10 fatti sull’agricoltura contadina in Europa

Una panoramica del mondo contadino europeo e delle piccole aziende che producono quel cibo buono, sano e sostenibile che cerchiamo ogni giorno

Per prepararci alla Giornata Mondiale dell’Alimentazione (16 Ottobre) proponiamo un approfondimento tematico sull’agricoltura contadina in Europa tramite 10 Fatti che ci restituiscono una panoramica del mondo contadino europeo e della situazione in cui versano le piccole e medie aziende impegnate nel produrre quotidianamente quel cibo buono, sano e sostenibile che il consumatore italiano va sempre più cercando.

1. Quanti contadini ci sono in Europa e quanta terra lavorano?

In Europa sono impegnate nel lavoro agricolo 25 milioni di persone. La maggioranza sono piccoli contadini. Questo si può dedurre dal fatto che delle 12.248.000 aziende agricole, solo il 3% sono quelle che si estendono per più di 100 ettari. Questa minoranza controlla il 50% del territorio agricolo europeo lasciando il restante 50% in condivisione tra tutte le altre aziende che rappresentano il 97% del totale (e non superano i 10 ettari ciascuna).

2. Piccoli agricoltori nutrono gli abitanti dell’Europa

Pur possedendo una superficie arabile tra il 30 al 50% di quella totale, i produttori di piccola scala forniscono l’89% degli alimenti consumati dalla popolazione europea. Lo dimostrano i dati di Eurostat da cui, tra l’altro, si deduce che in 21 Paesi dell’UE le aziende contadine hanno un Margine di Contribuzione Lordo (differenza tra i ricavi totali della produzione ed i costi degli input agricoli) più alto per ettaro rispetto alle aziende agricole industriali.

3. Le piccole aziende agricole creano occupazione

Nei 28 Paesi dell’Unione Europea, le aziende agricole sopra i 100 ettari generano solo il 5% dell’occupazione nel settore agricolo. Prendendo come esempio il comparto del latte, un’azienda di larga scala ha bisogno di 1.9 unità di forza lavoro per produrre 1 milione di litri di latte. Nell’economia basata sull’agricoltura contadina la stessa quantità viene prodotta con 3.3 unità. Questo esemplifica l’efficienza nella creazione di posti di lavoro dell’agricoltura contadina tramite piccoli investimenti di capitale.

4. L’agricoltura contadina basata sull’agroecologia usa molte meno risorse

Le piccole aziende agricole sfruttano proporzionalmente meno combustibili fossili sia nella produzione che nella distribuzione. Per produrre per esempio un 1kg di carne si usano 8.800 chilocalorie in una piccola azienda agricola mentre più di 10.000 in un’azienda agricola di stampo industriale.
I metodi di allevamento di bovini nutriti a foraggio consumano il 50% in meno di energia fossile rispetto ai metodi di allevamento che prevedono bovini nutriti in modo convenzionale”.

5. Le politiche pubbliche sono a beneficio dell’Agrobusiness e dell’esportazione

La Politica Agricola Comune (PAC) è una delle più importanti politiche pubbliche in Europa. La PAC del 2014-2020 ammonta a 400 miliardi e rappresenta il 40% circa del budget europeo. Eppure il modello corrente è chiaramente sbilanciato nella distribuzione di questi aiuti economici. I più grandi beneficiari della PAC sono infatti i grandi proprietari terrieri ed i BIG dell’agrobusiness, non le aziende contadine. Nel 2011, per esempio, le più grandi aziende agricole (1,5% del totale) hanno ricevuto 1/3 dei sussidi della PAC.

6. Chi sono i perdenti rispetto ai sussidi pubblici?

Si è verificato un graduale cambiamento nei sussidi della PAC: dai sussidi dati per incentivare la produzione di un determinato prodotto ai sussidi forniti all’agricoltura indipendentemente dalla tipologia di produzione che l’agricoltore porti avanti. Gli aiuti (ossia i “pagamenti diretti”) vengono in questo modo slegati da come i terreni agricoli vengono utilizzati e distribuiti in base alla sola superfice agricola utilizzabile (SAU). Questo cambiamento va di pari passo con il drammatico fenomeno di concentrazione della terra nella mani di poche grandi aziende.

7. I contadini stanno scomparendo e la terra si sta concentrando nelle mani di pochi

Nel periodo tra il 2000 ed il 2012, in Europa sono scomparsi 4.8 milioni di lavoratori full-time nel settore agricolo. L’Europa ha perso 1/3 delle piccole aziende agricole dal 2003 (12 milioni di aziende agricole) al 2013 (8 Milioni di aziende agricole). Inoltre, la terra è sempre più utilizzata per pratiche non agricole come l’urbanizzazione, l’industria estrattiva, la produzione di petrolio e di gas, gli investimenti sull’energia rinnovabile, i trasporti, il turismo, i centri commerciali e così via.

8. Crolla il reddito dei piccoli, sale alle stelle il profitto dei grandi

I margini di guadagno del settore agricolo sono stati usurpati dalle industrie degli input agricoli (sementi, fertilizzanti, pesticidi etc.) e dalla grande distribuzione organizzata. Considerando l’arco di tempo tra il 2000 ed il 2016 i prezzi per gli input agricoli sono cresciuti più del doppio rispetto ai prezzi pagati agli agricoltori per i loro prodotti. Se prendiamo per esempio in esame un’azienda tedesca di stampo industriale notiamo che del ricavo avuto da 100 Kg di cereali prodotti, il corrispondente 75% è stato usato per pagare le industrie degli input agricoli. Questa dipendenza dagli input industriali non garantisce una sostenibilità economica dell’azienda agricola, avendo al contrario l’effetto strutturale di renderla fragile e poco autonoma.

9. Lavoratori stipendiati, migranti, donne e giovani sono tra coloro che sono maggiormente colpiti dalle politiche agricole dominanti

I lavoratori stipendiati rappresentano una parte importante del settore agricolo e dovrebbero essere considerati come produttori di cibo a tutti gli effetti. Ogni anno, il settore agricolo dell’Unione Europea dà occupazione ad almeno mezzo milione di lavoratori stagionali provenienti dai Paesi esterni all’Unione Europea. Tra di essi, le donne svolgono un ruolo importantissimo: pur essendo parte di quella forza lavoro, possiedono meno del 22% delle proprietà agricole. Allo stesso modo, prendendo in esame il caso italiano per quanto riguarda il settore agricolo e la componente migrante dei lavoratori, vengono impiegati intorno ai 430.000 lavoratori ogni anno tramite un’intermediazione illecita (caporali), dei quali almeno un quarto è vittima di gravi forme di sfruttamento. La grande maggioranza proviene dall’Africa, dall’Est Europa, dai Balcani, dall’India e dal Pakistan.

10. Contro queste tendenze, i contadini e i loro alleati stanno combattendo in ogni parte d’Europa

Nel 1969, Sicco Mansholt, Commissario Europeo dell’Agricoltura e pioniere della PAC, lanciando il piano di modernizzazione dell’agricoltura europea, predisse che le piccole aziende agricole sarebbero presto scomparse. Nel 2017, i contadini d’Europa sono uniti senza distinzione di classi, razza, genere, attraverso le frontiere. Queste nuove convergenze tra persone implicano una compenetrazione delle questioni agrarie, lavorative, ambientali e politiche, e stanno facendo nascere nuove forme di lotta e solidarietà in ogni parte d’Europa e del mondo.

Mani Tese appoggia e sostiene la mobilitazione di Via Campesina e del suo Coordinamento europeo.

Per approfondire

La Via Campesina è il più grande movimento internazionale della società civile contadina, nato nel 1993 a Mons in Belgio. Mette assieme milioni di contadini, piccole e medie aziende agricole, braccianti (con una particolare attenzione per la rappresentanza femminile, migrante e di tutti i “Sem Terra”). Questa coalizione ha definito il concetto di sovranità alimentare nel 1996, in alternativa alla sicurezza alimentare proposta lo stesso anno dalla FAO durante il World Food Summit. La Via Campesina porta avanti da allora una battaglia affinché l’ideale della sovranità alimentare diventi realtà, difendendo la piccola-media agricoltura davvero sostenibile. Il suo Coordinamento Europeo è formalmente riconosciuto nel 2008 e mette assieme 27 associazioni di produttori (su scala nazionale e regionale), lavoratori agricoli e organizzazioni rurali di 17 Paesi europei. Il Coordinamento è membro della Via Campesina e ne è il suo specchio regionale. Si mobilita a favore dei diritti dei contadini per un’agricoltura locale e “biodiversa”, affinché le politiche ed i finanziamenti europei all’agricoltura vadano in una direzione di equità e sostenibilità nel rispetto delle comunità coinvolte.

Contenuti liberamente tratti dal sito www.eurovia.org

GIORNATA DELL’ALIMENTAZIONE: MANI TESE LANCIA LA CAMPAGNA “MANGIA, DONA, AMA”

Cambiare il futuro delle migrazioni tramite la sovranità alimentare: i nostri progetti in Guinea-Bissau. Sosteniamoli con cene ed eventi conviviali!

MANGIA, DONA, AMA è il titolo della campagna di Mani Tese lanciata in occasione della Giornata Mondiale dell’Alimentazione 2017, che si terrà il 16 ottobre e il cui slogan scelto dalla FAO per quest’anno è “Cambiamo il futuro delle migrazioni. Investiamo nella sicurezza alimentare e nello sviluppo rurale”.

Attraverso la campagna MANGIA, DONA, AMA, l’iniziativa di raccolta fondi di Mani Tese, è da oggi possibile conoscere e sostenere i progetti dell’ONG in Guinea Bissau, dove la promozione dello sviluppo rurale, e in particolare sovranità alimentare, sono risultati particolarmente efficaci nella prevenzione dei rischi della migrazione irregolare.

Il contesto internazionale

Secondo la FAO (dati 2015) nel mondo sono 244 milioni i migranti internazionali e 763 quelli interni. Il fenomeno migratorio è complesso e non può non considerare come i tre quarti delle persone che vivono sotto la soglia di povertà, quindi potenziali migranti, basino il proprio sostentamento sull’agricoltura. Creare le condizioni che permettano ai giovani che vivono in aree rurali, o alla periferia di grandi città, di rimanere nel proprio Paese e di disporre di mezzi di sussistenza più resilienti è quindi una componente cruciale di qualsiasi piano per affrontare questa sfida.

Il paper “Migrazioni e sovranità alimentare: il caso Guinea-Bissau”

In occasione della Giornata Mondiale dell’Alimentazione, Mani Tese ha pubblicato sul proprio sito un paper ispirato al tema lanciato dalla FAO illustrando la propria esperienza in Guinea-Bissau. Il documento, liberamente scaricabile, racconta in breve un caso di successo di cooperazione internazionale dove la promozione di una filiera avicola basata sui principi della sovranità alimentare ha creato attività di autosostentamento e opportunità di sviluppo locale utili per prevenire i rischi della migrazione irregolare.

“Mani Tese è da sempre impegnata in progetti di cooperazione internazionale che prevedono lo sviluppo rurale dei Paesi in cui opera – dichiara Giovanni Sartor, Responsabile Cooperazione Internazionale di Mani Tese – In particolare, siamo convinti che uno dei metodi più efficaci per ridurre la fame e sostenere lo sviluppo dei popoli, prevenendo quindi i rischi della migrazione irregolare, sia la promozione della sovranità alimentare, intesa come il diritto di decidere autonomamente cosa produrre scegliendo metodi di coltivazione sostenibili, rispettosi dell’ambiente e delle tradizioni locali”

L’intervento in Guinea-Bissau ha previsto la creazione di un’impresa sociale per la riproduzione di polli e la produzione di uova e mangimi, tra i prodotti di base dell’alimentazione locale importati. Attiva da circa un anno e mezzo, l’impresa sociale avviata (CEDAVES) è oggi in grado di produrre e vendere ogni mese 2.000 pulcini, 10.000 uova e 20 tonnellate di mangimi con margini di guadagno che, già dopo poco più di un anno di vita, la rendono completamente sostenibile.

Il progetto ha avuto così successo che è stato riproposto, in parte, anche nell’ambito di successive attività promosse in Guinea-Bissau da Mani Tese volte a prevenire i rischi della migrazione irregolare, in particolare dei giovani. Sono stati infatti recentemente realizzati altri quattro pollai gestiti da associazioni giovanili come opportunità per migliorare la condizione nutrizionale ed economica e per dare la possibilità di svolgere un’attività importante per lo sviluppo del proprio villaggio offrendo un’alternativa all’opzione della migrazione.

La campagna MANGIA, DONA, AMA

Partecipare alla campagna MANGIA DONA AMA a sostegno dei progetti per lo sviluppo rurale e la sovranità alimentare di Mani Tese è molto semplice. È sufficiente organizzare una cena, un aperitivo, uno show cooking, un corso di cucina o un qualsiasi evento conviviale e trasformarlo in un’occasione di solidarietà per garantire cibo sano, sostenibile e prodotto localmente per le popolazioni della Guinea-Bissau.
I fondi raccolti andranno a sostegno dei progetti di Mani Tese nel Paese.

Scarica la locandina della campagna
Scarica il paper “Migrazioni e sovranità alimentare: il caso Guinea Bissau”

UN’ALTRA VITTIMA DEL LAVORO MINORILE NELLE FABBRICHE TESSILI INDIANE

di Martina Milos MADURAI, India – Ancora una volta gli occhi del mondo sono puntati sulle fabbriche tessili indiane in cui si riforniscono i brand della moda mondiale, e ancora una volta ad attirare l’attenzione è stata la morte di una giovanissima lavoratrice. La ragazza si chiamava N. Kalaiyarasi, aveva 14 anni e lavorava al […]

di Martina Milos

MADURAI, India – Ancora una volta gli occhi del mondo sono puntati sulle fabbriche tessili indiane in cui si riforniscono i brand della moda mondiale, e ancora una volta ad attirare l’attenzione è stata la morte di una giovanissima lavoratrice. La ragazza si chiamava N. Kalaiyarasi, aveva 14 anni e lavorava al Dingul Cotton Textile Mills, in Tamil Nadu.

Sabato 30 settembre si era sentita male durante il turno di lavoro ed era stata portata in pronto soccorso da una compagna. Era stata dimessa con una prescrizione di riposo assoluto, ma già il giorno seguente Kalaiyarasi era al lavoro. Se non si fosse presentata avrebbe perso il prezioso bonus di 2.700 rupie (41.52 dollari) che le lavoratrici ricevono per Diwali, la “festa delle luci” che si celebra ogni anno tra ottobre e novembre.

La notizia della sua morte è stata diffusa dalla Tamilnadu Textile and Common Labour Union (TTCU) che fa parte del MSI-TN, Multistakeholder Initiative – Tamil Nadu, un network promosso da Mani Tese per mettere in rete le associazioni e gli attivisti che si occupano del tessile. Secondo T. Sesurai, consulente del TTCU, “la sua morte poteva essere evitata. Rendere discrezionale l’elargizione del bonus non è accettabile. Le ragazze sono già pagate meno del dovuto, quindi tecnicamente il bonus è un loro diritto”.

Parlare di diritti nelle fabbriche tessili dell’India non è semplice. La miniera di capi d’abbigliamento e tessuti a basso costo che approvvigiona i mercati internazionali è un’enorme macchina complessa e ramificata che rappresenta il 15% delle esportazioni e conta 45 milioni di lavoratori e lavoratrici.

Si tratta per lo più di giovani donne della più modesta condizione sociale, provenienti da comunità in cui il tasso di alfabetizzazione è minimo e su cui ancora pesa l’eredità dell’appartenenza alle caste più basse. Lavorano fino a 12 ore al giorno in un ambiente in cui le intimidazioni e le molestie a sfondo sessuale sono la norma e le condizioni di sicurezza non sono garantite.

Kalaiyarasi è morta martedì 3 ottobre di polmonite, all’ospedale governativo di Madurai dove era stata ricoverata domenica in seguito all’aggravarsi delle sue condizioni. La sua storia è l’ennesimo episodio di mancato rispetto degli standard minimi di sicurezza dei lavoratori, perché la ragazza lavorava per troppe ore consecutive, senza maschera protettiva e perché non c’era personale sanitario per le 200 dipendenti dello stabilimento.

I dirigenti della fabbrica non hanno rilasciato dichiarazioni. Hanno organizzato un incontro con la famiglia della ragazza, ma per giornalisti e associazioni che chiedono conto dell’accaduto il telefono squilla a vuoto. Il TTCU, intanto, ha chiesto che venga versato ai familiari un risarcimento pari a 15 anni di stipendio: una cifra esorbitante solo a prima vista, perché la paga di Kalaiyarasi ammontava a 3,54 dollari al giorno.

AL PICCOLO TEATRO CON MANI TESE PER LO SPETTACOLO “EMILIA”

la promozione speciale per gli amici di Mani Tese per lo spettacolo Emilia in scena al Piccolo Teatro Grassi martedì 17 ottobre 2017.

Mani Tese insieme al Piccolo Teatro di Milano è lieta di segnalarvi la promozione speciale al prezzo di 16 euro (anziché 33) per lo spettacolo Emilia in scena al Piccolo Teatro Grassi martedì 17 ottobre 2017.

Emilia è stata la tata di Walter e ora è in difficoltà. Dopo vent’anni i due si ritrovano e il ragazzo, ora adulto e benestante, la introduce nella sua famiglia. Giulia Lazzarini torna sulle scene come protagonista del testo del drammaturgo argentino Claudio Tolcachir.

Emilia è un’analisi sul rapporto tra realtà e memoria, sulla famiglia e sulle sue dinamiche interne.

Per prenotare la prima dello spettacolo di martedì 17 ottobre alle ore 20.30 scrivere a comunicazione@piccoloteatromilano.it specificando nell’oggetto MANITESE/EMILIA, seguito dal vostro nome, cognome e numero di posti da riservare.

(I biglietti dovranno essere prenotati e ritirati entro venerdì 13 ottobre)

Emilia_Piccolo_Teatro_mani Tese_2017

JOSUALDO: LA MIA ESPERIENZA NEL PROGETTO “ANTULA è GIOVANE”

Il progetto Antula è giovane, in Guinea Bissau, si è concluso da poco. Il progetto aveva come obiettivo quello di offrire ai giovani delle comunità residenti fonti di sostentamento che rappresentino valide alternative alla partenza e, nel contempo, quello di promuovere l’integrazione sociale ed economica dei migranti di ritorno. Antula è giovane ha portato risultati […]

Il progetto Antula è giovane, in Guinea Bissau, si è concluso da poco. Il progetto aveva come obiettivo quello di offrire ai giovani delle comunità residenti fonti di sostentamento che rappresentino valide alternative alla partenza e, nel contempo, quello di promuovere l’integrazione sociale ed economica dei migranti di ritorno.

Antula è giovane ha portato risultati notevoli, i cui sviluppi abbiamo documentato sul nostro sito nelle settimane precedenti. A conclusione di questo percorso, oggi pubblichiamo la testimonianza di un nostro giovane collaboratore guineense che l’ha seguito in prima persona.

“Mi chiamo Josualdo J. C. Lopes Semedo e sono un ingegnere agroalimentare residente a Bissau in Guinea Bissau.
Ho lavorato come responsabile dalla reintegrazione socio-professionale dei migranti di ritorno e sono responsabile delle attività produttive all’interno del progetto “Antula è jovem!” implementato dalla ONG Mani Tese e OIM e finanziato dall’Unione Europea che ha avuto inizio il 27 febbraio 2017 e si è concluso il 27 agosto 2017.

L’esperienza di lavorare nel campo dei flussi migratori mi ha fatto crescere sia come persona che a livello professionale. Tenendo in considerazione il lavoro fatto sul territorio posso capire realmente cosa è la migrazione irregolare e le difficoltà che hanno affrontato i nostri fratelli che hanno scelto questa via per arrivare in Europa.

È stato scioccante ascoltare la dura realtà e le sofferenze che hanno dovuto affrontare i migranti nel corso del loro viaggi, dove sono stati spesso vittime delle autorità regionali o di furti di banditi che spacciatisi per autorità o fatti prigionieri o addirittura assassinati per aver resistito ai furti, oppure ancora ritornati tramite l’OIM. Questi racconti mi hanno motivato ancora di più a lavorare con Mani Tese nello sviluppo di questo progetto, che ha avuto l’obiettivo di rafforzare l’integrazione sociale e economica dei migranti di ritorno attraverso opportunità di formazione e inclusione professionale nel quartiere di Antula.

Il progetto ha previsto l’implementazione di corsi di informatica, di base e avanzata, grazie ai quali i giovani beneficiari hanno potuto avere accesso in a questo nuovo mondo dove chi non ha le conoscenze informatiche è considerato analfabeta.

Un’altra attività è stata l’avvio di microimprese in ambito sartoria e panetteria/pasticceria. Le 30 persone beneficiarie di queste attività erano per la maggioranza disoccupate e senza professione. Oggi si sono diventate sarti e panettieri.

Sono davvero felice di aver partecipato a questo progetto, che ha aiutato a realizzare quello che sembrava un sogno per molti e ora invece è realtà. Desidero ringraziare Mani Tese per questa opportunità e tutto il personale di progetto (in particolare il nostro coordinatore Piero Meda!) e un grazie a OIM che continua a sostenere i nostri giovani per prevenire i pericoli della migrazione irregolare”.

Josualdo J. C. Lopes Semedo

sartoria_mani tese_2017
Josualdo (secondo da sinistra) con alcuni ragazzi e ragazze del progetto “Antula è giovane”

CAMPAGNA “ERO STRANIERO”: ULTIMI GIORNI PER FIRMARE!

Il 15 ottobre si chiude la raccolta firme per la proposta di legge popolare della campagna Ero Straniero – L’umanità che fa bene.

di Martina Milos

Il 15 ottobre si chiude la raccolta firme per la proposta di legge popolare della campagna Ero Straniero – L’umanità che fa bene. Mancano meno di 2.000 firme per raggiungere le 50.000 necessarie a presentare la legge in Parlamento. L’obiettivo è ambizioso ma ormai è a portata di mano. Sarebbe un peccato lasciarsi sfuggire l’occasione, perché la campagna Ero Straniero porta avanti un’idea su cui, al netto delle strumentalizzazioni, potremmo essere tutti d’accordo: se vengono in Italia, gli immigrati devono lavorare e pagare le tasse.

Dalla piazza di Pontida al CARA di Mineo, tutti considerano il lavoro regolare un diritto-dovere imprescindibile e una condizione necessaria per la permanenza in Italia dei cittadini stranieri. Il problema è che la legge italiana distingue nettamente tra le vittime di guerre e persecuzioni, titolari di protezione internazionale, e i migranti economici, categoria a cui appartiene anche chi fugge da situazioni di estrema miseria. Per questi ultimi la legge Turco-Napolitano, poi modificata dalla Bossi-Fini, non prevede canali regolari di ingresso, né strumenti per regolarizzare la propria condizione dopo aver trovato lavoro. Le sanatorie grazie a cui negli anni passati molti immigrati hanno ottenuto il permesso di soggiorno erano misure straordinarie e l’ultima risale al 2012. Ad oggi l’unica via percorribile per chi non può vantare un conflitto o una dittatura nel suo Paese è quella che comincia con un “viaggio della speranza” e finisce, se tutto va bene, con la clandestinità in Italia.

Un clandestino, o irregolare come sarebbe meglio dire, non può essere assunto con un contratto regolare. Lavorerà in nero, non pagherà tasse e farà concorrenza alla manodopera non qualificata italiana, perché un irregolare costa meno ed è più ricattabile anche di un italiano povero.

La proposta di Ero Straniero è semplice: istituire un permesso di soggiorno temporaneo per ricerca di lavoro, che permetta ai cittadini extracomunitari di arrivare in Italia per vie sicure e rimanerci fino a un anno cercando un’occupazione. In caso di successo questo tipo di permesso dovrebbe potersi convertire nel permesso di soggiorno ordinario per motivi lavorativi, altrimenti al termine del periodo previsto il migrante dovrebbe lasciare il territorio nazionale. La permanenza e il viaggio sarebbero totalmente a carico suo o di un eventuale “sponsor”, quindi non graverebbe sul sistema di accoglienza.

Contemporaneamente si propone la regolarizzazione dei cittadini extracomunitari irregolari che possano dimostrare di essere ormai radicati in Italia. Seguono una serie di proposte che riguardano l’integrazione dei richiedenti asilo attraverso programmi di formazione e occupazione, l’accesso effettivo ai servizi sanitari per gli immigrati di qualsiasi status giuridico e alcune misure per estendere l’accesso ai servizi sociali per gli immigrati regolari. Ci sono poi l’elettorato attivo e passivo nelle elezioni amministrative per i titolari di un permesso per soggiornanti di lungo periodo e, immancabilmente, l’abolizione definitiva del reato di clandestinità.

Nel complesso, l’adozione di queste norme rappresenterebbe un cambio di rotta nella politica di gestione dell’immigrazione, dal paradigma securitario al paradigma dell’inclusione. Non comporterebbe un aumento esponenziale dei flussi né un rischio in termini di sicurezza, perché renderebbe più facile controllare gli ingressi e contribuirebbe a eliminare quelle sacche di emarginazione e povertà da cui la criminalità attinge le sue risorse. Non costituirebbe una spesa, anzi garantirebbe nuove entrate per il precario sistema previdenziale italiano.

Infine, migliaia di persone non sarebbero indotte a rischiare la vita in mare o in Libia o nel Sahara, o in qualsiasi altro luogo in cui i trafficanti dettano legge e i diritti umani sono parola vuota: anche senza i vantaggi precedenti, è già un ottimo motivo per andare a firmare.

GIORNATA DELL’INSEGNANTE: QUALE LEZIONE PER OGGI?

di Valeria Schiavoni, Formatrice di Mani Tese Oggi è la Giornata Mondiale dell’Insegnante, stabilita dall’Unesco a partire dal 1994 per mobilitare il supporto a favore di questa professione e per assicurare che l’insegnamento vada incontro ai bisogni delle future generazioni. Quest’anno ha questo slogan: “Teaching in Freedom, Empowering Teachers”. Un film, The Teacher, del regista […]

di Valeria Schiavoni, Formatrice di Mani Tese

Oggi è la Giornata Mondiale dell’Insegnante, stabilita dall’Unesco a partire dal 1994 per mobilitare il supporto a favore di questa professione e per assicurare che l’insegnamento vada incontro ai bisogni delle future generazioni. Quest’anno ha questo slogan: “Teaching in Freedom, Empowering Teachers”.

Un film, The Teacher, del regista ceco Hrebejk, mette al centro della pellicola proprio questo mestiere. Cosa ci può raccontare di utile la pellicola in un giorno come questo?

Maria Drazdechová, la protagonista del film, è a dir poco la peggior insegnante che potreste trovare il vostro primo giorno di scuola: arrivista, vendicativa, poco interessata alla formazione degli alunni quanto ossessivamente concentrata sul proprio benessere. Esemplificativa la frase con cui si apre il film: “ora leggerò i vostri nomi, ognuno si alzerà in piedi e dirà ad alta voce qual è il lavoro di mamma e papà”.

Nel film gli alunni sono incollati ai banchi di scuola senza poter dimostrare la loro effettiva preparazione, in attesa che i genitori prestino i propri servigi alla professoressa. Dietro all’apparenza leziosa e alle sue gonne colorate, l’insegnante ricatta adulti e ragazzi per buoni voti, in cambio di dolci, acconciature, riparazioni di mobili e pulizie di casa. Grazie alla spinta della Dirigente scolastica questa sceneggiatura vacillerà: i genitori verranno chiamati a prendere posizione in merito alla professoressa, mostrandosi così complici del sistema corrotto o coraggiosi di operare un cambiamento profondo.

Il mondo dei ragazzi è speculare a quello degli adulti, nel quale si ricalca lo stesso immobilismo sociale, dovuto alla paura di mettersi contro la docente perché vedova di un alto ufficiale comunista. Siamo, infatti, nella Bratislava del 1983. La pellicola mostra un conservatorismo scolastico che imita a pieno regime quello sociale e politico nel quale l’opportunismo e la pavidità diventano la norma. Allo stesso tempo, suggerisce che questo immobilismo possa essere rotto proprio a partire da quella dimensione dell’imparare, carica di possibilità, da cui si può trarre coraggio per modificare lo status quo.

Questa quindi una possibile chiave di lettura del film che invita a pensarci ancora tutti sui banchi di scuola, ad esplorare diversi modelli d’insegnamento, ben lungi da quelli che si presentano come rigido mantenimento delle etichette sociali. È un invito a credere nel potere trasformativo dell’apprendimento, là dove l’insegnante è colui che accoglie le sfide del nostro tempo ed, insieme agli studenti, si impegna affinché si possa andare incontro a quel cambio di paradigma necessario per creare un mondo più giusto, sostenibile e pacifico.

The Teacher locandina_mani tese_2017

 

COSÌ IL BUSINESS DETTA LE REGOLE ALLA POLITICA

di ELIAS GEROVASI, responsabile Progettazione e Partenariati di Mani Tese NELL’UNIONE EUROPEA LE LOBBY SONO 9772, IPERATTIVE SOPRATTUTTO NEL SETTORE ENERGETICO, TECNOLOGICO E BANCARIO. GLI INCONTRI CON L’ESECUTIVO UE SONO 7000 ALL’ANNO E NEL 75% DEI C ASI RIGUARDANO LA GRANDE INDUSTRIA. INTANTO A LIVELLO GLOBALE NON ESISTONO ANCORA REGOLAMENTAZIONI VINCOLANTI. Se volessimo dare una […]

di ELIAS GEROVASI, responsabile Progettazione e Partenariati di Mani Tese

NELL’UNIONE EUROPEA LE LOBBY SONO 9772, IPERATTIVE SOPRATTUTTO NEL SETTORE ENERGETICO, TECNOLOGICO E BANCARIO. GLI INCONTRI CON L’ESECUTIVO UE SONO 7000 ALL’ANNO E NEL 75% DEI C ASI RIGUARDANO LA GRANDE INDUSTRIA. INTANTO A LIVELLO GLOBALE NON ESISTONO ANCORA REGOLAMENTAZIONI VINCOLANTI.

Se volessimo dare una definizione neutra di lobbismo, potremmo indicarlo in termini generali come “l’insieme delle tattiche e strategie con le quali i rappresentanti dei gruppi di interesse (i lobbisti) cercano di influenzare a beneficio dei gruppi rappresentati la formazione ed attuazione delle politiche pubbliche”.

Nonostante una pessima reputazione presso l’opinione pubblica, si tratta di un’attività del tutto lecita se non addirittura auspicabile. Il lobbismo infatti non è patrimonio esclusivo dei poteri occulti e viene praticato quotidianamente da organizzazioni di diversa natura, come ad esempio le società di consulenza in materia di affari pubblici, gli studi legali, le ONG, i centri di studi, le aziende o le associazioni di categoria.

Eppure c’è chi sostiene che il lobbismo, soprattutto quello esercitato dal mondo business, abbia cambiato per sempre la politica, le sue dinamiche, il suo reale potere. Se un tempo le lobby reagivano a specifiche sollecitazioni, spesso quando venivano toccati direttamente gli interessi di una certa categoria, oggi esercitano un’azione onnipresente e proattiva nei confronti della politica. Il modo in cui le grandi corporation e le aziende interagiscono con i governi (nazionali e sovranazionali) non si limita più a proteggere gli spazi del business; oggi il mondo profit cerca nei governi un partner da coinvolgere a 360° alla ricerca di un’interazione sistemica tra business e politica.

Un esempio concreto è l’iperattivismo delle corporation transnazionali sulle istituzioni comunitarie, unico fenomeno osservabile con una certa evidenza grazie alla costituzione del Registro europeo dei lobbisti, che si riferisce sia alla Commissione Europea che all’Europarlamento. Le lobby presenti a Bruxelles sono più di 9000, in un anno gli incontri tenutisi tra l’esecutivo UE e le lobby sono stati oltre 7000 e nel 75% dei casi si è trattato di incontri con rappresentanti della grande industria. Il registro permette alle organizzazioni di classificarsi in sei macro categorie: società di consulenza, lobbisti interni di aziende, organizzazioni non governative, centri studi, comunità religiose e amministrazioni locali. Oltre la metà (51,07%) delle 9.772 organizzazioni registrate rientra nella seconda categoria: lobbisti interni e associazioni di categoria, commerciali e professionali.

Secondo i dati del registro, i settori di business più presenti nelle istituzioni attraverso i propri lobbisti sono quello energetico (petrolifero), tecnologico (internet) e bancario. Nella classifica sempre aggiornata da Transparency international, a investire milioni in lobbying sono le grandi corporation come Google, Airbus, Microsoft, Unicredit, IBM, Deutsche Telekom, Facebook, ecc. Tra i nomi italiani i più presenti sono stati Confindustria, Enel, Eni. In generale il tema forte delle lobby italiane è quello energetico tanto che in classifica ci sono anche Edison, Snam e Terna.

Un recente rapporto sulle lobby in Italia e in Europa, pubblicato da OpenPolis, dipinge un quadro ancora poco trasparente dell’attività dei cosiddetti portatori d’interesse in 22 Stati UE su 27. In assenza di interventi legislativi, nel 31% dei Paesi sono stati avviati percorsi di autoregolamentazione. L’Italia è ferma ad alcune prime sperimentazioni. Nel 2016 la giunta per il regolamento di Montecitorio ha approvato la Regolamentazione dell’attività di rappresentanza di interessi nella Camera dei deputati. A inizio settembre dello stesso anno, il ministro per lo Sviluppo economico ha lanciato un registro per la trasparenza dello stesso MISE che conta ad oggi poco più di 500 soggetti. Nel frattempo si sta muovendo anche il Parlamento, con alcune proposte di legge che andrebbero verso l’introduzione di un registro obbligatorio.

A livello internazionale il problema dell’influenza crescente delle lobby delle multinazionali è ben nota già dalla fine degli anni ‘70 quando le Nazioni Unite istituirono un apposito gruppo di studio per monitorare i tentativi di pressione del mondo business. Uno dei casi più documentati fu quello legato alle aziende produttrici di tabacco che hanno operato per molti anni con il deliberato proposito di sovvertire gli sforzi dell’OMS per regolamentare l’uso del tabacco.

A partire dagli anni ‘80 il fronte dei diritti umani è sicuramente quello su cui le corporation hanno concentrato il loro massimo sforzo, da quando di fatto si è aperto il dibattito internazionale sugli strumenti giuridicamente vincolanti per regolamentare le imprese transnazionali.

Uno dei più grandi risultati ottenuti dalle lobby del business contro l’introduzione di regolamentazioni internazionali vincolanti per le aziende in sede Nazioni Unite è stato messo a segno in occasione della Conferenza delle Nazioni Unite su Ambiente e Sviluppo (UNCED) – il ‘Summit della Terra’ – tenutasi a Rio de Janeiro nel 1992. Lo UNCTC aveva elaborato un serie di raccomandazioni sulle “società transnazionali e lo sviluppo sostenibile” da inserire nel programma d’azione dell’Agenda 21. Ma una coalizione di governi occidentali e lobbisti aziendali è riuscita a ottenere che questo capitolo sulla responsabilità ambientale delle imprese transnazionali fosse rimosso in blocco dall’ordine del giorno della conferenza.

Quella dimostrazione di forza del lobbismo globale segnò un punto di svolta anche nelle ambizioni delle stesse Nazioni Unite in materia di business e diritti umani. L’influenza delle multinazionali infatti è aumentata in modo significativo con l’arrivo di Kofi Annan al Segretariato generale dell’ONU nel 1997. Fu proprio Annan con la sua partecipazione al World Economic Forum di Davos a segnare la transizione “from regulation to partnership” chiamando a raccolta 25 alti dirigenti aziendali, compresi i rappresentanti di Coca-Cola, Unilever, Mc- Donalds, Goldman Sachs e British American Tobacco. Pochi anni dopo sempre a Davos fu lo stesso Kofi Annan a lanciare il Global Compact, un’iniziativa globale che ha spostato l’attenzione sui valori e l’apprendimento comune, piuttosto che sulle regole e sul diritto. Nel suo discorso di presentazione non mancò di sottolineare quanto fossero state forti e tenaci le pressioni dei gruppi d’interesse sui tentativi di regolamentazione delle aziende transnazionali in materia di violazione dei diritti umani.

Articolo comparso sul Giornale di Mani Tese di maggio 2017