MIGRANTI, RAZZISMI E COOPERAZIONE: LE PAROLE DA DIRE AD ALTA VOCE
Nell’editoriale del numero di dicembre 2017 del giornale di Mani Tese, il Presidente Valerio Bini sottolinea l’importanza di riaffermare l’impegno di Mani Tese sul tema delle migrazioni.
Forse non siamo stati chiari. Forse non abbiamo parlato abbastanza forte. Abbiamo sempre lavorato contro gli squilibri internazionali e per la costruzione di una società mondiale di persone libere e uguali.
Pensavamo fosse chiaro che il nostro lavoro di cooperazione nel Sud del mondo era indirizzato
all’affermazione di diritti e alla realizzazione effettiva della libertà degli individui e delle comunità. Nel frattempo però qualcuno, qui in Italia, pensava che la cooperazione fosse una scorciatoia per difendere miserabili egoismi, “aiutandoli a casa loro”.
Pensavamo di aver detto chiaramente che le politiche liberiste imposte dalle istituzioni nazionali e internazionali stavano accentuando le diseguaglianze globali, ostacolando le comunità del Sud nella costruzione del loro futuro. Nel frattempo però le nostre istituzioni hanno continuato a ribadire che “non c’è alternativa” a queste politiche, erodendo diritti a vantaggio di una minoranza sempre più esigua.
Pensavamo fosse evidente che il nostro lavoro di Educazione alla Cittadinanza Globale nelle scuole, il nostro lavoro sociale sul territorio italiano, avevano come orizzonte una cultura dell’integrazione, in cui la diversità è prima di tutto un valore. Nel frattempo, però, alcuni partiti e movimenti montavano una campagna capillare di intolleranza che ha offuscato le menti delle persone accanto a noi, confondendo i diritti con i privilegi, le vittime con i carnefici, gli ultimi con i primi.
E allora eccoci qui, a “scoprire” il tema delle migrazioni, continuando a lavorare come sempre abbiamo fatto, ma con la necessità di essere più espliciti, più determinati, più forti.
Perché paradossalmente, pur non avendo fatto altro per oltre 50 anni, siamo in ritardo e dobbiamo ripartire dalle fondamenta: il problema non sono i migranti, il problema è questa economia, questa società, questa politica.
CRONACHE DA UN LABORATORIO SULLE SCHIAVITÙ MODERNE
Le scomode riflessioni dei ragazzi raccontate dalla nostra animatrice dei percorsi di Educazione alla Cittadinanza Globale
Con questo articolo vorrei condividere con i lettori un’esperienza vissuta insieme agli alunni del Liceo Cairoli di Vigevano, coinvolti nella Campagna Molto più di un Pacchetto Regalo e nei percorsi di Educazione alla Cittadinanza Globale sul tema delle schiavitù moderne.
Questa vicenda ha inizio già quando varco le porte delle aule, armata di post-it, fogli e pennarelli, ma anche munita di spezzoni di film, link utili al lavoro di approfondimento e ricerca. I ragazzi rompono le file di banchi, si mettono in cerchio con le sedie insieme ai loro professori e “a partire da un quiz cinematografico” vengono invitati a riflettere sul fenomeno delle schiavitù, su quelle di ieri e di oggi. Scoprono un che di paradossale: se durante gli anni della tratta atlantica le vittime di schiavitù sono stimate tra i 12 ed i 15 milioni di persone, i report dell’ILO ci parlano di 40 milioni di persone coinvolte in qualche forma di schiavitù moderna; proprio oggi, epoca nella quale la schiavitù è illegale in tutto il mondo. Reazioni di sbigottimento e perplessità si leggono negli occhi dei partecipanti, ma affiorano anche le spiegazioni di questa crescita del fenomeno. Le analizziamo insieme, alla stregua di quello che Kevin Bales, uno dei maggiori studiosi del tema, ci spiega a proposito: tre sono i macro-fattori che possiamo individuare per comprendere l’esplosione delle nuove forme di schiavitù, ossia la rapida crescita demografica, il repentino cambiamento economico (che ha stravolto le forme tradizionali di sussistenza) e la mancanza dello Stato di Diritto.
Per entrare nel merito di queste nuove forme di schiavitù e capire quindi CHI davvero siano gli schiavi del XXI secolo, i ragazzi sono stati invitati a soffermarsi sulle cause che possono rendere una persona prigioniera, alla luce dei tre macro fattori considerati. Hanno modellato con le loro stesse mani le catene degli schiavi moderni: a partire da alcuni grandi fogli di carta hanno tagliato delle lunghe strisce, scrivendo su ognuna uno dei fattori che può rendere una persona schiava; hanno poi piegato le bande di carta, dando visibilità a quelle che sono i tanti anelli delle catene invisibili degli schiavi contemporanei. Se ogni studente ha messo in luce una parte della catena, tutti insieme hanno formato quella maglia di singole cause che fanno sì che 40 milioni di persone siano ridotte in schiavitù. Debiti, minacce (fisiche e psicologiche), violenze, confisca dei documenti, falsi contratti, isolamento, inganno e confino sono alcuni degli elementi che ci permettono di riconoscere gli schiavi di oggi.
La catena viene quindi posata a terra, al centro del cerchio formato dalle sedie su cui sono seduti i ragazzi, a ricordarci la pesantezza di queste prigioni invisibili. Allora la mia domanda, posta a tutta la classe: “Queste catene, secondo voi, riguardano anche noi? Se pensate di sì, avvicinatevi ad esse e se invece pensate di no allontanatevene, rimanendo seduti”. A questo punto del percorso, le risposte sono state multiple e poco scontate, mettendo in luce quanto questo tema ci possa mettere in discussione in prima persona.
In una prima classe si è “materializzato” un discorso di genere: le ragazze si sono prontamente alzate e avvicinate alla catena, i ragazzi sono rimasti seduti al loro posto. Questo gruppo sembra aver inconsapevolmente ricostruito quella questione di genere sottesa al fenomeno delle schiavitù moderne. Le stime del 2017 infatti ci dicono che il 71% delle vittime intercettate sono donne. Le ragazze in classe si sono sentite toccate dal fenomeno per varie motivazioni, riconoscendo che le vittime erano in qualche modo “a loro vicine”: anche solo geograficamente, per genere o anagraficamente; sono sempre ragazze quelle che lavorano in strada, appostate di notte poco lontano dal centro cittadino.
Nella seconda classe coinvolta negli incontri, gli animi si sono accesi su altre argomentazioni: una parte della classe si riteneva corresponsabile del fenomeno delle schiavitù moderne in quanto consumatori; leggendo le etichette dei proprio vestiti e delle proprie scarpe i ragazzi hanno messo in luce che tutto ciò che compriamo è frutto del lavoro di qualcuno e che nella maggioranza dei casi quel qualcuno non ha voce in capitolo sulle ore di lavoro, sul proprio stipendio ed in generale sul proprio contratto. L’altra parte della classe ha reagito in maniera curiosamente diversa, schierandosi a favore di una NON responsabilità personale. La responsabilità, affermavano, è della società e non del singolo individuo. A quel punto la mia domanda è stata: “e quindi la società da chi è composta?”.
Un ragazzo ha preso parola, osannato dagli altri: “Io non sono parte della società, non ne sono parte perché non produco PIL, non fatturo”. A quel punto il dibattito si è animato e la campanella è suonata. Giusto il tempo di lasciare per strada gli ultimi sassolini per una riflessione (mia e loro) futura: “eppure-rispondo io- c’è qualcuno che dice che “la società bisogna costruirla, continuamente, tutti insieme”. Curioso è pensare che questa frase non viene da un filosofo né da un rivoluzionario bensì dalla pagina 6 delle Indicazioni nazionali per il I ciclo di istruzione. Allo stesso tempo-penso tra me e me- è significativo realizzare che l’argomentazione portata dal ragazzo in questione rispecchi un’altra anima della società: quella che ci racconta quotidianamente che nel mondo globalizzato al peso economico corrisponde il potere politico. L’esclusione dalla società che questo studente testimonia non trova le sue radici proprio in quel sistema economico iniquo e insostenibile, che punta a sfruttare i vulnerabili e a farci dimenticare della loro esistenza?
MIGRAZIONI E COOPERAZIONE: IL NUOVO NUMERO DEL GIORNALE DI MANI TESE
È on line il nuovo numero del giornale di Mani Tese. Un’edizione dedicata al tema delle migrazioni curata da un nuovo direttore
È on line il nuovo numero del giornale di Mani Tese. Un’edizione dedicata al tema delle migrazioni curata dal nuovo direttore responsabile Matteo Chiari, giornalista professionista con un passato di servizio civile in Mani Tese e di responsabile del Centro di documentazione (CEDOC).
Storie di migranti che dalla Guinea-Bissau hanno cercato un futuro altrove:
la speranza di una vita migliore si è, però, infranta nell’inferno della Libia IL VIAGGIO SPEZZATO. RIPARTIRE DA CASA
di Aldo Daghetta e Matteo Anaclerio
Guarda la videopresentazione del giornale a cura del direttore:
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UN IMPORTANTE RICONOSCIMENTO PER IL NOSTRO IMPEGNO IN BURKINA FASO
Lo scorso 5 dicembre, nell’ambito dei festeggiamenti previsti per l’11 dicembre, festa di indipendenza del Paese, Chiara Zazzaroni, Rappresentante Paese di Mani Tese in Burkina Faso, è stata insignita del prestigioso titolo di Cavaliere dell’Ordine Nazionale.
Lo scorso 5 dicembre in Burkina Faso, nell’ambito dei festeggiamenti previsti per l’11 dicembre, festa dell’indipendenza nel Paese, Mani Tese è stata insignita del prestigioso titolo di Cavaliere dell’Ordine Nazionale.
Si tratta di un riconoscimento importante che ci è stato conferito a nome del Presidente del Burkina Faso “per il lavoro portato avanti con le comunità rurali a sostegno dello sviluppo del Paese”.
“Per me è stata una grande soddisfazione professionale ricevere un così alto riconoscimento per il lavoro svolto in questi anni – racconta Chiara Zazzaroni, Rappresentante Paese di Mani Tese in Burkina Faso – ed è stata una forte emozione rappresentare un organizzazione che si è distinta per i suoi meriti e servizi resi alla nazione. Ho ripensato a quando, sette anni fa, sono arrivata in Burkina Faso per lavorare per Mani Tese: alle difficoltà dei primi tempi ma anche alle soddisfazioni e ai risultati che ne sono conseguiti grazie al lavoro realizzato con l’équipe”.
NO A FASCISMI E XENOFOBIA: LA NOSTRA SOLIDARIETÀ A “COMO SENZA FRONTIERE”
In merito all’irruzione di “Veneto Fronte Skinheads”, esprimiamo la nostra condanna dell’atto violento e la piena solidarietà a “Como Senza frontiere”
In merito all’irruzione di “Veneto Fronte Skinheads” avvenuta nei giorni scorsi durante un’assemblea della Rete “Como Senza Frontiere”, Mani Tese intende esprimere la sua forte condanna dell’atto violento e la piena solidarietà a “Como Senza frontiere”, una rete che unisce decine di associazioni a sostegno dei migranti.
“Mani Tese esprime tutta la sua solidarietà ai volontari di ‘Rete Como Senza Frontiere’, vittima nei giorni scorsi del blitz di un gruppo neonazista – dichiara Sara De Simone, Vice Presidente di Mani Tese – Da sempre promuoviamo pratiche non violente e solidali nel nostro lavoro quotidiano e per questo siamo profondamente preoccupati dalla crescete diffusione di ideologie e pratiche fasciste, violente e xenofobe. Vogliamo quindi esprimere il nostro sostegno ai volontari di Como e incoraggiarli a continuare a lavorare insieme per un mondo migliore”
NASCE LA FEDERAZIONE MANI TESE
Coordinerà iniziative di cooperazione, riuso e riutilizzo, educazione alla cittadinanza globale, inclusione dei migranti.
Coordinerà iniziative di cooperazione, riuso e riutilizzo, educazione alla cittadinanza globale, inclusione dei migranti. Bini: “La geografia della povertà è cambiata. Oggi la cooperazione non riguarda più solo il Sud del Mondo ma anche le nostre città”
È stato siglato sabato 25 novembre 2017 l’atto di costituzione della FEDERAZIONE MANI TESE ETS, una nuova realtà costituita dalle organizzazioni nazionali, locali e territoriali che si richiamano all’esperienza e alla storia dell’Associazione Mani Tese, da oltre 50 anni impegnata per combattere le ingiustizie nel mondo.
Una scelta, quella di creare una federazione, imposta da uno scenario globale della povertà ormai mutato, che allo schema tradizionale che suddivideva il mondo in Nord e Sud sostituisce oggi una globalizzazione dell’ingiustizia, in cui vaste aree di povertà coesistono accanto a isole di ricchezza, in ogni parte del pianeta.
“La geografia della povertà globale sta cambiando – dichiara Valerio Bini, Presidente della Federazione Mani Tese – Intorno a noi si sta disegnando una nuova mappa delle diseguaglianze globali: mentre alcuni settori delle economie ‘in via di sviluppo’ crescono rapidamente, milioni di persone lasciano ogni anno quelle stesse regioni in cerca di una vita migliore; mentre nelle nostre città nascono nuovi quartieri che attraggono le élite globali, in queste stesse città si producono nuove povertà”.
Di fronte a questo scenario in evoluzione, le realtà del mondo Mani Tese si sono unite in una Federazione per rafforzare la loro azione sul territorio italiano, coordinando le attività di cooperazione, educazione alla cittadinanza globale, sensibilizzazione politica, co- sviluppo e inclusione sociale.
“Attraverso questa Federazione Mani Tese si proietta verso il futuro – spiega Bini – elaborando una strategia che unisce i nostri progetti di sviluppo nel Sud del mondo con un’azione efficace nelle periferie ‘vicine’ a noi: una nuova cooperazione, un nuovo volontariato per lo stesso impegno di giustizia”.
Le realtà di Mani Tese
Mani Tese è sempre stata all’avanguardia nel cogliere le trasformazioni della società, organizzandosi per rispondere in modo innovativo alla domanda di giustizia che assumeva di volta in volta forme diverse. Accanto all’Organizzazione Non Governativa fondata nel 1964, sono nate, nel corso del tempo, quattro cooperative per la promozione delle attività di riuso e riciclaggio dei rifiuti (Manitese nazionale, Riciclaggio e Solidarietà di Firenze, “No allo spreco” di Faenza, Ri-Mani di Catania), cinque Organizzazioni di Volontariato (Campania, Firenze, Pratrivero, Sicilia, Faenza) e un’Associazione di Promozione Sociale (Finale Emilia).
In Italia Mani Tese coinvolge complessivamente più di 5000 volontari.
I membri della federazione
Fanno parte della Federazione Mani Tese:
– Associazione di Volontariato Mani Tese Pratrivero
– Cooperativa Riciclaggio e Solidarietà Firenze
– Associazione Mani Tese Ong Onlus
– Associazione di Volontariato Mani Tese Firenze
– Associazione di Volontariato Mani Tese Campania
– Cooperativa Sociale Mani Tese Onlus
– Ri-Mani Società Cooperativa Sociale Di Catania
– Associazione di Volontariato Mani Tese Faenza
– Associazione di Promozione Sociale Mani Tese Finale Emilia
Membri del consiglio direttivo sono Valerio Bini, eletto Presidente, Stella Mecozzi, Vicepresidente, Roberto Valgimigli e Gianluca Viaggi.
Le attività della federazione
La Federazione Mani Tese intende operare per la pace e la giustizia e realizzare un nuovo modello di sviluppo sociale ed economico equo e sostenibile, assicurando e sviluppando le condizioni di piena realizzazione della persona umana.
Per far questo, si occuperà di promuovere politiche di equità e sostenibilità, buone pratiche di riuso e riutilizzo, sensibilizzare ed educare alla sostenibilità, contrastare il disagio sociale e favorire l’integrazione dei migranti.
La Federazione si occuperà inoltre di declinare sul territorio italiano le campagne internazionali promosse dai soci, coordinandone le attività e sviluppando sinergie di comunicazione e raccolta fondi, favorendo la partecipazione e fornendo supporto e formazione alle realtà locali in modo da favorirne lo sviluppo.
“UNA MANO PER LA SCUOLA” ARRIVA IN CAMBOGIA!
Mani Tese dal 2014 aderisce all’iniziativa “Una mano per la scuola” e quest’anno ha raccolto materiale per i bambini destinatari del progetto in Cambogia
Mani Tese dal 2014 aderisce all’iniziativa annuale “Una mano per la scuola” promossa da Coop Lombardia e dall’Istituto Italiano della Donazione grazie alla quale raccogliamo materiale scolastico da destinare ai bambini beneficiari dei nostri progetti, in Italia e nel Sud del mondo.
Quest’anno, abbiamo raccolto materiale anche per i bambini e le bambine destinatari del nostro progetto in Cambogia, a Poipet in collaborazione col nostro partner Damnok Toek.
Damnok Toek in lingua khmer vuol dire “goccia d’acqua” e ci piace pensare che una piccola donazione di qualche quaderno o penna da parte di tante persone si sia tramutata in grandi quantità di materiale scolastico per il proseguimento delle attività educative per molti bambini e bambine.
Foresta Mau, la qualità ambientale è un diritto: intervista a Valerio Bini
Dialogo con il Presidente di Mani Tese, autore del reportage sulla foresta Mau (Kenya) recentemente pubblicato su Giustiziambientale.org
“Conservation for the people” è l’ultima puntata del reportage a puntate “La foresta Mau (Kenya): un patrimonio socio-ambientale da difendere”, recentemente pubblicato su Giustiziambientale.org a cura di Valerio Bini, Presidente di Mani Tese e geografo, in collaborazione con Stefania Albertazzi.
Il reportage, frutto di studi e missioni sul campo, affronta il tema della deforestazione della più importante foresta dell’Africa orientale con l’intento di gettare luce su uno scenario complesso, in cui si inseriscono diversi attori con differenti interessi e responsabilità.
Una volta circoscritto il campo alle principali cause che hanno determinato e continuano ad alimentare la deforestazione, gli autori passano in rassegna i diversi livelli di ingiustizia che vi scaturiscono. Scopriamo così che lo sfruttamento della foresta continua a essere il core business di molte imprese nazionali e internazionali, ma anche una fonte di reddito importate per migliaia di agricoltori locali. Una tendenza proseguita negli anni che fa esplodere oggi tutte le sue contraddizioni.
Oltre ai rischi ambientali, il reportage illustra anche le realtà che, in un contesto sia pur complesso e frammentario, promuovono progetti di sviluppo sostenibile e riscatto sociale, dove la difesa della foresta diventa una prospettiva concretamente perseguibile.
Abbiamo intervistato Valerio Bini per approfondire il tema insieme a lui.
——- Redazione: Nel primo episodio del reportage descrivi il ruolo nevralgico della foresta Mau nella regolazione idrogeologica di tutto il Kenya. In che modo la deforestazione potrà incidere, in futuro, sull’approvvigionamento idrico del Paese? Bini: Le Nazioni Unite hanno individuato 5 aree strategiche per l’approvvigionamento idrico del Kenya e la foresta Mau è una di queste. La foresta si trova a un’altitudine compresa tra 1200 e 3000m e ospita le sorgenti di 12 fiumi di importanza vitale per la popolazione delle regioni occidentali del Kenya. Le foreste svolgono un ruolo fondamentale per la gestione dei suoli e delle acque: gli alberi infatti contribuiscono a regolare il flusso delle acque verso valle, limitando l’erosione del suolo. La deforestazione della foresta Mau ha dunque un impatto diretto sulla quantità e qualità dell’acqua disponibile, in particolare in aree aride come la zona settentrionale della Rift Valley.
R: A un certo punto metti in guardia dal considerare le piantagioni un’alternativa alla foresta primaria di cui, invece, sono un surrogato. Perché?
B: Questo è un punto importante. È piuttosto diffusa la tendenza a considerare le piantagioni monospecifiche (pini, cipressi, eucalipti) come se fossero delle foreste, quando in realtà sono, di fatto, delle monocolture. Alcuni programmi internazionali di riforestazione che si concentrano solo sull’assorbimento di C02 non fanno differenza tra foreste indigene e piantagioni e anche il Kenya Forest Service considera le piantagioni come parte della foresta Mau. Non si tratta naturalmente di demonizzare la silvicoltura, che è un’attività importante per l’economia del Kenya e può svolgere anche funzioni di tutela ambientale, ma occorre tenere presente che una piantagione di pini che vengono periodicamente tagliati non avrà mai nemmeno lontanamente l’importanza ambientale e sociale di una foresta indigena, sia in termini di biodiversità animale, sia per quanto concerne i servizi resi alla comunità (presenza di piante medicinali e altri prodotti forestali, possibilità di produrre miele, usi culturali). Le ricerche condotte dalla cooperativa Eliante nell’ambito del progetto di Mani Tese “LOTTA AL CAMBIAMENTO CLIMATICO E SALVAGUARDIA AMBIENTALE IN KENYA” hanno dato dei risultati molto chiari in questa direzione.
R: Veniamo alla questione degli Ogiek. Quali sono i motivi per cui questa popolazione continua a essere esclusa dalla foresta e dalla ripartizione delle terre, nonostante sia la recente Costituzione, sia alcune pesanti sentenze sul piano giudiziario, riconoscano agli Ogiek il diritto di abitare la foresta ed essere coinvolti nei processi decisionali che la riguardano?
B: Le popolazioni di cacciatori e raccoglitori sono da sempre, non solo in Africa, gli ultimi degli ultimi, perché fanno riferimento a una logica territoriale diversa da quella dello stato nazionale, fatto di confini e proprietà privata. In epoca coloniale gli Ogiek hanno perso il controllo delle terre a vantaggio degli inglesi, ma anche di altre popolazioni locali che sono state indennizzate dalle espropriazioni subite con le terre abitate dagli Ogiek. In epoca postcoloniale la marginalizzazione di questa popolazione è proseguita con ripetute espropriazioni e violenze da parte del governo. Oggi occorre superare una visione privatistica della foresta e favorire una gestione partecipata che coinvolga le comunità locali nella gestione del territorio in modo da favorire contemporaneamente la tutela della foresta e il miglioramento delle condizioni di vita delle popolazioni che vivono intorno ad essa. La legge forestale del Kenya prevede l’istituzione di piani partecipativi promossi dalle comunità locali e tra gli obiettivi del progetto “Imarisha!”, avviato nel 2017, c’è proprio la realizzazione di un piano di gestione partecipativa di uno dei blocchi della foresta Mau.
R: Il caso degli Ogiek non è isolato. Le violazioni ambientali sono spesso connesse alla repressione di minoranze etniche o di fasce sociali particolarmente vulnerabili. Qual è la portata geografica di questo fenomeno?
B: Molti autori hanno fatto notare come vi sia una corrispondenza molto stretta fra diseguaglianza sociale e ingiustizia ambientale: la qualità ambientale sta diventando la posta in gioco tra i vincenti e i perdenti dell’attuale ordine economico mondiale. Non si tratta più di capire se ci sarà uno sviluppo sostenibile o meno, ma piuttosto di capire chi avrà accesso, pagando, a una buona qualità ambientale e chi ne sarà escluso perché troppo povero o vulnerabile. Il nostro compito è rovesciare questa tendenza, affermando la qualità ambientale come diritto e non come privilegio.
R: Nel reportage viene descritto in che modo Mani Tese stia cercando contrastare le cause della deforestazione, riducendo ad esempio il fabbisogno di legna per le esigenze energetiche. Ci puoi dire qualcosa di più?
B: Mani Tese è da sempre un’associazione molto concreta, che focalizza la sua attenzione sulle necessità quotidiane delle persone. In questo caso, in primo luogo abbiamo parlato con le donne che hanno il carico di gestire la cucina e più in generale il fuoco all’interno della famiglia, per capire quali fossero le esigenze reali. La zona in cui stiamo lavorando si trova a 2500 metri sul livello del mare ed è particolarmente umida, quindi il fuoco ha una funzione molto rilevante e il consumo di legna è alto: con una stufa tradizionale una donna è costretta ad andare a cercare la legna in foresta 2-3 volte a settimana, il che significa percorrere 5-10 chilometri a piedi trasportando anche più di 10 chili di legna. Con il partner locale Necofa abbiamo ragionato sulle possibili alternative, valutando quali interventi potevano essere più efficaci. Sono emerse tre tipologie di azioni: la fornitura di stufe migliorate prodotte localmente che riducono il consumo di legna, la fornitura di piante da collocare ai margini dei campi e tagliare periodicamente per sostituire la legna della foresta e lo sviluppo in via sperimentale di alcune forme di energia alternativa (piccoli chioschi solari comunitari e impianti a biogas domestici). Questo è un esempio molto evidente di come le questioni ambientali e quelle sociali possano essere affrontate insieme, riducendo il prelievo di legna dalla foresta e alleggerendo il carico di lavoro delle donne.
R: Nel reportage ci vengono mostrate senza veli le trame di uno scenario ingiusto e rovinoso che però ha delle alternative virtuose. Quali sono, a tuo avviso, le soluzioni concrete ai problemi della foresta Mau?
B: La foresta Mau è sottoposta da decenni a una pressione antropica molto forte ed è stata profondamente intaccata. Se si vuole salvare questo patrimonio di grande valore sociale e ambientale occorre agire a più scale. Localmente occorre moltiplicare gli interventi a sostegno delle comunità al fine di allentare la pressione di una popolazione crescente intorno alla foresta. A scala più ampia, è necessaria una gestione accorta dei singoli blocchi di foresta coinvolgendo le comunità nei controlli antibracconaggio e nelle azioni di contrasto al prelievo illegale di legname, sia per fini domestici che per fini commerciali. Ad una scala superiore, infine, occorre riconnettere i diversi blocchi di foresta che oggi sono in diversi punti frammentati, elaborando una visione d’insieme dei 300.000 ettari di foresta che rimangono.
R: In generale, quale lezione dobbiamo trarre dal caso del Kenya?
B: Le lezioni sono tante. La più generale è che le questioni ambientali sono sempre questioni politiche. La crisi della foresta Mau ha delle origini politiche molto evidenti nella storia coloniale e postcoloniale e le risposte future non possono prescindere dall’elaborazione di opportune strategie a scala locale, regionale e nazionale. Una seconda lezione è che occorre sempre tenere insieme il piano ambientale e quello sociale. Non è infatti pensabile una conservazione ambientale che vada contro le comunità locali: non sarebbe giusto, ma non sarebbe nemmeno efficace. Se si vuole garantire un futuro alla foresta Mau bisogna elaborare delle strategie con le comunità che vivono intorno alla foresta. Infine, una terza lezione è che la foresta è un sistema straordinariamente ricco e complesso, fatto di elementi ambientali e socio-culturali che interagiscono tra loro e i cui confini sono ampi e variabili: le cause e le conseguenze della deforestazione, infatti, si trovano spesso molto lontano dalla foresta stessa.