Business e diritti umani: 6 seminari per il terzo settore

Come vincolare la libertà di impresa al rispetto dei diritti umani e dell’ambiente.

Nell’ambito del progetto “New Business 4 Good” finanziato dall’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo, Mani Tese, in collaborazione con Oxfam, Fondazione Finanza Etica, Action Aid, HRIC e WWF, propone un ciclo di 6 seminari di “knowledge & capacity building” per associazioni e ONG, che mira a rafforzare le capacità del Terzo Settore di promuovere un cambio di paradigma produttivo e di attivarsi in favore delle comunità impattate dall’attività di impresa.

IL PROGRAMMA

Milano, 4 marzo 2019, ore 14.30-17.30
“La definizione del problema: il quadro giuridico internazionale, gli impatti del ‘business as usual’, i limiti dell’auto regolazione del settore privato, il ruolo della società civile”
Intervengono: Martina Buscemi (Università Statale di Milano), Roberto Antonietti (Università Statale di Padova), Nicoletta Dentico (Fondazione Finanza Etica), Giosuè De Salvo (Mani Tese).

Roma, 21 marzo 2019, ore 10.00-13.00
“Principi guida ONU, focus 1° pilastro: State Duty to Protect”
Intervengono: Marta Bordignon (Temple University, HRIC), Giada Lepore (Human Rights International Corner), Fulvia Gravame (Peacelink), Monica Di Sisto (Campagna Stop TTIP).

Milano, 28 marzo 2019, ore 10.00-13.00
“Principi guida ONU, focus 2° pilastro: Corporate Responsibility to Respect”
Intervengono: Angelica Bonfanti (Università Statale di Milano), Martina Rogato (Human Rights International Corner), Deborah Lucchetti (FAIR/Campagna Abiti Puliti), Mauro Meggiolaro (Fondazione Finanza Etica).

Firenze, 9 aprile 2019, ore 10.00-13.00
“Principi guida ONU, focus 3° pilastro: Access to Remedy”
Intervengono: Deborah Russo (Università Statale di Firenze), Marco Fasciglione (CNR), Luca Saltalamacchia (Studio Saltalamacchia di Napoli), Francesca Casella* (Survival International).

Firenze, 16 aprile 2019, ore 10.00-13.00
“Il ruolo del Terzo Settore nella transizione verso il business giusto e sostenibile: il caso dell’Azionariato Critico”
Intervengono: Alessandra Smerilli (Pontificia Facoltà di Scienze dell’Educazione Auxilium), Eleonora Dal Zotto (Equo Garantito), Francesco Martone (In Difesa Di), Simone Siliani (Fondazione Finanza Etica).

Roma, 22 maggio 2019, ore 10.00-13.00
“Il ruolo del Terzo Settore nella transizione verso il business giusto e sostenibile: i casi dello Human Rights Impact Assesment e delle Multi-Stakeholders Initiatives”
Intevengono: Leonardo Becchetti* (Università di Roma Tor Vergata), Laura Renzi* (Amnesty International), Giosuè De Salvo (Mani Tese), Giorgia Ceccarelli (Oxfam Italia), Alessandra Prampolini (WWF Italia).

*in attesa di conferma

La partecipazione è libera e gratuita previa iscrizione all’indirizzo desalvo@manitese.it

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TRATTA: IL MONDO DEVE SAPERE. E SI DEVE MOBILITARE

Riflessioni e materiali dal convegno dell’8 febbraio 2019

Il mondo deve sapere. Il mondo deve avere coscienza che oltre 40 milioni di persone vivono in schiavitù, vittime di varie forme di sfruttamento. E che fra questi schiavi ci sono molti bambini (il cui numero, secondo i dati di Unodc, è in aumento: il 5% in più rispetto al periodo compreso fra il 2007 e il 2010).

Sono i piccoli protagonisti di storie di violenza quasi inenarrabili. Eppure Antonio Maria Costa, ex vice segretario generale Onu e direttore Ufficio Onu droga e crimine, Unodc (dal 2002 al 2010), queste storie le ha raccontate senza sconti al pubblico del convegno “NUOVI MURI, NUOVI SCHIAVI” organizzato in occasione della Giornata mondiale contro la tratta dal Centro Pime di Milano, Mani Tese e Caritas Ambrosiana con il contributo dell’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo e la collaborazione di Ucsi Lombardia e Fesmi.

Il mondo deve sapere. Ma deve anche mobilitarsi. Perché sfruttamento, servitù, violenza sono minacce che non possono essere affrontate solo dai Governi ma da una coalizione e mobilitazione di tutti, ciascuno consapevole delle proprie responsabilità. Innanzitutto, secondo Costa, la responsabilità delle potenze europee che si sono spartite l’Africa ponendo le basi della violenza e della povertà di oggi. Un dramma proseguito poi da Washington e da Pechino. “I muri servono a poco e sono moralmente ripugnanti – afferma Costa – I migranti continuano a muoversi perché il rischio di morire in viaggio è meno grave di morire giorno per giorno in un miserabile villaggio”.

Ma c’è anche la responsabilità di noi consumatori per i beni prodotti da schiavi perché “Non c’è una singola cosa che non sia contaminata dal sangue e dal sudore di vittime di sfruttamento”.

“Fra il lavoratore e un frutto come la pesca che compriamo al supermercato c’è una lunga catena di sfruttamento su cui è necessario intervenire” ha ricordato Virginia Sabbatini del Progetto Presidio Caritas Italiana di Saluzzo. Uno sfruttamento lavorativo che non tocca solo il Sud del mondo o, per guardare a casa nostra, il Sud Italia, ma che è diffuso a livello nazionale. Lo testimonia il Progetto Presidio, che offre dal 2014 un servizio di informazione, orientamento e aiuto ai lavoratori migranti vittime di sfruttamento in 18 territori nazionali, da Saluzzo in Piemonte fino a Melfi in Basilicata o Ragusa in Sicilia. “Non pensiamo a schiavisti che tengono in catene. C’è una zona di grigia di illegalità in cui approfittare del lavoro di un migrante non è visto come una macchia sociale perché il migrante è considerato un lavoratore di serie B e che può essere sfruttato”.

Di muri ha parlato anche il prof. Marco A. Quiroz Vitale, sociologo del diritto dell’Università di Milano e autore di “Diritti umani e cultura giuridica”: “Dopo la caduta del muro di Berlino, il ‘muro’ non è stato più in grado di sopperire alle funzioni sociali di mantenimento della pace di un tempo. I nuovi muri ora sono il risorgere delle razze e l’etnicizzazione, che creano distinzioni fra le persone”.

“Ma serve prudenza nel sottolineare le differenze etniche e culturali – sostiene Vitale – Perché in termini di differenze è molto ciò che ci unisce e poco ciò che ci divide. Il rischio è il razzismo, la logica dello sfruttamento che assegna a un colore diverso dal bianco un segno di inferiorità che lo giustifica”.

Occorre dunque prestare molta attenzione alle parole che usiamo quando si affronta la questione migratoria, come ricorda il Prof. Marco Valbruzzi, politologo dell’Università di Bologna e coordinatore dell’Istituto Cattaneo, che ha dimostrato come sui quotidiani italiani il tema dei migranti venga trattato in termini di emergenza e di sicurezza e quasi mai in termini di integrazione. Solo 5,5% degli articoli ne parla. Non è quindi un caso se gli Italiani risultino, fra i cittadini europei, quelli che sbagliano di più nella percezione del fenomeno migratorio: la percentuale di residenti stranieri nel nostro Paese è il 10%. Noi pensiamo sia il 25%.

“La nostra percezione distorta del fenomeno delle migrazioni deriva dai nostri pregiudizi. Cerchiamo nei fenomeni sociali una sorta di conferma degli stessi” afferma Valbruzzi. Infatti nel 2013 solo il 5% degli italiani affermava che l’immigrazione fosse un tema prioritario. Oggi invece per gli italiani l’immigrazione è un problema urgente in generale che tuttavia, nei contesti a loro vicini, non viene percepito come tale.

Chi invece pesa bene le parole è René Manenti degli Scalabriniani della Casa del Migrante di Tijuana (Messico): “A Tijuana abbiamo creato una casa per accogliere le persone perché prima esiste la persona poi le sue varie accezioni e non ‘l’illegale’ o ‘l’indocumentato’ ha dichiarato “Madre natura non ha confini. Siamo noi uomini che li abbiamo creati”.

Un’altra testimonianza dal mondo è venuta dalla voce di Laudolino Carlos Medina, direttore di AMIC Associaçào dos Amigos da Criança, partner di Mani Tese in Guinea-Bissau che fra il 2005 e il 2018 ha reinserito nelle famiglie di origine 2.206 bambini vittime di tratta.

“In Guinea la tratta di minori assume molte forme: la più visibile è quella dei talibé, bambini inviati con l’intenzione di apprendere il Corano in altri Paesi, ma che quando arrivano a destinazione vedono cambiare totalmente il proposito del loro viaggio e vengono e sfruttati e destinati alla mendicità a cui si dedicano tutto il giorno perché devono portare una certa somma di denaro la sera al trafficante, altrimenti vengono severamente puniti. Ma ci sono anche le ragazze inviate in Senegal per lavorare come domestiche e poi costrette a prostituirsi”.

Secondo Laudolino l’88% dei bambini (4-17 anni) in Guinea-Bissau ha sofferto aggressioni psicologiche e punizioni fisiche e umilianti. Solo 2 bambini su 5 nel Paese vanno a scuola e fra le ragioni dell’abbandono scolastico vi è il matrimonio forzato e precoce, il lavoro nei campi della famiglia, i rituali etnici, la mutilazione genitale femminile.

Di fronte a tutto questo, non basta più la verità e non è sufficiente la compassione. Occorre giustizia.

“La convenzione di Palermo impone agli Stati di adottare misure di contrasto a traffico e schiavitù, in coerenza con la dichiarazione dei diritti umani universali” ha ricordato il prof. Vitale, specificando che vi è tratta anche se la vittima è consenziente e a prescindere dalle forme di schiavitù.

Per approfondire, scarica le presentazioni disponibili dei relatori:

UN MONDO DI MURI: TRATTA E SCHIAVITÙ NEL XXI SECOLO
Antonio Maria Costa, ex vice segretario generale Onu e direttore Ufficio Onu droga e crimine, Unodc (2002-2010)

IL MURO DELLA PROPAGANDA (E LA CARTA DI ROMA)
Prof. Marco Valbruzzi, politologo Università di Bologna e coordinatore Istituto Cattaneo

IL MURO DEI DIRITTI UMANI NEGATI (Video)
Prof. Marco A. Quiroz Vitale, sociologo del diritto Università di Milano, autore di “Diritti umani e cultura giuridica”

I CASI

Laudolino Carlos Medina, Associaçào dos Amigos da Criança (AMIC), Guinea-Bissau

Virginia Sabbatini, Progetto Presidio Caritas Italiana, grave sfruttamento lavorativo, Saluzzo:

Vite sottocosto – 2° rapporto Presidio

Progetto Presidio – le immagini

Il 2 marzo mobilitiamoci insieme per ribadire: “Prima le persone!”

Il 2 marzo a Milano si terrà la manifestazione per un mondo che metta al centro le persone, a cui anche Mani Tese aderisce.

Prima dei confini viene l’umanità.

Lo abbiamo detto e lo stiamo ribadendo in molti modi e in diverse città.

Lo abbiamo manifestato alla Perugia-Assisi camminando dietro allo striscione “Voi chiudete i porti, noi apriamo le menti”.

Lo abbiamo detto a Faenza, Rimini, Treviso e Firenze con L’Italia che resiste, a Lecco, dove con Mani Tese Bulciago abbiamo preso parte alla catena umana per protestare contro la decisione di abbandonare i migranti in mare. Lo abbiamo ribadito a Catania in solidarietà alla Sea-Watch. A Venezia, in marcia per l’umanità. O a Finale Emilia dove abbiamo parlato di migrazione con gli studenti.

Lo abbiamo denunciato nell’ultimo numero del nostro giornale, dedicato all’emergenza dei diritti sempre più minacciati dai nazionalismi e dall’intolleranza.

Sono solo alcuni esempi di un impegno che non si ferma.

Il prossimo appuntamento è per il 2 marzo a Milano, dove si terrà la manifestazione nazionalePeople – Prima le persone”, alla quale anche Mani Tese aderisce per ribadire la necessità di un mondo che metta al centro le persone.

Perché il nemico non è lo straniero o ciò che è altro da noi, ma la diseguaglianza, lo sfruttamento, la condizione di precarietà.

Perché siamo per un’Europa che vuole scommettere su una rivoluzione delle politiche economiche, sociali e del lavoro a tutela di tutte le persone.

Perché ciascuno di noi è prima di tutto persona.

La nostra adesione alla manifestazione nazionale Prima le Persone è una scelta doverosa – ha dichiarato la nostra Presidente Sara de Simonecoerente con la nostra storia di battaglie al fianco dei più deboli. Oggi, la crisi delle politiche migratorie e delle politiche sociali ha portato a una progressiva perdita dei valori dell’accoglienza e dell’inclusione, generando sempre maggiore marginalità sociale ed economica anche in Italia.

Come Mani Tese, oltre a proseguire il nostro impegno al fianco dei popoli del Sud del Mondo, vogliamo impegnarci per un’Italia e un’Europa più umane, più giuste e più aperte, senza discriminazioni e senza muri”.

Aderisci all’appello

Informazioni logistiche sulla manifestazione

People – Prima le Persone – 2 marzo Milano – ore 14.00 Via Palestro Angolo Corso Venezia.
Il ritrovo per chi vuole marciare con Mani Tese è alle ore 13.30 davanti al planetario.

Di sole e di sabbia, le donne del Mozambico: una mostra fotografica a Milano

Dalla Zambezia nascono le splendide immagini della mostra DI SOLE E DI SABBIA presso Banca Etica dal 20 febbraio al 15 marzo 2019.

Dalla Zambezia nascono le splendide immagini della mostra DI SOLE E DI SABBIA – Le donne del Mozambico: immagini di vita quotidiana di Annalisa Vandelli, la fotoreporter che ha realizzato le immagini del calendario solidale di Mani Tese “People of Mozambique“, che mostrano uno squarcio di normalità scandita dal lavoro nei campi, dal mercato, dai corsi di alfabetizzazione, dallo svago. Una realtà estremamente diversa dalla nostra, ma che pure permette di riconoscersi in un sorriso, una lieve malinconia o un desiderio di riscatto.

La mostra DI SOLE E DI SABBIA nasce all’interno del progetto “Alfabetizzazione, formazione e diritti per lo sviluppo rurale in Zambézia – Mozambico” realizzato da Mani Tese e Nexus Emilia-Romagna e co-finanziato dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Modena.

DOVE E QUANDO

È possibile visitare la mostra a Milano presso Banca Etica, in Via Scarlatti 31, dal 20 febbraio al 15 marzo 2019 delle ore 8.45 alle 13.15.
L’ingresso è gratuito.

Per organizzare visite fuori dall’orario della Banca scrivere a milano@manitese.it.

L’INAUGURAZIONE

Siete tutti e tutte invitati/e all’inaugurazione della mostra che si terrà martedì 19 febbraio alle ore 19.00.

CHI È ANNALISA VANDELLI

Annalisa Vandelli è una fotoreporter e scrittrice che lavora in zone di emergenza e Paesi cosiddetti “in via di sviluppo”. Collabora con il Ministero degli Affari Esteri Italiano e insegna fotogiornalismo presso l’Università di Roma Tre. La sezione pontificia “Migranti e Rifugiati” usa le sue fotografie abbinandole alle parole di Papa Francesco in tema di promozione integrale della persona, soprattutto migrante. Ha pubblicato diversi saggi e romanzi. Suoi articoli, video interviste e fotografie sono stati pubblicati su diversi giornali, radio e televisioni.
Sue sono le immagini del calendario solidale 2019 di Mani Tese “People of Mozambique“.

MANI TESE IN MOZAMBICO

Mani Tese è presente in Mozambico dal lontano 1967, quando ha donato il primo trattore alla comunità di Alua. Da allora il suo impegno nel Paese è cresciuto con numerosi progetti che hanno visto la nascita di scuole di falegnameria, la costruzione di pozzi e mulini, l’organizzazione di corsi di alfabetizzazione, lo sviluppo dell’agroecologia, il sostegno alle unioni dei contadini, la promozione dei diritti delle donne e l’organizzazione di campagne contro l’AIDS.

Clicca sull’immagine per scaricare la locandina

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SOSTENIBILITÀ: IN KENYA STIAMO FORMANDO I GIOVANI ALLE TECNOLOGIE SOLARI

Al via il training tecnico su piccole lampade e kit solari per 5 giovani del Kenya

Lunedì 28 gennaio, nell’ambito del progetto Imarisha, cofinanziato dall’AICS Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo, è iniziata la formazione tecnica in tecnologie solari per cinque giovani del Kenya.

Il corso, realizzato da Mani Tese e Necofa, insieme ai partner tecnici CDF, Università di Milano, Eliante e WWF Italia, è tenuto da istruttori professionali del dipartimento solare del Rift Valley Institute of Science and Technology (RVIST).

I cinque partecipanti – di cui due provengono dalla zona di Mariashoni, due da Molo e uno dalla zona di Ndoinet – riceveranno una formazione sui temi della conoscenza dei sistemi solari e dell’installazione, montaggio, riparazione e fabbricazione di kit e piccole lampade solari.

L’obiettivo è formare un piccolo nucleo di trainers nelle diverse zone di provenienza dei partecipanti, che possano poi a loro volta raggiungere almeno trenta giovani da formare nelle varie aree coperte dal progetto. I due tecnici di Mariashoni saranno coinvolti anche nelle attività dell’upcoming solar kiosk.

Il corso durerà due settimane, fino all’8 di febbraio. Al termine, i partecipanti potranno sostenere un esame presso la National Industrial Training Authority (NITA).

formazione tecnologie solari Kenya Mani Tese 2019

GUINEA-BISSAU, IL DRAMMA DEI BAMBINI TALIBÈ

Intervista a Laudolino Carlos Medina, direttore di AMIC, associazione che si occupa della difesa dei diritti dei bambini in Guinea-Bissau.

Laudolino Carlos Medina è direttore di AMIC – Associaçào dos Amigos da Criança (Associazione amici dei bambini). AMIC opera in Guinea-Bissau dal 1984 in difesa dei diritti dei bambini, coinvolgendo le comunità di origine e la società in generale e contribuendo al reinserimento dei bambini in situazioni di vulnerabilità, come i bambini di strada, le vittime dello sfruttamento economico, della tratta e le ragazzine vittime di matrimonio forzato e precoce.

Dal 2018 AMIC è partner di Mani Tese in diversi progetti: RITORNO ALLA TERRA – processi di inclusione agricola, economica e sociale nel corridoio Gabu e Bafatàcofinanziato dall’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo (AICS) ; “Sensibilizzazione sui rischi della migrazione irregolare” finanziato dall’Organizzazione Internazionale per le Migrazione – OIM e nella protezione di minori vittime o fuggite da matrimonio forzato precoce, nell’ambito del progetto “Libere dalla violenza” co-finanziato dalla Delegazione della UE in Guinea-Bissau.

Solo nel 2018 AMIC ha riscattato 164 bambini e dal 2005 una media di 100 a 200 minori l’anno. Nonostante la legge guineana sul traffico 12/2011, i trafficanti arrestati sono stati solo 4 in regime di carcere preventivo e nessuno caso è ancora stato giudicato.

In occasione del convegno NUOVI MURI, NUOVI SCHIAVI, a cui Laudolino interverrà come relatore, lo abbiamo intervistato sul fenomeno del traffico di minori in Guinea-Bissau, in particolare sul dramma ancora poco conosciuto dei bambini talibè.

Quali sono le dimensioni del traffico di minori in Guinea-Bissau?

“Si tratta di una realtà che coinvolge tutto il Paese, è un fenomeno nazionale/interno e transnazionale e la Guinea-Bissau è sia un Paese di origine, sia di transito e in minor misura di destino per le vittime di traffico”.

Quali sono le tipologie di traffico di minori più diffuse?

“Esistono differenti forme di traffico di bambini/adolescenti, ma la più visibile è quella di cui si occupa AMIC dal 2005 (i cosiddetti bambini talibè), ossia dei bambini inviati con l’intenzione di apprendere il Corano in altri Paesi, ma che quando arrivano a destinazione vedono cambiare totalmente il proposito del loro viaggio e vengono sfruttati e destinati alla mendicità, a cui si dedicano tutto il giorno perché devono portare una certa somma di denaro la sera al trafficante, altrimenti vengono severamente puniti.  Molti bambini/adolescenti riescono a fuggire e rimangono in strada, dove vengono intercettati dalla Rete dell’Africa Occidentale per la Protezione dell’infanzia (RAO) – che copre 15 paesi dell’Africa occidentale più la Mauritania – la quale informa AMIC (fondatrice della stessa) che si muove in Guinea-Bissau per localizzare la famiglia.

Anche il matrimonio forzato e precoce presenta caratteri di traffico, definito da due elementi essenziali: mobilità e schiavitù. Molte ragazzine vengono allontanate dalle proprie famiglie, che ricevono una dote, per essere sfruttate e abusate sessualmente da uomini anziani anche dall’altra parte del paese.

Vi sono anche casi nascosti di traffico interno di ragazze per prostituzione che non sono facili da identificare: ristoranti, motel, hotel sulle isole che organizzano feste e offrono ‘servizi’ a clienti locali e turisti”.

Qual è la forma più comune di “reclutamento”?

“Durante una particolare cerimonia religiosa che vede la partecipazione di molte persone, i cosiddetti ‘maestri coranici’, preparano un gruppo di bambini che cantano e recitano versi del Corano. Questa dimostrazione impressiona molto le persone, facendo loro credere che i bambini abbiano padronanza del testo sacro e ricevano un’educazione superiore alla media e facendo sì che le famiglie desiderino che anche i loro figli abbiano accesso allo studio.

Un’altra forma di reclutamento avviene attraverso bambini talibè che ritornano nei loro villaggi e fungono da intermediari, impressionando con elettrodomestici, attrezzature informatiche e altri beni di ‘lusso’ per convincere le famiglie che avranno gli stessi benefici se consegneranno i loro figli.”

Esiste una differenza di genere nel fenomeno del traffico di minori? Quali sono le forme più comuni di sfruttamento?

“Sicuramente il fenomeno riguarda i bambini maschi. Oltre all’elemosina, sono stati rilevati casi di bambini sfruttati anche nelle piantagioni di cotone del sud del Senegal.

Il fenomeno della mendicità riguarda i bambini maschi perché nella religione musulmana sono gli uomini a studiare il Corano. Per ciò che riguarda lo sfruttamento sessuale (matrimonio forzato e precoce) invece questa forma di traffico è specificamente femminile.

Uno studio sul fenomeno in Senegal promosso da UNICEF e Save the Children ha rilevato che su 6.600 bambini mendicanti nella regione di Dakar, il 30% era di origini della Guinea-Bissau. Ma anche la Guinea-Bissau è destinazione di bambini provenienti dalla Guinea Conakry, sfruttati nei campi di anacardi (prodotto più esportato dal Paese), come lustrascarpe o venditori di ricariche telefoniche”.

Anche i famigliari possono essere dei trafficanti?

“Sì, zii, cugini, persone della comunità sono coinvolti nel fenomeno.  In alcune comunità, quando il padre muore, la sposa e la famiglia ‘passano in eredità’ a cugini o zii, che vedono i bambini orfani di padre come pesi e li vendono ai trafficanti”.

Come fornite il vostro aiuto?

“Insieme al Servizio Sociale Internazionale dal 2005 Senegal, Mali e Guinea-Bissau (attraverso AMIC) è stato sviluppato un programma per identificare le vittime, effettuare la ricerca dei famigliari, spiegare loro il fenomeno e garantire un dignitoso rientro nei propri villaggi con un progetto di vita e un accompagnamento individualizzato. Nel 2010 si è costituita la Rete ed è stata così rafforzata la metodologia attraverso standard che sono stati in seguito adottati dalla CEDEAO (Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale) per la cura dell’infanzia vulnerabile in situazione di mobilità”.

Come reagisce la comunità d’origine al ritorno di un minore trafficato?

“Ogni caso è unico, alcune comunità li accolgono facilmente, altri genitori invece oppongono resistenza e per questo si cercano parenti prossimi che siano favorevoli al ritorno dei bambini e all’inserimento nelle loro famiglie”.

Conosce qualche storia di reintegrazione di un minore all’interno della propria famiglia/comunità avvenuta con successo?

“Amadou è un ex bambino trafficato si è impegnato nella sua reintegrazione personalmente. Ci telefona ancora dopo anni tenendoci informati sulla scuola e sulla sua vita. Amadou vuole essere un leader, un governante di questo Paese per migliorare la situazione dell’infanzia, evitare che altri bambini soffrano quello che lui ha vissuto e offrire loro quella seconda opportunità che lui stesso ha ricevuto.

Un altro ragazzino della Sierra Leone, identificato in Guinea-Bissau, a cui AMIC ha organizzato il reintegro con un progetto di vita sul piccolo commercio nel suo Paese di origine, dopo qualche anno insieme al padre è tornato a vivere in Guinea-Bissau. Oggi vende moto e ancora ci chiama per ringraziarci”.

 

SBARCHI, LETTERA APERTA DELLE ONG AL MINISTRO DELL’INTERNO SALVINI

Le Ong esprimono forte preoccupazione sulla situazione degli sbarchi e chiedono un’azione immediata per far fronte alla crisi nel Mediterraneo.

Con una lettera aperta inviata al Ministro dell’Interno Salvini e per conoscenza al Presidente del Consiglio Giuseppe Conte, al Ministro degli Affari Esteri Enzo Moavero e alla Vice Ministro degli Affari Esteri Emanuela Del Re, le Ong italiane e europee esprimono forte preoccupazione sulla situazione degli sbarchi e chiedono un’azione immediata per far fronte alla crisi nel Mar Mediterraneo.

Ecco il testo della lettera:

Oggetto: Disposizioni europee tempestive e affidabili in materia di sbarco dei migranti

Gentile Ministro,

Noi, organizzazioni, reti e piattaforme firmatarie, Le scriviamo per esprimere le nostre serie preoccupazioni sulla situazione degli sbarchi e La esortiamo ad agire per far fronte alla crisi nel Mar Mediterraneo. Questa lettera è inviata a Lei e contemporaneamente a diversi Ministri degli Interni di altri Paesi membri dell’Unione Europea perché la soluzione agli sbarchi dei migranti nel Mediterraneo non può che venire da un’assunzione di responsabilità comune. Da gennaio 2018, 2.275 (stima UNHCR) donne, bambini e uomini sono annegati nel Mediterraneo. Nel frattempo, i leader dell’Unione europea si sono resi complici della tragedia che si sta svolgendo davanti ai loro occhi.

Per oltre sei mesi, i governi europei hanno cercato – fallendo – di trovare un accordo su un sistema che consentisse ai sopravvissuti di sbarcare in sicurezza quando raggiungono la costa europea. Allo stato attuale, ogni volta che una nave cerca di portare le persone appena salvate in un porto europeo, i governi dell’UE si affannano in prolungati dibattiti su dove la nave può sbarcare e su quali paesi possono ospitare i sopravvissuti per esaminare le loro domande di asilo. Nel frattempo, donne, uomini e bambini, che spesso portano con loro le cicatrici fisiche e mentali del viaggio, e le torture dei centri di detenzione libici, vengono bloccati in mare, talvolta per quasi un mese. E la missione navale dell’UE nel Mediterraneo, l’operazione SOPHIA, rischia di essere interrotta perché i governi europei non riescono a trovare un accordo su dove sbarcare le persone salvate.

Inoltre, i governi europei esercitano un’indebita pressione sulle organizzazioni della società civile che conducono missioni di ricerca e salvataggio nel Mediterraneo. Piuttosto che sostenere queste attività nel tentativo di salvare vite umane, alcuni Stati membri (dell’UE) hanno reso più difficile la loro operatività hanno rivolto accuse infondate contro di loro, e hanno impedito ai mezzi di ricerca e salvataggio di lasciare i porti. Mentre l’anno scorso erano cinque le organizzazioni che stavano conducendo operazioni di ricerca e salvataggio nel Mediterraneo, oggi solo una è in grado di farlo.

Le azioni dei governi europei hanno reso estremamente difficile per le organizzazioni che si occupano di ricerca e salvataggio di continuare il loro lavoro e hanno dissuaso altre imbarcazioni dal rispettare gli obblighi di salvare le persone in difficoltà e di riportarle nel luogo sicuro più vicino. Di conseguenza, il Mediterraneo è diventato uno dei mari più letali del mondo. In gennaio, un elicottero della Marina Militare ha salvato tre persone, che hanno testimoniato di come la loro nave avesse lasciato la Libia con 120 donne, bambini e uomini a bordo. Tutti risultavano annegati. A ciò si aggiunga che le persone che vengono rimpatriate con la forza in Libia rischiano di essere poste in detenzione arbitraria, maltrattate, torturate o vendute come schiave. Secondo l’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati, oltre 15mila persone sono state rimpatriate in Libia nel 2018.

In base al diritto internazionale, le persone soccorse in mare devono essere portate nel luogo di sicurezza più vicino, dove dovrebbero essere trattate con rispetto, offrendo loro protezione. L’Europa si è impegnata a salvare vite umane nel Mediterraneo e a condividere la responsabilità dell’accoglienza dei rifugiati. Il diritto di chiedere asilo e il principio di non respingimento sono ribaditi nei Trattati dell’Unione europea, che dichiarano inoltre che l’Unione si fonda sui valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani. Questi sono i valori in cui tutti noi crediamo e la legge a cui siamo vincolati. Dovrebbero essere sostenuti a prescindere dai disaccordi politici, perché sono le fondamenta del nostro vivere civile.

Le chiediamo, in occasione della prossima riunione informale del Consiglio Giustizia e Affari Interni dell’UE, di raggiungere un accordo su disposizioni tempestive per lo sbarco che salveranno vite umane e rispetteranno i diritti fondamentali delle persone, compreso il diritto di chiedere asilo. In particolare, chiediamo al Consiglio di:

1. Sostenere le operazioni di ricerca e salvataggio: I Paesi dovrebbero consentire a tutte le navi che svolgono attività di ricerca e salvataggio di attraccare nei loro porti, sbarcare le persone che sono state salvate e ritornare in mare in modo tempestivo. Il tentativo di impedire le operazioni di salvataggio delle ONG e delle navi commerciali è un approccio pericoloso che mette a rischio vite umane e mina la fiducia dei cittadini nei confronti dei governi per risolvere la situazione.

2. Adottare disposizioni tempestive e affidabili per lo sbarco: in attesa dell’adozione di una riforma positiva del sistema di Dublino, che includa un meccanismo permanente di ripartizione delle responsabilità, si dovrebbero attuare disposizioni per garantire lo sbarco e la distribuzione tempestiva tra gli Stati membri dell’UE delle persone soccorse. Le ONG hanno presentato proposte concrete per le disposizioni relative alla ricollocazione dopo lo sbarco. Data l’urgente necessità di misure sulla ripartizione delle responsabilità, gli accordi dovrebbero essere concordati immediatamente e gli Stati partecipanti dovrebbero essere identificati fin dall’inizio, e non in modo emergenziale “nave per nave”. Nessun accordo dovrebbe esonerare gli Stati membri dagli obblighi giuridici derivanti dal diritto dell’UE, dal diritto internazionale dei rifugiati o dal diritto marittimo.

3. Cessare i respingimenti in Libia: La Libia è un paese lacerato dalla guerra, dove rifugiati e migranti sono regolarmente detenuti in condizioni orribili che violano i loro diritti umani fondamentali. Le donne, i bambini e gli uomini che vengono rimpatriati in Libia dalla guardia costiera libica sostenuta dall’UE o su istruzione dei Centri di Coordinamento del Soccorso Marittimo, devono affrontare una detenzione automatica e arbitraria e il rischio reale di torture e altre gravi violazioni dei diritti umani. Fonti autorevoli, comprese alcune delle organizzazioni firmatarie, hanno documentato casi specifici in cui le persone intercettate o salvate sono state torturate e maltrattate al loro ritorno in Libia. L’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati, UNHCR, ha esortato gli Stati ad astenersi dal rimpatrio di cittadini di paesi terzi in Libia a causa del rischio per la loro sicurezza. I governi europei dovrebbero stabilire chiari parametri di riferimento, compresa la fine della detenzione arbitraria, ed essere pronti a sospendere la cooperazione e l’assistenza alla guardia costiera libica se i parametri non vengono rispettati.

La situazione sta diventando più che mai urgente e La invitiamo ad agire immediatamente.

Cordialmente,
Francesco Petrelli – Portavoce Concord Italia

A nome di:

AOI (Associazione delle organizzazioni italiane di cooperazione e solidarietà internazionale
Concord Italia (Piattaforma nazionale della confederazione delle ONG Europee)
GCAP Italia (Coalizione italiana di lotta contro la povertà)
Focsiv (Federazione delle organizzazioni cristiane di servizio volontario internazionale)
MSF – Medici Senza Frontiere Italia
Link2007
Marche Solidali
Consorzio Ong Piemontesi

ACRA, Action Aid, AIDOS – Associazione Italiana Donne per lo Sviluppo, Amici dei Popoli, Amref Health Africa, Arcs, Associazione Volontari Dokita Onlus, CEFA Onlus, CIES Onlus, CISV, COMI, COSPE Onlus, IPSIA-ACLI, Legambiente, LVIA, Mani Tese, Movimento Shalom, Osservatorio Aids – Aids Diritti Salute, Oxfam Italia, Progetto Sud-UIL, Sonia per un mondo nuovo e giusto, Terra Nuova Centro per il Volontariato, We World – GVC

E a livello europeo:
Médecins Sans Frontières (MSF)
SOS Méditerranée
ACT Alliance EU
Action Against Hunger
Caritas Europa
Churches´ Commission for Migrants in Europe (CCME)
Danish Refugee Council
The European Council on Refugees and Exiles
European Evangelical Alliance
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EX ILVA: MANI TESE SOSTIENE LA RACCOLTA FIRME CONTRO ARCELOR MITTAL

Mani Tese ha aderito all’iniziativa dell’ambientalista Manna, che chiama i cittadini di Taranto a sottoscrivere un esposto nei confronti di Arcelor-Mittal

Con la firma della sua presidente, Sara de Simone, Mani Tese ha ufficialmente aderito all’iniziativa dell’ambientalista Luciano Manna, che chiama i cittadini di Taranto, e di altre città di Italia, a sottoscrivere un esposto nei confronti di Arcelor-Mittal, a seguito delle “emissioni non convogliate che si verificano durante il giorno e la notte dagli impianti del siderurgico tarantino”.

“Le emissioni nocive e cancerogene” – si sottolinea nell’appello di Manna, un vero e proprio ‘human rights defender – “provengono dalle cokerie, dagli altoforni, dalle acciaierie e da altri impianti già sequestrati dalla Magistratura nel 2012” e “farebbero prefigurare la violazione dell’articolo 674 del codice penale: getto pericoloso di cose”.

Per Sara de Simone, “L’ex ILVA è il più grande caso di ingiustizia ambientale in Europa. Da oltre cinquant’anni, ai cittadini viene sistematicamente negata ogni possibilità di partecipare alle scelte di sfruttamento delle proprie risorse naturali. E’ tempo di cambiare il paradigma industriale che Taranto rappresenta e pianificare, proprio partendo da Taranto, la transizione italiana verso un nuovo sistema industriale che sia in grado di coniugare la libertà di impresa con il rispetto dei diritti umani e l’ambiente”.

“Per questa ragione – conclude de Simone – ho firmato l’esposto collettivo alla procura locale e invito gli amici, i sostenitori e i simpatizzanti di Mani Tese a fare altrettanto andando sul sito www.tarantolibera.it. Perché non c’è giustizia senza partecipazione”.

Domenica 3 febbraio dalle 10 alle 13 in Piazza della Vittoria a Taranto proseguirà la raccolta firme per sottoscrivere l’esposto.

Per approfondire:

La Summer School di Mani Tese sulla giustizia ambientale a Taranto
L’inchiesta “I bambini di Taranto vogliono vivere”
Taranto, la voce dei cittadini oltre i ricatti dell’Ilva
Il diritto al futuro di Taranto