NO A MATRIMONI FORZATI E VIOLENZA DI GENERE: UN NUOVO PROGETTO IN GUINEA-BISSAU

Il 7 marzo, in occasione della Giornata Internazionale della Donna, si terrà l’evento di lancio guineense del progetto “LIBERE DALLA VIOLENZA”

Si terrà mercoledì 7 marzo, in occasione della Giornata Internazionale della Donna, l’evento di lancio guineense del progetto “LIBERE DALLA VIOLENZA: DIRITTI ED EMANCIPAZIONE PER LE DONNE IN GUINEA-BISSAU” (titolo originale: No na cuida de no vida, mindjer – Emancipazione e diritti per ragazze e donne in Guinea Bissau – progetto pilota) promosso dall’ONG Mani Tese, capofila, in collaborazione con ENGIM (Ente Nazionale Giuseppini del Murialdo), FEC (Fundaçao Fé e Cooperaçao), GEIOJ (Gabinete Estudos Informaçao e Orientaçao Juridica) e RA (Rede Ajuda), cofinanziato dall’Unione Europea.

“In tutto il mondo, la violenza contro le donne lascia trasparire l’eredità storica di una società marcata dalla discriminazione di genere – dichiara Paola Toncich, Coordinatrice del progetto di Mani Tese – ma in Guinea-Bissau assume forme diverse e ancora più atroci rispetto a quelle conosciute in Europa, come il matrimonio forzato, il matrimonio precoce e la mutilazione genitale femminile”.

La violenza di genere in Guinea-Bissau

Secondo uno studio* realizzato nel 2011 da organizzazioni di difesa e promozione dell’uguaglianza di genere, l’85% della violenza contro le donne guineensi si manifesta nell’ambiente familiare e nel 67% dei casi gli aggressori sono i coniugi, mentre nel 33% altri membri della famiglia.

Nonostante nel 2014 in Guinea-Bissau sia stata promulgata la “Legge sulla criminalizzazione di tutti gli atti di violenza praticati nell’ambito delle relazioni domestiche e familiari”, non esistono a oggi casi giudicati.

Lo stesso studio indica che nel Paese, tra il 2006 e il 2010 sono stati registrati dalle autorità giudiziarie e di sicurezza 23.193 casi di violenza domestica ma il 71% delle vittime intervistate non ha mai sporto denuncia. In media, solo 5 casi di violenza domestica vengono denunciati al giorno in tutto il Paese. (*“Quadro legal dos direitos humanos”, Liga guineense dos direitos humanos, settembre 2015).

Tre i fattori che dissuadono le donne dal denunciare: la mancanza di conoscenza delle legge e dei diritti legali delle donne; la carenza di competenza di strutture statali e in particolare della polizia; l’assenza di capacità dello stato e delle organizzazioni tradizionali di proteggere le vittime.

I matrimoni forzati

La situazione di incertezza sui dati si acuisce maggiormente quando si analizza il fenomeno del matrimonio forzato, ossia l’unione tra persone senza consenso o contro la volontà dei coniugi o di uno dei coniugi, che in Guinea-Bissau non è ancora stato normato in violazione agli obblighi nazionali e internazionali, in particolare quelli della Costituzione della Repubblica (che proibisce la violenza fisica e morale) e della Convenzione sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione della donna (CEDAW), adottata nel 1979 dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, che la Guinea Bissau ha ratificato nel 1985.

In Guinea-Bissau la pratica del matrimonio forzato è comune a quasi tutte le etnie, che sono più di una decina: il 41% delle donne intervistate in uno studio del 2011 (“Un ritratto di violenza contro le donne in Guinea-Bissau”) ha dichiarato di non aver partecipato alla scelta del marito. In mancanza di una norma di diritto positivo, è infatti quello consuetudinario a essere implementato che determina 14 anni come età minima del matrimonio per le donne.

“Il matrimonio forzato – prosegue Paola Toncich – oltre a influenzare il principio di libertà e di auto-determinazione delle donne, mette in pericolo la loro integrità fisica e morale e rende la situazione ancora più allarmante quando associato al matrimonio precoce, con conseguenze come abusi sessuali, gravidanze precoci, abbandoni scolastici e mortalità materna”.

Il progetto LIBERE DALLA VIOLENZA

È in questo contesto che prende il via il progetto finanziato dall’Unione Europea “LIBERE DALLA VIOLENZA”, il cui nome originale è ‘No na cuida de no vida, mindjer – Emancipazione e diritti per ragazze e donne in Guinea Bissau – progetto pilota’ che in creolo, la lingua locale, significa ‘Noi ci prendiamo cura della nostra vita’.

L’impossibilità di accesso delle donne al sistema giudiziario formale è una delle sfide da affrontare per assicurare alle vittime sia la protezione giudiziaria che della polizia, insieme a quella di garantire i servizi sociali di emergenza per facilitare il recupero e il reinserimento sociale delle donne vittime di violenza e delle ragazzine che scappano dal matrimonio forzato.

Il ruolo di Mani Tese all’interno del progetto sarà proprio quello di rafforzare, in collaborazione con GEIOJ (Gabinete Estudos Informaçao e Orientaçao Juridica), i centri di accesso alla giustizia e la polizia locale attraverso una formazione specifica sull’argomento e costruendo una rete integrata di accompagnamento e servizi specifici per le vittime, in cui saranno coinvolti anche i responsabili dei servizi psicosociali.

“Nel Paese si creeranno ed equipaggeranno tre centri regionali di servizio di attenzione alla vittima e una casa rifugio, che si occuperanno di fornire assistenza educativa, psicosociale e legale – conclude Paola Toncich – Inoltre si selezioneranno alcuni spazi informali, costituiti da un certo numero di famiglie che, in modo autonomo e indipendente, accolgono le donne. L’obiettivo è dotare questi differenti spazi d’accoglienza di una metodologia comune, da costruire attraverso la partecipazione dei partner, delle organizzazioni della società civile e dei ministeri competenti”.

Le attività si svolgeranno in collaborazione con la ONG portoghese Fundaçao Fe E Cooperaçao (FEC) e l’associazione italiana Ente Nazionale Giuseppini del Murialdo (ENGIM). La prima si occuperà di educazione parentale e coniugale in 46 comunità di 4 regioni del Paese (Quinara, Tombali, Bafatá e Gabu) attraverso il partner locale Rede Ajuda (RA), che formerà agenti socio-comunitari. Oltre alla formazione, FEC promuoverà anche campagne di sensibilizzazione nelle comunità selezionate sui diritti delle donne e delle ragazze e rafforzerà i centri regionali per il sostegno alle vittime e la linea telefonica esistente per le denunce.

ENGIM si concentrerà principalmente sulla prevenzione della violenza di genere e sull’empowerment delle donne guineensi attraverso l’attivazione di un corso di formazione professionale in hoteleria e gestione domestica rivolto alle ragazze dai 12 ai 14 anni residenti nel settore autonomo di Bissau per favorire l’acquisizione di competenze professionali e garantire nel contempo una celere segnalazione dei casi sospetti di violenza. Inoltre promuoverà il sostegno di 4 microimprese di donne e la creazione della prima agenzia di occupazione per le donne.

I diversi attori coinvolti si riuniranno periodicamente intorno a un tavolo tematico che avrà, come obiettivo, quello di lavorare alla costruzione di un Piano nazionale di prevenzione e lotta contro la violenza domestica e di genere per diffondere una cultura di pace e uguaglianza di genere.

TRAFFICKING: PROSEGUE IL NOSTRO IMPEGNO A POIPET

Lo staff di Damnok Toek nostro partner in Cambogia, visita regolarmente le comunità di Poipet e assiste migliaia di bambini e adolescenti

La Cambogia continua ad essere uno dei Paesi più poveri al mondo: l’ultimo indice di sviluppo umano dell’UNDP lo posiziona infatti al 143esimo posto su un totale di 188 paesi.

In queste foto vediamo la triste realtà di alcune aree di Poipet, città al confine con la Tailandia da cui ogni giorno partono e rientrano decine di migranti cambogiani.

Lo staff di Damnok Toek, nostro partner dal 2008, visita regolarmente le comunità di Poipet e assiste migliaia di bambini e adolescenti. Alcuni di questi, vittime di trafficking e/o abusi, vengono accolti nel Centro di accoglienza. Grazie al progetto “Bambini al sicuro” possono vivere all’interno di un luogo protetto in cui crescere, frequentare la scuola e corsi di inglese, sport, informatica e arte-terapia, ricevere cure mediche e assistenza psicologica e, se le condizioni lo permettono, essere reinseriti nelle proprie famiglie d’origine.

Sostieni il progetto “Bambini al sicuro” partecipando alla Milano Marathon.

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Foto di Damnok Toek
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Foto di Damnok Toek
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Foto di Damnok Toek

 

PER L’8 MARZO RENDI UNA DONNA LIBERA E INDIPENDENTE

Per la Giornata Internazionale della Donna non limitarti a una mimosa: scegli un dono solidale a sostegno delle donne in Kenya, Guinea Bissau o Cambogia.

Sono tante, nel mondo, le donne vittime di abusi o costrette a vivere in condizioni di povertà. Per la Giornata Internazionale della Donna non limitarti a una mimosa: sostieni l’indipendenza economica delle donne coinvolte dai nostri progetti di sviluppo in Kenya e in Guinea Bissau, o libera le bambine dal trafficking in Cambogia con un dono speciale.

SCEGLI I NOSTRI REGALI SOLIDALI

COMPILA SUBITO IL MODULO D’ORDINE

GUINEA-BISSAU, AL MERCATO CON LA VIDEOCAMERA

Un video girato dai ragazzi del progetto “Antula è giovane!” presso il mercato di Antula durante un corso di riprese

Stefano e Daniele di Narvaloo Routes sono due videomaker toscani che hanno cercato di raccontare attraverso le immagini la Guinea-Bissau e il Senegal.
Li abbiamo incontrati a luglio a Bissau, dove hanno organizzato un corso di riprese video per i giovani del progetto “Antula è giovane!”, che abbiamo recentemente realizzato nel Paese. Una delle attività è stata quella di lasciare girare i ragazzi per il proprio quartiere armati di videocamere.

Ecco il risultato di un video girato al mercato di Antula!

Tamil Nadu, la sofferenza delle adolescenti che lavorano nel tessile

India. I risultati di uno studio comparato sulle condizioni di salute di tre gruppi di adolescenti nei distretti di Coimbatore, Tirupur ed Erode.

L’industria tessile ha vissuto una crescita esponenziale negli ultimi vent’anni. Se nel 2000, infatti, erano venti milioni le persone che impiegava direttamente, oggi si stima siano fra i 60 e i 75 milioni i lavoratori del settore tessile, manifatturiero e calzaturificio. Circa tre quarti di questa forza lavoro è costituita da donne, il che lo rende uno dei principali settori di impiego di manodopera femminile nel mondo.

La crescita dell’industria tessile ha seguito un modello di sviluppo pressoché unico, nei principali paesi europei e nel nord America. Le industrie nazionali hanno progressivamente spostato in paesi in via di sviluppo la produzione delle materie prime e gran parte delle successive fasi di lavorazione. Pur non disponendo, spesso, delle materie prime necessarie, questi paesi possedevano due elementi fondamentali per questo nuovo modello industriale: manodopera a basso costo e in abbondanza, e impianti legislativi fragili.
Lo sviluppo globale dei trasporti e della logistica ha consentito alle merci di viaggiare sempre più velocemente e a costi sempre più contenuti, e questo, unitamente a politiche commerciali favorevoli, ha contribuito a creare e mantenere nel tempo le condizioni necessarie all’espansione dell’industria tessile.

In questa crescita non sono stati solo i numeri, i volumi e i fatturati a lievitare; si sono moltiplicati anche gli attori coinvolti attivamente nei processi di lavorazione, e la filiera è passata da una catena di produzione tendenzialmente lineare e geograficamente contenuta, a un’intricata ragnatela che connette tutto il mondo.
Oltre il 70% delle importazioni tessili verso l’Unione Europea proviene da paesi asiatici; l’India è un paese importante non solo per la produzione di indumenti, ma in larga parte anche per la produzione di filato.

In India l’industria tessile contribuisce al 4% del prodotto interno lordo, e rappresenta l’11% delle esportazioni nazionali. E’ il secondo settore di impiego più grande del paese, con oltre 45 milioni di lavoratori, in larga parte lavoratrici.

In India possiamo osservare il lato oscuro di un modello di produzione e sviluppo basato sulla precarizzazione non solo delle relazioni tra committenti (inter/nazionali) e produttori, ma anche del rapporto tra lavoratore e azienda.

Se abbondano infatti i produttori locali di tutte le dimensioni e capacità, sono le grandi multinazionali a dettare le leggi, i tempi e i margini di guadagno del mercato, col rischio che per abbattere i costi e rimanere competitivi, siano gli ultimi, i più piccoli e i più vulnerabili a pagare i costi reali della produzione.

La mancanza di una normativa internazionale cogente, che imponga la trasparenza della filiera tessile in tutti i fornitori che la compongono, contribuisce ulteriormente al mantenimento dello status quo. Il gruppo di lavoro all’interno del Consiglio ONU per i diritti umani per un trattato vincolante delle Nazioni Unite in materia di imprese e diritti umani è impegnato per colmare questa lacuna normativa, ma nel frattempo il prezzo più alto delle violazioni dei diritti da parte delle imprese continua a essere pagato dai soggetti più deboli.

In India, nello stato meridionale del Tamil Nadu, a pagare questo prezzo sono giovani, giovanissime donne e adolescenti impiegate nelle migliaia di impianti di filatura che punteggiano la brulla campagna. Le fabbriche sorgono ai lati dell’unica strada che collega le principali cittadine, da nord a sud – alti cancelli che nascondono allo sguardo e interminabili mura che respingono il visitatore curioso con cocci di vetro e filo spinato.

Entrano donne, ragazze, adolescenti; escono camion carichi di bobine di filato.

Cosa succeda dietro quei cancelli e quelle mura, in alcuni casi lo sappiamo solo grazie ai racconti delle ragazze e ai segni che portano sul corpo. Lo sappiamo perché una delle attività che svolgiamo in India, in collaborazione col nostro storico partner locale SAVE, è proprio il monitoraggio delle violazioni dei diritti del lavoro.
Tali violazioni riguardano ovviamente, in primis, le lavoratrici impiegate nell’industria – ma emerge con sempre maggiore chiarezza uno scenario le cui conseguenze hanno un impatto inter-generazionale.

Il St. John’s Medical College di Bangalore, in Karnataka, ha recentemente effettuato uno studio comparato sulle condizioni di salute di tre gruppi di adolescenti nei distretti di Coimbatore, Tirupur ed Erode: lavoratrici attualmente impiegate (e impiegate da almeno un anno) nell’industria tessile; adolescenti impiegate in passato nello stesso settore, e infine adolescenti che non sono mai state impiegate.

Dal punto di vista fisico, le adolescenti lavoratrici presentano uno status nutrizionale deficitario e sono generalmente sottopeso, rispetto agli altri due campioni esaminati. Presentano una diffusa anemia, irregolarità nel ciclo mestruale e sintomi di stress fisico e mentale.

Sia le adolescenti attualmente impiegate sia le ex lavoratrici lamentano dolori muscoloscheletrici, specialmente al collo e alle spalle a causa dei movimenti ripetitivi, dei turni di lavoro eccessivamente lunghi e della mancanza di periodi di riposo adeguati. I dolori sono così forti da impedire, in alcuni casi, un impiego normale per circa un anno.
Lo stress psicologico è dovuto anche alla limitata libertà di movimento, per le ragazze che oltre a lavorare risiedono anche all’interno delle fabbriche stesse, dove non hanno accesso spazi e momenti ludici e ricreativi. Ma è proprio in questo ambito che i risultati della ricerca sono più sconvolgenti. Rispetto al campione di adolescenti che non sono mai state impiegate, tra le lavoratrici e le ex lavoratrici si registra un’elevatissima ricorrenza di pensieri suicidi, di tentativi di suicidio e di disturbi comportamentali dovuti ad abusi fisici e verbali subiti durante il lavoro.

L’impiego delle adolescenti negli impianti di filatura della zona è spesso l’unica opportunità economica per famiglie che non riescono più a sopravvivere – come hanno tradizionalmente fatto – grazie all’agricoltura; il lavoro delle ragazze è attivamente promosso anche perché possano mettere da parte i soldi necessari per pagarsi una dote e ambire a un buon matrimonio.

Il loro impiego, tuttavia, non apporta benefici duraturi, e non si rilevano significativi miglioramenti delle condizioni socioeconomiche delle famiglie di origine e delle nuove famiglie che vengono a crearsi. Al contrario, le conseguenze a lungo termine sulla salute psicofisica delle adolescenti impiegate nell’industria tessile rischiano di metterne in pericolo il futuro.
I loro diritti, come i diritti di tutte le persone che subiscono violazioni a causa dell’operato del mondo del business, devono diventare una priorità nell’agenda politica nazionale, europea ed internazionale. La ragnatela delle filiere produttive globali deve diventare sempre più una filiera trasparente di diritti e opportunità condivisi.

Per approfondire:

Il nostro progetto in India

IN MOZAMBICO L’AGRICOLTURA DI CONSERVAZIONE INIZIA A DARE FRUTTI!

Obiettivo, tramite il Progetto Foreste, è contrastare gli effetti dei cambiamenti climatici e ridurre l’impatto delle attività umane sulle risorse naturali

Grazie al progetto FORESTE, finanziato dall’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo, in Mozambico promuoviamo l’adozione di tecniche agroecologiche, ed in particolare di agricoltura di conservazione, per contrastare gli effetti dei cambiamenti climatici e ridurre l’impatto delle attività umane sulle risorse naturali.

L’agricoltura di conservazione è un insieme di buone pratiche di gestione integrata del suolo, dell’acqua e delle coltivazioni che si basa su 4 tecniche principali:

  • Movimentazione/lavorazione minima o nulla del suolo
  • Copertura del suolo con scarti agricoli/foglie tagliate
  • Rotazione e consociazione delle colture
  • Divieto di utilizzo di prodotti chimici (fertilizzanti, pesticidi, erbicidi)

In queste foto vediamo le machambas, o campi, delle 10 comunità della Provincia della Zambézia in cui interveniamo.

Saranno 300 gli agricoltori che miglioreranno le modalità di coltivazione grazie a queste tecniche di conservazione del suolo che, oltre ad arricchire e proteggere i terreni, produrranno alimenti diversificati e piante medicinali anche durante la stagione secca.

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La fase di trapianto degli ananas
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Consociazione di ananas (abacaxi), arachidi e sesbania (specie arborea leguminosa)

 

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La machamba, il campo, si prepara a dare i suoi frutti
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Pacciamatura ovvero la copertura del suolo
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Tutto pronto per il trapianto delle barbatelle di anacardio
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Una machamba che produce arachidi, fagioli, ananas, banane e, un giorno, pure gli anacardi

 

TRATTA, COSA ABBIAMO CAPITO DAL CONVEGNO DELL’8 FEBBRAIO

Le riflessioni emerse dal convegno “Tratta e gravi violazioni dei diritti umani: i nuovi schiavi del XXI secolo”

Giovedì 8 febbraio, in occasione della Giornata Mondiale contro la Tratta di Persone, si è tenuto il convegno “Tratta e gravi violazioni dei diritti umani: i nuovi schiavi del XXI secolo” organizzato da Mani Tese, Pime e Caritas Ambrosiana in collaborazione con Ucsi Lombardia.
Sono stati tanti gli spunti di riflessione emersi durante la mattinata.

Il convegno, moderato da Chiara K. Cattaneo, Program Manager della Campagna I Exist di Mani Tese, si è aperto con l’intervento di Paola Barretta, ricercatrice dell’Osservatorio di Pavia e collaboratrice dell’Associazione Carta di Roma, che ha ricordato l’importanza e la responsabilità delle parole e, in generale, di come vengono comunicati i fatti in relazione ad argomenti sensibili come la migrazione e la tratta. Nel primo caso, si è registrato nel 2017 un aumento dei toni allarmistici sui mezzi d’informazione, spesso alimentando stereotipi sui migranti legati alla criminalità. L’uso del termine “clandestino” – che nel 2017 ha subìto un incremento – per definire chi arriva lungo le nostre coste, ha ricordato la Barretta, è scorretto ed errato. Uno invece dei vocaboli più usati è stato “ius soli”. Per quanto riguarda la tratta, nel 2017 se ne è parlato complessivamente molto poco sui media: 53 i titoli registrati sul tema e solamente 15 le notizie dedicate sui Tg.

Leonardo Becchetti, ordinario di Economia Politica, Facoltà di Economia, Università di Roma Tor Vergata, ha sottolineato le gravi responsabilità dell’attuale sistema economico che produce diseguaglianze in quanto improntato sul benessere del consumatore e sugli investimenti e l’innovazione trascurando la tutela dell’ambiente e la dignità del lavoro. Tra 1988 e 2011 il reddito dell’1% più ricco è aumentato 182 volte di più del 10% più povero nel mondo. Se, per quanto riguarda l’ambiente, le cose stanno migliorando, siamo però ancora lontani da una tutela del lavoro. Un sistema che si basa sullo sfruttamento di un enorme bacino di lavoro a basso costo produce erosione dei diritti. Tre le soluzioni individuate da Becchetti. La prima è il voto col portafoglio ovvero l’acquisto da parte dei consumatori di prodotti e servizi provenienti da aziende responsabili e sostenibili. La seconda “medicina” è il voto col portafoglio dello Stato, il quale dovrebbe promuovere appalti con criteri minimi sociali e ambientali che le aziende devono rispettare. La terza soluzione è un cambiamento delle regole del commercio: i prodotti a filiere sostenibili devono essere avvantaggiati mentre quelli che sfruttano indiscriminatamente le risorse umane e naturali dovrebbero essere soprattassati.

Al convegno si è poi parlato di sfruttamento del lavoro in Italia, con un focus sul settore dell’agricoltura, insieme a Oliviero Forti, responsabile Ufficio immigrazione di Caritas Italiana. In Italia sono fra i 70 e 100mila i lavoratori schiavi, coinvolti in diverse attività. In agricoltura, in particolare, l’80% è straniero. Il 64% lavoratori sfruttati in agricoltura vive in baraccopoli senza accesso ad acqua potabile. Questi nuovi schiavi spesso lavorano per 30 euro al giorno, 15 dei quali spesi per vitto e alloggio. Emblematico il confronto fatto da Forti fra un’immagine della Calabria e una dell’Etiopia, dove in quest’ultima le condizioni appaiono paradossalmente migliori.

Mirta Da Pra, giornalista e coordinatrice del settore Prostituzione e Tratta del Gruppo Abele, ha evidenziato come lo sfruttamento sessuale sia la tipologia di tratta più diffusa nel nostro Paese. Si stima infatti che l’80% del mercato del sesso si basi su vittime di tratta. La Da Pra ha inoltre sottolineato come gli attori dello sfruttamento vadano moltiplicandosi, così come i diversi tipi di traffici sono sempre molto più interconnessi fra loro. Le vittime di tratta sono invece persone sempre più vulnerabili. È opportuno che si attivino canali di comunicazione formali fra chi si occupa di richiedenti asilo e chi di tratta. Necessaria, inoltre, una regia politica per risolvere il problema.

Si è infine affrontato il tema dei minori insieme a Fiammetta Casali, presidente del comitato provinciale di Milano per l’Unicef. Nel mondo 2 milioni di bambini sono prostituti o sottoposti a varie forme di sfruttamento sessuale. 152 milioni sono i bambini al di sotto dell’età minima di accesso al lavoro o che si trovano in condizioni che minacciano il loro benessere e sviluppo psicofisico costretti a lavorare. La Casali ha inoltre sottolineato come, con l’aumento delle guerre, siano aumentati anche i bambini soldato così come, nei campi profughi, si assiste a un incremento dei matrimoni forzati.
La chiave di volta contro lo sfruttamento del lavoro minorile resta l’istruzione. La figura del tutore volontario, di recente introdotta, potrebbe inoltre essere un’opportunità per garantire la protezione dei minori non accompagnati che arrivano nel nostro Paese.

 

Guarda tutti gli interventi del convegno

 

  • Chiara Cattaneo: Introduzione

  • Paola Barretta: Tratta e schiavitù. Cosa dicono i media e cosa dice la Carta di Roma

 

 

  • Leonardo Becchetti: L’economia della schiavitù

 

 

  • Oliviero Forti: Il lavoro schiavo

 

 

  • Mirta Da Pra: L’industria del sesso

 

 

  • Fiammetta Casali: Lo sfruttamento dei minori

 

“LIBERE DALLA VIOLENZA” CON PAOLA IN GUINEA-BISSAU

Paola è da pochi giorni in Guinea Bissau per coordinare il progetto “LIBERE DALLA VIOLENZA: DIRITTI ED EMANCIPAZIONE PER DONNE E BAMBINE IN GUINEA-BISSAU”

Diamo il benvenuto a Paola Toncich, da pochi giorni in Guinea Bissau per coordinare il progetto “LIBERE DALLA VIOLENZA: DIRITTI ED EMANCIPAZIONE PER DONNE E BAMBINE IN GUINEA-BISSAU“.

Dppo la laurea in Sviluppo e Cooperazione Internazionale e un periodo di formazione e lavoro, Paola è stata in Bolivia per 7 anni occupandosi inizialmente di progetti di sicurezza alimentare e generazione di reddito nelle comunità dell’altipiano boliviano, con particolare enfasi sull’empowerment femminile. Negli ultimi 3 anni si è poi dedicata alla giustizia penale minorile e giovanile con approccio riparativo ossia un sistema diverso ed innovativo di considerare gli atti delittuosi, attraverso l’assunzione di responsabilità da parte dell’autore del reato, la partecipazione delle vittime nel processo di riparazione e la creazione di seconde opportunità di vita e di reinserimento sociale. Quest’ultimo elemento, unito all’interesse di Paola verso la tematica di genere, le hanno consentito di costruire un bagaglio di conoscenze che porterà con Mani Tese in Guinea-Bissau, per contribuire al reinserimento e al ritrovamento della dignità. delle donne che subiscono violenze.

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