenza. Il 67% delle donne intervistate ha dichiarato di essere stata vittima di almeno un tipo di violenza. In particolare, delle 978 donne intervistate che hanno o hanno avuto un partner, ben 613 hanno affermato di aver subito violenza da quest’ultimo.

Pochissime sono le donne che denunciano gli atti di violenza. Il 68% non ha raccontato a nessuno l’accaduto e solo lo 0,5% lo ha riferito a un medico.

Tantissime ragazze sono inoltre costrette a matrimoni forzati e precoci. Su 871 donne che hanno risposto a domanda diretta, l’81,1% ha dichiarato che il loro matrimonio è stato deciso dalla famiglia del marito.

Più della metà delle donne (il 52%) ha subito mutilazione genitale femminile. Si tratta, soprattutto, di bambine tra gli 0 e i 14 anni (30%). In uno studio realizzato nel 2021 nel quadro del progetto promosso da Mani Tese NO NA CUIDA DE NO VIDA, MINDJER!, ben il 60% delle donne intervistate ha confessato di aver subito questa pratica.

Queste donne non hanno nessuno su cui contare, se non il personale degli unici due centri di accoglienza per vittime di violenza di genere presenti in tutto il Paese, che sono sostenuti da Mani Tese: il centro di Bissau e quello, più recente, di São Domingos.

LA CAMPAGNA DEL 25 NOVEMBRE

I due centri di accoglienza per vittime di violenza di genere in Guinea-Bissau rappresentano, a oggi, l’unica speranza di sopravvivenza per tantissime donne in difficoltà: ragazzine fuggite da matrimoni forzati con uomini molto più grandi di loro, donne abusate dai propri compagni o dai famigliari, giovani mamme abbandonate…

Mani Tese, da anni, sta facendo tutto il possibile per mantenere i centri aperti, ma le necessità sono tante. per questo, in occasione della Giornata Internazionale per l’Eliminazione della Violenza Contro le Donne (25 novembre), abbiamo deciso di lanciare una campagna per supportare i centri per le vittime di violenza di genere e aiutarli a essere sempre più autosufficienti.

Di cosa abbiamo bisogno:

Kit igienico-sanitari: servono medicine e prodotti con cui assicurare il benessere fisico delle donne vittime di violenza.

Corsi di formazione: i corsi di formazione in sartoria fornisco alle donne l’opportunità di imparare un mestiere e di rendersi economicamente indipendenti.

Un orto sostenibile con cui produrre cibo per le ospiti e per la vendita così da garantire sempre di più l’autosufficienza del centro.

Per il 25 novembre, chiediamo un aiuto per mantenere attivi i centri di accoglienza per le donne che hanno subìto violenza con un dono solidale che aiuti tante di loro ad avere un futuro migliore.

IL NOSTRO PROGETTO IN GUINEA-BISSAU

Le nostre attività rientrano nel progetto “NO TENE DIRITU A UM VIDA SEM VIOLÊNCIA” – Rafforzamento dei meccanismi di protezione delle vittime di gbv e promozione dei diritti delle donne in Guinea-Bissau” cofinanziato dall’Unione Europea e promosso da Mani Tese in partenariato con FEC – Fé e Cooperação, ENGIM – Fondazione Ente Nazionale Giuseppini Murialdo, AMIC – Associação dos Amigos da Criança.

 

Al via il progetto “Corpi civili in Mozambico”

Due volontarie a Quelimane nella sede di Mani Tese saranno impegnate nella prevenzione e nella gestione dell’emergenza ambientale.

Mani Tese ha recentemente aperto due posizioni per il progetto dei Corpi Civili di Pace nella sua Sede in Mozambico, in particolare nella città di Quelimane, ed Elisa Bianchini e Silvia Martinez saranno le due volontarie che, grazie al progetto IN DIFESA DELLA MADRE TERRA, a breve si recheranno nel Paese.

L’obiettivo generale del progetto di Mani Tese dei Corpi Civili di Pace proposto da Mani Tese in Mozambico è quello di prevenire e gestire gli effetti dell’emergenza ambientale sulla natura e sulle condizioni di vita della popolazione rurale.

L’iniziativa è realizzata con il partenariato di União Provincial Dos Camponeses Da Zambézia – UPC-Z, un’organizzazione che ha come obiettivo principale quello di organizzare le realtà associative dei contadini nei distretti della Provincia della Zambézia per rappresentarle a livello regionale e sostenerle nella produzione e commercializzazione.

Ma conosciamo meglio le nostre due volontarie direttamente dalle loro parole:

“Ciao! Mi chiamo Elisa Bianchini, sono specializzata in sviluppo globale ed ho un particolare interesse per la tutela dell´ ambiente e sicurezza alimentare. Le mie esperienze lavorative precedenti includono un coinvolgimento con rifugiati e popolazioni indigene, e lavoro sul campo in Cambogia e Thailandia. Credo che al centro di un mondo migliore risieda il concetto di sostenibilità, ambientale, sociale ed economica. Credo nell’azione collettiva, incentrata sulle persone, che parta dal locale fino al globale.”

“Ciao a tutt*! Mi chiamo Silvia Martinez, sono nata a Cagliari e sarò volontaria dei corpi civili di pace in Mozambico per il progetto “In difesa della Madre Terra” con Mani Tese.

Sono specializzata in Scienze biomolecolari e dell’evoluzione e spero nel mio piccolo di poter contribuire alla diffusione di pratiche di sostenibilità e alla conservazione della natura nell’area di Quelimane”

Non possiamo non pensare che anche questa è la nostra risposta a un mondo che sempre di più sembra nutrirsi di guerra, violenza e distruzione.

Buon viaggio e buone scelte di Pace, ragazze!

Sta per concludersi il progetto “Mettiamo le ali allo sviluppo”

Grazie allo sviluppo della filiera avicola, in Guinea-Bissau oltre 70 famiglie hanno un reddito sicuro e mandano i propri figli a scuola.

Mancano ormai pochi mesi al termine dell’ambizioso progetto “Mettiamo le ali allo sviluppo”,  finanziato dall’Unione Europea a partire da gennaio 2019, che vede Mani Tese come capofila.

Il progetto – anche chiamato Ianda Guiné! Galinhas, essendo parte di Ianda Guiné, programma di sviluppo lanciato per il Paese nel 2019 dall’Unione Europea –  si propone di sviluppare una filiera avicola in Guinea-Bissau.

Questo progetto ha dovuto affrontare molte sfide, legate non solo alle difficoltà intrinseche del Paese ma anche a livello internazionale, a cominciare dalla pandemia, proseguendo attraverso una crisi economica mondiale causata della guerra in Ucraina. Tuttavia, in questi anni è riuscito a dare i suoi frutti. A oggi, infatti, più di 40 famiglie allevano galline ovaiole e si sostentano con la vendita delle loro uova. Altre 30 famiglie si sono concentrate nell’allevamento di pulcini da vendere. In totale, quindi, circa 70 famiglie godono di un’entrata sicura, oltre a quella generata delle attività agricola. 

Il fatto che una piccola parte della popolazione della Guinea-Bissau abbia riconosciuto che non si può basare l’economia famigliare solamente sulla raccolta della castagna di caju o sulla coltivazione di riso, mais e fagioli (attività che producono reddito, ma che purtroppo non rendono le famiglie indipendenti a livello economico, a causa della fragilità del mercato), è una piccola grande rivoluzione.

La produzione di uova e di polli porta infatti buone entrate alle famiglie, tanto che in ognuna di esse, due o tre bambini o adolescenti riescono a frequentare in modo continuativo la scuola o un percorso di studi più avanzato, come un liceo a Bissau.

In questi ultimi mesi di progetto, il team di Mani si concentrerà sull’Organizzazione della Fiera Agroecologica di Natale, che si terrà dal 15 al 22 dicembre 2023, insieme ai partner di progetto e altre organizzazioni che si occupano di agroecologia. Si tratta di una preziosa occasione per creare sinergie locali, mettendo in contatto produttori avicoli e produttori agricoli. 

La Commissione per l’Organizzazione della Fiera sarà composta da UPCA (unione produttori della filiera avicola della Guinea-Bissau), da Kabaz de Vida (associazione di donne contadine del quartiere Granja di Bissau) e da Asas de Socorro, ONG locale che si occupa di sviluppo rurale e nostro partner di progetto.

Durante la fiera sarà data ai beneficiari l’opportunità di vendere i loro prodotti a prezzi fissi (quindi non trattabili come avviene nella maggior parte dei mercati del paese) e a volte anche più alti della media.

Il programma sarà anche fitto di djumbai, momenti dedicati al dialogo, per promuovere lo scambio tra le esperienze dei produttori, consentendo alle famiglie provenienti da varie zone del paese di confrontarsi e sulle sfide per il futuro sentendosi parte di un fronte comune che mira a far riconoscere l’attività avicola come base per il miglioramento delle condizioni di vita della Guinea-Bissau, non solo a livello economico, ma anche a livello di salute e di consumo dei prodotti locali.

Africa Occidentale e colpi di stato

Le sfide in atto nella zona a seguito del susseguirsi dei golpe.

Di Anna Fatima Pasqual e Giovanni Sartor – Mani Tese

A partire dal 2020 la zona dell’Africa che viene definita dalle Nazioni Unite Africa Occidentale e che comprende 16 Paesi[i] ha subito in 4 dei suoi stati membri (Malì, Guinea, Burkina Faso ed infine il Niger) 6 colpi di stato, a cui se ne aggiungono altri due avvenuti in Paesi limitrofi quali il Ciad e il Gabon. Questi ultimi due Paesi hanno in comune con gli altri in cui è avvenuto il golpe l’essere delle ex colonie francesi e quindi in qualche modo appartenenti alla cosiddetta “Françafrique”.

Colpi di stato sono stati inoltre tentati senza successo, sempre a partire dal 2020, in Gambia e Guinea Bissau. A questa situazione si aggiunge uno scenario politico instabile in Senegal in vista delle elezioni presidenziali previste nel mese di febbraio 2024.

Il susseguirsi di colpi di Stato, molti dei quali tra l’altro avvenuti da parte di alti ranghi dell’esercito che fino a un attimo prima erano stati tra i più fidati collaboratori dei presidenti deposti, farebbe pensare a una strategia comune e coordinata. Tuttavia gli esperti internazionali sono concordi nel rilevare che, se è vero che le motivazioni possono essere in parte comuni e si sia creata anche una sorta di spirito di emulazione, la situazione è diversa Paese per Paese ed è bene tenere in considerazione il contesto di ciascuna realtà.

Molti osservatori sono concordi nel ritenere che il motivo principale dei colpi di Stato e soprattutto del successivo consenso che hanno ricevuto in seno alla popolazione, sia legato a problematiche interne ovvero all’incapacità dei Presidenti dei diversi Paesi e più in generale della classe politica di rispondere ai bisogni dei cittadini. Si tratta di bisogni che sono riconducibili alla mancanza di servizi di base quali sanità e scuola, ma anche a un aumento dei costi dei prodotti alimentari e di conseguenza alla povertà.

A queste motivazioni si aggiungono le problematiche relative alla presenza di gruppi armati non statali di matrice jihadista, in particolare in Malì, Niger e Burkina Faso, che controllano porzioni sempre più grandi dei territori dei rispettivi Paesi, senza che i governi pre-golpisti siano riusciti a dare risposte tali da limitare l’avanzata e il controllo di territori da parte di tali gruppi armati.

Storicamente l’esercito in Africa Occidentale è spesso stato percepito come il soggetto che è intervenuto a tutela degli interessi della nazione e dei suoi cittadini, quando essi sono stati minacciati da una classe politica che non era in grado di adempiere ai suoi compiti, corrotta e guidata da interessi esterni.

Nei giornali si è molto parlato anche di un sentimento antifrancese che indubbiamente esiste e lo abbiamo visto dalle manifestazioni nelle diverse capitali dei Paesi coinvolti e parlando con i nostri collaboratori e partner in Burkina Faso e Benin. Ci sembra però di poter dire che il problema non sia la Francia ed in particolare i suoi cittadini ma il fatto che le sue politiche neo-coloniali incentrate sulla difesa e promozione degli interessi francesi in Africa Occidentale (che è esattamente quello che fanno in realtà tutti i Paesi nello scacchiere africano), pur con le correzioni attuate attraverso l’Aiuto pubblico allo Sviluppo e altre forme di finanziamento, non siano state in grado di portare benessere alla popolazione locale. Anzi, oggi la qualità della vita, in particolare nei tre Paesi del Sahel (Malì, Burkina Faso e Niger), è in peggioramento e la popolazione riconosce nella Francia la causa principale di questa situazione.

Siamo di fronte a una crisi della democrazia. In Africa dopo la colonizzazione e un periodo nel quale la maggior parte degli stati è stata governata dal partito unico dell’indipendenza, si sono aperte le porte negli anni ‘90 al multipartitismo e alle elezioni. Oggi molte di queste democrazie hanno fallito e non sono state in grado di rispondere ai bisogni della popolazione.

L’alternanza al potere è stata limitata anche da tentativi da parte del Presidente di turno al potere di modificare la costituzione per garantirsi più mandati rispetto ai due standard (solo per fare alcuni esempi: in Guinea e Gabon i colpi di stato sono avvenuti dopo l’elezione per un terzo mandato del presidente uscente. In Costa d’Avorio il Presidente Ouattara è riuscito a farsi rieleggere per un terzo mandato).

È una democrazia delle élites quella che molto spesso troviamo nei Paesi dell’Africa Occidentale: intermediari d’affari di potenze varie che rinunciano a fare politica e a difendere gli interessi di chi li ha eletti.  I Paesi citati non si trovano ad affrontare identici problemi. C’è piuttosto una convergenza di nodi irrisolti e un’insofferenza crescente per i regimi che, sotto l’apparenza di elezioni democratiche, nascondono la difesa di interessi privatistici e tradiscono in modo più o meno sfacciato il patto sociale con i cittadini.

I golpe appaiono quindi come l’unico modo di provocare un cambiamento in questo nuovo ciclo storico, di assicurare una forma di alternanza al vertice dello stato e di accelerare la transizione generazionale.

La situazione è molto complessa e le forze in gioco come gli interessi sono molteplici. Mani Tese sta dalla parte della popolazione e delle comunità e crede che stabilità e sviluppo in quest’area del mondo non possano che passare dal loro protagonismo e attivismo.

Riceviamo segnali che i cambiamenti in atto stiano risvegliando e attivando forze endogene. Questo è sicuramente positivo se canalizzato in un interesse collettivo e centrato sui bisogni della popolazione senza ricadere su meccanismi geo-politici di sfere di influenza e di controllo di potenze straniere che schiaccerebbe ancora una volta la popolazione locale su interessi e dinamiche che poco avrebbero a che fare con il loro benessere.

Per questo, il primo tema prioritario è a nostro avviso, qualsiasi regime ci sia, la necessità che vengano garantite le libertà individuali e collettive di espressione, incontro, riunione, stampa, il rispetto dei diritti umani in tutte le sue forme e la risposta ai bisogni essenziali per i cittadini.

È  fondamentale che la società civile possa essere protagonista e proporre a chi è al potere, siano essi civili o militari, un’agenda politica di cambiamento.

L’auspicio è poi quello che in tempi rapidi sia la popolazione a poter scegliere attraverso libere elezioni chi li governerà ma non prima di aver attuato un percorso simile ma molto più autentico rispetto a quello già avvenuto negli anni ’90 con le Conferenze Nazionali, coinvolgendo le cosiddette “forze vive” della nazione in un processo che ponga le basi per un rilancio “vernacolare”, come ama dire J.L. Touadì, dei processi democratici.

Un altro aspetto importante è a nostro avviso l’alleanza tra i diversi Paesi dell’Area per adottare una strategia comune. Essenziale se si vuole sconfiggere il terrorismo ma anche se, insieme, ci si vuole contrapporre a interessi di stampo neocoloniale. Recentemente i governi frutto dei golpe in Malì, Burkina Faso e Niger hanno stretto un patto dando vita all’Alleanza dei Paesi del Sahel (Alliance des États du Sahel – Aes). Il documento, chiamato Carta Liptako-Gourma, prende il nome dalla regione dove le frontiere dei tre Paesi si incontrano, una zona in cui operano negli ultimi anni diversi gruppi armati irregolari. I contenuti del patto riguardano una collaborazione tra i tre Paesi sia in ambito militare sia in ambito economico. Se sarà in grado di ottenere qualche risultato nella lotta ai gruppi armati jhaidisti, lo vedremo nei prossimi mesi. Provare a operare insieme su problemi comuni è in ogni caso positivo.

Da questo punto di vista ECOWAS, comunità economica degli stati dell’Africa Occidentale,  potrebbe giocare un ruolo importante se veramente si superano schieramenti pro o contro la Francia o altre potenze extra africane e ci si concentra sugli interessi della Regione. La Nigeria, di gran lunga il Paese più potente e popoloso dell’area, potrebbe avere un gran vantaggio dal giocare un ruolo da riferimento regionale in una zona in cui si riduce drasticamente la conflittualità e si promuovono politiche di comune interesse.

Un aspetto importante è infine il ruolo della comunità internazionale. L’attuale situazione è anche figlia di un approccio che ha visto la Francia ma non solo (si pensi all’Italia e alle sue politiche finalizzate a ridurre i flussi migratori) concentrarsi sugli interessi nazionali e non su quelli dei Paesi dell’Africa occidentale senza ascoltare i loro bisogni e tenere conto dei loro interessi, se non in minima parte con i progetti di cooperazione finanziati alle ONG e alle diverse Agenzie delle Nazioni Unite. Anche l’approccio prevalentemente securitario, con la formazione degli eserciti e delle forze di polizia, come avvenuto per esempio negli ultimi anni in Niger, ha rivelato tutti i suoi limiti, anche perché oggi al potere ci sono quei militari precedentemente formati dalla Francia e dagli altri Paesi, Italia compresa, presenti in Niger.

Nelle politiche dell’Unione Europea e dei suoi stati membri le priorità siano dunque i diritti e il benessere dei cittadini dei Paesi partner, non tanto e non solo i propri interessi geopolitici.


[i] 15 sono invece i membri dell’ECOWAS, comunità economica degli stati dell’Africa Occidentale di cui non fa più parte la Mauritania

Make compost not war

Il potere dell’agroecologia in Burkina Faso: lavorare insieme per prendersi cura della terra e rigenerarla è la chiave per costruire la pace.

 

Dopo la dichiarazione del 13 aprile 2023 di Ibrahim Traoré, presidente del Burkina Faso, la stampa parla apertamente di una guerra in corso contro i gruppi armati non statali (GANE) e in tutto il Paese è in atto una mobilitazione generale di persone e risorse. Il numero di attacchi nelle diverse regioni del Burkina Faso è aumentato poco prima della stagione delle piogge, come si attendevano i servizi di sicurezza, e sta diminuendo man mano che gli scrosci si fanno più forti e frequenti. 

Non solo l’esercito Burkinabé gioisce della tregua data dalla pioggia, ma anche la terra, riarsa dal sole per nove mesi all’anno, finalmente ricomincia a respirare e rinverdirsi. Tuttavia, a causa dei cambiamenti climatici, le piogge si stanno facendo sempre più irregolari, come racconta Jean-Baptiste Kaboré, leader dell’organizzazione contadina del comune di Pella, nella regione del Centro-Ovest. 

“Coltivo il riso da sempre ma negli ultimi anni il clima è cambiato moltissimo – afferma Jean-Baptiste Kaboré – Non piove più come prima e il rischio di perdere il raccolto adesso è più elevato”.  

Jean-Baptiste ha appena concluso la restituzione alla sua organizzazione delle tecniche agroecologiche apprese durante la formazione di aprile, realizzate nell’ambito del progetto “Nutriamo il futuro”, cofinanziato da AICS Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo. Con lui c’è anche il coltivatore Adama Soulama, che si dichiara contento di quello che ha imparato, e che ha subito applicato sul suo terreno. 

“È stato molto utile imparare a fare il compost – racconta Adama – Alcuni già conoscevano la tecnica, ma adesso tutti i membri dell’organizzazione sanno metterla in pratica in modo corretto e questo ci permette di rigenerare il terreno e renderlo più fertile senza dipendere da fertilizzanti sintetici, riducendo il rischio di perdita del raccolto”. 

Fare il compost implica sforzo fisico e una grande collaborazione tra le persone e rappresenta uno degli asset del progetto “Nutriamo il futuro”. 

Salomon Bouda, punto focale di Mani Tese, si è occupato di organizzare e gestire le formazioni realizzate e racconta così il procedimento: “Per riuscire a creare un buon compost, occorre il coinvolgimento di tante persone. Prima si scava la superficie della terra e si crea una base, poi si appoggiano la paglia, la cenere e le deiezioni animali. Il tutto viene irrorato dall’acqua versata ripetutamente. Si continua per un po’ fino a realizzare tre strati, poi si copre il tutto con un telo e si aspetta. Il risultato di questo lavoro permette di rigenerare la terra”. 

Lavorare insieme per prendersi cura della terra e rigenerarla è la chiave per costruire la pace in Burkina Faso, come altrove. Quando la terra diventa arida, fare il compost diventa un’attività fondamentale che, attraverso la cooperazione, permette di ottenere, l’indomani, buoni frutti. 

 

Al via la produzione di pasta d’arachide al centro di Poedogo

Grazie al progetto Trasformiamo!, le donne di Koubri, in Burkina Faso, hanno un mulino per produrre la pasta d’arachide e diventare così sempre più economicamente autosufficienti.

L’arachide è un prodotto di grande consumo in Burkina Faso, se si tiene conto delle abitudini culturali e alimentari di più di 2,5 milioni di famiglie. Rappresenta un settore importante nel comparto dei semi oleosi, con una produzione in crescita negli ultimi anni.

Anche a Koubri, comune poco lontano da Ouagadougou, le donne dell’Associazione delle Sorelle Burkinabè di Poedogo utilizzano, per preparare i loro piatti, l’arachide. Soprattutto il suo principale derivato: la pasta d’arachide.

Tuttavia, per via della situazione di insicurezza del Paese e della crisi generale nella regione, i prezzi dei generi alimentari sono in continua fluttuazione. Di conseguenza riuscire a coltivare, trasformare e vendere un prodotto interamente sul mercato locale permetterebbe alle donne, e quindi alle famiglie, di risparmiare non poco sul costo del cibo.

Helene Compaore, 29 anni e tre bambini, sa come si produce la pasta d’arachide e ce lo mostra maneggiando il nuovo mulino elettrico, che funziona grazie all’impianto solare del centro di trasformazione di Poedogo. “Adesso che ho imparato come usare il macchinario, voglio iniziare a produrre pasta d’arachide” ci racconta “così non sarò costretta a comprarla ma, anzi, la potrò vendere, guadagnarci qualcosa e far conoscere l’Associazione anche ad altre donne”.

Il mulino è stato installato e interamente realizzato da CEAS, il Centro Ecologico Albert Schweitzer del Burkina Faso, nell’ambito del progetto Trasformiamo!” promosso da Mani Tese insieme ad altri partner e cofinanziato dalla Regione Emilia Romagna.

Il CEAS è dotato di un laboratorio di produzione supervisionato dal tecnico ingegnere Theodore Hein, che si è occupato direttamente dell’ideazione e della creazione del mulino artigianale.

“Non è stato semplice e abbiamo testato a lungo il mulino, ma con una pratica costante le donne arriveranno a produrre un’ottima pasta d’arachide” sostiene Theodore, che durante la formazione ha mostrato le tecniche di produzione e mantenimento. Al termine dell’attività, è stato creato un comitato di gestione del mulino con persone di riferimento. In prima fila c’era Helene.

“Voglio invitare anche le altre donne di Poedogo ad avere coraggio, uscire di casa e venire qui al centro per trasformare insieme e produrre la pasta d’arachide” dichiara Helene “solo insieme, infatti, possiamo diventare più forti”.

rpt

Distribuzione kit per agroecologia in Burkina Faso

Distribuzione Kit per Agroecologia in Burkina Faso.

 

Burkina Faso, 20 luglio 2023  – Siamo in Burkina Faso, dove abbiamo effettuato la distribuzione di kit per facilitare il compostaggio della terra, al fine di contribuire alla conversione agroecologica di 15 h di perimetri orticoli della cintura verde di Ouagadougou.

Il kit è destinato a 750 produttori vulnerabili ed è costituito da l’attivatore Compost+ e da due tipi diversi di bio insetticidi a base di piante.

Il progetto è finanziato da Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo in partenariato con ACRA Scopri di più sul progetto: https://bit.ly/44vwS8X

 

https://www.youtube.com/watch?v=zck1VnIIKxg

 

Un futuro per I giovani di Gabù fra api e pannelli solari

Orticoltura, apicoltura, medicina tradizionale, ma anche energie rinnovabili: sono solo alcuni fra i corsi di formazione organizzati nella regione di Gabù, in Guinea-Bissau, ai quali hanno partecipato i giovani fra i 15 e i 35 anni coinvolti nel progetto “Ripartire dai giovani”,  cofinanziato dall’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo . Tutti ambiti di formazione […]

Orticoltura, apicoltura, medicina tradizionale, ma anche energie rinnovabili: sono solo alcuni fra i corsi di formazione organizzati nella regione di Gabù, in Guinea-Bissau, ai quali hanno partecipato i giovani fra i 15 e i 35 anni coinvolti nel progetto “Ripartire dai giovani”,  cofinanziato dall’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo .

Tutti ambiti di formazione scelti perché garantiscono impieghi immediati o favoriscono le iniziative imprenditoriali.

Lo scopo? Sensibilizzare le comunità sulle opportunità di lavoro locali, in una regione in cui il tasso di impiego per ragazzi e ragazze fra i 15 e i 35 anni raggiunge appena il 30%, e che molti giovani scelgono di abbandonare. Ma anche permettere alla società civile di colmare, pur parzialmente, il vuoto lasciato dalle istituzioni statali in ambito formativo: i corsi, infatti, sono gestiti da organizzazioni della società civile locale, sotto la supervisione di Mani Tese e del partner di progetto PONGAB.

Così, fra marzo e aprile, ben 80 persone fra i 15 e i 35 anni hanno potuto beneficiare di 160 ore di formazione e migliorare le proprie competenze professionali di base. Successivamente, a maggio e a giugno, sono stati realizzati altri quattro corsi, fra cui uno sulla produzione e il trattamento delle piante, con un focus sulla frutticoltura.