EUROPA-AFRICA: FERMARE LE MIGRAZIONI O COMBATTERNE LE CAUSE?

Un rapporto di Concord Italia fa luce sull’attuazione del Fondo Europeo di Emergenza per l’Africa e sui fondi per arginare i flussi migratori

di Elias Gerovasi, Responsabile Progettazione e Partneriati di Mani Tese

È stato presentato oggi a Roma, presso l’Hotel Nazionale in Piazza Montecitorio, il rapporto “Partenariato o condizionalità dell’aiuto?” di CONCORD ITALIA, confederazione delle ONG Europee per l’aiuto e lo sviluppo di cui fa parte anche Mani Tese, e CINI all’interno di un evento promosso da CONCORD Italia e CINI, in collaborazione con AMREF e FOCSIV. Il rapporto analizza l’attuazione del Fondo Europeo di Emergenza per l’Africa e la destinazione dei fondi per arginare i flussi migratori.

Il Fondo Fiduciario d’Emergenza dell’Unione Europea

Lanciato nel Novembre 2015 a La Valletta e presentato come uno strumento innovativo che permette una risposta piĂš flessibile alle sfide poste dalla migrazione irregolare, il Fondo Fiduciario d’Emergenza dell’Unione Europea (EU Emergency Trust Fund – EUTF) è il principale strumento finanziario dell’UE per operare con i partner africani nel campo delle migrazioni. L’EUTF è quasi esclusivamente finanziato (90%) con l’Aiuto Pubblico allo Sviluppo, soprattutto tramite l’uso del Fondo Europeo di Sviluppo (EDF), pertanto la sua implementazione è sottoposta ai principi chiave dell’efficacia dello sviluppo.

Nei primi due anni di operatività il Fondo è stato piÚ volte al centro di polemiche e critiche. Tra le piÚ pesanti quella del Parlamento Europeo, che ormai un anno fa aveva messo in guardia la Commissione circa la deviazione dei fondi per arginare i flussi migratori a favore di regimi autoritari oltre che in merito alla gestione trasparente del fondo stesso.

Il rapporto di CONCORD ITALIA e CINI

Attraverso tre casi studio – Libia, Niger e Etiopia – il rapporto di Concord Italia analizza la natura delle partnership dell’UE con i Paesi Africani nel campo delle migrazioni e le possibili conseguenze delle politiche sul campo. Inoltre esamina il ruolo dell’EUTF e indaga se questo Fondo sia usato per dirottare i fondi dell’aiuto allo sviluppo verso il raggiungimento di obiettivi di sicurezza.

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(Grafico tratto dal Rapporto ““Partenariato o condizionalitĂ  dell’aiuto?”)

 

Il rapporto in conclusione ha rilevato come il EUTF sia uno strumento politico sempre più focalizzato nei paesi chiave su progetti che propongono soluzioni rapide, mirate ad arginare i flussi migratori verso l’Europa. I dati raccolti (VEDI GRAFICO) mostrano con chiarezza la rilevanza della componente “Sicurezza e gestione della migrazione” in riferimento ai fondi stanziati per progetti nei tre paesi analizzati.

Una strategia destinata a non avere successo dal momento che far fronte alle cause delle migrazioni forzate richiede un approccio di lungo termine, coerente e sostenibile, oltre che rispettoso dei principi base dell’aiuto allo sviluppo.

Le raccomandazione della societĂ  civile

Alla luce di quanto emerso dallo studio, le organizzazioni della societĂ  civile di Concord ribadiscono una serie di raccomandazioni sempre piĂš urgenti:
• Assicurarsi che i fondi UE non favoriscano abusi contro i diritti umani dei migranti e dei rifugiati
• Impedire la diversione dei fondi dagli obiettivi dell’aiuto allo sviluppo
• Potenziare la società civile locale affinché possa partecipare alla definizione e realizzazione di progetti che rispondano agli effettivi bisogni locali
• Promuovere partnership con i Paesi Africani fondate sulla coerenza delle politiche per lo sviluppo, prive di condizionalità sulle migrazioni
• Ideare una strategia coerente che approfondisca il nesso tra migrazione e sviluppo, basata sui bisogni locali, chiarendo la continuità tra strumenti di breve e lungo termine, ovvero i legami tra sicurezza, interventi umanitari e per lo sviluppo, avendo il rispetto dei diritti umani quale pilastro fondamentale
• Assicurarsi che i progetti EUTF siano in linea con i principi dell’efficacia dello sviluppo
• Riformare la governance generale del EUTF per una maggiore partecipazione, scrutinio e trasparenza

Scarica il rapporto completo

COSA È SUCCESSO ALLA COP23: LE NOSTRE CONCLUSIONI

Dieci giorni di negoziati non sono bastati alla COP23 di Bonn per arrivare a concludere accordi politicamente rilevanti

Il bicchiere, alla fine, appare piĂš mezzo vuoto che mezzo pieno.

Dieci giorni di negoziati non sono bastati alla COP23 di Bonn per arrivare a concludere accordi politicamente rilevanti sulle questioni chiave della vigilia. Ci sono stati dei passi in avanti, certo, e alcuni incoraggianti, ma la dichiarazione finale, affidata alla presidenza appassionata delle isole Fiji, che hanno costretto i delegati ad un round finale di negoziati durato più di 24 ore, suona poco consistente rispetto all’urgenza di porre un freno alle emissioni gas serra nell’atmosfera. Siamo ancora molto distanti tra la portata delle previsioni scientifiche e i cosiddetti “regolamenti attuativi”, che dovrebbero tradurre l’intenzione di fissare l’innalzamento globale della temperatura a 1,5° o comunque contenerlo al di sotto dei 2°, in programmi concreti. La sensazione generale è che, fatte salve alcune note positive, il vero esame sia stato rimandato al prossimo anno, ovvero alla COP24 che si terrà nel Dicembre 2018 a Katowice sotto la presidenza polacca, paese che fonda buona parte della sua produzione energetica proprio sul carbone.

Proviamo a riassumere brevemente come è andata tra presenti e assenti a quello che, nel bene e nel male, rappresenta l’appuntamento più importante della comunità internazionale sui cambiamenti climatici.

Il più grande assente sono stati i media, ed è un dato molto preoccupante. Se provate a fare una semplice ricerca in rete sui risultati della COP23 vi accorgerete che non è facile trovare articoli o commenti al di là di quelli forniti dalle organizzazioni ambientaliste. I principali media italiani hanno sostanzialmente ignorato l’evento, considerandolo di scarso interesse per l’opinione pubblica. Un segnale molto forte dello scollamento che fa ancora percepire il tema del cambiamento climatico come una questione di nicchia e non un problema di tutti. Sembra che il mondo del giornalismo italiano non abbia ancora fatto il collegamento tra gli eventi climatici eccezionali, di cui ci informano con dovizia di particolari, e le politiche per contenerli. Una mancanza grave, perché senza la pressione dei media anche quella della società civile, pur più efficace e meglio organizzata che in passato, risulta meno incisiva.

Presente come sempre invece la comunitĂ  scientifica internazionale, che ha rilanciato un appello firmato da 15.364 personalitĂ  del mondo accademico provenienti da 184 paesi per ribadire la necessitĂ  di agire subito e con urgenza, perchĂŠ i trend presi come riferimento durante la COP21 di Parigi non hanno fatto registrare miglioramenti in questi due anni. Anzi, il 2016 ha segnato un nuovo record mondiale nelle emissioni di gas serra in atmosfera.

Assente come annunciato (anzi, presente con l’intenzione di boicottare i lavori) la sempre più isolata amministrazione Trump, ma presenti aziende, città e stati Nord Americani che hanno partecipato attivamente ai lavori portando impegni e proposte. Un segnale positivo, accentuato dalla notizia che perfino la Siria ha deciso di entrare nell’accordo di Parigi, lasciando gli Stati Uniti soli nell’intenzione di uscire dal patto.

L’Italia, possiamo dire presente. Ci siamo anche noi tra i primi firmatari della Powering Past Coal Alliance, che si propone di accelerare il processo di decarbonizzazione fino a renderlo completo entro il 2030 nei paesi OCSE ed EU ed entro il 2050 nel resto del mondo. Interesse confermato anche dalla candidatura dell’Italia per ospitare la COP26 nel 2020, che sarà l’anno chiave per l’attuazione degli accordi di Parigi. Buone notizie quindi, che dovranno trovare riscontro in un impegno concreto per ridurre le emissioni nazionali, come afferma la presidente nazionale di Legambiente, Rossella Muroni, a margine della conferenza.

Assenti, purtroppo, molti di quelli che contano davvero, e che avrebbero potuto con una loro presenza innalzare il livello politico dell’appuntamento. Con l’eccezione di Macron e della Merkel, presente più che altro per i doveri di etichetta dovuti dal padrone di casa, i grandi della terra non si sono fatti vedere, contribuendo implicitamente a tenere fuori dai negoziati le questioni centrali, che sono state rimandate al prossimo anno.

Tra gli aspetti positivi, oltre a quelli giĂ  citati due buone notizie sui temi piĂš cari alle ONG come Mani Tese:

  • il tavolo di lavoro sulla sicurezza alimentare e l’agricoltura, settore responsabile di circa il 21% delle emissioni di gas serra, sembra essere uscito da un lungo periodo di stallo. La decisione che troviamo nei report è quella di unire un tavolo tecnico con uno dedicato all’implementazione delle politiche di riduzione di gas serra nel settore alimentare. Ora è possibile “focalizzare gli sforzi per rendere l’agricoltura meno inquinante e piĂš capace di fronteggiare i cambiamenti climatici”, afferma Teresa Anderson, Climate and Resilience Policy Officer di ActionAid International.
  • viene riconosciuto il ruolo dei popoli indigeni nella conservazione della biodiversitĂ  e nella lotta ai cambiamenti climatici attraverso una “Local communities and indigenous peoples platform”, che avrĂ  l’importante effetto far emergere le comunitĂ  indigene come interlocutori nei processi negoziali.

Per il resto toccherà aspettare il prossimo dicembre in Polonia, che verrà preparato durante tutto l’anno attraverso l’approccio del Talanoa Dialogue, ufficialmente riconosciuto come metodologia per la facilitazione dei lavori. Il Talanoa Dialogue è un approccio usato da alcune popolazioni che abitano le isole del Pacifico per favorire un dialogo inclusivo, partecipativo e trasparente. Il metodo si basa sulla costruzione di empatia e fiducia tra i soggetti in dialogo tramite lo storytelling. Talanoa, infatti, significa storia in maori. La definizione dell’Agenda per portare i negoziati fino alla COP24 sarà interamente improntata sull’applicazione di questo metodo.

È questa forse l’impronta più significativa lasciata dalla presidenza delle Fiji, in una conferenza anomala in cui la retorica ha voluto che la conduzione fosse lasciata ad uno dei paesi che saranno toccati per primi dagli effetti dei cambiamenti climatici, mentre la pratica ha fatto sì che per ragioni di comodità la conferenza fosse ospitata in una delle città simbolo dell’industrializzazione europea, nata e prosperata col carbone e con l’acciaio. Un po’ pochino forse come lascito. A Katowice non basterà raccontarsi storie ma occorrerà prendere decisioni. Speriamo che Talanoa ci aiuti a riempire il bicchiere di impegni concreti.

4. VISITA AI PROGETTI DI MANI TESE

Nella quarta puntata del Mazingira Tour, campo di turismo responsabile in Kenya, i partecipanti incontrano i beneficiari dei progetti di Mani Tese.

di Stella Mecozzi – Coordinatrice Mazingira Tour 2017

Quale modo migliore per conoscere le attivitĂ  e l’impegno di una Ong, se non andare a confrontarsi con le comunitĂ  e i gruppi che beneficiano dei progetti finanziati da Mani Tese?

Lo scambio, i racconti e le domande reciproche hanno permesso a noi partecipanti del campo internazionale #mazingiratour di comprendere da vicino le tematiche, le problematiche e le dinamiche che regolano questo tipo di progettazione, oltre al lavoro dell’associazione con il partner locale, Necofa. Analisi del contesto, inquadramento delle problematiche, focus sulle azioni e monitoraggio degli andamenti. Forte l’emozione dell’incontro.

Leggi le altre puntate del diario Mazingira Tour 2017

3. LAGO DI BARINGO: NATURA E PROGETTI

Una nuova puntata del Mazingira Tour 2017 in Kenya, un campo di turismo responsabile tra natura, cultura e solidarietĂ  con il popolo kenyota

di Stella Mecozzi – Coordinatrice Mazingira Tour 2017

Nei tre giorni nella Contea di Baringo, abbiamo visitato i progetti che si snodano attorno al lago di Baringo, immersi nella natura di questa zona.

Purtroppo a causa della deforestazione, il lago è esondato, distruggendo le strutture ricettive e commerciali nate sulla riva e alterando la biodiversità presente.
I progetti di sviluppo di quest’area lavorano sull’agricoltura e sull’allevamento di Tilapia, pesce tipico.
Diverse le formazioni per le comunitĂ  che vivono attorno al lago che si basano sulle modalitĂ  di coltivazione per migliorare la produzione come anche quelle nelle scuole.
La sorpresa di tutti è arrivare al Ruko Community Wildlife Conservancy e incontrare libere le 8 giraffe, protette in questa area.

Leggi le altre puntate del diario Mazingira Tour 2017

 

YOROTO DAL BENIN: UNA VITA PER IL VILLAGGIO E LA MANIOCA!

Vicepresidente di uno dei cinque gruppi di donne del villaggio di Tampègré in Benin, Yoroto è stata eletta la presidente dell’unione di cooperative di donne del villaggio

Vicepresidente di uno dei cinque gruppi di donne del villaggio di TampègrĂŠ in Benin, appartenente al gruppo Yeerina n yon, Yoroto è stata eletta presidente dell’unione di cooperative di donne del villaggio. L’unione riunisce  14 gruppi che svolgono diverse attivitĂ  come la trasformazione della manioca, del karitĂŠ, della  soja e delle arachidi in diverse localitĂ  del comune di Toucountouna, salvo a Kouba, dove è presente un’altra cooperativa che raccoglie i 5 gruppi di donne di Kouba.

Yoroto è di indole pacata, gioviale, lavoratrice e incline all’amicizia sia con le donne del suo gruppo d’origine, sia con i membri dell’Unione di cui lei è presidente.

Analfabeta, ma intelligente e lucida, non prova mai imbarazzo a richiamare, se necessario con autorevolezza, la disciplina, ma è una donna dal cuore d’oro! Yoroto, non smette mai di far sapere ai visitatori, da qualunque luogo provengano, fino a che punto Mani Tese ha cambiato in positivo la vita delle donne, delle loro famiglie, ed anche delle loro comunitĂ , grazie ai diversi progetti di trasformazione della manioca.

Le difficoltĂ  durante il periodo di scarsitĂ  di cibo, che imperversavano ogni anno da maggio ad agosto, ormai sono soltanto un brutto ricordo.

Leggi il nostro progetto “Protagonismo al femminile e sviluppo economico in Benin”

 

TAVOLA ROTONDA: REINSERIMENTO SOCIALE E DIRITTI DEI DETENUTI IN GUINEA-BISSAU

Sensibilizzare gli attori della giustizia in Guinea-Bissau affinchĂŠ le leggi siano applicate per migliorare le condizioni di reclusione dei prigionieri.

Il 19 ottobre è stata realizzata una tavola rotonda sulla giustizia riparatrice e sulle misure alternative di pena, organizzata da Mani Tese e dalla Direzione Generale dei Servizi Prigionali del Ministero di Giustizia della Guinea-Bissau.

Numerosi gli interventi tra cui quelli di Peacebuilding Fund, della rappresentante dell’Unione Europea e di Voz di Paz sul tema. Molti gli spunti di avvocati, societĂ  civile e del giudice di esecuzione di pena della Guinea-Bissau.

Ancora una volta ribadiamo che la prigione è l’alternativa estrema rispetto a pene piĂš eque e piĂš utili per favorire il reinserimento sociale ed economico come il lavoro socialmente utile e altre modalitĂ  molto efficaci.

L’obiettivo della tavola rotonda è stato quello di sensibilizzare gli attori della giustizia in Guinea-Bissau affinché, tutte le leggi rispetto a questi temi, ben sviluppati, siano applicati per migliorare le condizioni di reclusione dei prigionieri.

Ringraziamo le volontarie di ENGIM per il supporto alla comunicazione e alla fotografia.

Presentazioni per approfondire:

  1. Medidas Alternativas de Pena e de reinserção social
  2. TIPOS DE MEDIDAS ALTERNATIVAS NA GUINÉ-BISSAU

IL PANE DOLCE DEI MIGRANTI DI RITORNO IN GUINEA-BISSAU

Attivo e funzionante il forno comunitario a Gabu nell’ambito del progetto “Ritorniamo per rimanere”.

Un forno, un’associazione giovanile, otto migranti di ritorno. Un piccolo gruppo di donne. Un quartiere periferico della cittĂ  di GabĂš.

Quella che raccontiamo in queste poche righe è una storia di una attività produttiva e di piccole economie di quartiere, di riscatto e di integrazione sociale. La storia è di un forno comunitario del quartiere di Capo Verde gestito dall’associazione Mon Na Lama insieme ad alcuni migranti di ritorno che da giugno 2017 lavorano attivamente all’interno del forno producendo pane, ciambelle e pan dolce.
Un idea, questa del pan dolce (pĂŁozinho) che consente ad Aliu e Samba, due giovani che hanno tentato il viaggio in Europa e subito violenze in Libia, di avere un piccolo reddito e di riscattarsi a livello comunitario.
Quasi ogni giorno il forno produce 300 pani dolci che vengono venduti attraverso un porta a porta con l’ausilio di biciclette e una vendita a piccole botteghe di quartiere.

Molti bambini assalgono le biciclette per poterlo assaggiare! Provare per credere. Squisitezze pasticciere da leccarsi i baffi…

L’UNHCHR IN LIBIA: “MIGRANTI DETENUTI OLTRAGGIO ALLA COSCIENZA DELL’UMANITÀ”

L’Alto Commissario delle Nazioni Unite ai Diritti Umani ha denunciato il deterioramento delle condizioni di detenzione dei migranti nel Paese.

A seguito della missione degli osservatori internazionali in Libia, l’Alto Commissario delle Nazioni Unite ai Diritti Umani ha denunciato il deterioramento delle condizioni di detenzione dei migranti nel Paese, giudicando “disumana” la cooperazione dell’Unione Europea con questo Paese.

“La comunità internazionale non può continuare a chiudere gli occhi sugli inimmaginabili orrori vissuti dai migranti in Libia e sostenere che la situazione non può essere risolta che migliorando le condizioni di detenzione” ha affermato in un comunicato l’Alto Commissario Zeid Raad al Hussein sostenendo che “la politica dell’Ue che consiste nell’aiutare la guardia costiera libica e intercettare e respingere i migranti è disumana”.
“La sofferenza dei migranti detenuti in Libia è un oltraggio alla coscienza dell’umanità”, ha aggiunto.

L’Alto Commissario ha denunciato l’aiuto fornito dall’Ue e dall’Italia alla guardie costiere libiche per arrestare i migranti in mare sostenendo inoltre che “i centri di detenzione in Libia devono essere chiusi. La situazione in questi campi è inaccettabile”.

Secondo le cifre del Dipartimento libico di lotta contro la migrazione illegale, citate dall’Onu, 19.900 persone si trovano in questi centri a inizio novembre, rispetto alle circa 7.000 di metà settembre. Questo consistente aumento delle detenzioni segue violenti combattimenti a Sabrata, città dell’ovest della Libia diventata piattaforma di partenza dei migranti verso l’Europa. La situazione nei campi libici, documentata anche in un reportage esclusivo di Cnn, rivela una vera e propria tratta di esseri umani del tutto paragonabile a quella degli schiavi.

“La protezione dei nostri confini non può giustificare quello che sta accadendo sull’altra sponda del Mediterraneo con il supporto dell’Europa e dell’Italia – dichiara Valerio Bini, Presidente di Mani Tese – Quanto riportato dagli osservatori internazionali ci confermano che i migranti sono le prime vittime delle schiavitĂš moderne non solo in Libia. I dati aggiornati dell’ILO mostrano che una vittima del lavoro forzato su quattro è stata sfruttata al di fuori del suo paese di residenza, lo stesso vale per tre vittime su quattro di sfruttamento sessuale”

“La denuncia dell’Alto commissario delle Nazioni Unite ai diritti umani – aggiunge Bini – rafforza la convinzione e l’impegno che mettiamo come Mani Tese nel contrastare le forme di schiavitĂš moderna attraverso un programma multisettoriale che incrocia attivitĂ  di sensibilizzazione ed educazione in Italia con progetti di contrasto, prevenzione e protezione delle vittime di lavoro minorile, trafficking e sfruttamento lungo le filiere produttive”.