PREVENIRE IL CORONAVIRUS ANCHE NEI MERCATI DI QUELIMANE

Il sindaco di Quelimane, Manuel de Araújo, spiega le misure adottate dalla città per contrastare la diffusione del Covid-19 nei mercati comunali.

Dopo la riqualificazione di quattro mercati nell’ambito del progetto “Quelimane Agricola”, cofinanziato dall’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo, nuovi interventi sono stati effettuati dal Comune di Quelimane per garantire la sicurezza sanitaria ed evitare la diffusione del Coronavirus.

Ce ne parla in questo video proprio il sindaco di Quelimane, Manuel de Araújo, che ricorda gli interventi di riqualificazione, realizzati assieme a Mani Tese, ed elenca le misure di prevenzione introdotte fra cui la sensibilizzazione sul lavaggio delle mani e sull’uso della mascherina.

CAMBOGIA: IL LOCKDOWN NON FERMA LE ATTIVITÀ DI DAMNOK TOEK

Damnok Toek ha riorganizzato le proprie attività per sopperire alla chiusura delle scuole e continuare ad assistere i bambini più vulnerabili.

Nelle ultime settimane, in Cambogia, si è registrato un aumento dei casi di Coronavirus e il Ministro dell’Istruzione ha deciso di chiudere le scuole fino all’inizio dell’anno nuovo.

Le restrizioni hanno colpito anche le attività dell’associazione Damnok Toek che, col supporto di Mani Tese, accoglie i bambini e le bambine cambogiani/e vittime di traffiking e abusi.

L’associazione, attiva da oltre 20 anni, ha dovuto sospendere le lezioni a Neak Loeung, città a sud della Cambogia, e a Poipet, città di confine con la Thailandia. 

Insegnanti e assistenti sociali si sono allora organizzati per incontrare gli studenti uno per uno nelle loro case per distribuire e correggere i compiti e, al tempo stesso, per valutare se i bambini si trovano in condizioni di sicurezza.

Se necessario, tutti i beneficiari delle attività di Damnok Toek potranno ancora accedere ai servizi medici offerti dall’associazione

Inoltre, tutti i membri dello staff di Damnok Toek sono stati formati e comprendono l’importanza delle misure igieniche per prevenire la diffusione del Covid-19: durante le attività indosseranno mascherine e guanti e utilizzeranno disinfettanti per le mani, incoraggiando i bambini e le loro famiglie a fare lo stesso.

Qui alcune foto dello staff di Damnok Toek al lavoro:

Donne, educazione e agroecologia: tre sfide da tenere insieme per il Benin

Dalla valorizzazione del ruolo femminile ai programmi per la sovranità alimentare fino all’ambito educativo, altrettanto decisivo per il futuro delle comunità locali.

Il Benin è un piccolo Paese dell’Africa Occidentale situato nel golfo di Guinea. Ha una popolazione di poco meno di 12 milioni di abitanti e un indice di sviluppo umano che lo colloca al 163esimo posto della graduatoria su 189 Paesi registrati. Mani Tese lavora in Benin dal 1979, prima con azioni su tutto il territorio nazionale, in seguito, negli ultimi 10 anni in particolare, concentrandosi nella zona nord del Paese, nel Dipartimento dell’Atacorà, considerato uno dei più poveri del Paese. La strategia di azione che si è andata sviluppando negli ultimi anni ha messo al centro la valorizzazione, il rafforzamento e il riconoscimento del ruolo della donna nella società beninese. Questo approccio ha toccato dapprima l’ambito delle attività agricole e in un secondo momento l’ambito educativo, con una modalità che prevede un forte collegamento e interdipendenza tra questi ambiti.

Agroecologia: una chiave per la crescita economica e sociale

Rispetto all’ambito sovranità alimentare/agroecologia, la metodologia che Mani Tese utilizza parte dal lavoro con i gruppi di donne, già presenti nelle comunità e nei villaggi, e prevede il loro sviluppo sociale ed economico valorizzando i prodotti locali nelle fasi di produzione, trasformazione e commercializzazione delle rispettive filiere.

Questa scelta si basa sulla consapevolezza che le donne hanno un ruolo nell’ambito dell’economica agricola e sono elemento chiave per il sostentamento della famiglia, ma spesso questo rischia di essere marginale, sia da un punto di vista economico sia da un punto di vista sociale, a causa dell’assenza di mezzi e opportunità con conseguente impatto negativo sull’intera società.

L’altro aspetto della strategia è quello della valorizzazione dei prodotti locali a cominciare dal fonio, un cereale della tradizione agricola del Benin come di altre zone di quella parte di Africa, dalle ricche proprietà nutritive che negli anni è stato dimenticato e sostituito dal mais e dalla coltivazione, a scopo di rendita, del cotone. Il secondo ambito, quello relativo all’educazione, è strettamente collegato al primo poiché solo se alfabetizzate e formate le donne possono essere protagoniste nella vita sociale ed economica delle loro comunità di appartenenza.

Tra lavoro ed educazione

Per mettere in pratica questa strategia, Mani Tese, negli ultimi cinque anni ha realizzato e concluso in Benin tre progetti (Impresa sociale al femminile e percorsi educativi per la valorizzazione delle filiere agricole locali; Protagonismo femminile e sviluppo economico; Scuola diritti e agroecologia per le bambine e le donne in Benin) con cui sono state costituite, da un lato, tre imprese cooperative di donne nella filiera della manioca e dall’altro si è intervenuto sulle attività educative, avviando un primo programma nell’ambito della dispersione scolastica delle bambine con una parte di esercitazione pratica di orientamento al lavoro presso gli stessi gruppi di donne coinvolti nella filiera della manioca.

Relativamente alle azioni in corso, a novembre 2020 ha preso avvio il progetto Miglioramento della sicurezza alimentare e delle condizioni igienico-sanitarie delle comunità di contadini del Dipartimento dell’Atacorà. Il progetto si pone l’obiettivo di raggiungere tre risultati: l’aumento della produzione agricola delle comunità e la loro capacità di trasformare i prodotti coinvolgendo un totale di 1125 contadini, in particolare oltre che sulla manioca e sul fonio, già menzionati, a cui sarà dedicata anche la fase di trasformazione, si lavorerà su altre varietà locali di prodotti quali mais giallo, sesamo, patata dolce e igname; un migliore e più equilibrato apporto nutrizionale garantito dal coinvolgimento di 525 donne, promuovendo una maggior varietà di prodotti agricoli; in terzo luogo, l’incremento di acqua potabile attraverso la costruzione o riabilitazione di quattro pozzi con pompa a mano con i relativi comitati di gestione.

Terminerà, invece, a fine 2020 il progetto Scuola per tutti: Prevenzione dell’abbandono scolastico per assicurare il diritto all’istruzione in Benin. Anche in questo caso sono previsti due risultati: assicurare un regolare monitoraggio dei casi di abbandono ed intervenire tempestivamente per accompagnare le studentesse a rientrare a scuola; rafforzare la consapevolezza dei leader comunitari, delle famiglie e degli stessi studenti sull’importanza dell’istruzione.

A scuola dell’imprevisto

Dall’incertezza scatenata dalla pandemia una grande lezione di umiltà e di trasformazione sociale.

di Franco Lorenzoni, maestro elementare e scrittore

A bambine e bambini, ragazze e ragazzi è evidente che noi adulti non sappiamo come andranno le cose riguardo alla pandemia, che sta cambiando tanta parte delle nostre vite e delle nostre abitudini e rende incerto persino l’andare a scuola l’indomani. Non era mai accaduto che un numero così alto di scienziati invadessero televisione e web con le loro ipotesi, teorie, statistiche e previsioni. Mai abbiamo assistito in diretta al farsi della scienza riguardo alla cura di cui abbiamo bisogno, con tutte le contraddizioni, i passi falsi e le difficoltà di arrivare a soluzioni certe, efficaci e verificabili, seppur provvisorie.

Ma il non sapere, anche se semina inquietudine, è condizione umana da sempre e potrebbe dare nuovo senso alla scuola e allo studiare, alimentando il desiderio di conoscere e sostenendoci nella fatica dell’imparare. Questa inaspettata lezione di umiltà potrebbe aiutarci a ripensare a tante priorità sballate, che ancora orientano scelte economiche, consumi e abitudini sociali che stanno portando il pianeta al collasso. E allora armiamoci di pazienza e senza indugio andiamo a scuola dell’imprevisto.

La Didattica a distanza, che il riprendere del contagio sta nuovamente imponendo alla scuola superiore, esiste in certo modo da sempre nelle pratiche educative che allontanano gli oggetti di conoscenza privandoli di umore e senso, e nelle relazioni che rimuovono e avviliscono le energie e i corpi vivi di bambini e ragazzi. I corpi di ciascuno di noi, che mescolano nei modi più diversi emozioni e conoscenze, curiosità intellettuali e chiusure.

Confrontarsi con la complessità del mondo e, al tempo stesso, accorgersi e tenere nella giusta considerazione la complessità dei diversi modi di apprendere di ciascuno è la sfida di ogni proposta educativa.

Fra distanziamento fisico e necessità di avvicinare le energie

Un giorno una bambina, con icastica e geniale intuizione, definì il pianeta intero come qualcosa di tuttattaccato. L’espressione era così bella che fu giustamente ripresa e rilanciata perché, quella bambina non aveva solo creato una parola incollandone due, ma stava invitando a una nuova visione, esattamente come i seguaci di Gandhi, dovendo tradurre in italiano una concezione della vita e della lotta politica lontana dalla nostra tradizione, la condensarono in una nuova parola – nonviolenza – che oggi persino l’algoritmo riconosce e non sottolinea in rosso, pur essendo ancora assai lontana dal comune sentire.

Abbiamo tollerato per mesi che il necessario distanziamento fisico venisse assurdamente chiamato distanziamento sociale, mentre tutti sappiamo che solo avviando concreti processi di avvicinamento sociale possiamo cercare di aggrumare le energie necessarie per compiere l’enorme sforzo collettivo che ci permetta di affrontare la gravissima crisi in cui siamo precipitati.

Sforzo che riguarda in primo luogo la nostra immaginazione, perché i bambini, i ragazzi e tutti noi stiamo soffrendo e imparando tantissimo in questi mesi, ma non sappiamo ancora bene cosa stiamo imparando.

I curricoli del rammendo

E allora mi viene in mente che, forse, dovremmo provare a dar forma ed elaborare dei curricoli del rammendo, capaci di riprendere e riannodare i tanti fili sparpagliati di un’esperienza inedita e conturbante che sta mutando diverse cose nella percezione che abbiamo del mondo e delle sue fragilità, ma che ciascuno di noi ha finora percepito a modo suo, solitariamente. Per non correre il rischio di perdere la capacità di elaborare la portata di ciò che sta accadendo e intuirne collettivamente le potenzialità di trasformazione sociale, credo dovremmo ripensare con audacia alle priorità di ciò che insegniamo in questo anno così particolare. Se il curricolo è una “conversazione animata”, che ci aiuta a comprendere come alcune conoscenze possano intrecciarsi alla vita concreta di una classe o di gruppo che apprende, la grande sfida sta nell’accogliere pienamente la dimensione dell’incertezza nel nostro fare scuola.

A quante discipline scolastiche stiamo infatti ricorrendo più o meno consapevolmente in questi mesi, per cercare di capire qualcosa di ciò che sta accadendo?

Matematica e statistica, in primo luogo, per venire a capo del diluvio di numeri che continuano a inondare i telegiornali, ma anche geografia, per inseguire gli spostamenti del virus, e scienze, naturalmente, perché il virus si muove tra le molecole che compongono i corpi nostri e di altri animali. Abbiamo bisogno anche di un approccio empirico all’architettura, per guardare con nuovi occhi agli spazi che abitiamo e ai luoghi della città che sempre più dovremmo invadere con iniziative didattiche inaudite da praticare all’esterno. Particolarmente significativo potrebbe essere un incontro con la letteratura e la storia che ci faccia osservare ciò che accade da lontano, perché tornare alle narrazioni della peste di Manzoni, Boccaccio o Camus, ci potrebbe far comprendere meglio tante dinamiche e comportamenti, e magari approfondire la conoscenza di come si è diffusa l’influenza spagnola che, con i suoi 50 milioni di morti, esattamente un secolo fa doppiò le vittime della Prima guerra mondiale. Nei libri di storia ben poco spazio è dato all’antropologia medica e ai contagi che grande peso ebbero nel passato, provocando crisi di imperi e stermini di intere popolazioni, come accadde ai nativi americani dopo la conquista bianca di quel continente.

Le sfide che ci attendono

Di fronte a noi abbiamo un decennio che necessariamente dovremo dedicare alla cura. Cura dei territori che abitiamo e della Terra, cura delle relazioni reciproche, cura dei contesti educativi, perché a tutti sia data la possibilità di acquisire le conoscenze necessarie e imprescindibili per operare scelte difficili e lungimiranti.

Ma per arrivare a costruire collettivamente una cultura capace di mettere al centro la cura e un mutamento significativo dei nostri comportamenti, come ci chiede con forza la generazione di Greta, dobbiamo essere in grado di elaborare dei veri e propri curricoli dell’incertezza. Curricoli che sappiano mettere al centro le tante domande aperte dal futuro riguardo ai due temi imprescindibili con i quali ci confronteremo nei prossimi decenni: il surriscaldamento globale e la costruzione di una cultura della convivenza all’altezza delle sfide poste dalle grandi migrazioni che investiranno il nostro continente.

Alexander Langer, oltre trenta anni fa, indicava nella necessità di una radicale conversione ecologica la possibilità di riparare i danni inferti agli equilibri del pianeta. Una conversione dell’agricoltura, dell’industria, dei trasporti e dell’abitare è tuttavia possibile solo se saprà coinvolgere ciascuno di noi in prima persona, con la consapevolezza che le risposte le potremo dare solo mutando assai le nostre consuetudini e, prima, i nostri modi di guardare le complessità del pianeta che ci ospita.

C’è tanto lavoro educativo da fare nelle scuole e fuori, con impegno, costanza e lungimiranza.

POVERTÀ AL PLURALE: EFFETTI E DIMENSIONI DELL’ESCLUSIONE SOCIALE NELL’EDUCAZIONE

Il 20 novembre si è tenuto un convegno pubblico sulla povertà educativa nell’ambito del festival dei diritti dei bambini, delle bambine e degli/delle adolescenti.

In occasione della Giornata internazionale dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza sanciti dalla Dichiarazione ONU del 1989, e in preparazione del Festival dei diritti che si svolgerà nella primavera del 2021 a Città di Castello (PG), Mani Tese e la Fondazione Hallgarten-Franchetti Centro Studi Villa Montesca hanno organizzato un convegno pubblico intitolato Povertà al plurale: effetti e dimensioni dell’esclusione sociale nell’educazione.

L’incontro si è inserito nelle attività di Piccoli che Valgono!, un progetto finanziato dall’Impresa sociale Con i bambini, volto a promuovere azioni di contrasto al disagio minorile scolastico, a prevenire le cause di dispersione e abbandono dei percorsi educativi e formativi e a potenziare il ruolo della Comunità Educante, anche nella prospettiva di elaborare una strategia nazionale per fronteggiare l’aumento della povertà educativa in Italia.

Guarda la registrazione!

 

Dopo i saluti di Angelo Capecci, Presidente Fondazione Hallgarten-Franchetti Centro Studi Villa Montesca, di Simona Rotondi, Rappresentante dell’Impresa Con i bambini, di Giuseppe Merli, Dirigente del Servizio Istruzione, Università, Diritto allo studio e ricerca della Regione Umbria e di Giacomo Petitti, Responsabile Educazione Mani Tese, Mariangela Giusti, ideatrice e organizzatrice del Festival dei diritti dei bambini, ha raccontato la genesi dell’iniziativa e le fasi salienti dei suoi sviluppi negli anni.

La parola è passata poi ai relatori che erano stati invitati per declinare e in qualche modo attualizzare – ciascuno dal proprio punto di vista – il senso della ricorrenza, legandola al tema emergente delle povertà educative, anche alla luce degli eventi più recenti legati all’emergenza sanitaria.

Franco Lorenzoni, che ha proposto alcune idee per rinnovare la scuola primaria e prospettato una vera e propria Costituente per la scuola italiana, ha fatto eco Giovanni Biondi, presidente dell’INDIRE, che ha sostenuto la necessità di organizzare dal basso le numerose energie positive esistenti nei territori, mettendo in circolo le esperienze innovative che si stanno realizzando sia in contesti urbani, sia in contesti rurali.

La polisemia delle esperienze richiamate da Biondi è stata ripresa e approfondita dall’intervento di Maurizio Franzini che ha descritto le diverse condizioni di povertà che interessano i bambini e i ragazzi mettendole in relazione tanto alle cause, quanto agli esiti economici e sociali.

Il mosaico articolato e plurale delle povertà educative ha fatto infine da cornice all’intervento di Maria Rita Castellani, Garante dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, che nella prospettiva di contrastare l’allargamento e l’aumento delle tipologie di fragilità ha identificato alcune possibili linee di lavoro per il futuro.

Scarica il graphic recording dell’evento!

11. La scelta di oumarou

Oumarou ha deciso di non migrare e di rimanere in Burkina Faso per continuare a lavorare come agricoltore con la cooperativa Youkouma.

Oumarou ha 40 anni e vive nel Boulgou, la provincia del Burkina Faso da cui provengono la maggior parte dei migranti che incontriamo in Italia e nel mondo. Lavora nella cooperativa “Youkouma”, che significa “aiutarsi a vicenda” e si definisce un lavoratore, pio e onesto.

Oumarou è diverso da molti suoi connazionali che decidono di andare in Europa a cercare fortuna. Lui ha scelto un’altra strada e ci dice: “I giovani abbandonano le loro famiglie e il loro Paese per andare all’estero a fare gli stessi lavori che potrebbero svolgere qui, mettendo a rischio la propria vita durante il viaggio e affrontando mille pericoli e problemi anche una volta arrivati. Anche qui in Burkina si può riuscire: perché devo andare in Italia a coltivare pomodori, sfruttato, quando posso farlo qui, nella mia terra, accanto alla mia famiglia?”

Oumarou è un agricoltore: Youkouma, infatti, è una piccola cooperativa di produzione agroecologica di ortaggi. Coltivano cipolle, cavoli, melanzane, pomodori e lattuga, con tecniche agroecologiche che non prevedono l’utilizzo di pesticidi e sostanze chimiche: “questo ci permette di garantire la salute di noi produttori, dei nostri consumatori e del suolo su cui produciamo, a cui non vengono sottratti gli elementi nutritivi” dice Oumarou.

Grazie al sostegno di Mani Tese, Youkouma ha ricevuto dei materiali agricoli, ha installato un pozzo con pompa solare e finalmente ha una sede dove riporre il proprio materiale: “nel villaggio nessuno ci credeva – aggiunge Oumarou – invece abbiamo dimostrato che possiamo farcela e adesso siamo un riferimento per la produzione orticola nella zona”.

Youkouma è una delle 20 imprese selezionate dal progetto Imprese sociali innovative e partecipazione dei migranti per l’inclusione sociale in Burkina Faso cofinanziato dall’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo e dalla Fondazione Maria Enrica. Scopri altre storie sul nostro blog “L’impresa di crescere insieme”.

Una foto di Oumarou nei campi di Youkouma

 

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9. ATIJA E IL COVID-19

Atija ci racconta come procede il suo lavoro nonostante l’emergenza sanitaria.

Atija Pereira è una beneficiaria del progetto “Quelimane agricola” cofinanziato dall’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo.

Atija abita nel distretto di Namacurra e a lei abbiamo dedicato la prima e la sesta puntata del nostro videoblog “Le storie di Quelimane agricola”, in cui ci ha raccontato delle formazioni agroecologiche che ha ricevuto.

Ora Atija ha le conoscenze adeguate per coltivare i propri campi al meglio e può venderne i prodotti, così da avere i soldi per comprare il cibo e i vestiti per i suoi bambini.

In questo periodo di emergenza, Atija e la sua comunità sono attenti alle precauzioni per evitare la diffusione del contagio e lavorare in sicurezza, per questo utilizzano le mascherine realizzate grazie al progetto.

Fortunatamente per ora nessuno si è ammalato e tutti stanno bene, come ci racconta Atija in questo video:

 

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8. ANTONIO CI PARLA DEI MERCATI

António incontra i clienti e vende i suoi prodotti nei mercati.

Siamo tornati nel distretto di Nicoadala da Alberto António Ubre, beneficiario del progetto “Quelimane agricola”, cofinanziato dall’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo.

Avevamo già incontrato António nella terza e quinta puntata del nostro videoblog “Le storie di Quelimane agricola”, in cui ci aveva raccontato dei suoi campi dove coltiva riso e ortaggi e delle fiere agroecologiche organizzate da Mani Tese a cui partecipa.

Nonostante le difficoltà dovute al Covid-19, grazie al progetto sono stati riqualificati i mercati dove António vende i suoi prodotti e i suoi campi sono ora dotati di un impianto di irrigazione.

António ha inoltre apprezzato molto il libro di ricette, grazie al quale ha scoperto piatti nuovi e migliori di quelli a cui era abituato, come ci racconta in questo video:

 

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