Coordinerà iniziative di cooperazione, riuso e riutilizzo, educazione alla cittadinanza globale, inclusione dei migranti.
Coordinerà iniziative di cooperazione, riuso e riutilizzo, educazione alla cittadinanza globale, inclusione dei migranti. Bini: “La geografia della povertà è cambiata. Oggi la cooperazione non riguarda più solo il Sud del Mondo ma anche le nostre città”
È stato siglato sabato 25 novembre 2017 l’atto di costituzione della FEDERAZIONE MANI TESE ETS, una nuova realtà costituita dalle organizzazioni nazionali, locali e territoriali che si richiamano all’esperienza e alla storia dell’Associazione Mani Tese, da oltre 50 anni impegnata per combattere le ingiustizie nel mondo.
Una scelta, quella di creare una federazione, imposta da uno scenario globale della povertà ormai mutato, che allo schema tradizionale che suddivideva il mondo in Nord e Sud sostituisce oggi una globalizzazione dell’ingiustizia, in cui vaste aree di povertà coesistono accanto a isole di ricchezza, in ogni parte del pianeta.
“La geografia della povertà globale sta cambiando – dichiara Valerio Bini, Presidente della Federazione Mani Tese – Intorno a noi si sta disegnando una nuova mappa delle diseguaglianze globali: mentre alcuni settori delle economie ‘in via di sviluppo’ crescono rapidamente, milioni di persone lasciano ogni anno quelle stesse regioni in cerca di una vita migliore; mentre nelle nostre città nascono nuovi quartieri che attraggono le élite globali, in queste stesse città si producono nuove povertà”.
Di fronte a questo scenario in evoluzione, le realtà del mondo Mani Tese si sono unite in una Federazione per rafforzare la loro azione sul territorio italiano, coordinando le attività di cooperazione, educazione alla cittadinanza globale, sensibilizzazione politica, co- sviluppo e inclusione sociale.
“Attraverso questa Federazione Mani Tese si proietta verso il futuro – spiega Bini – elaborando una strategia che unisce i nostri progetti di sviluppo nel Sud del mondo con un’azione efficace nelle periferie ‘vicine’ a noi: una nuova cooperazione, un nuovo volontariato per lo stesso impegno di giustizia”.
Le realtà di Mani Tese
Mani Tese è sempre stata all’avanguardia nel cogliere le trasformazioni della società, organizzandosi per rispondere in modo innovativo alla domanda di giustizia che assumeva di volta in volta forme diverse. Accanto all’Organizzazione Non Governativa fondata nel 1964, sono nate, nel corso del tempo, quattro cooperative per la promozione delle attività di riuso e riciclaggio dei rifiuti (Manitese nazionale, Riciclaggio e Solidarietà di Firenze, “No allo spreco” di Faenza, Ri-Mani di Catania), cinque Organizzazioni di Volontariato (Campania, Firenze, Pratrivero, Sicilia, Faenza) e un’Associazione di Promozione Sociale (Finale Emilia).
In Italia Mani Tese coinvolge complessivamente più di 5000 volontari.
I membri della federazione
Fanno parte della Federazione Mani Tese:
– Associazione di Volontariato Mani Tese Pratrivero
– Cooperativa Riciclaggio e Solidarietà Firenze
– Associazione Mani Tese Ong Onlus
– Associazione di Volontariato Mani Tese Firenze
– Associazione di Volontariato Mani Tese Campania
– Cooperativa Sociale Mani Tese Onlus
– Ri-Mani Società Cooperativa Sociale Di Catania
– Associazione di Volontariato Mani Tese Faenza
– Associazione di Promozione Sociale Mani Tese Finale Emilia
Membri del consiglio direttivo sono Valerio Bini, eletto Presidente, Stella Mecozzi, Vicepresidente, Roberto Valgimigli e Gianluca Viaggi.
Le attività della federazione
La Federazione Mani Tese intende operare per la pace e la giustizia e realizzare un nuovo modello di sviluppo sociale ed economico equo e sostenibile, assicurando e sviluppando le condizioni di piena realizzazione della persona umana.
Per far questo, si occuperà di promuovere politiche di equità e sostenibilità, buone pratiche di riuso e riutilizzo, sensibilizzare ed educare alla sostenibilità, contrastare il disagio sociale e favorire l’integrazione dei migranti.
La Federazione si occuperà inoltre di declinare sul territorio italiano le campagne internazionali promosse dai soci, coordinandone le attività e sviluppando sinergie di comunicazione e raccolta fondi, favorendo la partecipazione e fornendo supporto e formazione alle realtà locali in modo da favorirne lo sviluppo.
“UNA MANO PER LA SCUOLA” ARRIVA IN CAMBOGIA!
Mani Tese dal 2014 aderisce all’iniziativa “Una mano per la scuola” e quest’anno ha raccolto materiale per i bambini destinatari del progetto in Cambogia
Mani Tese dal 2014 aderisce all’iniziativa annuale “Una mano per la scuola” promossa da Coop Lombardia e dall’Istituto Italiano della Donazione grazie alla quale raccogliamo materiale scolastico da destinare ai bambini beneficiari dei nostri progetti, in Italia e nel Sud del mondo.
Quest’anno, abbiamo raccolto materiale anche per i bambini e le bambine destinatari del nostro progetto in Cambogia, a Poipet in collaborazione col nostro partner Damnok Toek.
Damnok Toek in lingua khmer vuol dire “goccia d’acqua” e ci piace pensare che una piccola donazione di qualche quaderno o penna da parte di tante persone si sia tramutata in grandi quantità di materiale scolastico per il proseguimento delle attività educative per molti bambini e bambine.
Foresta Mau, la qualità ambientale è un diritto: intervista a Valerio Bini
Dialogo con il Presidente di Mani Tese, autore del reportage sulla foresta Mau (Kenya) recentemente pubblicato su Giustiziambientale.org
“Conservation for the people” è l’ultima puntata del reportage a puntate “La foresta Mau (Kenya): un patrimonio socio-ambientale da difendere”, recentemente pubblicato su Giustiziambientale.org a cura di Valerio Bini, Presidente di Mani Tese e geografo, in collaborazione con Stefania Albertazzi.
Il reportage, frutto di studi e missioni sul campo, affronta il tema della deforestazione della più importante foresta dell’Africa orientale con l’intento di gettare luce su uno scenario complesso, in cui si inseriscono diversi attori con differenti interessi e responsabilità.
Una volta circoscritto il campo alle principali cause che hanno determinato e continuano ad alimentare la deforestazione, gli autori passano in rassegna i diversi livelli di ingiustizia che vi scaturiscono. Scopriamo così che lo sfruttamento della foresta continua a essere il core business di molte imprese nazionali e internazionali, ma anche una fonte di reddito importate per migliaia di agricoltori locali. Una tendenza proseguita negli anni che fa esplodere oggi tutte le sue contraddizioni.
Oltre ai rischi ambientali, il reportage illustra anche le realtà che, in un contesto sia pur complesso e frammentario, promuovono progetti di sviluppo sostenibile e riscatto sociale, dove la difesa della foresta diventa una prospettiva concretamente perseguibile.
Abbiamo intervistato Valerio Bini per approfondire il tema insieme a lui.
——- Redazione: Nel primo episodio del reportage descrivi il ruolo nevralgico della foresta Mau nella regolazione idrogeologica di tutto il Kenya. In che modo la deforestazione potrà incidere, in futuro, sull’approvvigionamento idrico del Paese? Bini: Le Nazioni Unite hanno individuato 5 aree strategiche per l’approvvigionamento idrico del Kenya e la foresta Mau è una di queste. La foresta si trova a un’altitudine compresa tra 1200 e 3000m e ospita le sorgenti di 12 fiumi di importanza vitale per la popolazione delle regioni occidentali del Kenya. Le foreste svolgono un ruolo fondamentale per la gestione dei suoli e delle acque: gli alberi infatti contribuiscono a regolare il flusso delle acque verso valle, limitando l’erosione del suolo. La deforestazione della foresta Mau ha dunque un impatto diretto sulla quantità e qualità dell’acqua disponibile, in particolare in aree aride come la zona settentrionale della Rift Valley.
R: A un certo punto metti in guardia dal considerare le piantagioni un’alternativa alla foresta primaria di cui, invece, sono un surrogato. Perché?
B: Questo è un punto importante. È piuttosto diffusa la tendenza a considerare le piantagioni monospecifiche (pini, cipressi, eucalipti) come se fossero delle foreste, quando in realtà sono, di fatto, delle monocolture. Alcuni programmi internazionali di riforestazione che si concentrano solo sull’assorbimento di C02 non fanno differenza tra foreste indigene e piantagioni e anche il Kenya Forest Service considera le piantagioni come parte della foresta Mau. Non si tratta naturalmente di demonizzare la silvicoltura, che è un’attività importante per l’economia del Kenya e può svolgere anche funzioni di tutela ambientale, ma occorre tenere presente che una piantagione di pini che vengono periodicamente tagliati non avrà mai nemmeno lontanamente l’importanza ambientale e sociale di una foresta indigena, sia in termini di biodiversità animale, sia per quanto concerne i servizi resi alla comunità (presenza di piante medicinali e altri prodotti forestali, possibilità di produrre miele, usi culturali). Le ricerche condotte dalla cooperativa Eliante nell’ambito del progetto di Mani Tese “LOTTA AL CAMBIAMENTO CLIMATICO E SALVAGUARDIA AMBIENTALE IN KENYA” hanno dato dei risultati molto chiari in questa direzione.
R: Veniamo alla questione degli Ogiek. Quali sono i motivi per cui questa popolazione continua a essere esclusa dalla foresta e dalla ripartizione delle terre, nonostante sia la recente Costituzione, sia alcune pesanti sentenze sul piano giudiziario, riconoscano agli Ogiek il diritto di abitare la foresta ed essere coinvolti nei processi decisionali che la riguardano?
B: Le popolazioni di cacciatori e raccoglitori sono da sempre, non solo in Africa, gli ultimi degli ultimi, perché fanno riferimento a una logica territoriale diversa da quella dello stato nazionale, fatto di confini e proprietà privata. In epoca coloniale gli Ogiek hanno perso il controllo delle terre a vantaggio degli inglesi, ma anche di altre popolazioni locali che sono state indennizzate dalle espropriazioni subite con le terre abitate dagli Ogiek. In epoca postcoloniale la marginalizzazione di questa popolazione è proseguita con ripetute espropriazioni e violenze da parte del governo. Oggi occorre superare una visione privatistica della foresta e favorire una gestione partecipata che coinvolga le comunità locali nella gestione del territorio in modo da favorire contemporaneamente la tutela della foresta e il miglioramento delle condizioni di vita delle popolazioni che vivono intorno ad essa. La legge forestale del Kenya prevede l’istituzione di piani partecipativi promossi dalle comunità locali e tra gli obiettivi del progetto “Imarisha!”, avviato nel 2017, c’è proprio la realizzazione di un piano di gestione partecipativa di uno dei blocchi della foresta Mau.
R: Il caso degli Ogiek non è isolato. Le violazioni ambientali sono spesso connesse alla repressione di minoranze etniche o di fasce sociali particolarmente vulnerabili. Qual è la portata geografica di questo fenomeno?
B: Molti autori hanno fatto notare come vi sia una corrispondenza molto stretta fra diseguaglianza sociale e ingiustizia ambientale: la qualità ambientale sta diventando la posta in gioco tra i vincenti e i perdenti dell’attuale ordine economico mondiale. Non si tratta più di capire se ci sarà uno sviluppo sostenibile o meno, ma piuttosto di capire chi avrà accesso, pagando, a una buona qualità ambientale e chi ne sarà escluso perché troppo povero o vulnerabile. Il nostro compito è rovesciare questa tendenza, affermando la qualità ambientale come diritto e non come privilegio.
R: Nel reportage viene descritto in che modo Mani Tese stia cercando contrastare le cause della deforestazione, riducendo ad esempio il fabbisogno di legna per le esigenze energetiche. Ci puoi dire qualcosa di più?
B: Mani Tese è da sempre un’associazione molto concreta, che focalizza la sua attenzione sulle necessità quotidiane delle persone. In questo caso, in primo luogo abbiamo parlato con le donne che hanno il carico di gestire la cucina e più in generale il fuoco all’interno della famiglia, per capire quali fossero le esigenze reali. La zona in cui stiamo lavorando si trova a 2500 metri sul livello del mare ed è particolarmente umida, quindi il fuoco ha una funzione molto rilevante e il consumo di legna è alto: con una stufa tradizionale una donna è costretta ad andare a cercare la legna in foresta 2-3 volte a settimana, il che significa percorrere 5-10 chilometri a piedi trasportando anche più di 10 chili di legna. Con il partner locale Necofa abbiamo ragionato sulle possibili alternative, valutando quali interventi potevano essere più efficaci. Sono emerse tre tipologie di azioni: la fornitura di stufe migliorate prodotte localmente che riducono il consumo di legna, la fornitura di piante da collocare ai margini dei campi e tagliare periodicamente per sostituire la legna della foresta e lo sviluppo in via sperimentale di alcune forme di energia alternativa (piccoli chioschi solari comunitari e impianti a biogas domestici). Questo è un esempio molto evidente di come le questioni ambientali e quelle sociali possano essere affrontate insieme, riducendo il prelievo di legna dalla foresta e alleggerendo il carico di lavoro delle donne.
R: Nel reportage ci vengono mostrate senza veli le trame di uno scenario ingiusto e rovinoso che però ha delle alternative virtuose. Quali sono, a tuo avviso, le soluzioni concrete ai problemi della foresta Mau?
B: La foresta Mau è sottoposta da decenni a una pressione antropica molto forte ed è stata profondamente intaccata. Se si vuole salvare questo patrimonio di grande valore sociale e ambientale occorre agire a più scale. Localmente occorre moltiplicare gli interventi a sostegno delle comunità al fine di allentare la pressione di una popolazione crescente intorno alla foresta. A scala più ampia, è necessaria una gestione accorta dei singoli blocchi di foresta coinvolgendo le comunità nei controlli antibracconaggio e nelle azioni di contrasto al prelievo illegale di legname, sia per fini domestici che per fini commerciali. Ad una scala superiore, infine, occorre riconnettere i diversi blocchi di foresta che oggi sono in diversi punti frammentati, elaborando una visione d’insieme dei 300.000 ettari di foresta che rimangono.
R: In generale, quale lezione dobbiamo trarre dal caso del Kenya?
B: Le lezioni sono tante. La più generale è che le questioni ambientali sono sempre questioni politiche. La crisi della foresta Mau ha delle origini politiche molto evidenti nella storia coloniale e postcoloniale e le risposte future non possono prescindere dall’elaborazione di opportune strategie a scala locale, regionale e nazionale. Una seconda lezione è che occorre sempre tenere insieme il piano ambientale e quello sociale. Non è infatti pensabile una conservazione ambientale che vada contro le comunità locali: non sarebbe giusto, ma non sarebbe nemmeno efficace. Se si vuole garantire un futuro alla foresta Mau bisogna elaborare delle strategie con le comunità che vivono intorno alla foresta. Infine, una terza lezione è che la foresta è un sistema straordinariamente ricco e complesso, fatto di elementi ambientali e socio-culturali che interagiscono tra loro e i cui confini sono ampi e variabili: le cause e le conseguenze della deforestazione, infatti, si trovano spesso molto lontano dalla foresta stessa.
STREET ART A BISSAU: UN MURALES PER PROMUOVERE LA FILIERA AVICOLA
Mani Tese e Asas de socorro, in collaborazione con Street art sans frontières, promuovono la street art fra i giovani del Guinea Bissau.
Il gruppetto di giovani diventa più nutrito, poi arrivano i vicini e anche qualche bambino e anziano. Tutti incuriositi dal lavoro in cui un gruppo di giovani è impegnato: street art a Bissau.
Grazie all’aiuto tecnico di Street art sans frontières , infatti, Mani Tese e Asas de Socorro hanno mobilitato i giovani per fare un’esperienza unica di pittura a Bissau. Il muro scelto è quello della direzione generale di zootecnia e il tema scelto sono proprio gli animali.
La ong francese ha spiegato ai ragazzi come la street art sia importante per lasciarsi i problemi alle spalle per qualche tempo, aggregarsi con altri, coetanei e non, esprimere i propri sentimenti e umori. E non c’è bisogno di essere Giotto o Michelangelo, basta usare forme geometriche. Tramite l’utilizzo di pochi colori e di forme semplici, i francesi hanno spiegato come costruire un disegno e come tutti possano farlo.
Poco a poco il disegno prende vita, i giovani aumentano. Chi si ferma per strada incuriosito, fa qualche pennellata e poi va via, chi offre supporto morale e chi fa il capo cantiere e dà istruzioni… Tutto in un’atmosfera di allegria e spensieratezza.
Ora la città ha una nuova opera d’arte e Mani Tese è riuscita anche a far disegnare galline sui muri!
SOSTIENIAMO IL CENTRO DEL RIUSO SOLIDALE A FIRENZE
Il centro del Riuso Solidale è uno spazio dove i cittadini possono portare oggetti a cui non sono più interessati ma ancora in buono stato.
Il centro del Riuso Solidale, situato a San Casciano (Firenze), è uno spazio gestito da volontari, dove i cittadini possono portare oggetti a cui non sono più interessati ma ancora in buono stato. Vengono raccolti oggetti di tutte le tipologie (libri, vestiti, casalinghi, mobile, etc.) con la formula conto-donazione. Il bene rimane di proprietà del cittadino fino a quando viene ceduto. Gli oggetti vengono scambiati tramite donazioni. Le donazioni ricevute vengono impiegate a sostegno di progetti umanitari nazionali e internazionali gestiti da Manitese Firenze, Operazione Mato Grosso e Forum Cittadini Insieme di San Casciano.
Vengono, inoltre gestite altre attività come ad esempio corsi pratici di riuso e riciclo degli oggetti per mezzo di laboratori, divulgazione e educazione del consumo crtitico mediante conferenze e seminari.
Sostieni su Produzioni dal basso il finanziamento dei progetti di solidarietà in corso di Mani Tese Firenze (sovranità alimentare in Guatemala, asilo in Perù e laboratorio di riciciclo a San Casciano) e per il potenziamento del centro (attrezzature per una migliore gestione del materiale, quali carrello, soppalco autoportante, tendone esterno).
IL NUOVO MAGAZZINO DI CONSERVAZIONE DELLE CIPOLLE IN BURKINA FASO
Un nuovo magazzino, costruito con l’appoggio di Mani Tese, permette ai coltivatori del Burkina Faso di conservare le cipolle fino a sette mesi.
“Mi chiamo Tarbangdo Aminata, e sono un membro del gruppo femminile di Rogomnoogo e la tesoriera dell’unione dei coltivatori di verdure di Loumbila. La maggior parte delle donne del nostro gruppo non aveva un luogo in cui conservare le cipolle. Le immagazzinavamo nelle nostre case o in piccoli depositi che non rispettavano le normative. La durata di conservazione delle cipolle varia da tre a quattro mesi. Le perdite erano significative, e bisognava vendere le cipolle in fretta per non perdere tutta la produzione. Ma con il magazzino fatto di pietre tagliate, costruito con l’appoggio di Mani Tese, la ventilazione è buona e la cipolla mantiene un buon livello di qualità, anche dopo sette mesi di conservazione. Le perdite sono scarse e realizziamo dei buoni affari. Siccome ci dividiamo i graticci, ho potuto conservare dieci sacchi fra marzo e settembre 2017, che ho venduto a 157.500 franchi CFA dopo sette mesi di conservazione.”
L’immagazzinamento delle cipolle è una buona alternativa in assenza di regolazione dell’offerta commerciale. Nel corso dell’anno, l’offerta è concentrata in un periodo di cinque mesi che va da Dicembre ad Aprile.
Il comune di Loumbila, grazie alla sua diga, rappresenta una zona di coltivazione di cipolle, con una produzione annuale media stimata a più di 30.000 tonnellate. La sfida di conservare una parte della produzione è stata oggetto di svariate azioni intraprese dagli attori del mondo dell’agricoltura. Queste azioni si sono tradotte nella costruzione di infrastrutture di stoccaggio performanti, che garantiscono lunga durata di conservazione, perdite poco significative e scarsa deteriorazione della qualità. Attraverso il progetto “Partenariato per uno sviluppo sostenibile fra Italia e Burkina Faso”, Mani Tese ha sostenuto la costruzione di tre magazzini di conservazione delle cipolle, a vantaggio di sei gruppi dell’unione Nanglobzanga di Loumbila, nei villaggi di Rogomnoogo, Tangzougou et Kouritiyaoghin.
Contrariamente ad altri tipi di magazzino, il modello promosso dal progetto offre il vantaggio di avere una buona ventilazione, con una maggiore variazione quotidiana di temperatura e di umidità relativa. La ventilazione dei graticci sui quali vengono immagazzinati i bulbi è assicurata dal passaggio dell’aria attraverso i pannelli traforati. La durata di conservazione varia da sei a sette mesi, con perdite dovute all’immagazzinamento inferiori al 10%. Le perdite si abbassanno ulteriormente per i bulbi prodotti con livelli inferiori di NPK e urea, fino a diventare quasi insignificanti. L’uso di graticci sovrapposti facilita l’accesso allo stock, per una gestione ottimale.
Con un prezzo di vendita di 130 FCFA/kg, il valore di un sacco di 50 kg nel magazzino è di 6.500 FCFA, ovvero 6.500.000 FCFA per uno stock di 50T di cipolle. Dopo sette mesi, il prezzo di vendita di un kg è di 350 FCFA. Con il tasso di perdita attuale, il valore dello stock di 50T, dopo sette mesi di conservazione, è di 15.750.000 FCFA, ovvero vi è una plusvalenza di 9.250.000 FCFA per lo stock restante.
Questi risultati traducono in cifre le ottime prestazioni di questo tipo di magazzino di conservazione, e incitano i produttori a impegnarsi maggiormente nella produzione e conservazione di cipolle.
LA VIOLENZA SULLE DONNE SI COMBATTE OGNI GIORNO
Quasi 29 milioni di donne al mondo sono vittime di forme moderne di schiavitù; di queste, 4.8 milioni sono vittime di sfruttamento sessuale.
È affascinante il modo in cui il cervello umano crea significato, come immagini e numeri si associano a parole e sentimenti per produrre pensiero e azione. La campagna “i exist – say no to modern slavery” di Mani Tese ha esattamente questo scopo: generare azione attraverso parole, immagini e il coinvolgimento attivo di persone, imprese e istituzioni nazionali e internazionali.
Lanciata nel 2016, la campagna si concentra su tre forme di schiavitù moderna: il lavoro minorile, il traffico di esseri umani e lo sfruttamento del lavoro nelle filiere produttive.
Quella del 25 novembre è una data particolarmente significativa.
Indetta dalle Nazioni Unite in onore delle tre sorelle Mirabal, torturate e uccise per il loro impegno politico contro la dittatura Trujillo nella Repubblica Dominicana, è la giornata mondiale per l’eliminazione della violenza contro le donne.
I termini per descriverne le manifestazioni sono violenza famigliare, violenza e molestie sessuali, tratta, mutilazioni genitali femminili, matrimoni precoci, discriminazione.
I numeri sono impressionanti.Quasi 29 milioni di donne al mondo vittime di forme moderne di schiavitù; di queste, 4.8 milioni sono ragazze e bambine vittime di sfruttamento sessuale. Sono 750 milioni le bambine e ragazze costrette a sposarsi prima di aver compiuto 18 anni.
Per non correre il rischio di percepire come esotica questa violenza però basti ricordare che il 55% delle donne nell’Unione Europea dichiara di avere subito molestie o violenze di carattere sessuale dall’età di 15 anni.
Negli ultimi trent’anni è stato necessario coniare nuove parole per definire quanto stava accadendo: femmicidio, ad indicare la morte della donna come tragico esito finale di prassi sociali misogine, e femminicidio, che amplia il dominio semantico di riferimento, per comprendere la complessità degli aspetti politici, culturali e sociali che reiterano e culminano nella violenza, e fino alla morte della donna.
Sono parole ormai famigliari, entrate nelle nostre case con i telegiornali che ogni giorno, ogni singolo giorno, riportano notizie di violenze e uccisioni di ragazze e donne nel nostro paese.
Poi ci sono fenomeni che necessitano di più parole per essere compresi: allusioni, sottintesi, giudizi, condanne, un soffitto di cristallo, una promozione mancata, un collega che fa il nostro stesso lavoro ma guadagna di più, commenti pesanti su come ti trucchi, ti vesti, su come alla fine, dai, te la sei andata a cercare, discorsi da caserma, da uomini, da spogliatoio.
Queste parole e questi numeri sono così insopportabili ed enormi nella loro gravità che necessitano di essere tradotti in fotografie, immagini, storie vicine e lontane. Ne abbiamo parlato sabato 25 novembre con Silvestro Montanaro, giornalista e documentarista, autore del libro “Col cuore coperto di neve”, in cui racconta storie di vittime di trafficking, turismo sessuale e pedofilia incontrate nel corso degli anni.
La rabbia e l’orrore che si provano davanti alla violenza contro le donne devono trovare una sintesi di significato e azione.
Essere ‘solo’ donne consapevoli e femministe non è sufficiente. Combattere il fenomeno e le forme moderne di schiavitù che in maniera così sproporzionata e feroce fanno delle donne le prime vittime deve diventare una priorità di tutti e agita da tutti, sempre: donne, uomini, cittadini, consumatori, la politica, la cultura, l’impresa, le istituzioni nazionali e internazionali.
A TEATRO CON MANI TESE PER LO SPETTACOLO DI MARCO PAOLINI
Il Piccolo Teatro di Milano è lieto di riservare una promozione speciale per Mani Tese al prezzo di 16 euro per lo spettacolo “Le avventure di Numero Primo”
Il Piccolo Teatro di Milano è lieto di riservare una promozione speciale per gli amici e le amiche di Mani Tese al prezzo di 16 euro (anziché 33) per lo spettacolo “Le avventure di Numero Primo“, in scena al Piccolo Teatro Strehler dal 28 novembre al 10 dicembre 2017.
“Le avventure di Numero Primo” è un racconto di formazione. Protagonisti Ettore, fotografo, e Nicola, il figlio adottivo arrivato via Internet che preferisce farsi chiamare Numero Primo. Una storia classica con molte prove da superare, e una storia fantastica che nasce dall’immaginazione ma si fonda sul confronto con le conoscenze della fisica, della biologia, delle neuroscienze e della robotica.
Per prenotare lo spettacolo di giovedì 7 dicembre alle ore 19.30 potete scrivere a comunicazione@piccoloteatromilano.it specificando nell’oggetto MANITESE/AVVENTURE, seguito dal vostro nome, cognome e numero di posti da riservare.
Potrete ritirare i biglietti presso la biglietteria del Teatro Strehler (da lunedì a sabato 9.45-18.45, domenica 13-18.30) entro martedì 5 dicembre.