TRATTATO IMPRESE E DIRITTI UMANI: LE RICHIESTE DELLA SOCIETÀ CIVILE ALLA UE

Riportiamo di seguito il comunicato stampa di ECCJ – European Coalition for Corporate Justice – di cui Mani Tese fa parte – e di altre organizzazioni in merito ai negoziati del Trattato sulla Imprese e di Diritti Umani in corso a Ginevra. Le organizzazioni della società civile dell’Unione Europea chiedono alla UE di contribuire in modo sostanziale ai […]

Riportiamo di seguito il comunicato stampa di ECCJ – European Coalition for Corporate Justice – di cui Mani Tese fa parte – e di altre organizzazioni in merito ai negoziati del Trattato sulla Imprese e di Diritti Umani in corso a Ginevra.

Le organizzazioni della società civile dell’Unione Europea chiedono alla UE di contribuire in modo sostanziale ai negoziati per la prima bozza del Trattato sulle Imprese e i Diritti Umani

Oggi i gruppi della società civile degli Stati membri dell’Unione Europea si sono riuniti alle Nazioni Unite a Ginevra per supportare il Gruppo di Lavoro Intergovernativo incaricato di sviluppare uno strumento giuridico vincolante che assicuri che le imprese rispettino i diritti umani. Nel corso dell’ultimo anno, tempo ed energie preziose sono state sprecate a causa dei tentativi di rallentare il processo. Non vediamo l’ora di essere in grado di affrontare le reali sfide, alla luce dei pericoli estremamente reali che le comunità, i lavoratori, gli attivisti e i difensori dei diritti umani si trovano oggi ad affrontare qualora sfidino gli interessi delle imprese.

Finora nel 2018 abbiamo partecipato alle consultazioni informali richieste dall’UE, e abbiamo avuto la possibilità di analizzare la prima bozza, pubblicata a luglio, che offre un buon punto di partenza per negoziare un Trattato efficace. Il supporto e lo slancio verso questo Trattato stanno crescendo: la scorsa settimana il Parlamento Europeo ha adottato una risoluzione con cui chiede alla UE e agli stati membri un impegno sincero e costruttivo; l’1 ottobre più di 150 esperti e studiosi di spicco, fra cui molti studiosi europei, hanno pubblicato una lettera a supporto del processo del Trattato; in una recente dichiarazione, lo European Network of National Human Rights Institutions ha commentato che “un trattato su imprese e diritti umani basato sui tre pilastri degli UNGP (Principi Guida delle Nazioni Unite) dovrebbe e può essere complementare agli UNGP stessi”. Le federazioni sindacali globali hanno invitato tutti i governi a presentare commenti sostanziali sulla prima bozza. Questo invito fa seguito alle richieste della Conferenza Episcopale Europea e del Consiglio Episcopale Latinoamericano per un impegno costruttivo dei Governi nel Trattato vincolante.

In qualità di società civile degli stati membri dell’UE, ci aspettiamo che l’Unione Europea e i suoi singoli membri portino la propria esperienza collettiva e le proprie prospettive alla discussione sul contenuto del Trattato. Questo è importante, in particolare, per quanto riguarda questioni chiave quali l’accesso alla giustizia da parte delle comunità nel caso in cui le cose vadano male, la responsabilità delle imprese per le violazioni dei diritti umani e la dovuta diligenza nel prevedere e prevenire le violazioni in primo luogo. Abbiamo già fatto le nostre analisi su come il testo possa essere rafforzato in modo che le imprese globali, ovunque esse operino, siano tenute a rispettare i diritti umani e l’ambiente. Le sottoscritte organizzazioni sono pronte a sostenere le delegazioni governative, i parlamentari e gli eurodeputati in questo storico compito.

Clicca qui per scaricare il comunicato stampa e la lista delle organizzazioni sottoscrittrici

Anche Mani Tese all’Africa Day 2018

Anche Mani Tese sarà presente all’evento AFRICA DAY che si terrà il 13 e 14 ottobre 2018 presso la Cascina Casottello a Milano nel panel di approfondimento culturale sul tema della donna nelle migrazioni che si terrà domenica dalle 17.00 alle 18.00. Giovanni Sartor, Responsabile della Cooperazione Internazionale di Mani Tese, parlerà del nostro lavoro con le […]

Anche Mani Tese sarà presente all’evento AFRICA DAY che si terrà il 13 e 14 ottobre 2018 presso la Cascina Casottello a Milano nel panel di approfondimento culturale sul tema della donna nelle migrazioni che si terrà domenica dalle 17.00 alle 18.00.
Giovanni Sartor, Responsabile della Cooperazione Internazionale di Mani Tese, parlerà del nostro lavoro con le donne contadine in Burkina Faso e in Benin.
Inoltre Kadiatou Nana, Presidente dell’Associazione sorelle Burkinabé di Treviso e provincia, interverrà spiegando il percorso intrapreso in questi anni con le donne dell’africa Occidentale a Treviso nell’ambito dell’iniziativa “Quello che possono le mani. Incontri di donne africane e donne italiane per condividere sogni e saperi” promossa da Mani Tese.

Scarica qui il programma completo dell’evento

africa day 2018

MANI TESE ALLA MARCIA DELLA PACE: I NOSTRI RICORDI

È stato un grande raduno quello di Mani Tese alla Marcia della Pace e della Fraternità Perugia-Assisi 2018. Ecco le foto più belle!

È stato un grande raduno quello di Mani Tese alla Marcia della Pace e della Fraternità Perugia-Assisi 2018.
In tanti e in tante sono giunti da tutta Italia per portare il nostro messaggio di apertura e di accoglienza.

La pioggia non ci ha fermati e, anche se non siamo riusciti a ritrovarci proprio tutti in un solo momento, un unico filo legava le nostre bandiere, tante, che sventolavano insieme a tutte le altre in più punti del corteo.

La Marcia della Pace ci ha dimostrato che Mani Tese c’è. E ci sarà ancora per stare dalla parte degli ultimi e per diffondere il suo impegno di giustizia.

Guarda la fotogallery con i momenti più belli:

 

RIACE, CON MIMMO LUCANO VIENE COLPITO UN SIMBOLO DI ACCOGLIENZA

“Desideriamo esprimere la nostra solidarietà a Mimmo, che si è impegnato in prima persona per un modello di accoglienza e integrazione più umana e giusta, e il nostro rammarico per l’accanimento che si sta manifestando da più parti nei confronti di questo modello nonostante abbia permesso una convivenza civile e fruttuosa fra cittadini italiani e […]

“Desideriamo esprimere la nostra solidarietà a Mimmo, che si è impegnato in prima persona per un modello di accoglienza e integrazione più umana e giusta, e il nostro rammarico per l’accanimento che si sta manifestando da più parti nei confronti di questo modello nonostante abbia permesso una convivenza civile e fruttuosa fra cittadini italiani e migranti.

Riace resta, a oggi, il simbolo di una possibilità concreta, quella di poter tutti beneficiare dello scambio fra culture, quando questo viene accolto con lungimiranza e apertura mentale e non respinto dalla paura e dall’ignoranza.

#apriamolementi contro i muri e le paure è proprio il messaggio che porteremo il 7 ottobre alla Marcia della Pace per ribadire la necessità di un impegno culturale ed educativo che possa far crescere nelle persone un sapere critico contro il clima di violenza, razzismo e intolleranza, educando le nuove generazioni ai valori della giustizia e della solidarietà.

A Riace abbiamo recentemente dedicato il primo degli appuntamenti del nostro “Cineforum dei mondi possibili”, perché pensiamo che Riace rappresenti quello spirito di umanità e di accoglienza che vogliamo continuare a promuovere, oggi come 50 anni fa, per costruire un altro mondo possibile”

Valerio Bini, Presidente di Mani Tese

#iostoconmimmo #arrestatecitutti

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Voi chiudete I porti, noi apriamo le menti: tutti insieme alla Perugiassisi!

Pronti per la Marcia della Pace? Noi sì! Ecco lo striscione che abbiamo preparato: ci vediamo il 7 ottobre alla Perugiassisi!

Pronti per la Marcia della Pace?
Noi sì!
Ecco lo striscione che abbiamo preparato, vi piace?

Porta il nostro messaggio di resistenza educativa al clima di violenza, razzismo e intolleranza dove il consenso si costruisce sempre di più sull’ignoranza e la cultura soffoca tra i “like” e la ricerca di soluzioni semplici a problemi complessi.

Se vuoi marciare con noi, ci ritroviamo il 7 ottobre 2018 dalle ore 12.15 alle ore 13.30 nel piazzale di Santa Maria degli Angeli (guardando la Basilica presso il lato destro del sagrato) ad Assisi.
Chi non riuscisse a raggiungerci, ci troverà alle ore 15 alla Rocca Maggiore di Assisi (guardando il palco sulla destra).

Contro i muri e le paure, noi #apriamolementi!

Leggi il nostro comunicato

voi chiudete i porti noi apriamo le menti_mani tese_2018

IL DIRITTO AL FUTURO DI TARANTO

Riscattare le sorti dell’Ilva (e con essa il futuro dei Tarantini) significherebbe imprimere una svolta esemplare al modo di fare impresa in Italia.

«Fa ribollire come pentola il gorgo, fa del mare come un vaso di ungenti. Nessuno sulla terra è pari a lui, fatto per non aver paura. Lo teme ogni essere più altero, egli è il re su tutte le bestie più superbe».
(Giobbe, Antico Testamento)

Trovarsi davanti all’Ilva di Taranto è come dar corpo al Leviatano, il terribile mostro marino dalla leggendaria forza presentato nell’Antico Testamento.

Eccolo lì, il corpo dell’Acciaio italiano: grande più del doppio di Taranto, asciuga litri e litri d’acqua dal mare. I primi tratti di riconoscimento, le sue ciminiere, svettano sulla città come le guglie del Duomo su Milano. La più alta si chiama E312 e canalizza i fumi di scarto dell’Industria, disperdendo contemporaneamente diossina dai filtri. Ed ecco là dietro le cokerie: hanno il compito di trasformare il carbon fossile in quel materiale (coke) con cui verrà miscelato in un secondo momento il ferro. Perché (per fare un ripasso) l’acciaio è una lega composta da ferro e carbonio.
Al centro di questa cattedrale d’acciaio troviamo l’altoforno, il cuore pulsante dello stabilimento, là dove le temperature salgono ai 1.500 gradi per produrre le bramme, i semilavorati d’acciaio.

Questa parte della filiera, la produzione “a caldo”, è il tallone d’Achille della Fabbrica intera: è il suo nucleo fondante ma anche quello più inquinante e messo più in discussione. Come il Leviatano, anche l’Ilva è fortemente dipendente dall’acqua del mare, che permette il raffreddamento dei materiali incandescenti: l’acqua prelevata viene irrorata sulla ghisa, generando così enormi nuvole di vapori velenosi, che si diffondono nell’ambiente circostante o che vengono ributtati nel mar piccolo con le acque reflue. Accanto all’Ilva l’aria si fa pesante: un olezzo di gas di scarico intoppa le narici, un odore mefitico intasa la gola. La strada si tinge d’ocra, polvere arancione si deposita sulle macchine, sui balconi e sui vestiti.

Avvicinandosi al suo corpo leggendario, “l’Industria” (come la chiamano i Tarantini) ci obbliga ad aprire gli occhi davanti al peso dei nostri consumi e alle responsabilità che ne derivano.
Eh sì, perché è da questa culla di acciaio che nascono le carrozzerie scintillanti delle nostre macchine e i cestelli instancabili delle nostre lavatrici.

taranto_agosto_2018

Accostandosi al Gigante d’acciaio ci si misura con l’impatto delle nostre comodità: i loro effetti sull’ambiente e sulle comunità che lo abitano. Siamo tutti abituati a usare degli utensili in acciaio e a maneggiarli nelle nostre cucine; meno, a risalire la filiera e avere sotto gli occhi le industrie da cui essi derivano. Questo accade anche perché in moltissimi casi gli impianti siderurgici si trovano fuori dall’Italia, in Paesi lontani dal nostro raggio visivo. L’atto di “non vedere” ci permette di essere omertosi. Qui, al contrario, non si parla di cittadini brasiliani o cinesi (non che questo sia eticamente differente) bensì di una vicina città europea, che per via dell’acciaieria che ha ospitato, ha condannato i suoi abitanti a subire gli effetti più nefasti della produzione. L’acciaio è un materiale pesante, ma ancora più greve è il peso delle responsabilità che ne derivano.

È per questo motivo che il dibattito sulla sorte di questa grande industria, costruita negli anni sessanta del Novecento, infiamma gli animi. L’importanza strategica accordata a questo stabilimento dimostra quanto tutti i nostri consumi siano ancora dipendenti dall’acciaio. Riscattare le sorti dell’Ilva (e con essa il futuro dei Tarantini, spesso al contempo operai e cittadini) significherebbe allora imprimere una svolta esemplare al modo di fare impresa in Italia.

La scelta obsoleta è quella di continuare a vedere il lavoro e la salute come due opzioni non compatibili tra loro, considerando sempre e solo la produzione nel “qui e ora” e dando per scontata la nostra dipendenza dall’acciaio. Questa strada vetusta è quella del business as usual e viene portata avanti per quanto fallimentare possa dimostrarsi anche in termini di profitto (1). La strada nuova e coraggiosa da tentare, sia come cittadini che come consumatori, sarebbe invece quella di aggiornare il modo di fare impresa, in modo che sia sostenibile nella sua dimensione sociale, ambientale ed economica. Questo significherebbe, per esempio, prendere coscienza della “crisi mondiale della siderurgia” determinata da un eccesso di produzione da parte dei Paesi emergenti e dal futuro esaurimento del minerale ferro (2). Significherebbe dar credito a équipe di esperti in grado di strutturare una nuova filiera per l’acciaio, sfruttando, per esempio, il suo alto potenziale di riciclo, che permette una netta riduzione dell’inquinamento (86% circa).
Abbiamo bisogno di una nuova rivoluzione copernicana, che ci permetta di sfidare il culto dell’acciaio e, conseguentemente, mettere in dubbio l’intoccabilità della sua cattedrale: l’ILVA.

Il filosofo Hobbes diceva che il Leviatano non è niente meno che il potere delle Stato, che ingloba in sé ogni singolo individuo. Egli sosteneva dovesse essere uno Stato assoluto per domare gli uomini, che altrimenti si sarebbero sbranati a vicenda. Avvicinarsi all’ILVA, quindi, non significa solo guardare in faccia la più grande acciaieria d’Europa ma anche confrontarsi con il corpo dello Stato, quello che (al contrario di Hobbes) professiamo essere democratico. Nonostante nel 2012 sei impianti dell’ILVA siano stati messi sotto sequestro dal Tribunale di Taranto, 12 Decreti “Salva Ilva” (dal 2015) hanno permesso che lo stabilimento continuasse a essere in uso. Ne risulta quindi che il “caso ILVA” non sia solo un caso strategico per l’economia del nostro Paese ma anche un caso esemplare di contraddizione tra due poteri dello STATO, quello della Magistratura (potere giudiziario) e quello del Governo (potere esecutivo). Occuparsi di questo caso di ingiustizia ambientale comporta quindi una riflessione sulla qualità della democrazia italiana.

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Questa vicenda richiama tutti noi ad attivarci, come singoli cittadini, associazioni e partiti politici, per sollecitare le imprese e le istituzioni al rispetto di tutti i diritti fondamentali sanciti dalla nostra Costituzione, senza creare tra essi gerarchie artificiali: della serie, prima il lavoro, poi la salute, poi l’istruzione.
Tutti insieme si potrebbe dimostrare che il modo di fare impresa del futuro va nella stessa direzione del futuro dei bambini di Taranto. Loro, ignari di questa battaglia in corso, continuano a giocare nei campi di calcio di Tamburi e tra le pozzanghere della Città Vecchia, senza curarsi del pericolo costante che corrono: il loro gioco ci ricorda che il diritto alla salute e a un ambiente salubre sono propaggini della stessa battaglia.

Prima di “scendere in campo”, però, è necessario accorciare le distanze tra associazioni “ambientaliste” e sindacati. Le associazioni ambientaliste “pure” non esistono più: non difendono l’esistenza dei cavallucci marini del Mar Piccolo in sé e per sé, ma si occupano quotidianamente dell’ecosistema di Taranto e del suo impatto sulla vita dei cittadini di Taranto. D’altro canto, non esistono sindacati (con la coscienza pulita) che possano barattare la salute degli operai e dei loro figli con il loro stipendio. Dovremmo quindi iniziare a schierarci dalla stessa parte, l’unica declinabile al tempo futuro: quella della giustizia ambientale.

 

Note:

(1) https://www.ilfattoquotidiano.it/2015/01/30/ilva-in-insolvenza-3-miliardi-debiti-piano-ambientale-scontro-in-senato/1384251/
(2) Per approfondire l’argomento: B. Ruscio, Legami di Ferro, Narcissus self-publishing, 2015, p. 55-58.

BURKINA FASO E SVILUPPO RURALE: TRE STORIE DI DONNE IN UN VIDEO

Ram Marie, Bernadette e Rasmata sono tre donne del Burkina Faso che non si arrendono, ma lottano ogni giorno per una vita migliore.

Ram Marie, Bernadette e Rasmata sono tre donne del Burkina Faso che non si arrendono, ma lottano ogni giorno per una vita migliore.

Abbiamo raccolto le loro testimonianze in un documentario che parla di formazione in agroecologia e investimenti per attività agricole, fondi di rotazione, recupero di ettari di terreni con introduzione di sementi migliorate, laboratori di trasformazione delle materie prime…Tutte attività che, fra le altre cose, hanno contribuito, per queste donne, a fare la differenza.

Il documentario è realizzato da Mani Tese con il contributo dell’Agenzia italiana per la Cooperazione allo Sviluppo nell’ambito del progetto “Donne e sviluppo rurale inclusivo quale mezzo per il raggiungimento della sicurezza alimentare in Burkina Faso” cofinanziato da AICS e ACRA.

Vi aspettiamo questa sera, alle 18.30, per un aperitivo presso la Buona Bottega a Milano per parlare delle esperienze dei contadini di Loumbilà e dell’impresa sociale Ke de Burkinabé realizzate proprio nell’ambito di questo progetto ed anche nel progetto “Partenariato per uno sviluppo sostenibile tra Italia e Burkina Faso (IV-V anno)” finanziato da Fondazioni for Africa Burkina Faso.

Guarda il video:

ON LINE IL MERCATO SOLIDALE DI MANI TESE!

Vintage è bello! Sul sito della nostra associazione è possibile accedere alla sezione del “mercato solidale”: provate a navigarlo!

Vintage è bello! Da qualche tempo sul sito della nostra associazione è possibile accedere alla sezione del “mercato solidale”.
Gestito dalla Cooperativa Sociale Mani Tese, il mercato offre prodotti di usato sostenibile suddivisi per categorie, per prezzo o per occasione speciale!
Si tratta di un’evoluzione dei famosi mercatini dell’usato di Mani Tese, che ancora oggi sono la principale attività della Cooperativa.

I mercatini rappresentano per Mani Tese un’azione concreta di critica a un modello consumistico attraverso la pratica del riuso, che rientra inoltre nelle buone prassi in un’ottica di minor impatto ambientale.

La Cooperativa Sociale Mani Tese si propone infatti di diffondere nella cittadinanza una nuova cultura ambientale collegata a un nuovo modello di sviluppo equo e sostenibile. Riuso, green economy, condivisione delle risorse, mobilità sostenibile sono ormai concetti tradotti in realtà, che la cooperativa intende sviluppare e rendere fruibili al maggior numero possibile di persone, in coerenza la sua mission statutaria: l’inserimento lavorativo di svantaggiati sociali.

Cosa aspetti? Vai al mercato solidale e scegli il tuo prodotto vintage!

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