LA GUINEA-BISSAU METTE LE ALI ALLO SVILUPPO

Il progetto di promozione della filiera avicola realizzato in Guinea Bissau ha consentito di ridurre l’importazione dall’estero di prodotti avicoli con risultati positivi sulla sostenibilità ed il reddito delle comunità coinvolte: così emigrare non è più una strada obbligata.

UN PROGETTO REALIZZATO NEL PAESE AFRICANO HA CONSENTITO DI RIDURRE L’IMPORTAZIONE DALL’ESTERO DI PRODOTTI AVICOLI CON RISULTATI POSITIVI SULLA SOSTENIBILITÀ E IL REDDITO DELLE COMUNITÀ COINVOLTE: COSÌ EMIGRARE NON È PIÙ UNA STRADA OBBLIGATA. 

I Paesi dell’Africa sub-sahariana, dove Mani Tese opera, dipendono dall’agricoltura e più in generale dalle attività in ambito rurale per il sostentamento della propria popolazione. Sono essi settori decisivi per l’applicazione del principio della sovranità alimentare per il quale ogni individuo ha il diritto di decidere il proprio sistema alimentare e produttivo in forma sostenibile ed ecologica.

Questo principio è intrinsecamente collegato alle migrazioni: se è un diritto di ciascuna persona avere la libertà di scegliere dove vivere, lo è anche la possibilità di restare nel proprio Paese di origine. Per questo è però necessario che ognuno possa effettivamente sostenersi con le risorse della propria terra senza che queste vengano controllate da altri che se ne appropriano per sfruttarle. Se questo succede le comunità sono costrette o a fuggire o a vivere non libere, spesso in condizioni di vera e propria schiavitù. Mani Tese invece sostiene l’agricoltura di piccola scala – dove si produce anche per il mercato ma favorendo il controllo delle filiere da parte degli agricoltori stessi uniti in associazioni e cooperative -, la biodiversità, l’agroecologia, che prevede l’equilibrio tra l’uomo e l’ambiente circostante, l’utilizzo di fertilizzanti naturali e autoprodotti, la rigenerazione delle sementi e l’integrazione di colture e bestiame. Emblematica, a questo proposito, è l’esperienza della Guinea-Bissau dove si sta realizzando il progetto “Mettiamo le ali allo sviluppo, Promozione della filiera avicola in Guinea-Bissau” (Progetto FED 2015/358-745), nato a partire dal principio della sovranità alimentare e che poi ha incontrato un contesto, quello della regione di frontiera di Gabu, dove alto è il numero di persone, soprattutto giovani, che lasciano la propria terra nella speranza di un futuro migliore.

pollaio polli Guinea Bissau Mani Tese 2017
© Mirko Cecchi

 

La filiera virtuosa

Il progetto trae origine dalla riflessione che il Paese non potrà mai svilupparsi se non sarà in grado di migliorare la propria autosufficienza alimentare. Prima che iniziasse l’intervento, circa due anni fa, uova e carne di pollo, cibi importanti per l’alimentazione della popolazione, erano esclusivamente importati dall’estero. E’ partendo da quella situazione che Alfredo Cá, un guineense visionario, idealista ma anche molto concreto, si è messo in testa di produrre polli e uova al 100% della Guinea-Bissau. Ha girato i Paesi vicini per studiarne le esperienze, insieme all’associazione che nel frattempo si era riunita intorno alle sue idee, “Asas de socorro”. Ha avviato piccoli pollai e una prima struttura, più grande, per l’allevamento, importando i pulcini e una buona parte dei mangimi dal Senegal. Nel 2014 le strade di Alfredo, Asas de Socorro e Mani Tese si sono incontrate per realizzare un pollaio a beneficio dei detenuti del carcere di Bafatà, destinatari di un progetto sui diritti umani che l’ONG stava (e sta tuttora) promuovendo nel Paese. Da quella positiva esperienza è nata l‘idea di elaborare e poi realizzare, grazie al cofinanziamento dell’Unione Europea, il progetto qui presentato.

Tre i risultati principali di questo percorso. Il primo è lo sviluppo e la strutturazione di un centro per la riproduzione di polli e la produzione di uova e mangimi, l’unico del suo genere nel Paese. Conosciuto con il nome di CEDAVES, è un’impresa sociale oggi sostenibile e che mira a produrre polli “100% made in Guinea-Bissau”. Non serve più comprare pulcini in Senegal, essi nascono, grazie alle incubatrici dell’impresa sociale, direttamente in Guinea-Bissau. Il secondo risultato raggiunto è quello relativo alla produzione dei mangimi ed in particolare alla creazione di collaborazione e complementarietà tra agricoltori, che ne producono le materie prime, e allevatori. Oggi quasi tutte le materie prime sono acquistate nel Paese e pagate con prezzi equi, in campi e terreni che in precedenza non erano adibiti a produzioni necessarie per l’alimentazione della popolazione. Il terzo risultato raggiunto è aver creato una filiera dove a fianco del già citato centro operano 19 pollai, gestiti da gruppi di persone ma anche da singoli, che hanno scelto di avviare il proprio pollaio con pulcini prodotti dal CEDAVES allo scopo di migliorare la propria dieta alimentare, promuovere il consumo di un prodotto della Guinea-Bissau e avviare un’attività generatrice di reddito. Questi tre risultati stanno contribuendo a far sì che uova e carne di pollo diventino sempre più accessibili dalla popolazione.

La sovranità alimentare: alternativa all’emigrazione

Nel corso del progetto sulla filiera avicola è stato incrociato il tema delle migrazioni. Dapprima nel villaggio di Farim, dove è stato realizzato uno dei 19 pollai sopra citati con la speranza da parte degli anziani che potesse portare sviluppo e trattenere i giovani dal migrare e di conseguenza garantire un futuro al villaggio stesso. In seguito, nella regione di Gabu, che confina con Senegal e Guinea Conakry, è zona di forte migrazione e fa parte di uno dei corridoi più importanti per il passaggio dei flussi irregolari verso l’Europa. In questa regione Mani Tese, nel corso del 2017, ha realizzato un progetto per favorire lo sviluppo dell’area e sostenere il protagonismo e le opportunità per i giovani riducendo così la loro necessità di migrare. La prima attività proposta è stata la realizzazione di quattro pollai gestiti da associazioni giovanili come opportunità per migliorare la condizione nutrizionale ed economica dei soggetti coinvolti e con l’intento di dare alle persone l’opportunità di svolgere un’attività importante per lo sviluppo del proprio villaggio. Il progetto ha previsto anche attività di orticoltura attraverso la scelta dell’agroecologia come modalità di produzione, e la realizzazione di 4 centri di trasformazione dei principali prodotti agricoli base dell’alimentazione locale: mais e riso. In questo modo le comunità hanno la possibilità di controllare tutta la filiera sia per l’autoconsumo che per la commercializzazione.


FOCUS ON: IMPRESA SOCIALE CEDAVES IN NUMERI

Giugno 2016 – Settembre 2017: 75.385 uova prodotte (dalle 300 dei primi mesi alle circa 11.000 degli ultimi).

Ottobre 2016 – Settembre 2017: 15.003 pulcini venduti (dai 600 dei primi mesi agli attuali 2mila pulcini venduti al mese).

Aprile 2016 – Settembre 2017: 19.141 polli venduti (da giugno 2017 il centro concentra i suoi sforzi nella produzione e vendita di uova e pulcini, quasi azzerando l’allevamento e la vendita di polli).

Marzo 2016 – Settembre 2017: 267 tonnellate di mangimi prodotti (da 170 kg prodotti il primo mese a 33 tonnellate).

Giro d’affari di 178.228 euro.

Ed inoltre grazie al progetto 19 pollai satellite nelle tre regioni di realizzazione del progetto: Cacheu, Oio e Settore Autonomo di Bissau (11 gestiti da gruppi e 8 da singole famiglie aderenti all’Unione dei produttori avicoli della Guinea-Bissau).


Articolo comparso sul Giornale di Mani Tese dicembre 2017

 

ESERCIZI PER CORREGGERE LA MIOPIA SULLE MIGRAZIONI

In occasione della Giornata Internazionale dei Migranti, un “esercizio di allenamento a uno sguardo consapevole” sulla questione delle migrazioni.

I cittadini europei e i loro rappresentanti politici, ci dicono gli studiosi, spesso falliscono nell’interpretare il fenomeno migratorio preferendo spesso adottare una visione miope sul tema, che è in molti casi più comoda e sicuramente più veloce. In occasione della Giornata Internazionale dei Migranti, propongo un approfondimento SULLE MIGRAZIONI che vuole essere “un esercizio di allenamento a uno sguardo consapevole” contro la tendenza a leggere il fenomeno in modo emergenziale, a partire dalle coste italiane del Mediterraneo. Nel farlo traggo ispirazione dal Rapporto dell’ISPI Out of Africa, Why people migrate, tradotto liberamente.

ADOTTARE UNO SGUARDO GLOBALE
Si può partire innanzitutto considerando questo assunto: “Perché così poche persone migrano?”.

La domanda lascia di primo acchito esterrefatti, perché siamo abituati a sentir parlare di flussi migratori in termini di “INVASIONI” o “ESODI”. Osservando il fenomeno con una lente globale, vediamo viceversa che è costante nella storia: dal 1960 (2,4%) al 1980 (2,1%) sino ad oggi (2015- 3,3%) la percentuale di migranti rispetto alla popolazione mondiale è rimasta relativamente stabile. L’assunto di partenza ci sembra quindi più familiare; anche se qualcuno potrebbe affermare: “certo che considerando il BOOM demografico la cifra di migranti nel mondo è complessivamente salita a 244 milioni (nel 2015)”. Eppure, riusciamo ad immaginare un mondo in cui solo il 3% degli alimenti che mangiamo provenga dall’estero? Un mondo in cui i vestiti che indossiamo non provengano in larga parte da un mercato estero? I flussi migratori vanno innanzitutto letti nella loro complessità e collegati ai grandi cambiamenti socio-economici su scala mondiale e all’aumento della popolazione in senso lato.

Restringendo la prospettiva sui migranti che provengono dai Paesi dell’Africa Sub-Sahariana, è necessario fare la medesima precisazione. Se consideriamo il numero dei migranti internazionali in termini assoluti, le persone che partono dall’Africa Sub-Sahariana sono aumentate. Se però prendiamo in esame la percentuale che essi rappresentano rispetto alla popolazione della medesima area geografica, dobbiamo contraddire la visione comune. Le analisi rivelano che non c’è stato alcun esodo in questo senso: dal Report dell’ISPI si evince una lieve diminuzione delle migrazioni rispetto al 1990. Solo il 2,5 % della popolazione sub-sahariana -un’area geografica pari a 70 volte la Germania!- intraprende una migrazione internazionale.

USCIRE DALLA VISIONE EUROCENTRICA
In aggiunta a ciò dovremmo tener conto del fatto che i migranti sono per lo più interni al continente africano: i 2/3 del totale dei migranti dell’Africa sub-sahariana, infatti, si sposta nelle nazioni limitrofe alla propria, più facilmente raggiungibili. Per dirla con un’espressione brutale, la maggioranza “rimane a casa propria”, ovvero in territorio africano. Come mai, allora, sentiamo difficilmente parlare dei viaggi che i migranti intraprendono verso la Costa d’Avorio, la Nigeria, il Sud Africa, il Kenya o il Mozambico, tra i principali Paesi di destinazione di molti cittadini dell’Africa Sub-Sahariana?

EVITARE LE FACILI SEMPLIFICAZIONI
Un’altra evidenza interessante che questo studio sottolinea e che invita a cambiare prospettiva è che la povertà estrema non è il motore delle migrazioni, come comunemente si crede. Per migrare, infatti, servono risorse economiche e culturali che permettano di affrontare e superare le difficoltà della partenza e del viaggio. Al viaggio sulle lunghe distanze un cittadino africano povero preferisce un viaggio più comodo ed economico nei Paesi limitrofi a quello di origine. Questo spiega come mai siano i giovani, che hanno alte aspettative sul proprio futuro e con un po’ di soldi da parte, quelli che intraprendono un viaggio all’estero verso l’Europa. Dietro questi macro-fattori, infatti, non ci si deve dimenticare delle persone. Non si possono capire questi dati, senza intrecciarli alle scelte e alle storie personali che ci riguardano da vicino.

Alla stregua di questo Report, noi formatori di Mani Tese abbiamo impostato una mostra percorso per le scuole (secondarie di primo e secondo grado) e per gruppi di ragazzi ed adulti. La nostra proposta è quella di trovarci insieme a dibattere su questi assunti, senza dimenticarci delle storie che stanno dietro ai flussi migratori. A questo proposito abbiamo allestito un’installazione didattica dal titolo: Migranti per caso? volta a riportare l’attenzione sulle MACRO CAUSE delle migrazioni, esercitandoci a non diventare miopi osservatori di questo fenomeno, quindi cercando di mettere insieme una visione globale, che possa portarci al di fuori dall’Europa, e allo stesso tempo possa restituirci le storie di tutti coloro che decidono di intraprendere una migrazione per diversi motivi. È una proposta di Educazione alla Cittadinanza Globale che vuole offrire un esercizio contro la miopia, tenendo conto della complessità del fenomeno ed evitando le facili semplificazioni.

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Taranto, la voce dei cittadini oltre I ricatti dell’Ilva

Mani Tese, con Cittadini Reattivi, ha chiesto ai Tarantini cosa significa per loro Giustizia Ambientale a Taranto (video di Gloria Schiavi e Rosy Battaglia)

Non c’è giustizia quando bisogna scegliere tra salute e lavoro. È quanto ripetono da anni i cittadini, le associazioni, i pediatri di Taranto che non ci stanno a cedere al ricatto, anche quando la battaglia sembra quella di Davide contro Golia. “Spesso abbiamo dimostrato che l’Ilva era fuori regola – ci racconta Alessandro Marescotti, presidente di Peacelink – e a quel punto hanno cambiato le regole”. Un estenuante percorso ad ostacoli confermato dai botta e risposta degli ultimi giorni, con il Governo che minaccia di far saltare il tavolo istituzionale convocato per il 20 Dicembre se Comune di Taranto e Regione Puglia non ritireranno il ricorso al TAR presentato contro le modifiche al Piano Ambientale approvate a fine Settembre.

E mentre si discute se sedersi o non sedersi al tavolo, sul quartiere Tamburi tornano i Wind Days, che portano le polveri provenienti dai parchi minerari sulle case, le strade, i balconi. Per chi abita a ridosso dell’area industriale significa non poter aprire le finestre per ordinanza comunale. Per i bambini significa che le scuole chiudono, e non si può dire che sia una misura una tantum, visto che è già accaduto ben quattro volte dal 24 Ottobre ad oggi.

In gioco non c’è solo il ricatto tra salute e lavoro ma anche il diritto all’istruzione. Lo sanno bene al Comitato dei Genitori Tarantini, che insieme a Peacelink, WWF e Taranto Respira chiede apertamente al sindaco Melucci, in una lettera del 12 Dicembre, di non fare passi indietro.

E lo sa bene anche la pediatra Anna Maria Moschetti, che riprende i dati dell’Istituto Superiore della Sanità per ricordare che la popolazione infantile che vive in prossimità degli altoforni, maggiormente esposta a sostanze neurotossiche, registra una riduzione del quoziente intellettivo di circa 10 punti rispetto alla media.

Che fare quindi? “Di fronte a questa situazione espositiva – dice la dottoressa – quello che vale è il principio di precauzione: non dobbiamo aspettare il risultato nessun studio scientifico, perché laddove esiste un rischio molto elevato di danno alla salute anche in assenza di evidenze scientifiche bisogna fare di tutto per ridurre o annullare l’esposizione della popolazione”.

Dovrebbe essere questa la priorità. E invece nubi impressionanti continuano ad alzarsi dai forni.

Mani Tese, in collaborazione con Cittadini Reattivi, ha chiesto ai Tarantini cosa significa per loro Giustizia Ambientale a Taranto. Le voci dei protagonisti in questo video realizzato da Gloria Schiavi e Rosy Battaglia:

MIGRANTI, RAZZISMI E COOPERAZIONE: LE PAROLE DA DIRE AD ALTA VOCE

Nell’editoriale del numero di dicembre 2017 del giornale di Mani Tese, il Presidente Valerio Bini sottolinea l’importanza di riaffermare l’impegno di Mani Tese sul tema delle migrazioni.

Forse non siamo stati chiari. Forse non abbiamo parlato abbastanza forte. Abbiamo sempre lavorato contro gli squilibri internazionali e per la costruzione di una società mondiale di persone libere e uguali.

Pensavamo fosse chiaro che il nostro lavoro di cooperazione nel Sud del mondo era indirizzato
all’affermazione di diritti e alla realizzazione effettiva della libertà degli individui e delle comunità. Nel frattempo però qualcuno, qui in Italia, pensava che la cooperazione fosse una scorciatoia per difendere miserabili egoismi, “aiutandoli a casa loro”.

Pensavamo di aver detto chiaramente che le politiche liberiste imposte dalle istituzioni nazionali e internazionali stavano accentuando le diseguaglianze globali, ostacolando le comunità del Sud nella costruzione del loro futuro. Nel frattempo però le nostre istituzioni hanno continuato a ribadire che “non c’è alternativa” a queste politiche, erodendo diritti a vantaggio di una minoranza sempre più esigua.

Pensavamo fosse evidente che il nostro lavoro di Educazione alla Cittadinanza Globale nelle scuole, il nostro lavoro sociale sul territorio italiano, avevano come orizzonte una cultura dell’integrazione, in cui la diversità è prima di tutto un valore. Nel frattempo, però, alcuni partiti e movimenti montavano una campagna capillare di intolleranza che ha offuscato le menti delle persone accanto a noi, confondendo i diritti con i privilegi, le vittime con i carnefici, gli ultimi con i primi.

E allora eccoci qui, a “scoprire” il tema delle migrazioni, continuando a lavorare come sempre abbiamo fatto, ma con la necessità di essere più espliciti, più determinati, più forti.

Perché paradossalmente, pur non avendo fatto altro per oltre 50 anni, siamo in ritardo e dobbiamo ripartire dalle fondamenta: il problema non sono i migranti, il problema è questa economia, questa società, questa politica.

Articolo comparso sul Giornale di Mani Tese dicembre 2017

CRONACHE DA UN LABORATORIO SULLE SCHIAVITÙ MODERNE

Le scomode riflessioni dei ragazzi raccontate dalla nostra animatrice dei percorsi di Educazione alla Cittadinanza Globale

Con questo articolo vorrei condividere con i lettori un’esperienza vissuta insieme agli alunni del Liceo Cairoli di Vigevano, coinvolti nella Campagna Molto più di un Pacchetto Regalo e nei percorsi di Educazione alla Cittadinanza Globale sul tema delle schiavitù moderne.

Questa vicenda ha inizio già quando varco le porte delle aule, armata di post-it, fogli e pennarelli, ma anche munita di spezzoni di film, link utili al lavoro di approfondimento e ricerca. I ragazzi rompono le file di banchi, si mettono in cerchio con le sedie insieme ai loro professori e “a partire da un quiz cinematografico” vengono invitati a riflettere sul fenomeno delle schiavitù, su quelle di ieri e di oggi. Scoprono un che di paradossale: se durante gli anni della tratta atlantica le vittime di schiavitù sono stimate tra i 12 ed i 15 milioni di persone, i report dell’ILO ci parlano di 40 milioni di persone coinvolte in qualche forma di schiavitù moderna; proprio oggi, epoca nella quale la schiavitù è illegale in tutto il mondo. Reazioni di sbigottimento e perplessità si leggono negli occhi dei partecipanti, ma affiorano anche le spiegazioni di questa crescita del fenomeno. Le analizziamo insieme, alla stregua di quello che Kevin Bales, uno dei maggiori studiosi del tema, ci spiega a proposito: tre sono i macro-fattori che possiamo individuare per comprendere l’esplosione delle nuove forme di schiavitù, ossia la rapida crescita demografica, il repentino cambiamento economico (che ha stravolto le forme tradizionali di sussistenza) e la mancanza dello Stato di Diritto.

Per entrare nel merito di queste nuove forme di schiavitù e capire quindi CHI davvero siano gli schiavi del XXI secolo, i ragazzi sono stati invitati a soffermarsi sulle cause che possono rendere una persona prigioniera, alla luce dei tre macro fattori considerati. Hanno modellato con le loro stesse mani le catene degli schiavi moderni: a partire da alcuni grandi fogli di carta hanno tagliato delle lunghe strisce, scrivendo su ognuna uno dei fattori che può rendere una persona schiava; hanno poi piegato le bande di carta, dando visibilità a quelle che sono i tanti anelli delle catene invisibili degli schiavi contemporanei. Se ogni studente ha messo in luce una parte della catena, tutti insieme hanno formato quella maglia di singole cause che fanno sì che 40 milioni di persone siano ridotte in schiavitù. Debiti, minacce (fisiche e psicologiche), violenze, confisca dei documenti, falsi contratti, isolamento, inganno e confino sono alcuni degli elementi che ci permettono di riconoscere gli schiavi di oggi.

La catena viene quindi posata a terra, al centro del cerchio formato dalle sedie su cui sono seduti i ragazzi, a ricordarci la pesantezza di queste prigioni invisibili. Allora la mia domanda, posta a tutta la classe: “Queste catene, secondo voi, riguardano anche noi? Se pensate di sì, avvicinatevi ad esse e se invece pensate di no allontanatevene, rimanendo seduti”. A questo punto del percorso, le risposte sono state multiple e poco scontate, mettendo in luce quanto questo tema ci possa mettere in discussione in prima persona.

In una prima classe si è “materializzato” un discorso di genere: le ragazze si sono prontamente alzate e avvicinate alla catena, i ragazzi sono rimasti seduti al loro posto. Questo gruppo sembra aver inconsapevolmente ricostruito quella questione di genere sottesa al fenomeno delle schiavitù moderne. Le stime del 2017 infatti ci dicono che il 71% delle vittime intercettate sono donne. Le ragazze in classe si sono sentite toccate dal fenomeno per varie motivazioni, riconoscendo che le vittime erano in qualche modo “a loro vicine”: anche solo geograficamente, per genere o anagraficamente; sono sempre ragazze quelle che lavorano in strada, appostate di notte poco lontano dal centro cittadino.

Nella seconda classe coinvolta negli incontri, gli animi si sono accesi su altre argomentazioni: una parte della classe si riteneva corresponsabile del fenomeno delle schiavitù moderne in quanto consumatori; leggendo le etichette dei proprio vestiti e delle proprie scarpe i ragazzi hanno messo in luce che tutto ciò che compriamo è frutto del lavoro di qualcuno e che nella maggioranza dei casi quel qualcuno non ha voce in capitolo sulle ore di lavoro, sul proprio stipendio ed in generale sul proprio contratto. L’altra parte della classe ha reagito in maniera curiosamente diversa, schierandosi a favore di una NON responsabilità personale. La responsabilità, affermavano, è della società e non del singolo individuo. A quel punto la mia domanda è stata: “e quindi la società da chi è composta?”.

Un ragazzo ha preso parola, osannato dagli altri: “Io non sono parte della società, non ne sono parte perché non produco PIL, non fatturo”. A quel punto il dibattito si è animato e la campanella è suonata. Giusto il tempo di lasciare per strada gli ultimi sassolini per una riflessione (mia e loro) futura: “eppure-rispondo io- c’è qualcuno che dice che “la società bisogna costruirla, continuamente, tutti insieme”. Curioso è pensare che questa frase non viene da un filosofo né da un rivoluzionario bensì dalla pagina 6 delle Indicazioni nazionali per il I ciclo di istruzione. Allo stesso tempo-penso tra me e me- è significativo realizzare che l’argomentazione portata dal ragazzo in questione rispecchi un’altra anima della società: quella che ci racconta quotidianamente che nel mondo globalizzato al peso economico corrisponde il potere politico. L’esclusione dalla società che questo studente testimonia non trova le sue radici proprio in quel sistema economico iniquo e insostenibile, che punta a sfruttare i vulnerabili e a farci dimenticare della loro esistenza?

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MIGRAZIONI E COOPERAZIONE: IL NUOVO NUMERO DEL GIORNALE DI MANI TESE

È on line il nuovo numero del giornale di Mani Tese. Un’edizione dedicata al tema delle migrazioni curata da un nuovo direttore

È on line il nuovo numero del giornale di Mani Tese. Un’edizione dedicata al tema delle migrazioni curata dal nuovo direttore responsabile Matteo Chiari, giornalista professionista con un passato di servizio civile in Mani Tese e di responsabile del Centro di documentazione (CEDOC).

In questo numero:

Migranti, razzismi e cooperazione
LE PAROLE DA DIRE AD ALTA VOCE
di Valerio Bini

Le migrazioni e la nostra prospettiva da una parte e dall’altra del Mediterraneo
UN ALTRO SGUARDO, UN NUOVO IMPEGNO
di Elias Gerovasi e Sara De Simone

Sovranità alimentare e migrazioni: due sfide in una, da vincere
LA GUINEA-BISSAU METTE LE ALI ALLO SVILUPPO
di Giovanni Sartor

Storie di migranti che dalla Guinea-Bissau hanno cercato un futuro altrove:
la speranza di una vita migliore si è, però, infranta nell’inferno della Libia
IL VIAGGIO SPEZZATO. RIPARTIRE DA CASA
di Aldo Daghetta e Matteo Anaclerio

Private della dignita e costrette a subire violenze e soprusi: sono le vittime della tratta
SENZA PROTEZIONE: LA ROTTA DEGLI SCHIAVI
di Anna Pozzi

Trafficking, lavoro forzato, schiavitù: il dibattito internazionale
SULLA PELLE DEI MIGRANTI. SMASCHERARE LO SFRUTTAMENTO
estratto da un articolo di Roger Plant

Una proposta per affrontare e vincere la sfida della convivenza e del dialogo
INSIEME E DIVERSI. COSTRUIRE INCLUSIONE
di Giacomo Petitti di Roreto

Dalla sartoria al riutilizzo: azioni in ‘rete’ per accompagnare i percorsi di inserimento
PRATICHE D’ACCOGLIENZA: I PROGETTI SUL CAMPO
di Chiara Cecotti

Guarda la videopresentazione del giornale a cura del direttore:

Clicca sull’immagine per scaricare il giornale in pdf:

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UN IMPORTANTE RICONOSCIMENTO PER IL NOSTRO IMPEGNO IN BURKINA FASO

Lo scorso 5 dicembre, nell’ambito dei festeggiamenti previsti per l’11 dicembre, festa di indipendenza del Paese, Chiara Zazzaroni, Rappresentante Paese di Mani Tese in Burkina Faso, è stata insignita del prestigioso titolo di Cavaliere dell’Ordine Nazionale.

Lo scorso 5 dicembre in Burkina Faso, nell’ambito dei festeggiamenti previsti per l’11 dicembre, festa dell’indipendenza nel Paese, Mani Tese è stata insignita del prestigioso titolo di Cavaliere dell’Ordine Nazionale.

Si tratta di un riconoscimento importante che ci è stato conferito a nome del Presidente del Burkina Fasoper il lavoro portato avanti con le comunità rurali a sostegno dello sviluppo del Paese”.

“Per me è stata una grande soddisfazione professionale ricevere un così alto riconoscimento per il lavoro svolto in questi anni – racconta Chiara Zazzaroni, Rappresentante Paese di Mani Tese in Burkina Fasoed è stata una forte emozione rappresentare un organizzazione che si è distinta per i suoi meriti e servizi resi alla nazione. Ho ripensato a quando, sette anni fa, sono arrivata in Burkina Faso per lavorare per Mani Tese: alle difficoltà dei primi tempi ma anche alle soddisfazioni e ai risultati che ne sono conseguiti grazie al lavoro realizzato con l’équipe”.

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NO A FASCISMI E XENOFOBIA: LA NOSTRA SOLIDARIETÀ A “COMO SENZA FRONTIERE”

In merito all’irruzione di “Veneto Fronte Skinheads”, esprimiamo la nostra condanna dell’atto violento e la piena solidarietà a “Como Senza frontiere”

In merito all’irruzione di “Veneto Fronte Skinheads” avvenuta nei giorni scorsi durante un’assemblea della Rete “Como Senza Frontiere”, Mani Tese intende esprimere la sua forte condanna dell’atto violento e la piena solidarietà a “Como Senza frontiere”, una rete che unisce decine di associazioni a sostegno dei migranti.

“Mani Tese esprime tutta la sua solidarietà ai volontari di ‘Rete Como Senza Frontiere’, vittima nei giorni scorsi del blitz di un gruppo neonazista – dichiara Sara De Simone, Vice Presidente di Mani Tese – Da sempre promuoviamo pratiche non violente e solidali nel nostro lavoro quotidiano e per questo siamo profondamente preoccupati dalla crescete diffusione di ideologie e pratiche fasciste, violente e xenofobe. Vogliamo quindi esprimere il nostro sostegno ai volontari di Como e incoraggiarli a continuare a lavorare insieme per un mondo migliore”