IMPARARE DA UNA CIAMBELLA. L’ECONOMIA RIDISEGNATA
LE IMMAGINI CONDIZIONANO LE NOSTRE CONVINZIONI: L’ECONOMISTA KATE RAWORTH FORMULA UNA PROPOSTA EDUCATIVA CHE CONIUGA EQUITÀ E SVILUPPO SOSTENIBILE.
di GIOSUÈ DE SALVO, Responsabile Advocacy, Educazione e Campagne di Mani Tese
LE IMMAGINI CONDIZIONANO LE NOSTRE CONVINZIONI: L’ECONOMISTA KATE RAWORTH FORMULA UNA PROPOSTA EDUCATIVA CHE CONIUGA EQUITÀ E SVILUPPO SOSTENIBILE.
A dieci anni dallo scoppio della crisi del capitalismo, sono in molti a dire che occorre trovare una nuova narrazione economica per garantire un futuro sostenibile all’umanità, ma sono pochi quelli che offrono una via per farlo. Tra questi pochi, noi di Mani Tese, abbiamo deciso di intraprendere il viaggio proposto da Kate Raworth, economista atipica e autrice del fortunatissimo L’economia della ciambella (Edizioni Ambiente, 2017).
La prima tappa del viaggio consiste nel riconoscere il potere delle immagini (rispetto alle parole) nel plasmare la nostra visione del mondo. La seconda nel ridisegnare le immagini che hanno reso l’economia sovrana tra le scienze umane e naturali negli ultimi due secoli. La terza nell’imparare a disimparare.
Dalle pitture rupestri preistoriche alla mappa della metropolitana di Parigi, le immagini e i diagrammi sono sempre stati al centro della storia umana. La ragione è semplice: il nostro cervello è predisposto per la visione. Metà delle sue fibre nervose sono al servizio della visione e, quando abbiamo gli occhi aperti, il guardare occupa il settantacinque per cento della sua attività elettrica. “La visione viene prima delle parole. Il bambino guarda e riconosce prima di imparare a parlare”, scrisse John Berger, studioso della comunicazione nel 1972.
Nel corso dei secoli sono d’altronde innumerevoli i casi in cui le immagini hanno rovesciato credenze profonde e radicate. Pensate all’Imago Mundi incisa nell’argilla nel sesto secolo avanti cristo in Persia che mostrava la Terra come un disco piatto con la Babilonia al centro e alla rappresentazione del sistema solare di Copernico nel 1543 che faceva invece ruotare tutto intorno al Sole. Pensate all’Uomo Vitruviano di Leonardo Da Vinci che, nudo e a braccia aperte, detta da secoli i principi della proporzione. Oppure a quando Charles Darwin disegnò sul suo taccuino nel 1837 un albero irregolare che si ramifica e, annotando le parole “io penso”, catturò l’intuizione che poi divenne L’origine delle specie.
Pensate ora alle curve e alle parabole che costituiscono i diagrammi fondamentali dell’economia. Non sono innocui come sembrano: quello che disegnano sul foglio bianco di un libro di testo o sulla schermata di un telegiornale determina i confini della nostra interpretazione. Attraverso il condizionamento esercitato sui discorsi di accademici, politici e giornalisti, questi diagrammi finiamo per evocarli tutti nel quotidiano: meccanismi di mercato, efficienza economica, crescita, spread, disavanzo primario, sono semplicemente espressioni verbali del pensiero economico dominante e ognuna di queste parole è costruita su un “frame” visuale tanto profondo quanto fallace.
Nel suo libro la Raworth ne seleziona sette. Sette “frame” visuali da ribaltare in sette passi per fondare l’economia del XXI secolo.
Primo, cambiare l’obiettivo. Abbandonare il PIL, e la sua crescita, come misura chiave del progresso e assumere la Ciambella come strumento di monitoraggio degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile. La sua essenza consiste in una coppia di cerchi concentrici. Il cerchio interno rappresenta la base sociale, al di sotto della quale si trovano le “privazioni critiche per l’umanità” come la fame, l’analfabetismo, il mancato accesso all’acqua e ai servizi sanitari. Il cerchio esterno rappresenta il “tetto ecologico”, oltre il quale si trova il “degrado ambientale” generato, per esempio, dalla perdita di biodiversità, dal riscaldamento globale e dall’erosione dei suoli. Tra i due cerchi si trova lo “spazio sicuro ed equo per l’umanità” entro il quale si possono soddisfare i bisogni di tutti rispettando i limiti di un pianeta finito.
Secondo, vedere il quadro complessivo, inserendo l’economia nel contesto più ampio della vita naturale, fuori della quale “non c’è altra ricchezza possibile”. Si supererebbero così i limiti ormai evidenti dell’idea che il mercato sia autosufficiente e i dogmi neoliberisti sulla sua efficienza, l’incompetenza dello Stato e l’inevitabile sacrificio dei beni comuni sull’altare dell’interesse privato.
Terzo, coltivare la natura umana e le sue ricchezze sociali, che la fanno molto più ampia del modello razionale di “homo economicus” che ha dominato il Novecento. Scrive Joseph Stiglitz, premio Nobel per l’economia: “La maggior parte di noi non vorrebbe corrispondere all’idea di un individuo calcolatore, razionale, egoista che pensa solo a sé stesso e non lascia spazio alcuno all’empatia, al senso civico e all’altruismo. Questo modello descrive più gli economisti che non le altre persone e quanto più a lungo gli universitari studiano economia tanto più tendono ad assomigliare al modello”.
Quarto, comprendere la complessità dei sistemi economici, sociali e naturali, ben più interconnessi e articolati di quando, decenni orsono, furono tracciate in equilibrio meccanico le curve del mercato e della domanda. Un paio di cicli di feedback sembrano più adatti a rappresentare, per esempio, i cicli di espansione e contrazione dei mercati finanziari, la natura aumentativa della disuguaglianza economica e i vicoli ciechi del cambiamento climatico.
Quinto, progettare per ridistribuire, superando la teoria (di Kuznets) sulla diseguaglianza secondo cui “deve andare peggio prima di andare meglio e, alla fine, la crescita migliorerà la situazione”. La diseguaglianza è un fallimento del mercato, un errore di progettazione, e in quanto tale richiede una riprogettazione dell’economia sotto forma di rete di flussi capaci di andare oltre la redistribuzione del reddito e redistribuire ricchezza. In particolare, la ricchezza in termini di accesso alla terra, alle tecnologie e alla conoscenza.
Sesto, creare per rigenerare, poiché nemmeno il degrado ecologico si è rivelato curabile con la crescita (disapplicazione della curva ambientale di Kuznets). Questo secolo ha bisogno di un’economia circolare per restituire agli esseri umani il ruolo di co-protagonisti positivi ai processi ciclici della vita sulla Terra.
Settimo, essere agnostici riguardo la crescita: che non può essere infinita, mentre infinita dovrebbe essere la prosperità umana. Niente in natura cresce per sempre e il tentativo di opporsi a questa regola è la causa principale di disagio nei paesi ad alto reddito ma bassa crescita.
“Questi sette modi di pensare”, scrive la Raworth, “non delineano specifiche prescrizioni o correzioni istituzionali alle politiche. Non promettono risposte immediate sul cosa fare dopo, ma creano un approccio mentale economico che non è mai fisso ma in continua evoluzione”.
Un approccio che consente di adattarsi alla mutevolezza dei valori e degli obiettivi che ci diamo come genere umano. Un approccio, che come Mani Tese riteniamo convincente, per cambiare il “business as usual”, accrescere la funzione sociale e ambientale delle imprese, avere cittadini che consumano in modo responsabile e pubbliche istituzioni che tutelino l’interesse generale, guidando politicamente la transizione verso un futuro sostenibile a 360 gradi.