NICARAGUA, ANCHE L’ISTRUZIONE SI MOBILITA PER LA PREVENZIONE DELL’INSUFFICIENZA RENALE

Prosegue il nostro impegno in Nicaragua per prevenire e curare l’insufficienza renale cronica, la malattia frequente nei lavoratori della canna da zucchero.

Prosegue il nostro impegno in Nicaragua per prevenire e curare l’insufficienza renale cronica (IRC), la malattia altamente invalidante frequente nei lavoratori della canna da zucchero.

Lo staff di progetto è al momento coinvolto in un’intesa attività di informazione e formazione sul tema rivolta a medici, assistenti sociali, rappresentanti delle istituzioni, docenti e persone appartenenti al mondo dell’istruzione.

Durante queste sessioni viene presentato il nostro progetto, nell’ambito del quale stiamo redigendo un manuale sulla cura e la prevenzione della malattia, vengono diffuse informazioni e ricerche sul tema e raccolto materiale da inserire nello stesso manuale.

Molto partecipata, in particolare, è stata la giornata di formazione e informazione dedicata ai dirigenti e ai tecnici del Ministero dell’Istruzione, che hanno mostrato molto interesse per il progetto e si sono impegnati a diffonderlo nei propri contesti scolastici.

Luisa Amanda Palma, ad esempio, vicedirettrice di una scuola del comune di Chichigalpa, è rimasta molto colpita dalle informazioni fornite sulla IRC e metterà in pratica quanto appreso durante la formazione condividendolo con gli alunni e i genitori, oltre che con i suoi famigliari purtroppo vittime della malattia.

David Moreno, dell’Università Martín Lutero, pensa di replicare la nostra formazione sull’insufficienza renale cronica a vari livelli: con gli studenti, con i docenti del centro scolastico, i genitori e i giovani della comunità.

Leggi il nostro progetto in Nicaragua

UNA PICCOLA RIVOLUZIONE AGROECOLOGICA NEI VILLAGGI DEL BULKIEMDÉ

Conclusa la 2a formazione in agroecologia con i contadini di Sorgou in Burkina Faso: un altro passo verso una piccola rivoluzione socio-cultural-produttiva!

In Burkina Faso si è appena conclusa la seconda formazione in agroecologia con i contadini del comune di Sorgou, impegnati nella produzione orticola e cerealicola (mais, riso, miglio e sorgo fra tutti).

Tre giorni molto intensi di progettazione agroforestale, produzione di compost, bokashi, fertilizzanti fogliari e prodotti fitosanitari, per una agricoltura sostenibile, più attenta alla fertilità dei suoli e alle conoscenze tradizionali.

Foglie di papaya, moringa, neem, letame e cenere sono i protagonisti indiscussi di questa piccola rivoluzione socio-cultural-produttiva che Mani Tese, insieme ad ACRA e agli altri partner di progetto sta portando nei villaggi del Bulkiemdé.

Vivai di piante forestali e leguminose garantiranno nel tempo un aumento della biodiversità in campo e consentiranno ai produttori di avere a portata di mano tutte le risorse per preparare i loro prodotti, senza cercali in natura, rendendoli liberi dall’acquisto di altri input e migliorando la qualità della loro produzione.

L’agroecologia è la strada da seguire: porta all’indipendenza, alla sovranità alimentare e alla riscoperta e valorizzazione di saperi ancestrali che rischiano di essere perduti. Le buone pratiche agricole insomma.

16 APRILE: PER IQBAL E PER TUTTI I BAMBINI VITTIME DI SCHIAVITÙ

Oggi è la Giornata mondiale contro la schiavitù infantile e l’anniversario della morte del piccolo Iqbal Masih. Lo ricordiamo in questo articolo.

Iqbal Masih è stato un operaio tessile, attivista e simbolo della lotta contro il lavoro minorile. Per sempre bambino, ucciso a 12 anni in circostanze tuttora oscure.

Nato nel 1983 in una famiglia pakistana poverissima, iniziò a lavorare a sei anni presso un piccolo imprenditore tessile per estinguere un debito contratto dalla famiglia. Incatenato al telaio, malnutrito, lavorava per 12 ore al giorno, 7 giorni alla settimana. I miseri guadagni, però, non riuscivano mai a estinguere il debito originario di 6 dollari.

Una volta sfuggito a questa schiavitù, iniziò a battersi contro il lavoro minorile, studiando e diventando il volto e la voce di tutti i bambini che come lui venivano sfruttati nell’industria dei tappeti. La sua storia ha ispirato numerosi libri, film e il commosso discorso di accettazione del premio Nobel per la pace di Kailash Satyarthi.

Il 16 aprile, anniversario della morte di Iqbal, è la giornata in cui ricordare che la lotta alla schiavitù infantile continua ad essere una necessità: sono 152 milioni i bambini vittime di sfruttamento del lavoro minorile, e di questi, 73 milioni sono impiegati in lavori pericolosi.

Il lavoro minorile è un fenomeno davvero mondiale: se infatti la metà circa di tutti i bambini vittime di sfruttamento si trova in Africa (72 milioni), nessuna regione del mondo ha completamente eradicato il fenomeno.

I settori in cui i bambini lavorano sono tutti, senza eccezioni: in primis l’agricoltura, sia di sussistenza che commerciale (come abbiamo rilevato recentemente anche in uno studio sulla filiera della canna da zucchero), la pesca, l’allevamento, l’edilizia, le cure domestiche, il terziario, le industrie estrattive e ad alta densità di manodopera, come l’industria tessile.

Il lavoro minorile è causa e conseguenza della povertà, e come tale Mani Tese lo affronta. Se infatti cambiano i modi in cui si manifesta, immutate rimangono invece le circostanze che lo caratterizzano, composte da fattori di spinta e fattori di attrazione. Indigenza estrema, mancanza di alternative economiche per i membri adulti della famiglia, necessità di integrare il reddito famigliare, mancato accesso al credito, sistemi scolastici inaccessibili sono tra i più comuni fattori di spinta. Ma tra i fattori di attrazione non si possono non annoverare le industrie che prediligono l’impiego di bambini in quanto manodopera più economica e docile rispetto agli adulti. Tra queste figura l’industria tessile in India meridionale, dove negli impianti di filatura del Tamil Nadu vengono impiegate illegalmente migliaia di bambine e adolescenti.

Il lungo lavoro sul campo in stretta collaborazione con le associazioni popolari e i movimenti di base ci ha insegnato che garantire l’autosufficienza dei nuclei familiari, a partire dal mondo rurale, è condizione indispensabile perché, fra l’altro, i bambini possano andare a scuola anziché dover lavorare.”. Così scrivevamo in occasione della Global March against Child Labour, una marcia che ha attraversato 90 paesi, per arrivare fino a Ginevra e contribuire all’adozione della Convenzione ILO 182 sulle peggiori forme di sfruttamento del lavoro minorile, e di cui Mani Tese è stato coordinatore europeo.

Oggi il lavoro minorile è uno dei focus della campagna i exist . say no to modern slavery contro le schiavitù moderne, e la lotta allo sfruttamento lavorativo dei bambini rimarrà il filo sottile che regge la multiforme trama del nostro impegno di giustizia.

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Immagine di Schumi4ever – Wikimedia (https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Iqbal_Masih_placa_Almer%C3%ADa.JPG)

IL DRAMMA DELLA MUTILAZIONE GENITALE FEMMINILE IN GUINEA-BISSAU

Intervista a Fatumata Djau Balde, storica attivista del Paese.

Fatumata Djau Balde è la presidente del Comitato per l’abbandono delle pratiche nefaste per la salute delle donne e dell’infanzia della Guinea Bissau ed è uno degli esempi di attivismo femminista più importanti nel Paese. La incontro nell’ufficio di Mani Tese, poco prima della sua partenza per Lisbona, dove la attende una serie di seminari e conferenze sui diritti delle donne, per cui lotta da tutta la vita, fin da quando era un’adolescente a cui è stata praticata la Mutilazione Genitale Femminile (MGF)*, imposta dalla sua famiglia.

Fatumata sostiene che la differenza tra lei e sua madre risieda nella possibilità di scolarizzazione e più in generale nell’empowerment femminile. Lei infatti ha avuto l’opportunità di studiare contabilità, di insegnare e di seguire un master in studi giuridici. Si dimentica di raccontarmi che è stata anche ministra del Turismo, Solidarietà e Affari Esteri per un breve periodo fino al colpo di stato del settembre 2003. E’ più concentrata a illustrare i dettagli della storia del Comitato, partendo dallo scenario internazionale: nel 1994, a Dakar, si costituisce il Comitato Interafricano per l’abbandono delle pratiche nefaste, ossia mutilazioni genitali femminili, matrimoni precoci, matrimoni forzati, la preferenza per i figli maschi e la pratica della dote. Vi aderiscono 19 paesi africani che creano i comitati nazionali e nel 1995 viene fondato quello della Guinea Bissau.

All’epoca il comitato rappresentava una direzione del ministero degli Affari Sociali che lavorava soprattutto sulla sensibilizzazione contro la mutilazione genitale, ma nel 1998 la guerra civile ne fa cessare le attività. Riprenderà dal 2009 con maggior forza, tanto che a oggi sono 20 le organizzazioni della società civile che lo compongono e, seppur tutelato dal Ministero della Donna, Famiglia e Solidarietà sociale, è un organismo indipendente, come sottolinea Fatumata, che rimarca l’importanza della sua autonomia dal governo.

Negli anni le tematiche affrontate dal comitato aumentano e includono violenza domestica, violenza di genere e scolarizzazione di bambine e ragazze. Tra tutti questi argomenti viene diviene noto in Guinea Bissau soprattutto per la lotta sul tema più difficile da affrontare, ossia la Mutilazione Genitale Femminile (MGF), sia perché insita nella cultura del Paese, sia per le conseguenze che accompagnano la vittima per il resto della sua vita, delle quali si fa fatica a parlare: conseguenze sociali, psicologiche e ovviamente fisiche dovute all’asportazione parziale o totale degli organi sessuali esterni femminili attraverso una lama da taglio e con le quali si stima conviva oggi il 50% delle donne guineensi con età compresa tra 15 e 49 anni.

Lo sa bene Fatumata, che ha subito personalmente questa pratica rituale nella comunità musulmana della città di Bula, da cui proviene. La religione musulmana non deve essere però usata come capro espiatorio: nel Corano infatti, l’argomento non viene neppure citato, ma la presidente mi dice che i leader religiosi seguono più la tradizione che hanno nella testa, che i precetti del profeta.

Queste pratiche tradizionali, esistenti da secoli, non cessano grazie all’esistenza di una legge, ma sicuramente questa può diventare uno strumento di persuasione. Così sta succedendo in Guinea Bissau, dove nel 2011 è stata adottata la legge che proibisce e penalizza la MGF. Fatumata, nel raccontare quel traguardo storico per lei e per il Paese, mi emoziona davvero, descrivendomi come i deputati si alzavano in piedi uno dopo l’altro per votare a favore. Un fatto assolutamente non scontato, visto che la comunità musulmana costituiva la maggioranza nel Parlamento.

Per sottolineare che l’Islam non impone questa pratica, inoltre, 200 Iman di tutto il Paese hanno approvato nel 2013 una fatwa (decreto islamico) che condanna la MGF in nome della religione. Non solo, oggi le testimonianze dirette per la sensibilizzazione avvengono anche all’interno delle moschee. Inoltre 400 comunità hanno dichiarato l’abbandono delle pratiche e la scuola nazionale di salute della Guinea Bissau ha incluso un modulo di studio sulla MGF nel suo programma formativo per assistere in maniera adeguata le donne che l’hanno subita al momento del parto.

Insomma, di traguardi se ne sono raggiunti moltissimi e i dati lo confermano: l’indice di MGF praticata su bambine tra 0 e 14 anni è calato dal 39 al 30% dal 2010 al 2016 e le donne che appoggiano la continuità della pratica sono passate dal 36 al 13%.

Purtroppo, nonostante sia stata proibita e 40 casi siano stati denunciati ai tribunali, la MGF viene ancora praticata a causa soprattutto di una giustizia fragile e lentissima e rimangono ancora molte altre sfide come la maggiore informazione sulla legge contro la violenza domestica. Ma oltre a puntare su strumenti repressivi, serve anche e soprattutto utilizzare quelli educativi.

Il cambio più grande è dunque quello di mentalità e comportamento e ancora una volta la presidente insiste sull’importanza della sensibilizzazione alle ragazze, che hanno il diritto di andare a scuola e ricevere alfabetizzazione ed educazione per raggiungere autonomia ed emancipazione.

L’impegno di Fatumata e dei suoi colleghi è fortemente personale: non esistendo un servizio pubblico di accoglimento per le vittime, nel corso degli anni hanno ospitato a casa propria ragazzine che denunciano matrimonio forzato o scappano dalla MGF e dalla violenza per poi trovare in breve tempo una sistemazione di fortuna da altri parenti, assumendo tutti i rischi che questo comporta. In nome del comitato, la presidente si dichiara estremamente interessata a collaborare con Mani Tese per garantire il funzionamento di una casa rifugio e dei centri di accoglienza di breve permanenza, il cui obiettivo sarà guidare le ragazze verso un inserimento scolastico o la ricerca di un lavoro.

La sua convinzione sull’importanza della formazione è ancora fortissima tanto che, sulla soglia dei cinquanta, Fatuma vuole specializzarsi in diritti umani e insegnare all’università per diffondere le conoscenze e i diritti puntando sui giovani, soprattutto sulle giovani donne di questo Paese.

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* La MGF continua a giustificarsi come preservazione della verginità prima del matrimonio, della purezza e della fedeltà, l’aumento del piacere maschile e soprattutto come tradizione religiosa (nel mondo comunità cristiane, musulmane, ebraiche ed animiste la praticano) e costituisce un rito di passaggio all’età adulta che permette alle bambine e alle donne di compiere adeguatamente il ruolo di sposa, madre e figlia, garantendo l’onore della famiglia. UNICEF stima che almeno 200 milioni di donne e bambine in 30 paesi hanno sofferto la MGF. (fonte UNAF, Union de asociaciones de familiares, www.stopmutilacion.org)

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Fatumata nell’ufficio di Mani Tese a Bissau

LA FIERA DEI PRODOTTI ECO-BIO A LOUMBILA

Il 24-25 marzo si terrà in Burkina Faso una fiera agricola per promuovere il consumo locale e la produzione mediante tecniche agroecologiche.

Nell’ambito del progetto “PARTENARIATO PER UNO SVILUPPO SOSTENIBILE TRA ITALIA E BURKINA FASO” sostenuto da Fondazioni For Africa Burkina Faso, Mani Tese insieme agli altri partner di progetto e ai principali attori legati alla produzione agro ecologica in Burkina Faso, organizzerà il 24 e il 25 una fiera agricola che mira a promuovere il consumo locale e la produzione mediante tecniche agroecologiche a tutto vantaggio della conservazione di suoli e ambiente.

I consumatori avranno modo di conoscere i produttori agro ecologici e acquistare le loro prelibatezze, conoscere i terreni di produzione e le tecniche differenti di coltivazione.

Ecco il video dell’evento:

Di seguito la locandina:

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L’ACQUA E I SERVIZI IGIENICO-SANITARI SONO DIRITTI UMANI!

Le nostre richieste in occasione della Giornata Mondiale dell’Acqua 2018

L’acqua e i servizi igienico-sanitari sono diritti umani!

Per questo motivo, come Mani Tese, dopo esserci spesi per il referendum italiano del 2011 e l’iniziativa dei cittadini europei del 2013, in occasione della Giornata Mondiale dell’Acqua 2018, continuiamo a chiedere che:

1. le istituzioni dell’Unione Europea e gli Stati Membri assicurino a tutti i cittadini il diritto all’acqua potabile e ai servizi igienico-sanitari così come sancito dall’Assemblea ONU nel 2010;

2. l’approvvigionamento in acqua potabile e la gestione delle risorse idriche non siano soggetti alle “logiche del mercato unico” e che i servizi idrici siano esclusi da qualsiasi forma di liberalizzazione;

3. ci sia, a livello nazionale e internazionale, un riconoscimento dell’acqua, delle foreste e dei fiumi come beni titolari di diritti universali che vanno difesi con l’adozione di trattati internazionali che obblighino gli Stati ad agire.

REPORTER AMBIENTALE PER UN GIORNO: AL VIA L’EDIZIONE 2018!

Inviaci il tuo contributo: i più originali saranno pubblicati su Giustiziambientale.org durante la Giornata Mondiale della Terra

Sei a conoscenza di casi di ingiustizia ambientale nella tua area geografica? Pensi che i danni ecologici, oltre a impattare negativamente sull’ambiente, siano anche espressione di più ampie ingiustizie sociali? Lo sfruttamento irresponsabile o illecito delle risorse naturali ha causato impoverimento, incremento delle patologie e della mortalità o altre conseguenze negative sulla tua comunità?

Partecipa alla seconda edizione di “Reporter ambientale per un giorno” e raccontacelo! Inviaci il tuo contributo (secondo le modalità indicate di seguito) entro e non oltre il 20 aprile 2018: i più originali saranno pubblicati il 22 aprile 2018, in occasione della Giornata Mondiale della Terra, su Giustiziambientale.org, il portale che dà voce agli attivisti ambientali.

Reporter ambientale per un giornoè un’iniziativa di Citizen Journalism rivolta a blogger, attivisti, volontari e a tutti i cittadini interessati a diffondere il tema della giustizia ambientale a partire dalla descrizione di ciò che accade nel proprio territorio (quartiere, città, regione). I “reporter per un giorno” potranno segnalare e documentare casi di ingiustizia, così come offrire testimonianza di quelle realtà virtuose che, al contrario, promuovono e diffondono buone pratiche coniugando sostenibilità ambientale, sviluppo e diritti. Giustizia ambientale, infatti, non significa soltanto denunciare le violazioni ecologiche e sociali, ma soprattutto agire in modo da rendere i processi industriali e i nostri stessi stili di vita compatibili con la conservazione degli ambienti naturali e la loro capacità di offrire servizi essenziali per la vita dell’uomo e delle altre specie animali.

Come partecipare

I “reporter per un giorno” potranno realizzare video-inchieste, reportage, o semplici articoli corredati da immagini, estratti video e file audio su casi di ingiustizia/giustizia ambientale. Se l’argomento prescelto ricade nel proprio territorio, infatti, i reporter potranno scegliere di recarsi nei luoghi interessati per documentare i fatti, realizzare interviste e scattare foto.
Il contenuto può avere una struttura variabile a seconda della modalità adottata. La parte testuale (formato word) non dovrà superare le 6.500 battute (spazi inclusi). Ogni contributo dovrà essere corredato da un minimo di 3 a un massimo di 15 immagini, che potranno essere inserite nel corpo del testo oppure allegate via mail al momento dell’invio massivo. Immagini, foto e video dovranno riportare i relativi credits o, nel caso, la fonte da cui sono stati tratti. I contributi dovranno avere un titolo e, possibilmente, un sottotitolo.

Invio dei contributi

Una volta realizzato il contributo, bisognerà registrarsi al sito http://www.giustiziambientale.org/registrati/ e inviare tutto il materiale allegato all’indirizzo news@giustiziambientale.org indicando nell’oggetto: “ReporterPerUnGiorno – parola chiave contributo – autore- nickname di registrazione sul sito”.
Il termine ultimo è il 20 aprile 2018.
Per l’invio dei video vi sono due possibilità: caricare i file su youtube (indicando parallelamente nella parte testuale il link di riferimento), oppure inviarli tramite wetransfer, servizio semplice e gratuito, sempre all’indirizzo news@giustiziambientale.org.

Revisione e pubblicazione

Alla redazione di Giustiziambientale.org spetterà poi il compito di revisionare i contributi ricevuti, impaginarli, pubblicarli e, infine, promuoverli sui social network. L’editing avrà come obiettivo quello di adattare i contributi alle esigenze comunicative imposte dalla rete. Le eventuali modifiche saranno quindi dettate dalla necessità di rendere più chiaro e fruibile il testo e non certo dall’intenzione di alterarne o censurarne il contenuto.

Promozione

I contributi più originali saranno pubblicati sul sito www.giustiziambientale.org a partire dal 22 aprile 2018, in occasione della Giornata Mondiale della Terra e, parallelamente, verranno promossi sui canali social dell’associazione Mani Tese (Twitter e Facebook). Gli stessi “reporter per un giorno” sono invitati a condividere gli articoli pubblicati attraverso i propri account social. Si potranno, ad esempio, realizzare delle instagram stories, postando una o più immagini chiave tratte dai propri contributi oppure brevi estratti video e inserendo quindi nella didascalia del post: “#ReporterPerUnGiorno, #EarthDay, link dell’articolo, @Mani_Tese”.

Clicca qui per leggere i contributi della prima edizione di “Reporter ambientale per un giorno”

Per ulteriori informazioni relative alla campagna scrivere all’indirizzo news@giustiziambientale.org

UN ABBRACCIO TRA FRATELLI DOPO 42 ANNI GRAZIE A UN NOSTRO POST!

Braima, l’autista e logista di Mani Tese in Guinea Bissau, incontra suo fratello dopo 42 anni grazie a un post sulla pagina Facebook di Mani Tese.

Vi ricordate di Braima? E’ l’autista e logista di Mani Tese in Guinea-Bissau, al quale avevamo fatto gli auguri di buon compleanno a settembre dell’anno scorso. Anche grazie a quel post, Braima ha potuto rivedere suo fratello, dopo ben 42 anni!

E’ una storia che ha dell’incredibile.

Djibril, il fratello di Braima, era un adolescente durante la guerra di liberazione. Scappò prima a Capo Verde, poi in Europa, e presto perse i contatti con la sua famiglia in Guinea-Bissau. Braima, sua sorella e i suoi genitori lo davano ormai per disperso.

Grazie alla foto di Braima pubblicata sulla pagina Facebook di Mani Tese, il figlio di Djibril è riuscito a rintracciare Braima. Dopo qualche mese di telefonate, Djibril ha deciso di partire per la Guinea-Bissau per tornare a trovare la sua famiglia.

Djibril ci racconta: “E’ stato strano rientrare in Guinea. All’aeroporto ho dovuto dire, con imbarazzo, che non avevo più documenti guineensi con me, mi hanno fatto pagare il visto turistico. Riabbracciare mio fratello è stata un’emozione forte. Vedo che in tutti questi anni la Guinea-Bissau non è cambiata molto. Mi aspettavo di trovare più sviluppo, ma grazie a Braima ho visitato i vostri progetti e mi è tornata la fiducia nel mio Paese. Grazie, Mani Tese.”

Braima ha portato suo fratello in giro per la città, e come se fosse la cosa più naturale al mondo, gli ha fatto visitare i nostri progetti, tra cui il CEDAVES.

Essere stati testimoni di questo ricongiungimento ci ha fatti un po’ emozionare, ma ci ha anche fatto riflettere su quanto ancora bisogna fare in questo Paese.