Voi chiudete I porti, noi apriamo le menti: tutti insieme alla Perugiassisi!

Pronti per la Marcia della Pace? Noi sì! Ecco lo striscione che abbiamo preparato: ci vediamo il 7 ottobre alla Perugiassisi!

Pronti per la Marcia della Pace?
Noi sì!
Ecco lo striscione che abbiamo preparato, vi piace?

Porta il nostro messaggio di resistenza educativa al clima di violenza, razzismo e intolleranza dove il consenso si costruisce sempre di più sull’ignoranza e la cultura soffoca tra i “like” e la ricerca di soluzioni semplici a problemi complessi.

Se vuoi marciare con noi, ci ritroviamo il 7 ottobre 2018 dalle ore 12.15 alle ore 13.30 nel piazzale di Santa Maria degli Angeli (guardando la Basilica presso il lato destro del sagrato) ad Assisi.
Chi non riuscisse a raggiungerci, ci troverà alle ore 15 alla Rocca Maggiore di Assisi (guardando il palco sulla destra).

Contro i muri e le paure, noi #apriamolementi!

Leggi il nostro comunicato

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IL DIRITTO AL FUTURO DI TARANTO

Riscattare le sorti dell’Ilva (e con essa il futuro dei Tarantini) significherebbe imprimere una svolta esemplare al modo di fare impresa in Italia.

«Fa ribollire come pentola il gorgo, fa del mare come un vaso di ungenti. Nessuno sulla terra è pari a lui, fatto per non aver paura. Lo teme ogni essere più altero, egli è il re su tutte le bestie più superbe».
(Giobbe, Antico Testamento)

Trovarsi davanti all’Ilva di Taranto è come dar corpo al Leviatano, il terribile mostro marino dalla leggendaria forza presentato nell’Antico Testamento.

Eccolo lì, il corpo dell’Acciaio italiano: grande più del doppio di Taranto, asciuga litri e litri d’acqua dal mare. I primi tratti di riconoscimento, le sue ciminiere, svettano sulla città come le guglie del Duomo su Milano. La più alta si chiama E312 e canalizza i fumi di scarto dell’Industria, disperdendo contemporaneamente diossina dai filtri. Ed ecco là dietro le cokerie: hanno il compito di trasformare il carbon fossile in quel materiale (coke) con cui verrà miscelato in un secondo momento il ferro. Perché (per fare un ripasso) l’acciaio è una lega composta da ferro e carbonio.
Al centro di questa cattedrale d’acciaio troviamo l’altoforno, il cuore pulsante dello stabilimento, là dove le temperature salgono ai 1.500 gradi per produrre le bramme, i semilavorati d’acciaio.

Questa parte della filiera, la produzione “a caldo”, è il tallone d’Achille della Fabbrica intera: è il suo nucleo fondante ma anche quello più inquinante e messo più in discussione. Come il Leviatano, anche l’Ilva è fortemente dipendente dall’acqua del mare, che permette il raffreddamento dei materiali incandescenti: l’acqua prelevata viene irrorata sulla ghisa, generando così enormi nuvole di vapori velenosi, che si diffondono nell’ambiente circostante o che vengono ributtati nel mar piccolo con le acque reflue. Accanto all’Ilva l’aria si fa pesante: un olezzo di gas di scarico intoppa le narici, un odore mefitico intasa la gola. La strada si tinge d’ocra, polvere arancione si deposita sulle macchine, sui balconi e sui vestiti.

Avvicinandosi al suo corpo leggendario, “l’Industria” (come la chiamano i Tarantini) ci obbliga ad aprire gli occhi davanti al peso dei nostri consumi e alle responsabilità che ne derivano.
Eh sì, perché è da questa culla di acciaio che nascono le carrozzerie scintillanti delle nostre macchine e i cestelli instancabili delle nostre lavatrici.

taranto_agosto_2018

Accostandosi al Gigante d’acciaio ci si misura con l’impatto delle nostre comodità: i loro effetti sull’ambiente e sulle comunità che lo abitano. Siamo tutti abituati a usare degli utensili in acciaio e a maneggiarli nelle nostre cucine; meno, a risalire la filiera e avere sotto gli occhi le industrie da cui essi derivano. Questo accade anche perché in moltissimi casi gli impianti siderurgici si trovano fuori dall’Italia, in Paesi lontani dal nostro raggio visivo. L’atto di “non vedere” ci permette di essere omertosi. Qui, al contrario, non si parla di cittadini brasiliani o cinesi (non che questo sia eticamente differente) bensì di una vicina città europea, che per via dell’acciaieria che ha ospitato, ha condannato i suoi abitanti a subire gli effetti più nefasti della produzione. L’acciaio è un materiale pesante, ma ancora più greve è il peso delle responsabilità che ne derivano.

È per questo motivo che il dibattito sulla sorte di questa grande industria, costruita negli anni sessanta del Novecento, infiamma gli animi. L’importanza strategica accordata a questo stabilimento dimostra quanto tutti i nostri consumi siano ancora dipendenti dall’acciaio. Riscattare le sorti dell’Ilva (e con essa il futuro dei Tarantini, spesso al contempo operai e cittadini) significherebbe allora imprimere una svolta esemplare al modo di fare impresa in Italia.

La scelta obsoleta è quella di continuare a vedere il lavoro e la salute come due opzioni non compatibili tra loro, considerando sempre e solo la produzione nel “qui e ora” e dando per scontata la nostra dipendenza dall’acciaio. Questa strada vetusta è quella del business as usual e viene portata avanti per quanto fallimentare possa dimostrarsi anche in termini di profitto (1). La strada nuova e coraggiosa da tentare, sia come cittadini che come consumatori, sarebbe invece quella di aggiornare il modo di fare impresa, in modo che sia sostenibile nella sua dimensione sociale, ambientale ed economica. Questo significherebbe, per esempio, prendere coscienza della “crisi mondiale della siderurgia” determinata da un eccesso di produzione da parte dei Paesi emergenti e dal futuro esaurimento del minerale ferro (2). Significherebbe dar credito a équipe di esperti in grado di strutturare una nuova filiera per l’acciaio, sfruttando, per esempio, il suo alto potenziale di riciclo, che permette una netta riduzione dell’inquinamento (86% circa).
Abbiamo bisogno di una nuova rivoluzione copernicana, che ci permetta di sfidare il culto dell’acciaio e, conseguentemente, mettere in dubbio l’intoccabilità della sua cattedrale: l’ILVA.

Il filosofo Hobbes diceva che il Leviatano non è niente meno che il potere delle Stato, che ingloba in sé ogni singolo individuo. Egli sosteneva dovesse essere uno Stato assoluto per domare gli uomini, che altrimenti si sarebbero sbranati a vicenda. Avvicinarsi all’ILVA, quindi, non significa solo guardare in faccia la più grande acciaieria d’Europa ma anche confrontarsi con il corpo dello Stato, quello che (al contrario di Hobbes) professiamo essere democratico. Nonostante nel 2012 sei impianti dell’ILVA siano stati messi sotto sequestro dal Tribunale di Taranto, 12 Decreti “Salva Ilva” (dal 2015) hanno permesso che lo stabilimento continuasse a essere in uso. Ne risulta quindi che il “caso ILVA” non sia solo un caso strategico per l’economia del nostro Paese ma anche un caso esemplare di contraddizione tra due poteri dello STATO, quello della Magistratura (potere giudiziario) e quello del Governo (potere esecutivo). Occuparsi di questo caso di ingiustizia ambientale comporta quindi una riflessione sulla qualità della democrazia italiana.

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Questa vicenda richiama tutti noi ad attivarci, come singoli cittadini, associazioni e partiti politici, per sollecitare le imprese e le istituzioni al rispetto di tutti i diritti fondamentali sanciti dalla nostra Costituzione, senza creare tra essi gerarchie artificiali: della serie, prima il lavoro, poi la salute, poi l’istruzione.
Tutti insieme si potrebbe dimostrare che il modo di fare impresa del futuro va nella stessa direzione del futuro dei bambini di Taranto. Loro, ignari di questa battaglia in corso, continuano a giocare nei campi di calcio di Tamburi e tra le pozzanghere della Città Vecchia, senza curarsi del pericolo costante che corrono: il loro gioco ci ricorda che il diritto alla salute e a un ambiente salubre sono propaggini della stessa battaglia.

Prima di “scendere in campo”, però, è necessario accorciare le distanze tra associazioni “ambientaliste” e sindacati. Le associazioni ambientaliste “pure” non esistono più: non difendono l’esistenza dei cavallucci marini del Mar Piccolo in sé e per sé, ma si occupano quotidianamente dell’ecosistema di Taranto e del suo impatto sulla vita dei cittadini di Taranto. D’altro canto, non esistono sindacati (con la coscienza pulita) che possano barattare la salute degli operai e dei loro figli con il loro stipendio. Dovremmo quindi iniziare a schierarci dalla stessa parte, l’unica declinabile al tempo futuro: quella della giustizia ambientale.

 

Note:

(1) https://www.ilfattoquotidiano.it/2015/01/30/ilva-in-insolvenza-3-miliardi-debiti-piano-ambientale-scontro-in-senato/1384251/
(2) Per approfondire l’argomento: B. Ruscio, Legami di Ferro, Narcissus self-publishing, 2015, p. 55-58.

BURKINA FASO E SVILUPPO RURALE: TRE STORIE DI DONNE IN UN VIDEO

Ram Marie, Bernadette e Rasmata sono tre donne del Burkina Faso che non si arrendono, ma lottano ogni giorno per una vita migliore.

Ram Marie, Bernadette e Rasmata sono tre donne del Burkina Faso che non si arrendono, ma lottano ogni giorno per una vita migliore.

Abbiamo raccolto le loro testimonianze in un documentario che parla di formazione in agroecologia e investimenti per attività agricole, fondi di rotazione, recupero di ettari di terreni con introduzione di sementi migliorate, laboratori di trasformazione delle materie prime…Tutte attività che, fra le altre cose, hanno contribuito, per queste donne, a fare la differenza.

Il documentario è realizzato da Mani Tese con il contributo dell’Agenzia italiana per la Cooperazione allo Sviluppo nell’ambito del progetto “Donne e sviluppo rurale inclusivo quale mezzo per il raggiungimento della sicurezza alimentare in Burkina Faso” cofinanziato da AICS e ACRA.

Vi aspettiamo questa sera, alle 18.30, per un aperitivo presso la Buona Bottega a Milano per parlare delle esperienze dei contadini di Loumbilà e dell’impresa sociale Ke de Burkinabé realizzate proprio nell’ambito di questo progetto ed anche nel progetto “Partenariato per uno sviluppo sostenibile tra Italia e Burkina Faso (IV-V anno)” finanziato da Fondazioni for Africa Burkina Faso.

Guarda il video:

ON LINE IL MERCATO SOLIDALE DI MANI TESE!

Vintage è bello! Sul sito della nostra associazione è possibile accedere alla sezione del “mercato solidale”: provate a navigarlo!

Vintage è bello! Da qualche tempo sul sito della nostra associazione è possibile accedere alla sezione del “mercato solidale”.
Gestito dalla Cooperativa Sociale Mani Tese, il mercato offre prodotti di usato sostenibile suddivisi per categorie, per prezzo o per occasione speciale!
Si tratta di un’evoluzione dei famosi mercatini dell’usato di Mani Tese, che ancora oggi sono la principale attività della Cooperativa.

I mercatini rappresentano per Mani Tese un’azione concreta di critica a un modello consumistico attraverso la pratica del riuso, che rientra inoltre nelle buone prassi in un’ottica di minor impatto ambientale.

La Cooperativa Sociale Mani Tese si propone infatti di diffondere nella cittadinanza una nuova cultura ambientale collegata a un nuovo modello di sviluppo equo e sostenibile. Riuso, green economy, condivisione delle risorse, mobilità sostenibile sono ormai concetti tradotti in realtà, che la cooperativa intende sviluppare e rendere fruibili al maggior numero possibile di persone, in coerenza la sua mission statutaria: l’inserimento lavorativo di svantaggiati sociali.

Cosa aspetti? Vai al mercato solidale e scegli il tuo prodotto vintage!

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#apriamolementi: con Mani Tese alla marcia della pace!

Mani Tese aderisce alla Marcia della pace Perugia-Assisi portando il suo messaggio di resistenza educativa al clima di violenza, razzismo e intolleranza.

Mani Tese aderisce alla Marcia della pace Perugia-Assisi portando il suo messaggio di resistenza educativa al clima di violenza, razzismo e intolleranza.

Tutti insieme per marciare

Il ritrovo per tutti i volontari, operatori e simpatizzanti di Mani Tese è alle ore 12.15 nel piazzale di Santa Maria degli Angeli (guardando la Basilica presso il lato destro del sagrato). Da quel momento marceremo tutti e tutte insieme!
Sul nostro striscione sarà scritto un messaggio semplice e chiaro:

VOI CHIUDETE I PORTI
NOI APRIAMO LE MENTI

Chi non riuscisse a raggiungerci all’appuntamento di Santa Maria degli Angeli ci troverà alle ore 15 alla Rocca Maggiore di Assisi (guardando il palco sulla destra).

Contro i muri e le paure, noi apriamo le menti

Mentre il consenso si costruisce sempre di più sull’ignoranza e la cultura soffoca tra i “like” e la ricerca di soluzioni semplici a problemi complessi, la nostra risposta, oggi come 50 anni fa, è la resistenza educativa.
Perché nessuno slogan rimetterà al centro i diritti e l’uguaglianza. Solo una generazione formata ai valori della giustizia e della solidarietà.
Nessuna censura informatica ci salverà dalle “fake news”. Solo la costruzione di un sapere critico.
Nessuna legge permetterà di superare la sfida dell’incontro tra culture diverse. Solo la pazienza di conoscere le storie degli altri e la fatica di costruire relazioni.
Oggi il nostro impegno di giustizia ci chiede di mobilitarci per non permettere la “normalizzazione” della violenza e dell’intolleranza nei confronti dei più deboli.
Noi ripartiamo da qui.
E restiamo in cammino per abbattere i muri, sconfiggere insieme le paure e costruire un altro mondo possibile.

Per informazioni sulla marcia: www.perugiassisi.org


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RINNOVATO L’ACCORDO FRA MANI TESE E IL GOVERNO DELLA REPUBBLICA DEL BENIN

Il 30 agosto 2018 si è tenuta le cerimonia della firma del terzo accordo fra Mani Tese e il governo della Repubblica del Benin

Il 30 agosto 2018 si è tenuta le cerimonia ufficiale della firma del terzo accordo fra Mani Tese e il governo della Repubblica del Benin, che autorizza Mani Tese a operare come ONG nello stato africano.
La cerimonia si è svolta a Cotonou presso il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione, in presenza delle autorità del Ministero, del personale dell’ONG e del Console onorario d’Italia in Benin, il signor Vitaliano Gobbo.

Il Rappresentate Paese di Mani Tese in Benin, Achille Yotto Tepa, si è dichiarato molto felice di beneficiare, attraverso la firma dell’accordo, della rinnovata fiducia da parte del governo beninese, che rappresenta per Mani Tese un’esortazione al raddoppio del proprio impegno ed entusiasmo, per contribuire in maniera ancor più significativa agli sforzi di sviluppo del Paese africano.

Fin da quando ha incominciato ad operare in Benin, nel 1979, Mani Tese ha sempre beneficiato del sostegno delle autorità beninesi, indispensabile per la mobilitazione delle risorse necessarie per la realizzazione di numerosi progetti a vantaggio delle comunità del Paese.

La lunga durata della collaborazione fra Mani Tese e il popolo beninese è il miglior esempio della vera cooperazione internazionale – ha dichiarato Valerio Bini, Presidente di Mani Tese, nel discorso riportato da Achille Tepa durante la cerimonia – che non si traduce semplicemente in un trasferimento di tecnologie o di mezzi finanziari ma, prima di tutto, in una relazione fra persone che si impegnano per un futuro più giusto. In questa relazione di amicizia vedo il futuro del Benin ma allo stesso tempo anche quello del mio paese, l’Italia, e dell’Europa, che grazie alla cooperazione potrà ritrovare il proprio vero volto, oggi sfregiato dall’egoismo dei suoi governi”.

Il senso di questa cooperazione è per me un’esperienza concreta – ha proseguito Biniche ho avuto la fortuna di poter vivere personalmente nel corso dei miei soggiorni nell’Atacora (regione a nord del Benin dove si sono svolti la maggior parte dei progetti di Mani Tese in questi anni). Si tratta dei visi delle persone che ho incontrato in quest’esperienza di cooperazione come quelli delle donne delle cooperative, che ho visto diventare sempre più determinate o come gli occhi del direttore della scuola del villaggio di Wansokou durante la festa per il venticinquesimo anniversario della scuola finanziata da Mani Tese nel 1987.

Tutto questo è stato possibile grazie all’impegno del popolo beninese e alla presenza del governo del Benin: questo accordo è il segno della fedeltà di una relazione che spero possa diventare in futuro ancora più profonda”.

Il Segretario Generale del Ministero, il signor Hervé D. Djokpe, rappresentante del governo beninese, nel proprio discorso ha illustrato i meriti di Mani Tese nella lotta contro la fame e il sottosviluppo in Benin presentando una sintesi delle azioni dell’ONG nel Paese, che hanno condotto al rinnovo dell’accordo. Un accordo che vuole essere il segno della riconoscenza e della soddisfazione dello Stato beninese per le notevoli azioni intraprese da Mani Tese nei confronti della popolazione del Benin.

scambio firme benin mani tese 2018
Achille Yotto Tepa, Rappresentante Paese di Mani Tese in Benin e Hervé D. Djokpe, Segretario Generale del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione del Benin, dopo la firma dell’accordo
console benin mani tese 2018
Vitaliano Gobbo, Console onorario d’Italia in Benin, si congratula con Mani Tese in presenza del Direttore di gabinetto del Ministero degli interni del Benin e del Direttore degli affari giuridici del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione del Benin

BURKINA FASO, VERSO LO SVILUPPO AGROECOLOGICO A LOUMBILA E KOUBRI

Due workshop per ribadire il sostegno allo sviluppo di sistemi agroecologici che forniscano un’alternativa credibile ai modelli agricoli convenzionali

Nell’ambito del progetto “Partenariato per uno sviluppo sostenibile tra Italia e Burkina Faso (IV – V anno)” realizzato grazie al contributo di Fondazioni for Africa Burkina Faso, Mani Tese, in quanto responsabile dell’asse tematico “agroecologia”, ha organizzato due seminari sull’argomento, che si sono svolti il 31 luglio 2018 a Koubri, e l’1 agosto a Loumbila, in collaborazione con i sindaci dei due comuni e a Koubri con l’Associazione Watinoma.

Obiettivo degli eventi è stato quello di rafforzare l’impegno degli opinion leader nella promozione dell’agroecologia nei due comuni. I seminari hanno infatti riunito i sindaci e le autorità municipali, i leader tradizionali e religiosi, i produttori, i servizi decentrati dello Stato e altre ONG e associazioni coinvolte nella promozione dell’agroecologia.

I workshop hanno ribadito la necessità di sostenere lo sviluppo di sistemi agroecologici al fine di fornire un’alternativa credibile ai modelli agricoli convenzionali limitando gli effetti negativi dell’uso improprio dei pesticidi.

Durante i seminari, infatti, il Dr. Mamadou Traoré dell’ente pubblico INERA (Istituto dell’Ambiente e delle Ricerche Agricole) ha trattato i rischi connessi all’uso dei pesticidi dimostrando come, anche se usati con precauzione, i pesticidi possano avere effetti nefasti sulla salute e sull’ambiente.
Hado Hima di Watinoma a Koubri e Karim Sawadogo di Mani Tese a Loumbila hanno inoltre illustrato i risultati delle pratiche agroecologiche illustrandone vincoli e opportunità.

Sono state poi trattate le politiche di promozione dell’agroecologia. Per quanto riguarda il comune di Koubri, l’associazione Watinoma ha illustrato il percorso di supporto alla produzione, al ristorante biologico e alla ricerca di mercato per i prodotti. A Loumbila Mani Tese ha presentato le tappe del proprio percorso, che include il sostegno alla creazione di trenta aziende agricole agroecologiche e di un centro per il trasferimento di innovazioni agroecologiche insieme alla la ricerca di mercati di nicchia a Ouagadougou.

Un mercato ortofrutticolo agroecologico è possibile ed esiste già, come ha dimostrato, infine, la proiezione del video della prima edizione della fiera di prodotti agroecologici di Loumbila, che si è svolta con successo dal 23 al 25 marzo 2018.

In seguito ai seminari, i rappresentanti dei municipi hanno espresso il loro pieno sostegno alla promozione dell’agroecologia nei rispettivi comuni, oltre a confermare l’assoluta disponibilità dei loro consigli comunali ad accompagnare e sostenere queste azioni.

Molti gli spunti e le necessità emerse durante gli eventi da parte dei partecipanti, come la mappatura gli attori coinvolti nella promozione dell’agroecologia nei due comuni, l’organizzazione di una fiera annuale di agricoltura agroecologica nel comune di Loumbila, l’istituzione di un premio per il miglior produttore agroecologico del comune e di un quadro di consultazione comunitaria per gli attori di sviluppo dell’agroecologia, la capillare sensibilizzazione degli agricoltori sull’agroecologia.

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Karim Sawadogo, capo progetto di mani Tese
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I capi villaggio della zona di Loumbila

LA STORIA DI VANTHY: DALLE STRADE THAILANDESI ALLA SCUOLA IN CAMBOGIA

“Da grande voglio diventare uno chef che lavora nei migliori hotel e ristoranti. Vorrei ringraziare Damnok Toek che ogni giorno si prende cura di me”

Le migrazioni sono antiche come l’uomo e riguardano tutto il mondo. Se potessimo osservare la terra dall’alto vedremmo puntini impazziti che si spostano da un luogo all’altro, sempre e ovunque.

C’è una migrazione di cui si parla poco ma che coinvolge da anni migliaia di cambogiani. Ogni giorno, infatti, decine di bambine e bambini, uomini e donne, lasciano la Cambogia per raggiungere la Thailandia nella speranza di una vita migliore. Quello che li aspetta, però, è spesso ancor peggio dell’estrema povertà da cui tentano di fuggire. In molti casi, infatti, diventano vittime di trafficking.

Vanthy (nome di fantasia) è uno di questi bambini. È nato a Samaki, un villaggio nella provincia di Pursat, ad ovest della Cambogia. Sua madre è morta subito dopo il parto e qualche tempo dopo suo padre si è risposato con un’altra donna. Incuriosita dalle parole di un vicino di casa, che le raccontava di facili guadagni nella vicina Thailandia, la matrigna di Vanthy decide di pagare 3000 bath (circa 80 euro) a un trafficante per entrare illegalmente nel Paese insieme alle sue figlie e a Vanthy, che a quel tempo aveva 7 anni. Una volta in Thailandia, però, la vita di Vanthy non è stata affatto migliore: costretto a chiedere l’elemosina, non poteva andare a scuola e diventava sempre più denutrito. Ci ha raccontato che mangiava solo una piccola ciotola di riso al giorno, con conseguenti problemi di crescita che tuttora lo fanno sembrare più piccolo per la sua età.

Ero costretto a sedermi ogni giorno sul ponte per chiedere l’elemosina – racconta Vanthy – Di solito guadagnavo tra i 300 e i 500 bath (tra i 7 e i 13 euro) che di sera consegnavo alla mia matrigna“. Vanthy ricorda perfettamente il giorno in cui è stato arrestato: “Un giorno, mentre ero sul ponte a ‘lavorare’ come al solito, sono comparsi 4 uomini da entrambi i lati del ponte. In realtà erano poliziotti in borghese e mi hanno arrestato. Prima mi hanno portato alla stazione di polizia e in seguito mi hanno mandato al centro di Ban Phum Vet“.

Dopo 2 anni e mezzo trascorsi al centro di Ban Phum Vet, le autorità thailandesi hanno deciso di rimandare Vanthy in Cambogia. Vanthy è arrivato al Poipet Transit Center e, non essendo in grado di rintracciare la sua famiglia, è stato poi trasferito dalle autorità cambogiane al Centro Accoglienza di Damnok Toek sostenuto da Mani Tese.

Qui, gli assistenti sociali di Damnok Toek lo hanno fatto partecipare a una sessione di terapia psicologica e lo hanno invitato a unirsi alle varie attività e alle lezioni offerte all’interno del Centro. Durante le prime settimane Vanthy continuava ad essere ancora molto spaventato: non si ricordava la sua lingua natale, il Khmer, perché ormai era troppo abituato al tailandese,e rimaneva in silenzio per la maggior parte del tempo. Nelle settimane successive, tuttavia, Vanthy ha iniziato a cambiare atteggiamento. Ora si relaziona tranquillamente con gli altri bambini del Centro, ha iniziato a riparlare la lingua Khmer e partecipa con entusiasmo alle attività ludiche e formative del Centro.

Vorrei rivedere la mia famiglia e soprattutto mio padre. Voglio vivere con lui e le mie sorelle. Da grande voglio diventare uno chef che lavora nei migliori hotel e ristoranti. Infine, vorrei ringraziare Damnok Toek che ogni giorno si prende cura di me e mi offre tante opportunità“.

Damnok Toek dal 2001 ha accolto centinaia di bambini come Vanthy, cercando di ridare loro una vita nonostante i traumi subiti. Mani Tese supporta le attività di Damnok Toek dal 2008: grazie al progetto “Bambini al sicuro” sono circa 100 le bambine e i bambini vittime di trafficking che vengono accolti ogni anno. All’interno del Centro di accoglienza possono ritornare a scuola e vivere all’interno di un luogo sicuro e protetto in cui crescere, frequentare corsi di inglese, sport, informatica e arte-terapia, ricevere cure mediche e assistenza psicologica e, se le condizioni lo permettono, essere reinseriti nelle proprie famiglie d’origine.

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Vanthy
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Il centro di Damnok Toek a Poipet