Torna la scuola di attivismo agricolo di Mani Tese: iscrizioni aperte!

La Scuola di Attivismo Agricolo è un laboratorio territoriale per attivare meccanismi di utilizzo partecipato del suolo agricolo in contesti urbani.

Dopo il successo della prima edizione, Mani Tese riapre le iscrizioni alla Scuola di Attivismo Agricolo!

La Scuola di Attivismo Agricolo è un laboratorio territoriale per attivare meccanismi di utilizzo partecipato del suolo agricolo in contesti urbani. Il percorso nasce con l’obiettivo di formare un gruppo di attivisti in grado di sperimentare nuove forme di coesione sociale e di appropriazione del territorio attraverso l’agricoltura.

Nella proposta formativa convivono quindi diverse dimensioni: il saper lavorare la terra, il saper raccontare che significato ha farlo oggi in modo sostenibile trasformando il tessuto urbano e il saper coinvolgere la comunità territoriale in modo che si senta parte di questa trasformazione. Ovvero: le tre competenze chiave dell’attivista agricolo.

Chi è un attivista agricolo

Gli attivisti agricoli sono cittadine e cittadini che sono d’accordo con Wendell Berry quando dice che mangiare è un atto agricolo e vogliono conoscere chi si è curato di coltivare ciò che mangiano. Sono persone che vogliono riscoprire un rapporto con la terra e imparare a lavorarla. Sono agricoltori che si mettono in ascolto della comunità nella quale vivono ed entrano in una relazione di scambio e fiducia con essa. Sono attivisti stufi del paradosso della fame, della privatizzazione dei semi, dello sfruttamento intensivo della terra e degli allevamenti, del circuito che piega alle logiche del mercato un diritto di cittadinanza così importante come la sovranità alimentare.

Il programma

Sabato 9 Febbraio dalle 16.30 alle 19.30 – Incontro di apertura: presentazione del percorso e aperitivo di buon augurio

Domenica 10 Febbraio dalle 9.00 alle 16.00 – Gita di confronto e scambio con una realtà che pratica l’agricoltura con fini di coesione sociale e territoriale

Giovedì 21 Febbraio e Giovedì 28 Febbraio dalle 20.00 alle 22.00 – primo blocco di incontri: l’agroecologia come modello di cambiamento dei cicli produttivi e strumento di cittadinanza

Sabato 9 Marzo dalle 9.00 alle 13.00 – primo incontro pratico nell’orto

Giovedì 14 Marzo e Giovedì 21 Marzo dalle 20.00 alle 22.00 – secondo blocco di incontri: le conoscenze di base sulle tecniche agricole

Sabato 6 Aprile dalle 9.00 alle 13.00 – secondo incontro pratico nell’orto

Giovedì 11 Aprile e Giovedì 2 maggio dalle 20.00 alle 22.00 – terzo blocco di incontri: le conoscenze di base sulle tecniche di campaigning

Sabato e Domenica 11 e 12 Maggio – dalle 16.00 alle 16.00 del giorno dopo – incontro di chiusura: attivisti agricoli di tutto il mondo, unitevi! Celebrazioni per la fine della scuola e strategie di resistenza per il futuro

Dove e quando

Il percorso si svolgerà da febbraio a marzo 2019 al Centro Civico LibertHub di viale Libertà 136 a Monza e all’orto di via Papini “Tutti giù per Terra” di Fondazione Alessio Tavecchio.

A chi è rivolta

La scuola è rivolta a max 25 attivisti tra i 18 e i 40 anni, con preferenza per i residenti a Monza. Una piccola quota sarà riservata ai richiedenti asilo inseriti in progetti di accoglienza limitrofi alla città di Monza e ai cittadini che ricoprono un ruolo educativo sul territorio. Non è possibile partecipare solo ad alcuni momenti formativi. La scuola è pensata per essere fruita dall’inizio alla fine del percorso. Per conseguire l’attestato di partecipazione come Attivista Agricolo è necessario documentare la frequenza ad almeno l’80% dei momenti formativi.

Quanto costa

È richiesto un contributo alle spese di 30€ all’atto della conferma della partecipazione.

Come candidarsi

Scrivere una mail all’indirizzo freedomup@acra.it per manifestare il proprio interesse indicando nome, cognome, contatto (mail e/o telefono), età, legame con il quartiere Libertà (residenza, appartenenza a una realtà/associazione del territorio, interesse lavorativo ecc…).

Data limite per le iscrizioni

Domenica 3 Febbraio 2019

A proposito della Scuola di attivismo agricolo

La scuola di attivismo agricolo è organizzata da Mani Tese e rientra tra le attività del progetto “Freedom Up. Politiche e pratiche inclusive di sostenibilità e partecipazione nel quartiere Libertà di Monza, un progetto avviato da Fondazione Acra, Distretto di Economia Solidale della Brianza, Mani Tese O.N.L.U.S., Consorzio Comunità Brianza, Scuola Agraria del Parco di Monza cofinanziato da Fondazione Cariplo nell’ambito del Bando Comunità Resilienti 2017, dal Comune di Monza e da Fondazione Alessio Tavecchio onlus.

Scarica la presentazione in pdf

locandina_scuola_attivismo_agricolo_mani tese_2019

 

Al via il premio Mani Tese per il giornalismo investigativo e sociale

Un’iniziativa dedicata ai progetti d’inchiesta sugli impatti dell’attività d’impresa sui diritti umani e sull’ambiente. Scadenza candidature: 28 febbraio.

Sono aperte le candidature al Premio Mani Tese per il giornalismo investigativo e sociale.
L’iniziativa, promossa da Mani Tese, Ong che da oltre 50 anni si batte per la giustizia nel mondo, rientra nell’ambito del progetto “New Business for Good” realizzato con il contributo di Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo (AICS).

Il Premio Mani Tese per il giornalismo investigativo e sociale intende sostenere la produzione di inchieste originali su tematiche concernenti gli impatti dell’attività di impresa sui diritti umani e sull’ambiente in Italia e/o nei Paesi terzi in cui si articolano le filiere globali di produzione. 
Obiettivo del Premio è portare alla luce fatti e storie di interesse pubblico finora ancora poco noti e/o dibattuti, con un taglio sia di denuncia sia di proposta.

Il Premio consiste in un contributo monetario fino ad un massimo di 7.500 euro a copertura delle spese di realizzazione del servizio.

A chi è rivolto
Il Premio è riservato a giornalisti indipendenti/freelance (singoli o in gruppo) di ogni età, nazionalità e genere.

Come partecipare
La partecipazione al premio è gratuita. La scelta del formato dell’inchiesta (articolo, fotoreportage, video, ecc.) è libera.

Per concorrere al Premio è necessario compilare il modulo di iscrizione on line nella pagina dedicata al premio sul sito di Mani Tese presentando il proprio progetto di inchiesta utilizzando il modulo di partecipazione scaricabile alla pagina stessa e allegando la biografia dei partecipanti.

Tempi
Il termine di scadenza per l’invio dei progetti è il 28 febbraio 2019. 
I risultati della selezione saranno annunciati entro il 3 maggio 2019 e i vincitori avranno fino a un massimo di 90 giorni dalla data di comunicazione dell’avvenuta selezione per consegnare/pubblicare l’opera conclusa.

La giuria
La selezione dei vincitori è rimessa all’insindacabile giudizio della Giuria sulla base dei progetti di inchiesta presentati.

I membri della giuria, composta da giornalisti e/o esperti del settore, sono, in ordine alfabetico:

Emilio Ciarlo
Direttore comunicazione di AICS. Avvocato, giurista internazionale d’impresa, pubblica su diverse testate articoli su politica estera, cooperazione e diritti umani. Dal 2013 al 2015 è stato Consigliere politico del Vice Ministro degli Esteri e della Cooperazione.

Tiziana Ferrario
Giornalista, già inviata e conduttrice RAI. Dopo essersi occupata di politica estera, guerre e crisi umanitarie, ha deciso di dedicarsi al tema della parità di genere. Nel 2006 pubblica Il vento di Kabul (Baldini Castoldi Dalai). Nel 2017 Orgoglio e Pregiudizi (Chiarelettere).

Eva Giovannini
Giornalista e inviata RAI. Ha condotto l’edizione 2017 del Premio Strega. Membro del “Comitato di Saggi” sull’Europa, ha scritto Europa Anno Zero – Il ritorno dei Nazionalismi (Marsilio, 2015). In TV ha lavorato per Annozero, Piazzapulita, Skytg24.

Gad Lerner
Giornalista e autore di numerosi libri, ha collaborato con Radio Popolare, L’Espresso, Corriere della sera, Repubblica, La stampa, Nigrizia. In RAI ha condotto Profondo Nord, Milano, Italia, Pinocchio. Su LA7 è stato direttore del tg e conduttore di Otto e mezzo e L’Infedele.

Gianluigi Nuzzi
Giornalista autore di diverse inchieste e scoop che hanno avuto vasta eco come Vaticano S.p.A. (Chiarelettere, 2009) e Metastasi (Chiarelettere 2015). Ha ideato e condotto la trasmissione Intoccabili su La7. Attualmente conduce su Rete4 Quarto Grado.

Francesco Piccinini
Direttore responsabile di Fanpage. Ha lavorato come digital manager di Caltagirone Editore Digital, direttore di AgoraVox Italia e docente presso l’École Supérieure de Gestion di Parigi. Tra gli autori di Novantadue. L’anno che cambiò l’Italia (Castelvecchi, 2012).

Stefania Prandi
Giornalista e fotogiornalista, si occupa di questioni di genere, lavoro, diritti umani, società e ambiente. Ha realizzato reportage collaborando per Al Jazeera, El País e altre testate. È autrice di Oro rosso. Fragole, pomodori, molestie e sfruttamento nel Mediterraneo (Settenove, 2018).

È possibile visionare il regolamento completo del Premio alla pagina dedicata sul sito di Mani Tese. Per ricevere informazioni sul Premio è inoltre possibile scrivere all’indirizzo advocacy@manitese.it.

NEMICO ONG

Leggi e campagne mediatiche contro Ong e società civile in Europa.

ITALIA Nel 2017 il governo e molti media hanno tentato di delegittimare le organizzazioni umanitarie che salvano i migranti nel Mediterraneo con una campagna diffamatoria contro le navi di salvataggio accusate di complicità con gli scafisti.

POLONIA Le Ong hanno criticato a voce alta le modifiche legali del governo per lo smantellamento del sistema giudiziario indipendente. Dal 2015 la risposta è stata una campagna diffamatoria sui media pubblici contro le Ong accusate di frode e corruzione.

ROMANIA Nel 2017 le Ong hanno svolto un ruolo chiave nella mobilitazione contro la corruzione. In risposta, politici e media alleati hanno intrapreso una vasta campagna denigratoria sostenendo che le Ong servissero interessi stranieri fino a una proposta di legge per chiudere qualsiasi Ong che non pubblichi i rapporti delle proprie entrate e spese due volte l’anno.

UK Nel 2014 il governo britannico ha adottato una legislazione fortemente criticata perché impedisce alle ONG di partecipare efficacemente al dibattito pubblico durante le campagne elettorali.

SPAGNA Nel 2015 la Spagna ha approvato la riforma del codice penale riguardante i reati di disordine pubblico e la riforma della legge fondamentale sulla protezione della pubblica sicurezza.

FRANCIA Dopo gli attacchi terroristici, nel novembre 2015, i prefetti sono stati messi in grado di vietare assemblee pubbliche utilizzando sia l’emergenza che i poteri ordinari. In un anno e mezzo sono state 155 le misure di divieto emanate.

Box pubblicato sul numero di Dicembre 2018 del Giornale di Mani Tese

WELCOMING EUROPE: PER UN’EUROPA CHE ACCOLGA

L’iniziativa dei cittadini europei mira a depenalizzare l’assistenza umanitaria ai migranti, creare canali d’ingresso sicuri e fornire accesso alla giustizia alle vittime di abusi

di LAURA BOTTI, Comitato Promotore Welcoming Europe

L’INIZIATIVA DEI CITTADINI EUROPEI MIRA A DEPENALIZZARE L’ASSISTENZA UMANITARIA AI MIGRANTI, CREARE CANALI D’INGRESSO SICURI E FORNIRE ACCESSO ALLA GIUSTIZIA ALLE VITTIME DI ABUSI

Il 19 aprile 2018 è stata presentata in Italia la campagna di raccolta firme per l’Iniziativa dei Cittadini Europei (ICE) “Welcoming Europe – Per un’Europa che accoglie”, registrata presso la Commissione Europea lo scorso 17 febbraio. Un milione di firme di cittadini europei, in almeno 7 Paesi dell’UE, entro il 15 febbraio 2019 è il risultato da raggiungere affinché la Commissione sia obbligata a discutere la proposta e a decidere se avviare o meno la procedura per trasformarla in un atto legislativo. Questa iniziativa nasce dalla volontà di porre un rimedio ai fallimenti e alle enormi difficoltà che in questi anni i governi nazionali hanno riscontrato nella gestione dei flussi migratori. Un fallimento che si è concretizzato in politiche inefficienti, spesso fondate su un approccio securitario ed emergenziale e prive della necessaria coordinazione in virtù della competenza esclusiva degli stati membri in materia di immigrazione. In questo senso, Welcoming Europe è un’iniziativa ambiziosa perché mira a sollecitare l’intervento delle istituzioni europee all’interno del perimetro molto ristretto delle loro competenze in questo ambito. Inoltre, lo strumento scelto per promuovere questo progetto è di rilevante importanza. Non si tratta di un manifesto, di un appello o di una petizione ma di un’ICE, uno strumento di democrazia partecipativa messo a disposizione dal Trattato sull’Unione Europea che permette ai cittadini di far sentire direttamente la propria voce attraverso l’iniziativa legislativa. La proposta è incentrata su tre obiettivi principali:

1. Decriminalizzazione della solidarietà

In 13 Paesi dell’UE distribuire alimenti e bevande, dare un passaggio, comprare un biglietto od ospitare un migrante sono comportamenti per cui è possibile subire intimidazioni, ricevere una multa, essere arrestati dalle autorità. A causa della mancanza di chiarezza delle normative, sempre più spesso atti di semplice assistenza umanitaria senza fini di lucro vengono qualificati come favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. E’ la storia di Cédric Herrou, arrestato per aver aiutato oltre 200 migranti sul confine tra Francia e Italia; di Sarah Mardini, l’atleta siriana arrestata per aver salvato a nuoto alcuni migranti a seguito del naufragio del loro barcone; di Lisbeth Zornig e del marito Michael Lindholm, arrestati e multati per aver dato un passaggio ad alcuni migranti in cammino verso il porto, distante 160 chilometri; di Francesca Peirotti, arrestata per aver trasportato otto persone attraverso il confine.

Si chiede, quindi, alla Commissione di modificare la “Direttiva favoreggiamento” impedendo agli Stati membri di imporre sanzioni a cittadini e ONG che forniscano assistenza umanitaria senza scopo di lucro a chi ne ha bisogno.

2. Creazione di canali d’ingresso sicuri e legali per i rifugiati e i richiedenti asilo

Dal 1990 a oggi sono morti più di 34 mila migranti nel tentativo di raggiungere l’Europa attraverso il Mediterraneo. Inoltre, migliaia di persone affrontano il calvario delle vie di terra, soprattutto attraverso i Balcani. Il Fondo Asilo, Migrazione e Integrazione (FAMI) è il principale strumento previsto per il sostegno dell’accoglienza e dell’integrazione dei rifugiati ma si rivolge solamente ai governi degli Stati membri, i quali non hanno procedure chiare per la sponsorship privata. Eppure, l’apertura di vie d’accesso legali e sicure verso Paesi disposti ad accogliere rappresenta la sola opportunità di protezione per richiedenti asilo e rifugiati e sono numerosi i cittadini e le associazioni disposti ad avviare programmi di inclusione.

A questo scopo si propone una modifica del Regolamento n. 516/2014 per ampliare i programmi di sponsorship privata, in modo da aumentare i posti messi a disposizione tramite i piani di resettlement.

3. Tutelare tutte le vittime di abusi

Molti migranti sono vittime di sfruttamento lavorativo, traffico di esseri umani, abusi da parte delle forze dell’ordine e altre violazioni dei diritti fondamentali, in particolare alle frontiere. Tuttavia, la maggior parte di loro non presenta denunce perché in condizioni irregolari o incontra ostacoli per ottenere giustizia a causa delle procedure inadeguate.

Per questo motivo, si chiede alla Commissione di garantire l’accesso alla giustizia a tutte le vittime di abusi, in modo sicuro e senza che vi siano ripercussioni sul loro status giuridico, e di colmare le lacune legislative per garantire parità di trattamento per i lavoratori e prevenire lo sfruttamento.

In conclusione, Welcoming Europe ci permette di scegliere una nuova strada, per governare un fenomeno complesso con ragionevolezza e nel rispetto dei principi fondanti della nostra civiltà.

Articolo pubblicato sul numero di Dicembre 2018 del Giornale di Mani Tese

QUELIMANE AGRICOLA: IN MOZAMBICO I LAVORI GIÀ FERVONO!

Mentre a Quelimane il progetto viene lanciato ufficialmente, iniziano i lavori per la costruzione di 3 magazzini e 18 sistemi di raccolta dell’acqua piovana.

di Matteo Anaclerio, Coordinatore Progetto “Quelimane Agricola”

 

Il 23 novembre, a Quelimane, in Mozambico, è stato ufficialmente lanciato il progetto “Quelimane agricola: produce, cresce e consuma sostenibile” , cofinanziato dall’AICS. Intanto, nelle campagne, molte delle attività previste dal progetto sono già state avviate.

Nel corso del mese di novembre, infatti, si è dato inizio ai lavori per la costruzione di tre magazzini rurali, a Licuari (Nicoadala), Namacurra e Marrabo (Distretto di Maquival), non prima di aver invocato gli spiriti degli antenati per benedire l’opera e di aver organizzato la cerimonia del lancio della prima pietra, in presenza delle autorità locali dei tre distretti interessati. La consegna dei magazzini è prevista per il 28 febbraio. Intanto i lavori avanzano.

Nel frattempo, a seguito della missione dell’Università di Firenze nelle comunità interessate dal progetto, guidata da Giulio Castelli, è iniziata l’installazione dei primi otto sistemi di raccolta dell’acqua piovana sul tetto delle case dei beneficiari. Prima della fine di dicembre, i sistemi installati saranno ben 18, distribuiti fra i distretti di Nicoadala, Namacurra e Quelimane. In queste regioni, infatti, l’acqua è un bene prezioso e limitato: i sistemi installati permetteranno alle famiglie di immagazzinare l’acqua durante i mesi più piovosi (dicembre, gennaio e febbraio) e utilizzarla in seguito per usi casalinghi.

L’evento di lancio è stato quindi un’occasione non solo di presentare il progetto, ma anche di discutere coi partner e con le autorità locali e governative delle attività già avviate e di quelle da implementare. È stato un momento di confronto molto utile per definire i ruoli di ciascun partner, affrontare subito eventuali problematiche e, in generale, per la buona riuscita del progetto.

 

Le ONG chiedono a governo e parlamento di aderire al Global Compact

“Roma, 3 dicembre 2018 – Alla vigilia della conferenza intergovernativa di Marrakech del 10 e 11 dicembre per l’adozione del Global Compact per una migrazione sicura, ordinata e regolare (GCM) il Governo annuncia che l’Italia non prenderà parte all’importante incontro, rimandando alla decisione del Parlamento la sottoscrizione o meno del Global Compact delle Nazioni Unite. […]

“Roma, 3 dicembre 2018 – Alla vigilia della conferenza intergovernativa di Marrakech del 10 e 11 dicembre per l’adozione del Global Compact per una migrazione sicura, ordinata e regolare (GCM) il Governo annuncia che l’Italia non prenderà parte all’importante incontro, rimandando alla decisione del Parlamento la sottoscrizione o meno del Global Compact delle Nazioni Unite.

Il Coordinamento Italiano ONG Internazionali (CINI) e l’Associazione delle Organizzazioni Italiane di Cooperazione e Solidarietà Internazionale (AOI) esprimono il loro rammarico rispetto a tale posizionamento, determinando questo un cambiamento nella linea italiana finora comunicata a livello internazionale, non da ultima durante la partecipazione del Presidente del Consiglio Conte alla 73ª Assemblea Generale delle Nazioni Unite lo scorso 26 settembre 2018.

CINI e AOI intendono allo stesso tempo manifestare piena fiducia al Parlamento, a cui spetterà ora il voto circa il sostegno italiano al Global Compact per una migrazione sicura, ordinata e regolare, una decisione fondamentale, che permetterebbe agli Stati membri dell’ONU di assicurare – per la prima volta nella storia – una risposta condivisa e coordinata al tema delle migrazioni.

Tale necessità è stata confermata il 19 settembre 2016, quando l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha adottato la Dichiarazione di New York per i Rifugiati e i Migranti, riconoscendo il bisogno di un approccio globale alla mobilità umana e impegnandosi dunque a rafforzare la governance globale sulla migrazione con lo sviluppo del citato Global Compact.

Il documento rappresenta un’opportunità unica per gli Stati: sottoscriverlo significa adottare un quadro di riferimento comune, che permetta agli Stati di cooperare – fra loro e con molteplici stakeholder – verso soluzioni condivise ed efficienti, rispettose dei diritti umani e opportunamente collegate agli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile.

Il documento è volto a stabilire principi, impegni e intese tra gli Stati in materia di migrazione internazionale; rafforzare il coordinamento intergovernativo rispetto ai fenomeni migratori; sviluppare politiche condivise di cooperazione internazionale in materia di mobilità umana e migrazione internazionale.

Adottare il Global Compact significa che nessuno Stato verrà lasciato solo, in particolare quelli che hanno maggiormente a che fare con grandi pressioni migratorie.

E’ bene ricordare, a chiarimento, che l’adozione di tale documento, come ribadito più volte nel testo stesso, non pregiudica in nessun modo l’applicazione del diritto sovrano degli Stati di determinare le proprie politiche migratorie, né di controllare i propri confini esterni; allo stesso tempo, il GCM non implica di per sé nessun obbligo aggiuntivo rispetto a quanto già previsto dal diritto internazionale.

La sua adozione permetterebbe invece di amplificare e massimizzare l’impatto delle azioni messe in campo, a beneficio di tutti: Stati membri, comunità, migranti.

L’obiettivo del GCM è quello di promuovere una visione a 360 gradi sulle migrazioni internazionali, garantire una gestione efficace e sostenibile dei fenomeni migratori a livello globale e valorizzare la mobilità umana quale motore dei processi di sviluppo sostenibile, nella convinzione comune che una migrazione sicura, ordinata e regolare sia funzionale per tutti, in particolare quando ha luogo in maniera informata, pianificata e volontaria.

Mai come oggi riteniamo necessario un rafforzamento della cooperazione tra paesi per garantire un’efficace ed umana gestione dei fenomeni migratori, in particolare per quanto riguarda le categorie più vulnerabili, inclusi i minori, in particolare se separati dalle proprie famiglie o non accompagnati.

Per tutti questi motivi, CINI e AOI si rivolgono al Governo e al Parlamento, chiedendo di confermare il sostegno che l’Italia ha già dimostrato in fase di negoziazione del testo attraverso l’adozione del Global Compact.

È un momento cruciale per l’Italia, paese di transito e destinazione dei flussi migratori verso l’Europa. È il momento di promuovere una condivisione di responsabilità a livello globale e perseguire soluzioni umane ed efficaci.

L’Italia non può rimanere sulla soglia, mentre la comunità internazionale decide di cooperare.
Questo è il momento di agire. Adottiamo il Global Compact per la migrazione.”

(Fonte: comunicato stampa AOI e CINI)

IO, EX BAMBINO TRAFFICATO IN CAMBOGIA, SALVATO DA DAMNOK TOEK

Thach Sokchamroen, ragazzo cambogiano disabile, vittima di trafficking in Thailandia, racconta come è stato aiutato nel centro di accoglienza di Damnok Toek

Mi chiamo Thach Sokchamroen. Sono nato il 25 agosto del 1992 in un quartiere di Sihanoukville, una delle spiagge più belle della Cambogia. Sono il maggiore in una famiglia di 5 fratelli.

All’età di due anni mi sono ammalato gravemente: mi è venuta una febbre altissima e, nonostante tutti gli sforzi di mio padre, dei medici e degli infermieri, ho perso gradualmente l’uso di tutti i muscoli delle gambe. Dopo pochi mesi non ero più in grado di camminare.

Quando ero bambino, vivevo in posti diversi con i miei genitori: erano operai edili e avevano bisogno di muoversi in continuazione per trovare lavoro. L’ultimo di questi trasferimenti è stato a Poipet.

Avevo 7 anni quando sono stato venduto ai trafficanti. Tutto è iniziato il giorno in cui mia madre è andata da un indovino. Quest’uomo le aveva detto che ero un bambino molto fortunato, che ovunque o con chiunque io vivessi, gli spiriti buoni mi avrebbero sempre protetto e aiutato. Forse questo evento ha motivato mia madre a vendermi perché era sicura che sarei stato comunque al sicuro. Durante questo periodo mio padre non era a casa perché lavorava a Siem Reap. Penso che se ci fosse stato, mia madre non mi avrebbe venduto ai trafficanti.

Poco dopo l’incontro con l’indovino, mia madre mi ha portato a casa di una donna e mi ha detto di rimanere lì, dove sono rimasto un giorno intero con altri bambini. Verso mezzanotte, un intermediario ci ha guidato alla frontiera dove abbiamo dovuto attraversare il canale che separa la Cambogia dalla Tailandia. Abbiamo camminato per tre ore per raggiungere la strada principale della Tailandia dove un camion ci stava aspettando. Da lì abbiamo raggiunto la città di Bangkok.

Quando sono arrivato, un estraneo mi stava aspettando per portarmi in una casa. Il primo giorno sono stato autorizzato a riposarmi dal viaggio. Tuttavia, il giorno dopo i trafficanti mi hanno fatto memorizzare una frase in tailandese: “Chun mai Roo” (ndr: in italiano “Non lo so”). Dovevo usarla nel caso qualcuno mi chiedesse qualcosa. Poi il trafficante ha iniziato a mandarmi per le strade a chiedere l’elemosina in posti sempre diversi.

Dovevo chiedere l’elemosina tutti i giorni dalle prime ore del mattino fino almeno alla mezzanotte. È capitato che il mio trafficante si allontanasse dalla città e non potessi tornare a casa. A volte sono rimasto fuori per 2 o 3 giorni, costretto a dormire in una pagoda o in alcune bancarelle nel mercato.

Quando chiedevo l’elemosina, a ogni ora qualcuno veniva da me per ritirare i miei soldi. Era vietato usarli per comprare cibo o bevande, tutto doveva essere consegnato. Ricordo che a volte quando ero molto affamato mangiavo cibo dai rifiuti. Se provavo a usare i miei soldi per comprare del cibo alcuni trafficanti mi picchiavano severamente e addirittura mi torturavano. Ma anche se seguivo le regole potevo essere punito solo perché non ero riuscito a portare a casa abbastanza soldi. A volte i trafficanti non solo mi privavano del cibo, ma mi picchiavano anche con cinture e fili. Due volte mi hanno torturato anche con scosse elettriche.

Questa situazione è durata 2 anni prima che venissi arrestato dalla polizia tailandese. All’inizio mi hanno mandato in prigione ma poco dopo mi hanno trasferito in un centro per bambini. In questo centro i bambini provenivano da molti paesi diversi come Laos, Vietnam e Myanmar. Ho vissuto lì altri 2 anni. La mia vita non era male, nessuno mi picchiava e molti bambini mi sostenevano procurandomi del riso.

Poi, un giorno, sono stato deportato a Poipet. Lì Damnok Toek si è presa cura di me e portandomi al suo Centro di accoglienza. Quando sono arrivato, sono stato molto sorpreso nello scoprire che due dei miei amici del Thai Children Center vivevano già lì.

Ho soggiornato nel Centro di accoglienza di Damnok Toek per quasi un anno. Lì sono andato a scuola e ho raggiunto il terzo anno. Molti educatori lavoravano al centro per prendersi cura di me e degli altri bambini. Per noi le persone dello staff sono state un po’ come i nostri genitori. Mi hanno aiutato molto con i miei studi, soprattutto con l’apprendimento della letteratura e del disegno.

Uno dei miei ricordi migliori è stato il giorno in cui siamo andati tutti a visitare la provincia di Siem Reap. Mamma Veth, Mamma Tra, Mamma Em e Mamma Mey mi hanno portato in cima al tempio di Angkor ed è stato davvero impressionante!

Nell’ottobre del 2003, Damnok Toek mi ha trasferito a Phnom Penh inserendomi nel suo nuovo programma di disabilità, grazie al quale ho potuto godere di una migliore assistenza sanitaria per quanto riguarda la mia disabilità.

Nel 2005 il centro di Phnom Penh si è trasferito a Beoung Keng Kong. In questo nuovo centro sono andato alla scuola di Lavala e ho terminato la scuola elementare in soli 2 anni grazie a corsi avanzati. In seguito, ho iniziato la scuola superiore presso la scuola pubblica più vicina e, dopo cinque anni, ho superato l’esame finale di livello 12. Visti i miei buoni risultati a scuola, volevo continuare a studiare e, grazie al supporto di Damnok Toek, ho potuto accedere all’Università, dove ho conseguito una laurea in Informatica e Tecnologia.

Ho trascorso i primi due anni della mia vita da studente nel centro di Damnok Toek a Phnom Penh. Poi Damnok Toek ha implementato un nuovo progetto chiamato Independent living home. Questo progetto è stato pensato appositamente per i giovani di Damnok Toek che hanno bisogno di studiare o seguire una formazione professionale a Phnom Penh. In quel periodo, ho vissuto in una casetta con altri due studenti che sono diventati miei ottimi amici aiutandomi con la mia disabilità. Durante questo periodo, Damnok Toek ha continuato a sostenermi pagando le tasse scolastiche, il cibo e i vestiti. Ho persino avuto un po’di soldi in tasca.

Parallelamente ai miei studi, ho voluto fare alcune esperienze lavorative che mi avrebbero aiutato a trovare un lavoro subito dopo i miei studi. Damnok Toek mi ha sostenuto assumendomi per 5 anni, alla fine della scuola superiore, come collaboratore dell’assistente sociale. Dopodiché per un anno ho svolto un lavoro part-time come designer durante l’università. Sono stato molto contento di fare queste esperienze professionali perché mi hanno permesso di imparare molto.

Una volta laureato, Damnok Toek ha deciso di sostenermi di nuovo offrendomi un lavoro. Avevano bisogno di un assistente amministrativo per il nuovo progetto a Kep, creato per prendersi cura dei giovani adulti con disabilità mentale. Per essere pienamente operativo, Damnok Toek mi ha inoltre offerto un corso di formazione di inglese e uno sull’uso di Excel. In breve tempo sono stato promosso come contabile del progetto Kep.

Anche se non è sempre facile, oggi sono molto soddisfatto del mio lavoro, da cui ho imparato tanto.

Desidero ringraziare tutte le persone che lavorano per Damnok Toek ma soprattutto il team di Poipet e Phnom Penh, che si sono presi cura di me per così tanti anni.

Mi hanno aiutato a superare tutti gli ostacoli della mia vita e a diventare quello che sono.

Scopri il nostro progetto “Bambini al sicuro in Cambogia”

DALLA PARTE DELL’EUROPA CIVILE

Da più organismi internazionali vengono segnalati il restringimento degli spazi democratici e delle risorse per le organizzazioni della società civile. Un fenomeno preoccupante da porre all’attenzione in vista del prossimo voto europeo di maggio.

di ELIAS GEROVASI, Responsabile Progettazione e Partenariati di Mani Tese

DA PIÙ ORGANISMI INTERNAZIONALI VENGONO SEGNALATI IL RESTRINGIMENTO DEGLI SPAZI DEMOCRATICI E DELLE RISORSE PER LE ORGANIZZAZIONI DELLA SOCIETÀ CIVILE. UN FENOMENO PREOCCUPANTE DA PORRE ALL’ATTENZIONE IN VISTA DEL PROSSIMO VOTO EUROPEO DI MAGGIO.

Che negli ultimi anni il clima attorno alla società civile si stia in qualche modo deteriorando anche in Europa sono in molti a sostenerlo. Se fino allo scorso decennio le segnalazioni più preoccupanti arrivavano principalmente da Paesi autoritari come Cina, Egitto, Etiopia, India, Russia, Siria e Zimbabwe, solo per citarne alcuni, oggi non si può dire che i Paesi dell’Unione Europea siano completamente immuni da dinamiche simili. Di grave preoccupazione sono state le recenti sfide ai diritti civili in Ungheria, le leggi anti-protesta in Spagna, le misure anti-terrorismo in Francia, le limitazioni alla libertà dei media in Polonia e le campagne di delegittimazione delle ONG nel Regno Unito e in Italia. Le motivazioni che hanno indotto alcuni governi a limitare certi spazi civici sono diversi per origine e per obiettivo: argomenti di sicurezza nazionale e risposta agli attacchi terroristici, interessi economici, argomenti di sovranità nazionale o più semplice convenienza elettorale.

A far emergere questo scenario però non sono più soltanto le stesse organizzazioni della società civile tanto che il tema del restringimento degli spazi democratici e del cosiddetto clima ostile nei confronti della società civile è sotto i riflettori del Consiglio d’Europa, ovvero l’organizzazione internazionale fondata all’indomani della seconda guerra mondiale che ha il ruolo di garante della sicurezza democratica basata sul rispetto dei diritti dell’uomo, della democrazia e dello Stato di diritto nei 47 Paesi aderenti del continente europeo.

Società civile: il clima è cambiato

Dopo la segnalazione di un certo numero di organizzazioni giovanili al Consiglio d’Europa in merito a specifici casi di crescente violazione della libertà di associazione, riunione ed espressione, in breve ciò che è stato definito il “restringimento degli spazi per la società civile” (shrinking space for civil society), è stato il Commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa a bollare come “deteriorato” il clima nel quale si trovano a operare le ONG in alcuni Paesi europei. Un recente studio della Corte europea dei diritti dell’uomo, che ha coinvolto le ONG negli Stati membri, ha messo in luce un numero rilevante di “azioni insidiose per limitare le libertà della società civile”. Infine l’Agenzia dell’Unione europea per i diritti fondamentali afferma che le organizzazioni della società civile europee hanno sempre più difficoltà a sostenere la protezione, la promozione e realizzazione dei diritti umani all’interno dell’Unione a causa di restrizioni sia legali che pratiche imposte dagli Stati membri.


“Le libertà politiche non sono un lusso in uno stato democratico; sono una necessità. Una società democratica non può essere costruita o preservata se la libertà di riunione e la libertà di associazione non sono garantite, incoraggiate e rispettate. Queste libertà politiche sono un controllo indispensabile su qualsiasi potere democratico. La libertà di riunione e la libertà di associazione sono elementi chiave per la sicurezza democratica”.

Thorbjørn Jagland, Segretario Generale del Consiglio d’Europa


Le richieste al Parlamento Europeo che verrà

I timori di molta parte della società civile europea si intensificano in vista delle elezioni europee del maggio prossimo che secondo gli analisti potrebbero cambiare di molto lo scenario politico europeo. Molte delle forze politiche che a livello nazionale hanno promosso il braccio di ferro con il mondo delle Ong e della società civile (come Italia, Ungheria, Polonia) sono destinate ad allargare i propri numeri rendendo ancora più ostile il clima all’interno dell’Europarlamento.

Ma la preoccupazione delle Ong non riguarda esclusivamente la propria posizione e gli spazi di agibilità della propria azione quanto la sensibilità delle istituzioni e la centralità dei temi principali che le Osc (Organizzazioni della società civile) promuovono nell’attualità europea. E’ su questo che la confederazione europea delle ONG Concord Europe, insieme alle altre principali reti di società civile, a livello continentale si sta mobilitando. Mantenere alta la centralità dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, dell’Accordo di Parigi sui cambiamenti climatici e delle convenzioni sui diritti umani in un periodo storico che vede importanti attori dello scacchiere geopolitico prendere a picconate questi inviolabili riferimenti globali; è su questo che si giocherà la campagna di mobilitazione nei primi sei mesi del 2019 rivolta in particolare ai futuri euro parlamentari, alle forze politiche e più in generale all’opinione pubblica.

La cooperazione internazionale arretra

Altri segnali che qualcosa non va rispetto al ruolo presente e futuro della società civile in Europa si possono scovare tra le righe del futuro bilancio dell’Unione Europea, il Multiannual Financial Framework 2021-2027 che sarà approvato a Bruxelles entro maggio prossimo.

Nella proposta della Commissione Europea i fondi per la cooperazione e l’aiuto allo sviluppo saranno contenuti in un nuovo unico strumento finanziario denominato Neighbourhood, Development and International Cooperation Instrument (NDICI) sul quale le ONG europee si sono già mobilitate evidenziando la carenza di un esplicito impegno sullo sviluppo sostenibile, sulla lotta contro le ineguaglianze e lo sradicamento della povertà al di là dei generici riferimenti agli obiettivi di sviluppo sostenibile.

La governance di questo nuovo strumento marginalizza la società civile poiché a oggi la bozza di regolamento non prevede un impegno della Commissione al dialogo e alla collaborazione con la società civile in tutti gli strumenti di azione esterna, attraverso adeguate modalità di partecipazione alla definizione delle politiche di sviluppo dell’UE e ai programmi e alle operazioni tematiche e geografiche, come era invece consolidato nella gestione degli strumenti finanziari in passato.

In termini quantitativi inoltre potrebbero venir meno delle risorse esplicitamente dedicate al lavoro delle organizzazioni della società civile o al rafforzamento delle stesse nei Paesi partner. Come a dire che per la società civile potrebbero esserci meno risorse e un ruolo ancora più marginale nel processo di policy making a livello europeo.

Articolo pubblicato sul numero di Dicembre 2018 del Giornale di Mani Tese