KENYA, IL RISCATTO DELLE DONNE DAI DISASTRI NATURALI E DAI FURTI DI BESTIAME

Grazie al progetto Agri-change, il Sinyati Women Group si sta dedicando con successo all’apicoltura e alla frutticoltura risollevando la sua comunità, duramente colpita dalle inondazioni e dalla piaga dei furti di bestiame.

Tiaty è un territorio del Kenya purtroppo interessato dal costante furto di bestiame, una piaga che ha spesso conseguenze terribili e che coinvolge molti uomini, padri e mariti che spesso ci rimettono la vita lasciando le loro famiglie orfane di affetti e di reddito.

Per ovviare a questo grave problema, alcune donne si sono riunite all’interno di un gruppo, il Sinyati Women Group, con il proposito di non demordere, ma di cercare una fonte di reddito per le loro famiglie che fosse alternativa alla rischiosa pastorizia e che non generasse conflitti.

Grazie al progetto AGRICHANGE di Mani Tese, queste donne hanno ricevuto alcune piantine di alberi destinati sia allo sviluppo dell’apicoltura che a quello della frutticoltura nel loro territorio.

Purtroppo però un’altra tragedia, nel mentre, si è abbattuta sulla comunità: il lago Baringo è straripato, rompendo gli argini e inondando le case della maggior parte delle donne, costringendole così a trasferirsi in zone più sicure.

A causa delle inondazioni, le donne del Sinyati Women Group si sono ritrovate nell’impossibilità di procedere con le coltivazioni nei loro territori. Ma non si sono perse d’animo e hanno deciso di piantare tutte le piantine ricevute nella terra di Hellen, la presidente del gruppo, che fortunatamente non era stata colpita dal disastro naturale.

Quasi un anno fa, nello scorso mese di lugliosono stati così piantati ben 125 alberelli.

Oltre ad aver ricevuto le piantine, le donne sono state anche formate sulla gestione del loro frutteto. Attraverso le conoscenze acquisite, hanno potuto prendersi cura delle piantine e, durante l’ultima visita di controllo, il tasso di sopravvivenza delle piantine fornite era del 100%.

Le donne si sono date ruoli e compiti condivisi nella cura degli alberi e si riuniscono due giorni alla settimana per innaffiare le piantine.

Il gruppo, grazie a questo intervento, è molto motivato anche per quanto riguarda la sensibilizzazione degli altri membri della comunità sull’importanza di passare dalla loro tradizionale fonte di sostentamento, la pastorizia, ad altre attività economiche più sicure e sostenibili come la frutticoltura.

Dopo aver visto che tutte le piantine sono sopravvissute, le donne hanno iniziato, su loro iniziativa, a creare un vivaio e a usare la loro fattoria come luogo dimostrativo per le altre persone della comunità, fornendo a loro volta delle piantine.

“La frutticoltura è l’attività più sottovalutata in quest’area- ha dichiarato Hellen, la presidente del gruppo – La maggior parte delle persone misura la ricchezza in base al numero di capi di bestiame posseduti senza capire i benefici che la frutticoltura potrebbe avere non solo sul reddito ma anche sulla salute. Come gruppo vogliamo educare le persone sull’importanza di diversificare la propria fonte di reddito e speriamo che questo progetto dia davvero dei buoni frutti! Inutile dire che il nostro positivo risultato è per noi molto incoraggiante.”

La speranza di Hellen è quella di coinvolgere almeno altri cinquanta membri della comunità nella nuova impresa.

“Non è facile convincere le persone a lasciare il loro tradizionale lavoro per coltivare la frutta -, racconta Edna Stated, un’altra destinataria del progetto – Abbiamo un compito difficile davanti a noi ma siamo fiduciose”.

Queste donne sono davvero disposte a fare di tutto per cambiare la comunità in modo positivo. Il loro obiettivo a lungo termine, sostenuto dal progetto di Mani Tese, è che diverse famiglie della comunità diventino presto in grado di abbracciare la frutticoltura e di proteggere gli alberi circostanti.

Il progetto “Agri-change: piccole imprese grandi opportunità Sviluppo di filiere agro-alimentari nel bacino del fiume Molo” è promosso da Mani Tese e cofinanziato dall’Agenzia Italiana per la cooperazione allo sviluppo. È realizzato in collaborazione con i partner locali NECOFA e KOAN e i partner internazionali E4Impact Foundation, Università degli Studi di Torino, Associazione Produttori Apistici della Provincia di Milano (APAM), Società Italiana Veterinaria Agricola Milano (SIVAM), Università Cattolica del Sacro Cuore, sede di Piacenza.

Hellen davanti al frutteto

 

Moda: le pmi italiane motore della sostenibilità

Una ricerca di ALTIS e Mani Tese evidenzia il ruolo delle PMI italiane nella svolta sostenibile del settore della moda.

È stata presentata il 13 maggio 2021, durante il webinar “Made in sustainability: i piccoli che fanno la differenza. Un confronto con le PMI italiane della filiera della moda” la ricerca “Moda e sostenibilità: il ruolo delle PMI italiane” a cura di ALTIS Università Cattolica e Mani Tese.

La ricerca, realizzata nell’ambito del progetto Cambia MODA! cofinanziato dell’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo, è stata condotta su un campione di 20 piccole imprese attive nel settore moda-abbigliamento, accomunate da una particolare propensione e sensibilità verso il tema della moda etica e/o sostenibile.

Moda e sostenibilità, una crescente attenzione

Nel mondo, vengono prodotti oltre 100 miliardi di vestiti all’anno, soprattutto per l’incidenza della moda low-cost, molto impattante dal punto di vista ambientale e sociale, che ha portato dal 2000 al 2014 a raddoppiare la produzione di abiti a livello globale e ad aumentare il numero dei capi acquistati del 60%.

Il tema della sostenibilità nella moda è stato spesso sollevato a causa dei numerosi scandali che hanno messo in luce condizioni lavorative inaccettabili o casi di violazione dei diritti umani, oppure in relazione a una scarsa considerazione verso gli impatti ambientali generati. A questo si aggiunge una maggiore sensibilità verso la sostenibilità aziendale da parte dei consumatori, oggi più coscienti degli impatti della filiera.

Le PMI, protagoniste della moda sostenibile

Precedenti studi si sono concentrati sulle grandi aziende del settore, che godono di maggiore visibilità e potere di influenza lungo tutta la filiera. In realtà anche le aziende di piccole e medie dimensioni giocano un ruolo importante, in particolar modo in Italia, dove costituiscono lo zoccolo duro del comparto manifatturiero.

Dall’analisi del campione emerge infatti la capacità delle PMI di favorire una transizione del settore verso modelli più sostenibili e inclusivi. Il report mette in luce i fattori che possono favorire od ostacolare il processo e identifica gli spazi di miglioramento, su cui è stato possibile ipotizzare delle proposte per i diversi attori sociali – imprese, istituzioni ed enti del Terzo Settore – per sostenere ulteriormente la diffusione e il radicamento di comportamenti capaci di generare impatti sociali e ambientali positivi.

I risultati dell’indagine

L’osservazione e il confronto con le 20 aziende, operanti tra il nord ed il centro Italia, ha portato a identificare cinque temi rilevanti per la transizione sostenibile del settore moda:

  1. La gestione della catena di fornitura: le PMI possono più facilmente avere una conoscenza diretta degli attori coinvolti nella filiera ed effettuare maggiori controlli, dalla fase di selezione dei fornitori e per l’intera durata del rapporto. Una buona pratica è anche l’impegno verso la costruzione di filiere corte per stabilire rapporti collaborativi e generare valore per la comunità e il territorio di riferimento.
  2. La relazione con i clienti: costruire un rapporto di fiducia con i clienti è fondamentale per sostenere e valorizzare l’impegno nella sostenibilità, comunicare le proprie azioni in maniera trasparente ed educare il pubblico a creare consapevolezza sulla diversità e sul valore di un abbigliamento sostenibile rispetto all’offerta “tradizionale”, spesso difficile da percepire al momento dell’acquisto se non supportati da adeguate informazioni.
  3. La responsabilità verso dipendenti e collaboratori: le PMI del campione dimostrano una diffusa attenzione verso il coinvolgimento di collaboratori che condividano autenticamente i valori aziendali, così che possano integrarli nello svolgimento dell’attività quotidiana. Altro aspetto importante è l’attenzione all’inclusione lavorativa di persone fragili e alla formazione continua volta alla crescita personale e professionale, che ha generato diversi benefici alle organizzazioni.
  4. L’impegno verso la comunità: le imprese intervistate sono coinvolte in azioni e iniziative volte a favorire lo sviluppo del contesto di riferimento, soprattutto orientate al sostegno all’imprenditorialità e all’educazione a uno stile di vita sostenibile.
  5. I fattori ostacolanti: tra i fattori che ostacolano l’impegno delle PMI nella gestione degli aspetti sociali e ambientali c’è sicuramente un senso di isolamento dato dalla mancanza di adeguato supporto da parte delle istituzioni. Occorre una maggiore collaborazione anche con le grandi imprese od organizzazioni non-profit, al fine di condividere risorse, accelerare gli investimenti in attività di ricerca e sviluppo e poter contare su conoscenze e competenze complementari in relazione a specifiche tematiche sociali o ambientali.

 

Per concludere, si può affermare che le PMI del settore moda-abbigliamento sono essenziali per innescare un‘effettiva svolta sostenibile all’interno del sistema fashion. Gli elementi alla base di questa conclusione sono la presenza di legami forti e duraturi con il territorio e l’adozione crescente di una cultura imprenditoriale e organizzativa che favorisce l’integrazione delle logiche della sostenibilità all’interno dei propri sistemi gestionali e dei modelli di business.

Il report è scaricabile qui

Il report di ricerca è a cura di:
Laura Maria Ferri, Ricercatrice presso Università Cattolica del Sacro Cuore
Alessia Argiolas, Dottoranda, Università Cattolica del Sacro Cuore
Rachele Giglio, Studente, Università Cattolica del Sacro Cuore
Giosué De Salvo, Responsabile Area Advocacy, Educazione e Campagne di Mani Tese
Riccardo Rossella, Advocacy Officer e responsabile del progetto “Cambia MODA!” presso Mani Tese

DA BAMBINO DI STRADA A EDUCATORE: LA STORIA DI BORAN

Boran ha 16 anni e un passato difficile. Grazie al centro di accoglienza di Damnok Toek in Cambogia, è uscito dalla droga ed è diventato un aiuto per gli altri bambini.

Boran* è un ragazzo di 16 anni che ha vissuto per le strade di Poipet, in Cambogia, dove per sopravvivere, era entrato in una banda di strada diventando dipendente da droghe e alcol.

Prima della strada, Boran viveva con la madre e il suo patrigno. Dopo la separazione dei suoi genitori, il padre si era infatti trasferito.

A 11 anni Boran fu costretto dal patrigno a lavorare ogni giorno in un cantiere. Il patrigno lo picchiava e lo minacciava costantemente, soprattutto quando era ubriaco. Sua madre, invece, non riusciva ad esprimergli né amore né sostegno.

Boran decise quindi di scappare di casa e andò a vivere per strada. Per sopravvivere, entrò a far parte di una banda, all’interno della quale fu costretto a servire i ragazzi più grandi, a fumare sigarette, inalare colla e assumere altre droghe. Doveva inoltre chiedere l’elemosina e, a volte, rubare.

Nel febbraio del 2019, uno degli amici di Boran lo invitò a partecipare a un’attività organizzata dal Drop in Center** per bambini trafficati di Damnok Toek, partner di Mani Tese: la Mobile Rehabilitation. Boran ancora non lo sapeva, ma questo progetto di riabilitazione avrebbe cambiato radicalmente la sua vita.

Giunto al centro, Boran all’inizio era troppo timido per parlare con gli altri bambini o con lo staff e si vergognava molto del suo stile di vita. Grazie al progetto, però, Boran e gli altri ragazzi hanno potuto fare tante esperienze in luoghi differenti come un campo da calcio, una piscina locale o posti in cui svolgere attività di gruppo.

“Questa è la prima volta che ho avuto cibo gratis e vestiti sportivi. Prima o costringevo i bambini più piccoli a trovare cibo per me oppure mendicavo io stesso” ha raccontato Boran.

“Il team di Damnok Toek non solo mi ha insegnato a praticare diversi sport – ha proseguito – ma anche a essere un uomo buono. Mia madre e il mio patrigno non me l’hanno mai insegnato. Mi hanno sempre rimproverato e picchiato”.

“Al centro sono stato incoraggiato e ho lavorato con la mia famiglia. Ora vivo di nuovo a casa e sono diventato un Peer Educator. Partecipo a molte attività nella mia comunità per aiutare altri bambini e giovani vulnerabili. Studio e partecipo a corsi di formazione.

Devo a Damnok Toek e ai donatori che lo sostengono un grande grazie per aver sempre aiutato e curato i bambini come me. Ora tutto nella mia vita è cambiato. Ho speranza e ho sviluppato capacità e competenze per condurre una vita felice. Inoltre non sto più assumendo droghe”.

Il Mobile Rehabilitation è l’unico programma di riabilitazione dalla droga a Poipet e aiuta a ridurre lo stress e l’abuso di droga attraverso sport, arte terapia e altre attività curative.

Anche tu puoi aiutare i bambini e i ragazzi come Boran a uscire dalla strada e dalle dipendenze con una donazione al centro di Damnok Toek: https://manitese.it/progetto/cambogia-centro-accoglienza-bambini-vittime-trafficking-rischio-abusi

*Boran è un nome di fantasia per proteggere la privacy del minore.

**Il Drop In Center offre uno spazio sicuro e adatto ai bambini di strada per prendersi una pausa dal loro lavoro quotidiano.

I bambini possono anche beneficiare di una lezione giornaliera di due ore di alfabetizzazione e calcolo, attività ricreative, pasti e un rifugio sicuro durante la notte.

L’assistenza si svolge regolarmente nelle strade, nelle discariche, direttamente nei comuni e dove i bambini lavorano al confine tra Thailandia e Cambogia. Ogni mese vengono organizzate biblioteche mobili e workshop nelle comunità per sensibilizzare bambini, giovani e adulti su argomenti come il traffico, l’importanza dell’istruzione, l’HIV, l’abuso di sostanze e lo sfruttamento sessuale. Un’unità mobile di riabilitazione viaggia nelle comunità 4 volte alla settimana per identificare e aiutare i bambini che fanno uso di droghe.

Qui di seguito alcune foto delle attività che si svolgono nel Drop In Center di Poipet:

Formazione educatori
Lettura e studio
Preparazione dei pasti
Giardinaggio
Sport
Incontri con le famiglie

10. ANTONIO, UN AGRICOLTORE FELICE

La produzione di Antonio sta andando bene e ha cominciato a coltivare anche mais e fagioli.

Per questa decima puntata del videoblog “Le storie di Quelimane agricola”, siamo tornati nel distretto di Nicoadala per incontrare nuovamente Alberto António Ubre, beneficiario del progetto “Quelimane agricola”, cofinanziato dall’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo.

Nelle precedenti puntate, António ci aveva raccontato con soddisfazione i vantaggi che aveva tratto dalle formazioni agroecologiche e dalla partecipazione alle fiere, dove poteva incontrare tanti clienti e vendere i propri prodotti, ma aveva anche testimoniato le difficoltà riscontrate dopo lo scoppio della pandemia di Covid-19.

Ora, però, il peggio sembra passato e António è felice di vedere i propri campi in buona salute. La produzione sta andando bene e ha cominciato anche a coltivare mais e fagioli che prima non coltivava. Adesso per António è più facile avere una sufficiente quantità di prodotti per la vendita nei mercati e per il consumo personale.

Guardate il video e ascoltate il suo racconto:

 

CONTINUA A SEGUIRE IL VIDEOBLOG “LE STORIE DI QUELIMANE AGRICOLA”

Che mondo sarebbe senza cooperazione?

Un mondo peggiore è possibile? Sì, senza cooperazione. Più frammentato, più insicuro, con più disuguaglianze. Un mondo peggiore per tutti.

CoLomba, la rete della cooperazione internazionale della Lombardia composta da 42 organizzazioni della società civile, promuove una campagna per immaginare gli scenari che si potrebbero configurare in un mondo senza cooperazione internazionale.

Quasi il 13% per cento della popolazione mondiale vive con meno di 1,90 dollari al giorno, percentuale che corrisponde, in valori assoluti, a 902 milioni di persone.

Questi sono solo alcuni dati che danno il quadro della diseguaglianza tra Nord e Sud del mondo, causa di guerre, violenza, crisi economiche e sociali che hanno inevitabili ricadute su tutti i paesi.

Un mondo così diviso alimenta guerre, violenza, crisi economiche e sociali che si riversano su tutti i paesi.

Tale situazione, però, può essere contrastata oltre che con politiche e riforme mirate, che spettano ai decisori politici nazionali e internazionali, con le azioni e le misure collettive promosse anche dalla società civile.

La Cooperazione Internazionale, impegnata su molti fronti per ridurre le disuguaglianze e migliorare le condizioni delle aree più vulnerabili del mondo, viene talvolta dimenticata da media e opinione pubblica. Spesso sono i pregiudizi e le fakenews che prendono il sopravvento e fanno sì che il vero valore della cooperazione internazionale sia sconosciuto ai più. Ma che mondo sarebbe se non esistesse? E su questo che la campagna di CoLomba vuole far riflettere.

“In questi mesi in cui il mondo è diventato più piccolo per via della pandemia di Covid 19 – afferma Alfredo Somoza, presidente di CoLomba – pensiamo sia importante ribadire il ruolo di ponte tra i diversi popoli della terra che storicamente hanno svolto le ONG di cooperazione e le associazioni di solidarietà internazionale. È ormai evidente a tutti che nessuno si salva da solo e che la lotta alla povertà, per il diritto alla salute e all’educazione, per la pace siano aspirazioni che ci accomunano. Le ONG e le associazioni che fanno parte di CoLomba lavorano da decenni per affermare questi principi e con questa campagna vogliamo parlare del nostro lavoro, farlo conoscere, coinvolgere i cittadini in un’impresa di portata globale. Tutti i nostri progetti, in Italia e nel Sud del mondo, contribuiscono a dare una prospettiva, a tracciare una strada di cooperazione reciproca, ad alimentare la speranza che sia possibile, insieme, costruire un mondo più giusto e più sostenibile”.

CoLomba – Cooperazione Internazionale Lombardia è l’Associazione delle Organizzazioni di Cooperazione e Solidarietà Internazionale della Lombardia. E’ attiva dal 2007 e attualmente riunisce 41 organizzazioni di cooperazione allo sviluppo e aiuto umanitario con sede in Lombardia, che intendono lavorare in rete per mettere in comune valori ed esperienze, in un settore decisivo per contrastare povertà e disuguaglianze.

In un contesto internazionale, sempre più complesso e sconvolto da guerre e pandemie, CoLomba vuole essere un punto di riferimento per le istituzioni, pubbliche e private, del proprio territorio in tema di cooperazione e solidarietà internazionale.

Con il nuovo Statuto e la costituzione dell’Associazione, possono far parte dell’Organizzazione tutte le associazioni, fondazioni, cooperative, imprese sociali, ETS o altri enti senza scopo di lucro che sono attivamente impegnate nel campo della cooperazione e della solidarietà internazionale.

I soci di CoLomba

ACEA – ACRA – Africa 70 – Altropallone – AMANI – AMI – ANPIL – ASPEm –Ass. Secco Suardo – AVSI – CAST – Celim MI – CESVI – CIAI – COE – COOPI – COSV – Deafal – Emergenza Sorrisi – Fondazione Cesar – Fondazione Ivo de Carneri – Fondazione PRO.SA – Fondazione Sipec – Fondazione Tovini – Guardavanti – Helpcode – ICEI – Il Sole – ISCOS – Istituto Oikos – IPSIA – Mani Tese – MLFM – NO ONE OUT – OVCI – MMI – Project for People – SMOM ONLUS – Waves Word – We World – VISPE – Perigeo

GUINEA-BISSAU, VISITA AGLI ORTI COMUNITARI NELL’AREA DI BOÉ

Il sopralluogo ci ha permesso di valutare quali opere idrauliche fossero necessarie per facilitare l’accesso all’acqua delle comunità.

Mani Tese è attiva in Guinea-Bissau con il progetto “JUNTAS: empowerment femminile nella regione di Gabu”, cofinanziato dall’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo, che ha l’obiettivo di migliorare le condizioni economiche e sociali delle donne e contrastare le diseguaglianze di genere.

Nell’ambito di questo progetto, negli ultimi giorni di marzo, si è svolta una visita a Boé, una delle aree più povere della Guinea-Bissau al confine con la Guinea Conakry. Qui l’Ong AIFO, capofila del progetto, ha realizzato una serie di orti e Mani Tese, forte della sua lunga esperienza in materia, sta effettuando delle formazioni sull’agroecologia che vuole essere strumento di emancipazione femminile.

La visita ha toccato tre diverse comunità (Tchetché, Tchancum Sate e Malangari) e lo scopo principale della visita, ci racconta il nostro capo progetto Marco Cazzolla, era capire quali opere idrauliche potessero facilitare l’accesso all’acqua dei beneficiari e delle beneficiarie degli orti.

Il primo orto che abbiamo incontrato, ci racconta Marco, è l’orto della comunità di Tchetché che è gestito da sette donne e tre uomini. L’orto è piuttosto piccolo, ma si trova vicino al fiume e può quindi godere di un’ampia disponibilità d’acqua.

Qui l’ingegnere del gruppo, Eugenio Ampa Djalank dell’Associaçao Poceiros de Sao Domingos, ha consigliato l’utilizzo di una pompa idraulica per prelevare l’acqua dal fiume e la costruzione di una cisterna, posta a una decina di metri dal suolo, per raccogliere l’acqua. Il pompaggio dell’acqua potrebbe avvenire tramite l’utilizzo di un motore a benzina, oppure tramite pannelli solari posizionati sopra la cisterna, mentre per l’irrigazione degli orti servirebbe un rubinetto per regolare l’uso dell’acqua.

In alternativa alla cisterna, ha aggiunto l’ingegnere, si potrebbe costruire una specie di piscina dove finisca l’acqua pompata dal fiume. I/le contadini/e potrebbero così recuperare l’acqua con un secchio e irrigare i campi.

Dopo aver visitato la comunità di Tchetché, il viaggio è continuato verso Tchancum Sate nota per la produzione dell’olio di palma.

Qui l’orto comunitario è gestito da dodici donne e otto uomini e si trova in un’area con molta umidità e terreno fertile. È servito da un pozzo rudimentale (che presenta solamente un buco e nessuna costruzione in cemento) tramite il quale viene raccolta l’acqua con un secchio e una corda. La proposta dell’ingegnere è quella di costruire una cisterna sopra il pozzo in cui l’acqua possa essere immagazzinata tramite un sistema di pompaggio a pannelli solari e l’uso possa essere regolato tramite un rubinetto. Inoltre potrebbe essere costruito un muretto in cemento a protezione del pozzo.

Una curiosità su Tchancum Sate è che si tratta di una comunità nomade che, in alcuni momenti dell’anno, si sposta a vivere nei boschi alla ricerca di terreni per coltivare il riso e l’arachide.

Dopo la visita a Tchaum Sate, abbiamo deciso di passare la notte presso l‘albergo costruito dall’Ong olandese Chimbo, che si occupa della conservazione degli scimpanzé molto presenti in quest’area.

Il giorno seguente ci siamo diretti a Malangari che è la più isolata delle tre comunità: per raggiungere la destinazione, infatti, è stato necessario lasciare la macchina, attraversare un fiume in canoa e camminare per circa due chilometri.

Qui, l’orto è gestito da dodici donne e un solo uomo. Come a Tchancum Sate, anche a Malangari  troviamo un pozzo rudimentale e l’ingegnere idraulico Eugenio ha suggerito di aumentare la profondità e il diametro del pozzo e di costruire un muretto in cemento per evitare possibili incidenti. Purtroppo, la mancanza di una strada diretta a Malangari comporterà un aumento dei costi di trasporto del materiale, ma questi ostacoli non fermeranno il nostro lavoro!

Un ringraziamento a tutti coloro che hanno effettuato questa visita di monitoraggio. Di Mani Tese: Marco Cazzolla, capo progetto; Braima Baldé, agronomo; Malam Jau, autista. Di AIFO: Mamadu Djau, animatore agricolo e Moreira Mamadu Jalò autista. Dell’Associaçao Poceiros de Sao Domingos: l’ingegnere idraulico Eugenio Ampa Djalank.

Se vuoi contribuire alla realizzazione del progetto “JUNTAS: empowerment femminile nella regione di Gabu” clicca qui: https://manitese.it/progetto/juntas-empowerment-femminile-nella-regione-di-gabu

Qui di seguito alcune foto della visita agli orti di Boé:

Comunità di Malangari
Orto di Malangari
Orto di Tchetché
Orto di Tchancum Sate

Earth Day: Milano lancia “Food Wave”, la comunità di giovani attivisti che chiede cibo buono per il clima e per le persone

Un’iniziativa del Comune di Milano, in collaborazione con Mani Tese, Acra e Action Aid, che coinvolge migliaia di attivisti under-35 provenienti da tutta Europa per promuovere sistemi alimentari urbani equi e sostenibili entro il 2030.

Giovani, cambiamento climatico e attivismo: sono le tre parole chiave del nuovo progetto Food Wave, volto a sensibilizzare e coinvolgere i giovani dai 15 ai 35 anni, affinché possano guidare la transizione globale verso un sistema alimentare sostenibile entro il 2030.

Il progetto è cofinanziato dalla Commissione Europea con circa 8 milioni di euro attraverso il programma DEAR (Development Education and Awareness Raising) e guidato dal Comune di Milano in collaborazione con Mani Tese, ActionAid Italia, ACRA e partner stranieri.

Food Wave mira a raggiungere 15 milioni di giovani attraverso una piattaforma web e una campagna digitale dedicate. Nel corso del progetto, i giovani saranno coinvolti in un ampio programma di apprendimento formale e non formale, street action, forum di discussione, art contest e scambi internazionali incentrati su pratiche di produzione e consumo alimentare volte a mitigare il cambiamento climatico e finalizzate alla co-progettazione di un futuro verde e inclusivo per le nostre città.

Mani Tese, in particolare, in Italia si occupa dell’organizzazione delle scuole di attivismo sul tema CIBO, CLIMA E CITTÀ, di cui una già conclusa con successo e un’altra in partenza nelle prossime settimane.

“Le scuole di attivismo hanno l’obiettivo di ridare senso a parole abusate quali sostenibilità e biologico – dichiara Giosuè De Salvo, Responsabile Advocacy, Campagne ed Educazione di Mani Tese – di rafforzare il ruolo di changemaker dei giovani e di rivitalizzare l’azione del terzo settore attraverso la contaminazione con i movimenti giovanili per la giustizia climatica e sociale

L’Earth Day

In occasione dell’Earth Day, che quest’anno affronta in modo particolare il cambiamento climatico con il Summit globale negli Stati Uniti organizzato dal presidente Joe Biden, Food Wave lancia la sua community online, collegando attivisti di 17 paesi e 21 aree urbane, tra cui Londra, Madrid, Varsavia e San Paolo in Brasile. Il progetto coinvolge infatti 16 comuni e autorità locali e 13 organizzazioni della società civile, guidate dal Comune di Milano. Il Consorzio Food Wave comprende anche C40, il network internazionale di città impegnate nella lotta al cambiamento climatico.

Il sondaggio di Mani Tese e SWG

Secondo un’indagine promossa dal centro di ricerca SWG e Mani Tese nell’ambito del progetto Food Wave, i giovani in Europa mostrano un alto grado di attivabilità sulle tematiche ambientali, ma ancora poca conoscenza: oltre il 70% dei giovani intervistati ritiene infatti che i consumatori possano giocare un ruolo decisivo nel ridurre l’impatto sull’ambiente con le loro scelte alimentari; tuttavia, solo 1 giovane su 4 mostra una consapevolezza adeguata del nesso cibo-clima. Questo è il motivo per cui è così importante rafforzare le conoscenze e le competenze dei giovani europei e la loro capacità di promuovere e monitorare la transizione agroecologica verso sistemi alimentari rispettosi dell’ambiente e dei diritti delle persone.

Per informazioni:

Web: www.foodwave.eu

Facebook: www.facebook.com/foodwaveproject

Instagram: www.instagram.com/foodwaveproject/

Hashtag ufficiali: #Foodwaveproject #CatchTheWave

Per cambiare il mondo occorre metterci le mani

On line la nuova campagna del 5×1000 di Mani Tese, che da oltre 50 anni “ci mette le mani” per combattere le vecchie e le nuove ingiustizie nel mondo.

Dal 1964 a oggi di strada Mani Tese ne ha fatta tanta. Fra progetti, campagne e iniziative, l’Ong si è sempre battuta per la giustizia sociale, ambientale ed economica sia in Italia che nel Sud del mondo.

È difficile condensare in poche parole ciò che una realtà così complessa e longeva rappresenta. La nuova campagna del 5×1000, tuttavia, ha raccolto questa sfida realizzando un video e una campagna per narrare in modo semplice e immediato l’impegno di Mani Tese.

Il video, della durata di un minuto e mezzo, racconta chi è e cosa fa Mani Tese attraverso clip, nuove e vecchie fotografie animate e illustrazioni. È stato realizzato da un team creativo di Mani Tese e Raccontami, network multidisciplinare dedicato alla produzione di contenuti per il terzo settore.

Oltre al video, la campagna prevede quattro poster ideati dal team di comunicazione di Mani Tese: quattro soggetti che raccontano l’impegno dell’Ong nell’ambito del cibo, dei diritti, dell’ambiente e dell’educazione. Ciascun soggetto rappresenta una storica battaglia contro un’ingiustizia di Mani Tese che oggi prosegue e si evolve nel contrasto a sfide complesse.

“Per cambiare il mondo non bastano i buoni propositi – recita il claim della campagna – Occorre metterci le mani”Mani Tese lo fa da oltre 50 anni e non ha nessuna intenzione di fermarsi, grazie anche al sostegno del 5×1000 per continuare a combattere, insieme, le vecchie e le nuove ingiustizie.

La pianificazione della campagna avverrà sulle piattaforme Facebook, Instagram e YouTube.

Visita la nostra pagina dedicata alla campagna 5×1000: https://manitese.it/cosa-puoi-fare-tu/5×1000-a-mani-tese