Sta per concludersi il progetto “Mettiamo le ali allo sviluppo”

Grazie allo sviluppo della filiera avicola, in Guinea-Bissau oltre 70 famiglie hanno un reddito sicuro e mandano i propri figli a scuola.

Mancano ormai pochi mesi al termine dell’ambizioso progetto “Mettiamo le ali allo sviluppo”,  finanziato dall’Unione Europea a partire da gennaio 2019, che vede Mani Tese come capofila.

Il progetto – anche chiamato Ianda Guiné! Galinhas, essendo parte di Ianda Guiné, programma di sviluppo lanciato per il Paese nel 2019 dall’Unione Europea –  si propone di sviluppare una filiera avicola in Guinea-Bissau.

Questo progetto ha dovuto affrontare molte sfide, legate non solo alle difficoltà intrinseche del Paese ma anche a livello internazionale, a cominciare dalla pandemia, proseguendo attraverso una crisi economica mondiale causata della guerra in Ucraina. Tuttavia, in questi anni è riuscito a dare i suoi frutti. A oggi, infatti, più di 40 famiglie allevano galline ovaiole e si sostentano con la vendita delle loro uova. Altre 30 famiglie si sono concentrate nell’allevamento di pulcini da vendere. In totale, quindi, circa 70 famiglie godono di un’entrata sicura, oltre a quella generata delle attività agricola. 

Il fatto che una piccola parte della popolazione della Guinea-Bissau abbia riconosciuto che non si può basare l’economia famigliare solamente sulla raccolta della castagna di caju o sulla coltivazione di riso, mais e fagioli (attività che producono reddito, ma che purtroppo non rendono le famiglie indipendenti a livello economico, a causa della fragilità del mercato), è una piccola grande rivoluzione.

La produzione di uova e di polli porta infatti buone entrate alle famiglie, tanto che in ognuna di esse, due o tre bambini o adolescenti riescono a frequentare in modo continuativo la scuola o un percorso di studi più avanzato, come un liceo a Bissau.

In questi ultimi mesi di progetto, il team di Mani si concentrerà sull’Organizzazione della Fiera Agroecologica di Natale, che si terrà dal 15 al 22 dicembre 2023, insieme ai partner di progetto e altre organizzazioni che si occupano di agroecologia. Si tratta di una preziosa occasione per creare sinergie locali, mettendo in contatto produttori avicoli e produttori agricoli. 

La Commissione per l’Organizzazione della Fiera sarà composta da UPCA (unione produttori della filiera avicola della Guinea-Bissau), da Kabaz de Vida (associazione di donne contadine del quartiere Granja di Bissau) e da Asas de Socorro, ONG locale che si occupa di sviluppo rurale e nostro partner di progetto.

Durante la fiera sarà data ai beneficiari l’opportunità di vendere i loro prodotti a prezzi fissi (quindi non trattabili come avviene nella maggior parte dei mercati del paese) e a volte anche più alti della media.

Il programma sarà anche fitto di djumbai, momenti dedicati al dialogo, per promuovere lo scambio tra le esperienze dei produttori, consentendo alle famiglie provenienti da varie zone del paese di confrontarsi e sulle sfide per il futuro sentendosi parte di un fronte comune che mira a far riconoscere l’attività avicola come base per il miglioramento delle condizioni di vita della Guinea-Bissau, non solo a livello economico, ma anche a livello di salute e di consumo dei prodotti locali.

Africa Occidentale e colpi di stato

Le sfide in atto nella zona a seguito del susseguirsi dei golpe.

Di Anna Fatima Pasqual e Giovanni Sartor – Mani Tese

A partire dal 2020 la zona dell’Africa che viene definita dalle Nazioni Unite Africa Occidentale e che comprende 16 Paesi[i] ha subito in 4 dei suoi stati membri (Malì, Guinea, Burkina Faso ed infine il Niger) 6 colpi di stato, a cui se ne aggiungono altri due avvenuti in Paesi limitrofi quali il Ciad e il Gabon. Questi ultimi due Paesi hanno in comune con gli altri in cui è avvenuto il golpe l’essere delle ex colonie francesi e quindi in qualche modo appartenenti alla cosiddetta “Françafrique”.

Colpi di stato sono stati inoltre tentati senza successo, sempre a partire dal 2020, in Gambia e Guinea Bissau. A questa situazione si aggiunge uno scenario politico instabile in Senegal in vista delle elezioni presidenziali previste nel mese di febbraio 2024.

Il susseguirsi di colpi di Stato, molti dei quali tra l’altro avvenuti da parte di alti ranghi dell’esercito che fino a un attimo prima erano stati tra i più fidati collaboratori dei presidenti deposti, farebbe pensare a una strategia comune e coordinata. Tuttavia gli esperti internazionali sono concordi nel rilevare che, se è vero che le motivazioni possono essere in parte comuni e si sia creata anche una sorta di spirito di emulazione, la situazione è diversa Paese per Paese ed è bene tenere in considerazione il contesto di ciascuna realtà.

Molti osservatori sono concordi nel ritenere che il motivo principale dei colpi di Stato e soprattutto del successivo consenso che hanno ricevuto in seno alla popolazione, sia legato a problematiche interne ovvero all’incapacità dei Presidenti dei diversi Paesi e più in generale della classe politica di rispondere ai bisogni dei cittadini. Si tratta di bisogni che sono riconducibili alla mancanza di servizi di base quali sanità e scuola, ma anche a un aumento dei costi dei prodotti alimentari e di conseguenza alla povertà.

A queste motivazioni si aggiungono le problematiche relative alla presenza di gruppi armati non statali di matrice jihadista, in particolare in Malì, Niger e Burkina Faso, che controllano porzioni sempre più grandi dei territori dei rispettivi Paesi, senza che i governi pre-golpisti siano riusciti a dare risposte tali da limitare l’avanzata e il controllo di territori da parte di tali gruppi armati.

Storicamente l’esercito in Africa Occidentale è spesso stato percepito come il soggetto che è intervenuto a tutela degli interessi della nazione e dei suoi cittadini, quando essi sono stati minacciati da una classe politica che non era in grado di adempiere ai suoi compiti, corrotta e guidata da interessi esterni.

Nei giornali si è molto parlato anche di un sentimento antifrancese che indubbiamente esiste e lo abbiamo visto dalle manifestazioni nelle diverse capitali dei Paesi coinvolti e parlando con i nostri collaboratori e partner in Burkina Faso e Benin. Ci sembra però di poter dire che il problema non sia la Francia ed in particolare i suoi cittadini ma il fatto che le sue politiche neo-coloniali incentrate sulla difesa e promozione degli interessi francesi in Africa Occidentale (che è esattamente quello che fanno in realtà tutti i Paesi nello scacchiere africano), pur con le correzioni attuate attraverso l’Aiuto pubblico allo Sviluppo e altre forme di finanziamento, non siano state in grado di portare benessere alla popolazione locale. Anzi, oggi la qualità della vita, in particolare nei tre Paesi del Sahel (Malì, Burkina Faso e Niger), è in peggioramento e la popolazione riconosce nella Francia la causa principale di questa situazione.

Siamo di fronte a una crisi della democrazia. In Africa dopo la colonizzazione e un periodo nel quale la maggior parte degli stati è stata governata dal partito unico dell’indipendenza, si sono aperte le porte negli anni ‘90 al multipartitismo e alle elezioni. Oggi molte di queste democrazie hanno fallito e non sono state in grado di rispondere ai bisogni della popolazione.

L’alternanza al potere è stata limitata anche da tentativi da parte del Presidente di turno al potere di modificare la costituzione per garantirsi più mandati rispetto ai due standard (solo per fare alcuni esempi: in Guinea e Gabon i colpi di stato sono avvenuti dopo l’elezione per un terzo mandato del presidente uscente. In Costa d’Avorio il Presidente Ouattara è riuscito a farsi rieleggere per un terzo mandato).

È una democrazia delle élites quella che molto spesso troviamo nei Paesi dell’Africa Occidentale: intermediari d’affari di potenze varie che rinunciano a fare politica e a difendere gli interessi di chi li ha eletti.  I Paesi citati non si trovano ad affrontare identici problemi. C’è piuttosto una convergenza di nodi irrisolti e un’insofferenza crescente per i regimi che, sotto l’apparenza di elezioni democratiche, nascondono la difesa di interessi privatistici e tradiscono in modo più o meno sfacciato il patto sociale con i cittadini.

I golpe appaiono quindi come l’unico modo di provocare un cambiamento in questo nuovo ciclo storico, di assicurare una forma di alternanza al vertice dello stato e di accelerare la transizione generazionale.

La situazione è molto complessa e le forze in gioco come gli interessi sono molteplici. Mani Tese sta dalla parte della popolazione e delle comunità e crede che stabilità e sviluppo in quest’area del mondo non possano che passare dal loro protagonismo e attivismo.

Riceviamo segnali che i cambiamenti in atto stiano risvegliando e attivando forze endogene. Questo è sicuramente positivo se canalizzato in un interesse collettivo e centrato sui bisogni della popolazione senza ricadere su meccanismi geo-politici di sfere di influenza e di controllo di potenze straniere che schiaccerebbe ancora una volta la popolazione locale su interessi e dinamiche che poco avrebbero a che fare con il loro benessere.

Per questo, il primo tema prioritario è a nostro avviso, qualsiasi regime ci sia, la necessità che vengano garantite le libertà individuali e collettive di espressione, incontro, riunione, stampa, il rispetto dei diritti umani in tutte le sue forme e la risposta ai bisogni essenziali per i cittadini.

È  fondamentale che la società civile possa essere protagonista e proporre a chi è al potere, siano essi civili o militari, un’agenda politica di cambiamento.

L’auspicio è poi quello che in tempi rapidi sia la popolazione a poter scegliere attraverso libere elezioni chi li governerà ma non prima di aver attuato un percorso simile ma molto più autentico rispetto a quello già avvenuto negli anni ’90 con le Conferenze Nazionali, coinvolgendo le cosiddette “forze vive” della nazione in un processo che ponga le basi per un rilancio “vernacolare”, come ama dire J.L. Touadì, dei processi democratici.

Un altro aspetto importante è a nostro avviso l’alleanza tra i diversi Paesi dell’Area per adottare una strategia comune. Essenziale se si vuole sconfiggere il terrorismo ma anche se, insieme, ci si vuole contrapporre a interessi di stampo neocoloniale. Recentemente i governi frutto dei golpe in Malì, Burkina Faso e Niger hanno stretto un patto dando vita all’Alleanza dei Paesi del Sahel (Alliance des États du Sahel – Aes). Il documento, chiamato Carta Liptako-Gourma, prende il nome dalla regione dove le frontiere dei tre Paesi si incontrano, una zona in cui operano negli ultimi anni diversi gruppi armati irregolari. I contenuti del patto riguardano una collaborazione tra i tre Paesi sia in ambito militare sia in ambito economico. Se sarà in grado di ottenere qualche risultato nella lotta ai gruppi armati jhaidisti, lo vedremo nei prossimi mesi. Provare a operare insieme su problemi comuni è in ogni caso positivo.

Da questo punto di vista ECOWAS, comunità economica degli stati dell’Africa Occidentale,  potrebbe giocare un ruolo importante se veramente si superano schieramenti pro o contro la Francia o altre potenze extra africane e ci si concentra sugli interessi della Regione. La Nigeria, di gran lunga il Paese più potente e popoloso dell’area, potrebbe avere un gran vantaggio dal giocare un ruolo da riferimento regionale in una zona in cui si riduce drasticamente la conflittualità e si promuovono politiche di comune interesse.

Un aspetto importante è infine il ruolo della comunità internazionale. L’attuale situazione è anche figlia di un approccio che ha visto la Francia ma non solo (si pensi all’Italia e alle sue politiche finalizzate a ridurre i flussi migratori) concentrarsi sugli interessi nazionali e non su quelli dei Paesi dell’Africa occidentale senza ascoltare i loro bisogni e tenere conto dei loro interessi, se non in minima parte con i progetti di cooperazione finanziati alle ONG e alle diverse Agenzie delle Nazioni Unite. Anche l’approccio prevalentemente securitario, con la formazione degli eserciti e delle forze di polizia, come avvenuto per esempio negli ultimi anni in Niger, ha rivelato tutti i suoi limiti, anche perché oggi al potere ci sono quei militari precedentemente formati dalla Francia e dagli altri Paesi, Italia compresa, presenti in Niger.

Nelle politiche dell’Unione Europea e dei suoi stati membri le priorità siano dunque i diritti e il benessere dei cittadini dei Paesi partner, non tanto e non solo i propri interessi geopolitici.


[i] 15 sono invece i membri dell’ECOWAS, comunità economica degli stati dell’Africa Occidentale di cui non fa più parte la Mauritania

Make compost not war

Il potere dell’agroecologia in Burkina Faso: lavorare insieme per prendersi cura della terra e rigenerarla è la chiave per costruire la pace.

 

Dopo la dichiarazione del 13 aprile 2023 di Ibrahim Traoré, presidente del Burkina Faso, la stampa parla apertamente di una guerra in corso contro i gruppi armati non statali (GANE) e in tutto il Paese è in atto una mobilitazione generale di persone e risorse. Il numero di attacchi nelle diverse regioni del Burkina Faso è aumentato poco prima della stagione delle piogge, come si attendevano i servizi di sicurezza, e sta diminuendo man mano che gli scrosci si fanno più forti e frequenti. 

Non solo l’esercito Burkinabé gioisce della tregua data dalla pioggia, ma anche la terra, riarsa dal sole per nove mesi all’anno, finalmente ricomincia a respirare e rinverdirsi. Tuttavia, a causa dei cambiamenti climatici, le piogge si stanno facendo sempre più irregolari, come racconta Jean-Baptiste Kaboré, leader dell’organizzazione contadina del comune di Pella, nella regione del Centro-Ovest. 

“Coltivo il riso da sempre ma negli ultimi anni il clima è cambiato moltissimo – afferma Jean-Baptiste Kaboré – Non piove più come prima e il rischio di perdere il raccolto adesso è più elevato”.  

Jean-Baptiste ha appena concluso la restituzione alla sua organizzazione delle tecniche agroecologiche apprese durante la formazione di aprile, realizzate nell’ambito del progetto “Nutriamo il futuro”, cofinanziato da AICS Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo. Con lui c’è anche il coltivatore Adama Soulama, che si dichiara contento di quello che ha imparato, e che ha subito applicato sul suo terreno. 

“È stato molto utile imparare a fare il compost – racconta Adama – Alcuni già conoscevano la tecnica, ma adesso tutti i membri dell’organizzazione sanno metterla in pratica in modo corretto e questo ci permette di rigenerare il terreno e renderlo più fertile senza dipendere da fertilizzanti sintetici, riducendo il rischio di perdita del raccolto”. 

Fare il compost implica sforzo fisico e una grande collaborazione tra le persone e rappresenta uno degli asset del progetto “Nutriamo il futuro”. 

Salomon Bouda, punto focale di Mani Tese, si è occupato di organizzare e gestire le formazioni realizzate e racconta così il procedimento: “Per riuscire a creare un buon compost, occorre il coinvolgimento di tante persone. Prima si scava la superficie della terra e si crea una base, poi si appoggiano la paglia, la cenere e le deiezioni animali. Il tutto viene irrorato dall’acqua versata ripetutamente. Si continua per un po’ fino a realizzare tre strati, poi si copre il tutto con un telo e si aspetta. Il risultato di questo lavoro permette di rigenerare la terra”. 

Lavorare insieme per prendersi cura della terra e rigenerarla è la chiave per costruire la pace in Burkina Faso, come altrove. Quando la terra diventa arida, fare il compost diventa un’attività fondamentale che, attraverso la cooperazione, permette di ottenere, l’indomani, buoni frutti. 

 

Al via la produzione di pasta d’arachide al centro di Poedogo

Grazie al progetto Trasformiamo!, le donne di Koubri, in Burkina Faso, hanno un mulino per produrre la pasta d’arachide e diventare così sempre più economicamente autosufficienti.

L’arachide è un prodotto di grande consumo in Burkina Faso, se si tiene conto delle abitudini culturali e alimentari di più di 2,5 milioni di famiglie. Rappresenta un settore importante nel comparto dei semi oleosi, con una produzione in crescita negli ultimi anni.

Anche a Koubri, comune poco lontano da Ouagadougou, le donne dell’Associazione delle Sorelle Burkinabè di Poedogo utilizzano, per preparare i loro piatti, l’arachide. Soprattutto il suo principale derivato: la pasta d’arachide.

Tuttavia, per via della situazione di insicurezza del Paese e della crisi generale nella regione, i prezzi dei generi alimentari sono in continua fluttuazione. Di conseguenza riuscire a coltivare, trasformare e vendere un prodotto interamente sul mercato locale permetterebbe alle donne, e quindi alle famiglie, di risparmiare non poco sul costo del cibo.

Helene Compaore, 29 anni e tre bambini, sa come si produce la pasta d’arachide e ce lo mostra maneggiando il nuovo mulino elettrico, che funziona grazie all’impianto solare del centro di trasformazione di Poedogo. “Adesso che ho imparato come usare il macchinario, voglio iniziare a produrre pasta d’arachide” ci racconta “così non sarò costretta a comprarla ma, anzi, la potrò vendere, guadagnarci qualcosa e far conoscere l’Associazione anche ad altre donne”.

Il mulino è stato installato e interamente realizzato da CEAS, il Centro Ecologico Albert Schweitzer del Burkina Faso, nell’ambito del progetto Trasformiamo!” promosso da Mani Tese insieme ad altri partner e cofinanziato dalla Regione Emilia Romagna.

Il CEAS è dotato di un laboratorio di produzione supervisionato dal tecnico ingegnere Theodore Hein, che si è occupato direttamente dell’ideazione e della creazione del mulino artigianale.

“Non è stato semplice e abbiamo testato a lungo il mulino, ma con una pratica costante le donne arriveranno a produrre un’ottima pasta d’arachide” sostiene Theodore, che durante la formazione ha mostrato le tecniche di produzione e mantenimento. Al termine dell’attività, è stato creato un comitato di gestione del mulino con persone di riferimento. In prima fila c’era Helene.

“Voglio invitare anche le altre donne di Poedogo ad avere coraggio, uscire di casa e venire qui al centro per trasformare insieme e produrre la pasta d’arachide” dichiara Helene “solo insieme, infatti, possiamo diventare più forti”.

rpt

Distribuzione kit per agroecologia in Burkina Faso

Distribuzione Kit per Agroecologia in Burkina Faso.

 

Burkina Faso, 20 luglio 2023  – Siamo in Burkina Faso, dove abbiamo effettuato la distribuzione di kit per facilitare il compostaggio della terra, al fine di contribuire alla conversione agroecologica di 15 h di perimetri orticoli della cintura verde di Ouagadougou.

Il kit è destinato a 750 produttori vulnerabili ed è costituito da l’attivatore Compost+ e da due tipi diversi di bio insetticidi a base di piante.

Il progetto è finanziato da Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo in partenariato con ACRA Scopri di più sul progetto: https://bit.ly/44vwS8X

 

https://www.youtube.com/watch?v=zck1VnIIKxg

 

Un futuro per I giovani di Gabù fra api e pannelli solari

Orticoltura, apicoltura, medicina tradizionale, ma anche energie rinnovabili: sono solo alcuni fra i corsi di formazione organizzati nella regione di Gabù, in Guinea-Bissau, ai quali hanno partecipato i giovani fra i 15 e i 35 anni coinvolti nel progetto “Ripartire dai giovani”,  cofinanziato dall’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo . Tutti ambiti di formazione […]

Orticoltura, apicoltura, medicina tradizionale, ma anche energie rinnovabili: sono solo alcuni fra i corsi di formazione organizzati nella regione di Gabù, in Guinea-Bissau, ai quali hanno partecipato i giovani fra i 15 e i 35 anni coinvolti nel progetto “Ripartire dai giovani”,  cofinanziato dall’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo .

Tutti ambiti di formazione scelti perché garantiscono impieghi immediati o favoriscono le iniziative imprenditoriali.

Lo scopo? Sensibilizzare le comunità sulle opportunità di lavoro locali, in una regione in cui il tasso di impiego per ragazzi e ragazze fra i 15 e i 35 anni raggiunge appena il 30%, e che molti giovani scelgono di abbandonare. Ma anche permettere alla società civile di colmare, pur parzialmente, il vuoto lasciato dalle istituzioni statali in ambito formativo: i corsi, infatti, sono gestiti da organizzazioni della società civile locale, sotto la supervisione di Mani Tese e del partner di progetto PONGAB.

Così, fra marzo e aprile, ben 80 persone fra i 15 e i 35 anni hanno potuto beneficiare di 160 ore di formazione e migliorare le proprie competenze professionali di base. Successivamente, a maggio e a giugno, sono stati realizzati altri quattro corsi, fra cui uno sulla produzione e il trattamento delle piante, con un focus sulla frutticoltura.

 

Osservatorio kenya: come la guerra “impatta” lontano dall’Europa

“Eat cassava if there is no bread”. Mangiate la cassava se non avete il pane: la frase pronunciata dal presidente Ugandese Museveni ha ben riassunto la situazione critica che il conflitto in Ucraina ha causato in questa parte del mondo. La zona del Corno d’Africa sta infatti vivendo la più forte siccità da 40 anni […]

“Eat cassava if there is no bread”. Mangiate la cassava se non avete il pane: la frase pronunciata dal presidente Ugandese Museveni ha ben riassunto la situazione critica che il conflitto in Ucraina ha causato in questa parte del mondo. La zona del Corno d’Africa sta infatti vivendo la più forte siccità da 40 anni a questa parte (fonte: Financial Times, 3 maggio 2022) e 20 milioni di persone sono a rischio, fra cui quelle nelle zone di Baringo, in Kenya, dove operiamo.

Una drammatica situazione

Il mese di aprile ha visto code e blocchi dovuti alla scarsità di carburante in Kenya, che purtroppo ancora persiste in molte aree. Anche a Nakuru le pompe hanno rifornimenti a singhiozzo. Nairobi ha vissuto momenti drammatici con il traffico paralizzato da automobilisti in coda all’unica stazione con un po’ di rifornimento. E ovviamente la speculazione ha fatto il suo ingresso con richieste di prezzi esorbitanti alla pompa. I fertilizzanti e i prezzi di molte materie prime per l’alimentazione animale e umana sono raddoppiati o più con una forte pressione inflazionistica. Il settore della alimentazione animale, che aveva già lanciato un disperato grido d’allarme nel dicembre scorso, oggi si trova in una crisi peggiore. La dipendenza della regione dalle importazioni da Ucraina e Russia (oltre il 60% sul grano) ha mostrato tutta la vulnerabilità delle politiche agricole. Il prezzo alla tonnellata è passato da circa 280 dollari a quasi 600 e le conseguenze si stanno già facendo sentire con rincari di oltre il 10% per il pane. Le previsioni sono di ulteriori rincari in una situazione in cui i sottoprodotti del grano per l’alimentazione animale già scarseggiano.

Anche il latte, l’alimento più consumato in Kenya con circa 100 litri pro-capite all’anno, ha visto una drammatica riduzione a causa della siccità e della crisi dei mangimi. Si fa fatica a trovarlo nei supermercati e molto spesso le poche forniture sono limitate e gli acquisti razionati. La fame di investimenti ha fatto salire il debito del paese dal 38% del Pil nel 2012 al quasi 70% odierno, con un bilancio del governo in disavanzo dell’8%. Ha fatto scalpore che per la prima volta nella storia del paese la spesa per rimborso del debito abbia superato le spese per personale dello stato ed è la prima uscita del bilancio del governo. Il rating delle principali agenzie è negativo e appena un gradino sopra la zona C.

L’impatto sulle risorse ambientali

La pressione inflazionistica derivata dalla guerra è stata esacerbata dall’aumento del carburante, che nei due anni progettuali è aumentato del 70%. E con esso quello di gas e paraffina. Questo fatto è particolarmente drammatico in quanto spinge la popolazione verso le risorse da biomasse. Legna e carbone stanno quindi diventando alternative per i bisogni domestici non solo per le zone rurali ma anche per quelle urbane, vista la diminuzione di reddito disponibile. La domanda urbana spinge purtroppo le aree rurali, colpite dalla crisi, a rispondere. Nelle strade di Baringo è possibile constatare coi propri occhi la drammaticità della situazione: decine e decine di moto cariche di sacchi di charcoal si incrociano sulla strada in direzione delle cittadine di Mogotio e Nakuru. Una processione dolorosa che mostra il danno ambientale causato dalla situazione e la disperazione delle comunità.

Gli strascichi della pandemia

Il Kenya, tra l’altro, era appena uscito dalla crisi pandemica, che ha portato al blocco quasi totale del turismo, (-95% degli arrivi), alla perdita di numerosi posti di lavoro e al fallimento di numerose imprese nonché ad una forte minaccia agli sforzi di conservazione. Sul fronte turistico il famoso hotel Hilton, centro della Nairobi del business e del turismo di alta fascia, ha annunciato la sua chiusura, come sono stati chiusi gli storici alberghi negli Aberderes, che avevano visto la principessa Elisabetta diventare regina alla morte del padre. Il progetto Agrichange Mani Tese da anni in Kenya si batte per una politica di sostegno ai piccoli produttori che permetta loro di essere protagonisti e di ottenere un giusto ritorno dalla propria attività. Dal 2020 a fine 2022, Mani Tese insieme allo storico partner locale NECOFA e ai partner KOAN, E4IMPACT, APAM, Università di Torino, SIVAM e Università Cattolica, sta implementando il progetto “Agri-change: piccole imprese grandi opportunità. Sviluppo di filiere agro-alimentari nel bacino del fiume Molo”, cofinanziato dall’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo, che mira alla creazione di opportunità di reddito e di resilienza nelle aree focus del nostro lavoro: Baringo e in parte Molo.

Purtroppo il progetto sin dal suo inizio ha dovuto affrontare mari sempre più in burrasca: dai lockdown del 2021 e le varie ondate pandemiche, che hanno dato un primo duro colpo alla economia locale, fino alla crisi attuale. Aleggia inoltre l’incertezza tipica del processo elettorale, in quanto il paese si sta preparando alle elezioni presidenziali che si preannunciano complesse e tese. La menzionata siccità e gli effetti del cambiamento climatico hanno ulteriormente alimentato questa tempesta perfetta. L’obiettivo di Agrichange è la promozione di due catene del valore, quella animale e quella del miele, nella zona di Baringo e la promozione della funghicoltura nella zona di Molo. Nonostante le difficoltà, siamo riusciti a realizzare tutte le strutture ed è stato fatto un importante sforzo per supportare le filiere del miele e dell’allevamento circolare. A oggi il miele è stato colpito duramente dalla siccità con volumi ridotti di produzione ma ha ancora un forte potenziale specie qualora la stagione umida aiuti nella ripresa produttiva. La recente missione dei tecnici di APAM in Kenya, inoltre, ha aiutato i piccoli produttori locali, che hanno potuto apprendere una migliore gestione degli alveari. Per quanto riguarda l’allevamento circolare, attualmente i prezzi di vendita hanno reso l’allevamento suino altamente poco redditizio e i gruppi formati stanno riducendo drasticamente il numero di capi in attesa di un miglioramento. Particolarmente critica è la situazione a Baringo, dove però Mani Tese sta operando con altri progetti per sostenere la comunità con attività alternative generatrici di reddito. La parte di funghicoltura, per fortuna, è quella che più sta avendo successo, con la costituzione di cinque gruppi produttori attivi e una produzione costante di orecchioni nella zona di Molo, la quale fornisce un forte sostegno al reddito dei produttori. Con il timido inizio delle precipitazioni a inizio maggio, il team di progetto ha provveduto alla distribuzione di semi e fitocelle per le comunità a Marigat in modo da supportare in questo momento di difficoltà i gruppi e le famiglie. Grazie ad Agrichange abbiamo poi lavorato con E4Impact per la formazione e l’avvio di piccole imprese locali. Grazie a questa attività alcuni giovani beneficeranno di un fondo per intraprendere piccole attività imprenditoriali dando così un messaggio di speranza in questa situazione difficile. Insieme all’Università di Torino abbiamo poi lavorato alla creazione di un allevamento di mosche soldato per la produzione di larve per alimentazione animale, che, seppur risenta della situazione generale, ha margini potenziali per il futuro. A 6 mesi dalla fine del progetto Agrichange stiamo vivendo un momento complesso. Le continue crisi hanno dato un durissimo colpo al morale dello staff e del partner locale NECOFA. Nonostante tutto, continuiamo a lavorare anche nei momenti più bui e complessi perché questa è la nostra responsabilità e questo è il nostro concreto impegno di giustizia.

L’estate di Mani Tese dedicata ai giovani

Le proposte di Mani Tese per trascorrere un’estate all’insegna del volontariato e della solidarietà

Milano, XX luglio 2022  – Anche quest’anno Mani Tese, Ong che da oltre cinquant’anni persegue la giustizia nel mondo, offre diverse proposte per trascorrere un’estate alternativa e solidale, dedicate in particolare ai ragazzi e alle ragazze.

I campi estivi di Mani Tese rappresentano da sempre un’occasione per condividere un impegno di solidarietà e di giustizia durante l’estate. Grazie ad attività di formazione, lavoro e volontariato, sono per i giovani un’opportunità per mettere in relazione il loro sguardo globale con quello locale imparando a diventare cittadini e cittadine del mondo prendendosi cura anche della propria comunità. Tanti i temi sviluppati nel corso degli anni, come la povertà e le disugualianze, l’ambiente e la crisi climatica, le migrazioni e le schiavitù moderne.

I campi estivi permettono, soprattutto, di sperimentare buone pratiche per rendere più sostenibile il proprio stile di vita.

L’estate 2023 di Mani Tese

Le proposte di quest’anno si rivolgono per lo più alle comunità locali e ai ragazzi e alle ragazze dei diversi territori italiani, dove i giovani sono immersi nella sfida per il loro futuro, alla ricerca di riconoscimento e visibilità, di cura e identità. A giugno e luglio si sono svolti

“”TRAP“”, un campo rivolto a minori dell’area penale (Catania, 26 giugno – 1 luglio);

“”L’AMORE SPACCA!””, un campo non residenziale che ha coinvolto 23 adolescenti (Treviso, 5 – 15 luglio);

“”DEMOCRACITY“”, una scuola politica e di volontariato per ragazzi e ragazze dai 18 ai 28 anni (Vico Equense, 9 – 13 luglio);

Sono in partenza altri campi, per i quali sono ancora aperte le iscrizioni:

“”FAST FASHION: WHO PAYS?“” – Pratrivero (BI), 31 agosto – 3 settembre; campo diurno per ragazzi e ragazze dai 15 ai 19 anni.

“”SMUOVIAMO LE ACQUE!“” – Verbania (VB), 28 luglio – 7 agosto; campo residenziale per ragazzi e ragazze dai 18 ai 35 anni.

Per informazioni e iscrizioni ai campi estivi è sufficiente consultare la pagina dedicata sul sito di Mani Tese all’indirizzo www.manitese.it/campi-estivi-mani-tese.

 

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