Burkina Faso, 20 nuove imprese contro la povertà

Nonostante la crisi, in tre anni Mani Tese ha avviato 20 imprese sociali ha e formato più di 900 giovani sull’informatica di base e le nuove tecnologie.

Nonostante in Burkina Faso gli attacchi alla popolazione civile siano sempre più frequenti nelle regioni del Nord e dell’Est, Mani Tese, ONG che da oltre 57 anni si batte per la giustizia nel mondo, prosegue il suo impegno nel Paese contro la povertà, sviluppando venti nuove attività produttive, imprenditoriali e innovative coinvolgendo donne, giovani locali e migranti della diaspora in Italia.

Si avvia infatti alla conclusione il progetto “Imprese sociali innovative e partecipazione dei migranti per l’inclusione sociale in Burkina Faso” cofinanziato dall’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo (AICS) e da Fondazione Maria Enrica, e realizzato da Mani Tese, in qualità di capofila, in partenariato con Fondazione ACRA, CeSPI, Chico Mendes, Fenafer-B, FIAB, Comune di Ouagadougou, Comune di Milano, ITAL-WATINOMA e associazione Watinoma.

In Burkina Faso i risultati del progetto sono stati presentati durante un evento pubblico il 1° giugno 2021. In Italia il progetto verrà illustrato il 13 luglio alle 18 in diretta on line con il coinvolgimento di alcuni dei protagonisti del progetto sia dall’Italia che dal Burkina Faso. L’evento è un’occasione per dare voce a tutte le realtà coinvolte, che potranno così raccontare in maniera diretta le loro esperienze.

La crisi in Burkina Faso

In Burkina Faso, Mali e Niger è in atto una crisi che sembra inarrestabile e che sta causando immani sofferenze alla popolazione civile: attacchi, morti e migliaia di sfollati che devono fuggire dalle proprie terre.“Le persone e, in particolare, le comunità rurali stanno soffrendo molto questa situazione di vera e propria guerra” racconta Giulia Polato, Responsabile Paese di Mani Tese in Burkina, che a Ouagadougou gestisce i progetti dell’Ong “Con il suo impegno e quello dei suoi collaboratori Mani Tese attualmente sta portando avanti cinque progetti per combattere la povertà diffusa che colpisce la sua popolazione. La povertà è purtroppo un terreno fertile per i terroristi, che riescono così a reclutare giovani senza prospettive di futuro”.

Il progetto “Imprese sociali”

Tra gli interventi di Mani Tese nel Paese in risposta alla povertà è quasi giunto alla sua conclusione il progetto, di una durata complessiva di 38 mesi, Imprese sociali innovative e partecipazione dei migranti per l’inclusione sociale in Burkina Faso” cofinanziato dall’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo e da Fondazione Maria Enrica.

Le diverse organizzazioni coinvolte – Mani Tese, capofila del progetto, e i già citati partner – hanno operato su più fronti per rispondere alle sfide della “terra degli uomini integri”. Nell’ambito del progetto sono state infatti numerose e importanti le attività imprenditoriali promosse.

Tra queste, la creazione e l’avvio di 20 piccole imprese di donne e giovani della filiera agro-alimentare nelle regioni Centro-Est e Centro-Ovest del Burkina Faso, che ha visto il coinvolgimento anche delle associazioni della diaspora burkinabé in Italia, sostenitrici di alcune di queste imprese grazie a un reinvestimento utile delle loro rimesse.

A queste imprese Mani Tese ha dedicato la web serie “Imprese per crescere insieme in Burkina Faso”, on line sul canale YouTube della ONG: una raccolta di 20 video (con sottotitoli in italiano e francese) che racconta le storie delle imprenditrici e degli imprenditori che hanno contribuito a crearle. A loro è anche dedicato un blog tematico sul sito di Mani Tese: “L’impresa di crescere insieme”.

Nell’ambito del progetto sono stati inoltre formati oltre 900 giovani e 60 insegnanti sull’informatica di base e le nuove tecnologie ed è stata avviata un’impresa sociale di commercializzazione di prodotti burkinabé sostenuta anche da campagne di sensibilizzazione sull’alimentazione sana e sostenibile.

Il progetto ha visto anche l’installazione di un impianto di irrigazione sulla cintura verde della città di Ouagadougou, la distribuzione di kit di orticoltura e motopompe a 201 donne agricoltrici della capitale e l’organizzazione, a Ouagadougou, del Forum Africano del Milan Urban Food Policy Pact, a cui hanno aderito diverse città africane raccogliendo la sfida per una prospettiva sostenibile di urban food system.

I risultati del progetto sono stati presentati a Koudougou il 1° giugno 2021 durante un evento alla presenza delle autorità locali, che hanno sempre accompagnato il progetto, e del direttore e dello staff dell’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo in Burkina Faso e Niger, che hanno seguito da vicino tutti gli interventi realizzati in questi tre anni.

All’evento erano presenti tutte le 20 imprese e alcuni dei produttori sostenuti dal progetto, con stand espositivi dei loro prodotti.

“È stato un lavoro impegnativo” conclude Giulia Polato “ma pensiamo di aver dato tutti gli strumenti alle imprese formate affinché siano solide e continuino a crescere. Non possiamo che augurare loro un beog neere (“avvenire migliore” in lingua locale mooré) per tutto ciò che le aspetta”.

Domenico Bruzzonedirettore della sede AICS di Ouagadougou, ha espresso la propria soddisfazione per il lavoro svolto, complimentandosi per l’impegno profuso dai partner dell’iniziativa e sottolineando come le tematiche relative all’inserimento lavorativo dei giovani e allo sviluppo dell’imprenditorialità siano due temi chiave dell’Agenzia. Mirko Tricoli, funzionario di supporto alla sede AICS di Ouagadougou e in precedenza referente per AICS del Summit Nazionale delle Diaspore in Italia, ha rimarcato quanto anche il coinvolgimento attivo della diaspora in questo progetto sia stato da apprezzare. Nel nostro Paese, infatti, la diaspora burkinabé è spesso un attore attivo, integrato e partecipe dello sviluppo economico: integrarla nel progetto non solo ha dimostrato un’attenzione particolare e una conoscenza delle dinamiche relazionali Italia-Burkina, ma anche “un perfetto allineamento con il lavoro e la strategia dell’Agenzia”.

Per informazioni sull’evento on-line del 13 luglio: cooperazione@manitese.it

Iscrizioni: https://manitese.it/l-impresa-di-crescere-insieme

Mani Tese aderisce alla Climate Open Platform

L’appello della società civile e dei movimenti per fermare e invertire gli effetti del cambiamento climatico e ridistribuire in modo equo risorse e benessere.

Da sempre Mani Tese promuove la giustizia ambientale nel mondo, come il diritto delle comunità a esercitare il pieno controllo sulle risorse naturali ed energetiche del proprio territorio.

Negli ultimi anni, però, il cambiamento climatico sta alterando l’accesso a queste risorse, causando gravi danni soprattutto alle popolazioni indigene del Sud del mondo.

Come spesso accade, sono i soggetti più vulnerabili a pagare il prezzo delle scelte scellerate delle grandi aziende e della politica.

Per questo motivo abbiamo deciso di aderire alla Climate Open Platform, una rete di organizzazioni e individui che vuole prendere voce in occasione della COP26 del prossimo novembre a Glasgow (Scozia), dove si riuniranno le nazioni di tutto il mondo per decidere sul futuro di tutti gli abitanti del pianeta.

Leggi qui sotto l’appello

Gli Accordi di Parigi della COP21 del 2015 sembravano un importante primo passo nella giusta direzione. A sei anni di distanza i risultati conseguiti sono largamente insoddisfacenti.

L’obiettivo di limitare il riscaldamento globale al di sotto di 1,5 gradi è stato messo in discussione, tanto che ora si parla di non superare i 2 gradi. Ma tra i due valori c’è un’enorme differenza rispetto all’impatto sugli ecosistemi e alla vita delle persone che vivono nelle zone più a rischio. Siamo stanchi che la crisi climatica non venga presa sul serio e siamo stanchi delle promesse vuote di politici e governi di tutto il mondo. Sono stati fatti timidi passi avanti, ma non si è ancora agito con la necessaria urgenza e concretezza, mentre già si abbattono su di noi fenomeni meteorologici estremi, desertificazione e molti altri eventi cataclismici. Siamo stanchi dell’opera di inquinamento e greenwashing del dibattito pubblico da parte delle compagnie petrolifere, delle lobby private e di tutti gli altri grandi devastatori del pianeta. Pensiamo sia importante che la vita sul pianeta venga difesa dall’approccio predatorio ed estrattivista che i potenti della terra hanno portato avanti negli ultimi secoli.

Per questo è fondamentale prendere voce in occasione della COP26 del prossimo novembre, a Glasgow (Scozia) dove si riuniranno le nazioni di tutto il mondo per decidere sul futuro di tutti gli abitanti del pianeta.

Le tappe di avvicinamento verso questo evento si terranno proprio nel nostro Paese, a Milanotra il 28 settembre e il 2 Ottobre. La Youth4Climate e la PreCOP sono chiamate ad avanzare raccomandazioni e a definire i temi chiave per i negoziati del mese successivo.

Diamo quindi vita al percorso “Climate Open Platform”. Come società civile movimenti vogliamo fare la nostra parte, monitorando e cercando di influenzare i processi istituzionali, in accordo con le associazioni e i movimenti che agiranno a Glasgow e che condividono il principio guida della nostra azione: la Giustizia Climatica.

Con giustizia climatica intendiamo quel cambiamento sociale, economico e politico volto a fermare ed invertire gli effetti del cambiamento climatico e ridistribuire in modo equo risorse e benessere a livello globale, attraverso un ruolo forte degli stati e la centralità della democrazia reale e della partecipazione.

Un impegno di giustizia che conferisce al riscaldamento globale una dimensione etica e politica, oltre che ambientale, e che esige di considerare l’impatto sproporzionato dei cambiamenti climatici sui cittadini e sulle comunità, sia nelle economie ricche che in quelle impoverite. I gruppi sociali e i popoli più vulnerabili sono infatti quelli che ne subiscono l’impatto maggiore anche se sono i meno responsabili delle emissioni climalteranti complessive. I diritti dei popoli, specialmente nelle aree del mondo storicamente e/o tuttora sfruttate, devono essere tutelati.

Premettendo che:

  • Nei rapporti IPCC (in particolare “Special Report: Global Warming of 1.5°C”), l’abbandono dei combustibili fossili è una costante per gli scenari di sviluppo che permetterebbero di raggiungere il traguardo degli 1.5°C. Pertanto è necessario che non siano autorizzati nuovi progetti di ricerca, estrazione, processazione (trasformazione) e consumo di combustibili fossili, e che si proceda ad una graduale riconversione di quelli esistenti, procedendo verso una giusta transizione.
  • UNFCCC sostiene che la transizione ad un’economia circolare sia necessaria: la produzione ed i consumi devono seguire i ritmi dettati dai reali bisogni umani compatibilmente con le risorse naturali. Abbandonando quindi l’idea di una crescita infinita in un mondo finito, anche la finanza deve cambiare radicalmente il suo approccio disinvestendo dalle fonti fossili e dai progetti estrattivi incompatibili con la tutela del pianeta e chi lo vive, reindirizzando le risorse verso iniziative realmente sostenibili e solidali.
  • Affinché la lotta per la giustizia climatica segua il consenso scientifico affidandosi alla migliore scienza a disposizione e affinché la comunità scientifica abbia un ruolo attivo nel contribuire a determinare gli obiettivi ed i passaggi della transizione verso uno scenario climatico stabile e sicuro per il pianeta e chi lo vive, la conoscenza scientifica deve essere libera, gratuita, accessibile e partecipabile. Nessuno deve trarre profitto sulla conoscenza scientifica e per questo ribadiamo anche la necessità che i vaccini per il Covid siano liberi dai diritti di proprietà intellettuale.
  • Numerosi studi e statistiche sottolineano il legame tra crisi climatica e violazioni dei diritti umani: il cambiamento climatico mette a rischio la sicurezza ed i mezzi di sostentamento di miliardi di esseri umani. I diritti umani (includendo ma non limitandosi a quelli sanciti nella carta internazionale dei diritti umani) e i diritti dei lavoratori e delle lavoratrici, devono essere garantiti per tutte e tutti, ovunque. Assieme ai diritti umani vanno riconosciuti i diritti della natura, così come sostenuto dalle cosmogonie indigene.
  • I popoli e territori che stanno soffrendo per primi e più duramente gli effetti della crisi climatica hanno in comune un passato di sfruttamento da parte delle potenze coloniali e sono quelli che hanno minori responsabilità per la crisi climatica. La lotta per la giustizia climatica è quindi una lotta antirazzista e anticolonialista. È necessario smantellare il sistema che continua a perpetrare disuguaglianze e sfruttamento su scala globale. È necessaria l’introduzione di riparazioni verso le comunità del Sud Globale e le comunità indigene di tutto il mondo, esigendo il finanziamento immediato del Green Climate Fund e ripagandole appieno attraverso una redistribuzione di potere e risorse, nonché la cancellazione del debito dei paesi più poveri.
  • La lotta per la giustizia climatica è una lotta transfemminista che promuove l’abolizione dei ruoli di genere e delle dinamiche patriarcali nella famiglia, nella società, nell’economia, nella politica ed in ogni altro contesto.
  • È ormai appurato il legame tra pandemia, zoonosi e distruzione degli ecosistemi. La tutela degli ecosistemi è tutela del benessere e della salute umana, e poiché vige una relazione di interdipendenza tra ogni essere vivente, è importante che venga protetta. Al perseguimento di questo obiettivo sarà fondamentale la COP15 sulla Biodiversità che deve definire limiti più stringenti per la conservazione della biodiversità e opporsi a tutti gli interventi che la alterano, a partire dall’introduzione di specie invasive fino all’inquinamento di suolo, acqua e aria.
  • La crisi climatica mette a rischio milioni di posti di lavoro in tutto il mondo. Per tutelare le lavoratrici ed i lavoratori è necessaria una giusta transizione ecologica, che non può avvenire a loro spese. Devono essere definiti, attraverso percorsi partecipativi, piani per la giusta transizione per pianificare un nuovo modello di sviluppo sostenibile e creare nuovi posti di lavoro e misure di giusta transizione, ammortizzatori sociali universali, formazione permanente e riqualificazione professionale. I diritti delle lavoratrici e dei lavoratori devono essere tutelati ed i loro mezzi di sostentamento garantiti durante e dopo la transizione verso un’economia sostenibile.
  • Il nostro pianeta, l’unico che abbiamo, è un bene comune condiviso da chiunque lo abiti. Ogni individuo ha diritto alla libertà di movimento e ogni migrante deve vedersi riconosciuti i diritti fondamentali, soprattutto in una situazione di crisi pandemica e climatica che aumenta le disuguaglianze su scala globale. La COP26 deve procedere speditamente per il riconoscimento dei migranti ambientali e relativo sostegno a programmi di adattamento e riparazione di danni e perdite (loss & damages).
  • I progetti delle grandi opere inutili, dannose e inquinanti non sono più sostenibili e vanno favoriti interventi più localizzati che garantiscano la salute dei territori e di chi li abita.
  • Riconosciamo il fondamentale ruolo che un’istruzione gratuita e libera dai finanziamenti dei privati ha nel dare a noi e alle prossime generazioni gli strumenti essenziali per immaginare e praticare una transizione ecologica e un cambiamento giusto ed equo.

A partire da queste premesse, la Climate Open Platform si propone di essere uno spazio di convergenza politica e organizzativa, in cui continuare un lavoro collettivo basato sul confronto e il consenso tra tutte le realtà e gli individui che vorranno prendere parte alla costruzione di questo percorso.

Durante l’ultima settimana di settembre, in contemporanea con gli incontri di Youth Cop e Pre Cop, Climate Open Platform organizzerà a Milano l’Eco-social Forum, una settimana, di eventi, iniziative, dibattiti, azioni, che mettano al centro la battaglia per la giustizia climatica e sociale, e scenderà in piazza il 1 e 2 ottobre, tornando a portare nelle strade della città la lotta per un mondo più giusto.

Inoltre Climate Open Platform valuterà la partecipazione o la solidarietà ad azioni e mobilitazioni non violente per la giustizia climatica organizzate da altri/e attivisti/e, organizzazioni e movimenti, che promuovano un orizzonte di rivendicazione coerente con questo appello.

Verso e durante questi importanti eventi vogliamo costruire un percorso che faccia sentire la nostra voce, la voce di tutte e tutti, la voce di chi vuole dare un futuro diverso al pianeta.

Diffondiamo, partecipiamo, organizziamoci!

L’impresa di crescere insieme

Incontro conclusivo del progetto “Imprese sociali innovative e partecipazione dei migranti per l’inclusione sociale in Burkina Faso”.

Martedì 13 luglio, dalle 18 alle 19.30, sulla piattaforma Zoom, si terrà l’incontro online “L’impresa di crescere insieme” in cui presenteremo i risultati del progetto “Imprese sociali innovative e partecipazione dei migranti per l’inclusione sociale in Burkina Faso” che ha visto nascere 20 nuove imprese sostenibili nel Paese anche con il sostegno dei migranti burkinabé.

Iscrizioni qui: https://us02web.zoom.us/j/87257535156

Il progetto è stato realizzato in collaborazione con: Fondazione ACRA, Chico Mendes Onlus Scrl, CeSPI (Centro Studi di Politica Internazionale), Ital Watinoma, Comune di Milano, FENAFERB (Fédération Nationale des Femmes Rurales du Burkina), FIAB (Fédération nationale des industries de l’agro-alimentaire et de transformation du Burkina), Comune di Ouagadougou, Association Watinoma.

PROGRAMMA

  • Introduzione e breve presentazione del progetto – Giovanni Sartor, Mani Tese
  • Il Burkina Faso oggi – Giulia Polato, Mani Tese dal Burkina Faso
  • Il percorso delle imprese: voci dal campo – Giulia Polato, Mani Tese dal Burkina Faso
  • La partecipazione della diaspora ai processi di cooperazione – Anna Ferro di CeSPI e Idriss Tarabure di Uabt
  • La musica e il teatro per promuovere l’agricoltura e il consumo sostenibile – Hado Ima, presidente di Watinoma Burkina Faso dal Burkina Faso e Flora Tognoli di Ital Watinoma
  • Consumare sano, consumare locale, l’esperienza di Ke Du Burkinabe – Elena de Giosa di ACRA e Irene Waongo, agente commerciale, dal Burkina Faso
  • “Eco bio. C’est la vie” La campagna di comunicazione – Gianluca Bozzia, Chico Mendes
  • Il Milan Urban Food Policy Pact e la dichiarazione di Ouagadougou – Cécile Michel, Segretariato del MUFPP

Iscrizioni qui: https://us02web.zoom.us/j/87257535156

L’evento è realizzato nell’ambito del progetto di cooperazione internazionale “Imprese sociali innovative e partecipazione dei migranti per l’inclusione sociale in Burkina Faso” sostenuto dall’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo (AICS) e dalla Fondazione Maria Enrica.

IL COPRIFUOCO SVELA TUTTA LA GRAVITÀ DEL FENOMENO DEI BAMBINI TALIBÈ

Da novembre a oggi sono stati 90 i minori di strada accolti nel centro in Guinea-Bissau sostenuto da Mani Tese e poi riunificati alle proprie famiglie.

di Giulia Inguaggiato, Cooperante di Mani Tese in Guinea-Bissau

È passato quasi un anno da quando, con lo scoppio della pandemia da Covid-19 nell’Africa Occidentale, le misure restrittive imposte dagli Stati per tentare di contenere il propagarsi della malattia, ed evitare le conseguenze disastrose che già si registravano da qualche mese nel resto del mondo, hanno messo in luce la gravità del fenomeno dei minori Talibé.

Con l’imposizione del coprifuoco da parte del Governo Senegalese, è emersa con maggiore chiarezza la debolezza di coloro che una casa nella quale vivere non ce l’avevano e che avevano fatto della strada la propria dimora. Nel solo maggio del 2020, sono stati individuati più di mille bambini in condizione di vulnerabilità. Numeri importanti che sono aumentati nel corso dei mesi e che hanno portato il Ministero della Famiglia senegalese a prendere la decisione di ritirare i bambini dalle strade ed accoglierli nei diversi centri di accoglienza, governativi e non, presenti sul territorio nazionale.

Effettuate le consuete operazioni volte a identificare la nazionalità dei minori con lo scopo di condurli nelle rispettive comunità di appartenenza, si è confermata la natura transfrontaliera del fenomeno. La maggior parte dei bambini erano senegalesi, ma sono stati identificati anche numerosi minori non accompagnati provenienti dalla Guinea-Bissau, dalla Guinea Conakry e dal Gambia. Numeri più contenuti si registravano, invece, per coloro che provenivano da Mali, Nigeria e Togo. Se i bambini di origine senegalese sono stati in poco tempo ricongiunti alle proprie famiglie, un diverso destino è toccato ai minori di altra nazionalità.

Le informazioni che giornalmente giungevano in Guinea-Bissau dal vicino Paese di confine hanno condotto istituzioni, organizzazioni internazionali, ONG e associazioni locali a costituire una Task-Force transfrontaliera per facilitare il rientro dei minori di origine guineense. Tuttavia, nonostante gli sforzi e le azioni congiunte, i minori non hanno potuto fare rientro in Guinea-Bissau prima di novembre dello stesso anno. L’emergenza pandemica, infatti, si è prepotentemente aggiunta a quella cronica che si registrava nel Paese, mettendo in luce le fragilità di uno Stato che da solo non è in grado di fronteggiare un fenomeno ampio e complesso. La chiusura delle frontiere terrestri ha certamente rallentato le operazioni di rientro, ma l’assenza di mezzi e risorse da parte dello Stato, uniti alle carenze strutturali determinate dalla mancanza di centri statali e all’impossibilità di fornire una risposta efficace capace di fare fronte a numeri tanto elevati, hanno ostacolato la possibilità di intervenire con maggiore rapidità.

Il contributo di AMIC, associazione locale che si occupa della protezione dei minori Talibé e con la quale Mani Tese coopera ormai da diversi anni, è stato fondamentale per superare la situazione di stallo venutasi a creare e grazie al progetto “Investire sul futuro: protezione, formazione e occupazione per i migranti di ritorno, i migranti potenziali ed i migranti minori non accompagnati in Senegal, Gambia e Guinea Bissau”, co-finanziato dall’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo, è stato possibile agire con risposte concrete. Dal primo ingresso avvenuto a novembre, sono stati accolti e riunificati alle proprie famiglie 90 bambini Talibé. Tutti i minori accolti nel centro di accoglienza temporanea di AMIC di Gabu, unico del Paese, hanno ricevuto supporto psico-sociale e assistenza sanitaria iniziali, oltre che kit di igiene e vestiti.

Nel corso di questi mesi, abbiamo anche contributo a rendere più accogliente il centro di AMIC, acquistando mobili e letti, dotandolo di un sistema di illuminazione alimentato con pannelli solari e fornendo la cucina di beni e servizi necessari per assicurare i pasti giornalieri. Abbiamo inoltre comprato strumenti musicali, giochi e materiale ludico e stiamo dotando il centro di un parco giochi per garantire ai minori un’accoglienza idonea e tentare di restituire, in parte, un’infanzia spesso negata.

Consapevoli che il reinserimento nelle comunità possa essere spesso difficile e complesso, stiamo anche assicurando un accompagnamento post-reingresso. Così, una volta ricongiunti alle comunità di origine, i bambini e le famiglie continuino a ricevere supporto psico-sociale, forniti da uno psicologo e da un assistente sociale che visitano i villaggi e che, allo stesso tempo, assicurano la reintegrazione scolastica, incontrando i maestri delle scuole comunitarie, pagando la retta di iscrizione e fornendo dei kit scolastici.

Stiamo facendo del nostro meglio per rispondere in maniera efficace a una crisi che non sembra possa dirsi superata. Continuiamo a ricevere liste contenenti i nomi di minori di origine guineense identificati in Senegal e adesso, considerata l’imminenza della stagione delle piogge che renderà ancora più difficili le operazioni di ingresso e reintegro dei minori e l’ormai prossima conclusione del progetto in corso, stiamo effettuando una vera e propria corsa contro il tempo.

Continueremo ad agire fino a quando ne avremo le possibilità, ma è chiaro che sarebbe opportuno un intervento più strutturato da parte dello Stato e una risposta che possa fare fronte alle complessità di un fenomeno nel quale usi, costumi e tradizioni sono ormai amalgamati alle ristrettezze economiche in cui ancora vivono parecchie famiglie nelle zone più remote del Paese e che probabilmente saranno acuite proprio dalla pandemia.

Agroecologia, avanti tutta! Un convegno sull’agricoltura sostenibile

Mani Tese promuove un convegno online sul tema dell’agricoltura sostenibile attraverso le esperienze di Padova e del Burkina Faso. Giovedì 17 giugno, a partire dalle 18.

Mani tese è felice di invitarvi al webinar online “Agroecologia, avanti tutta!” che si terrà giovedì 17 giugno 2021 a partire dalle ore 18.00 sulla piattaforma Zoom. (Iscrizioni qui: https://us02web.zoom.us/meeting/register/tZUtdOqhqTIjHNXH3TFFDObRvXVkFcLtxLqf)

Parleremo di agroecologia, che oggi rappresenta la via maestra per contrastare sia la fame che la crisi ambientale, ma il convegno sarà anche un’occasione di confronto in materia di agricoltura sostenibile, dalla produzione al consumo di cibo, e un momento per raccontare le nostre esperienze a Padova e in Burkina Faso, dove stiamo realizzando il progetto “Agroecologia, avanti tutta!”.

Il convegno prevede gli interventi di:

  • Francesca Benciolini, Assessora Cooperazione Internazionale del Comune di Padova
  • Giovanni Sartor, Responsabile Dipartimento Programmi Area Cooperazione Internazionale di Mani Tese
  • Giulia Polato, Rappresentante Paese in Burkina Faso per Mani Tese
  • Karim Sawadogo, Agronomo e Coordinatore del progetto “Agroecologia, avanti tutta!” di Mani Tese
  • Elisa Nicolé, Fattoria sociale “Fuori di campo” di Padova
  • Matteo Sando, Azienda agricola “Terre Prossime”
  • Massimo Greggi, Rappresentante Paese in Burkina Faso per We World – GVC

 

Il convegno è realizzato nell’ambito del progetto di cooperazione internazionale “Agroecologia, avanti tutta!” sostenuto dalla Regione Veneto (DDR n. 88 del 27.11.2019 – L.R. 16 dicembre 1999 n. 55) e dal Comune di Padova.

Per partecipare al convegno è necessario registrarsi al seguente link. Per informazioni potete scrivere a cooperazione@manitese.it.

Vi aspettiamo!

LAVORO MINORILE: STORIE DAL TAMIL NADU

Con lo scoppio della pandemia di Covid-19, il fenomeno del lavoro minorile si è ulteriormente aggravato: alcune storie di bambini lavoratori nel Tamil Nadu.

L’India è il Paese dove i dati sul lavoro minorile sono più drammatici. È infatti il Paese con il più elevato numero di lavoratori sotto i 14 anni e, in totale, di 168 milioni di bambini lavoratori nel mondo 78 milioni sono indiani.

Mani Tese è attiva in India con il progetto “Combattere e prevenire le schiavitù moderne in Tamil Nadu”, uno stato a Sud del Paese caratterizzato dalla grande presenza di industrie tessili. Qui lavoriamo, insieme al partner SAVE, per prevenire e contrastare il lavoro minorile.

Purtroppo lo scoppio della pandemia ha aggravato le condizioni economiche delle famiglie e di conseguenza il fenomeno del lavoro minorile. Qui di seguito riportiamo alcune brevi storie arrivateci nelle scorse settimane dal Tamil Nadu.

Alisha

Alisha ha 11 anni e vive a Muthu Nagar. I suoi genitori sono emigrati dal Bihar in cerca di lavoro e la famiglia è composta in totale da 8 membri. In questo momento di grande emergenza per la situazione legata al Covid-19, e per la difficoltà di trovare lavoro da parte dei genitori, Alisha è costretta a lavorare in una fabbrica tessile. In particolare, si occupa di sbrogliare il tessuto di scarto degli indumenti e di realizzare decorazioni per i vestiti. Ogni giorno può realizzare fino a 1000 decorazioni, ma guadagna soltanto 50 rupie, equivalenti a 57 centesimi di euro.

Shanmathi

Shanmathi ha 10 anni e vive a Eswaramoorthy Nagar. I suoi genitori lavorano entrambi in fabbrica: il padre come sarto e la madre nel controllo qualità. La famiglia è composta in totale da 4 membri. Da circa un anno anche Shanmathi lavora in fabbrica e si occupa della rifilatura presso la compagnia Shiva Tex. In un giorno lavora fino a 70 pezzi e può guadagnare al massimo 21 rupie al giorno, pari a circa 24 centesimi di euro.

Masum Raja

Masum Raja ha 9 anni e vive a Muthu Nagar. Come Alisha, anche i genitori di Masum Raja sono emigrati dal Bihar e la famiglia è composta in totale da 6 membri. A causa delle difficoltà economiche dei genitori, Masum Raja ha cominciato a lavorare in una fabbrica tessile dove realizza decorazioni per magliette. In un giorno può lavorare migliaia di decorazioni o sbrogliare un chilo di filo, ma guadagna soltanto 30 rupie, equivalenti a 34 centesimi di euro.

Swetha

Swetha ha 12 anni e vive a Eswaramoorthy Nagar. I suoi genitori sono sarti e lavorano nel settore dell’abbigliamento. Il loro reddito non è però sufficiente a dar da mangiare a tutti i membri della famiglia e così Swetha è costretta a lavorare. In particolare, la ragazza si occupa rifilatura presso la compagnia tessile Divya tex e guadagna 30 paise per ogni pezzo lavorato. In un giorno Swetha può rifilare fino a 100 pezzi e guadagna quindi, al massimo, 30 rupie al giorno, circa 34 centesimi di euro.

Abirami

Abirami ha 12 anni e vive a Thennampalayam. Il papà è un lavoratore giornaliero e la mamma lavora come addetta al controllo qualità in una fabbrica di abbigliamento. La sua famiglia è composta in totale da 5 membri. Abirami, costretta anche lei a lavorare per aumentare il reddito familiare, fa lavori di rifinitura e guadagna 35 paise per pezzo. In un giorno, lavora circa 100 pezzi, quindi di solito riesce a guadagnare 35 rupie al giorno, equivalenti a 40 centesimi di euro.

AIUTACI A SOSTENERE LE FAMIGLIE INDIANE DONANDO ORA TRAMITE UNA DI QUESTE MODALITÀ

  • Bonifico bancario intestato a Associazione MANI TESE ONG Onlus presso banca Popolare Etica (IBAN: IT 57 F 05018 01600 000010203040)
  • CCP, Conto Corrente Postale: n° 291278 intestato a Associazione Mani Tese ONG ONLUS, P.le Gambara 7/9, 20146 Milano

>>> Inserire come causale EMERGENZA INDIA <<<

AGRICOLTURA CIRCOLARE: STORIA DI ALBERTO INÁCIO

Alberto Inácio ci racconta i benefici che la comunità di Mudenga sta avendo, grazie al progetto “Agricoltura Circolare”.

Alberto Inácio è un beneficiario del progetto “Agricoltura circolare per ridurre la fame in Zambezia” che ha l’obiettivo di sviluppare l’agricoltura e l’allevamento nella Provincia della Zambezia, migliorando la sicurezza alimentare e la situazione nutrizionale delle famiglie locali.

Grazie al progetto, cofinanziato dall’8×1000 a gestione statale, Alberto Inácio e gli altri membri della comunità di Mudenga (distretto di Quelimane) hanno ricevuto semi, attrezzi agricoli e formazioni professionali, e ora si preparano a raccogliere il frutto del loro lavoro.

Guarda il video!

BURKINA FASO: EVENTO DI BILANCIO DEL NOSTRO PROGETTO DEDICATO ALLE IMPRESE SOCIALI

All’incontro hanno partecipato, oltre che le autorità locali e AICS, anche i rappresentanti delle 20 imprese e i produttori coinvolti nel progetto.

Il 1° giugno, nella città di Koudougou, nel Centro-Ovest del Burkina Faso, si è tenuto l’evento di bilancio del progetto Imprese sociali innovative e partecipazione dei migranti per l’inclusione sociale in Burkina Faso” cofinanziato dall’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo e da Fondazione Maria Enrica. Un progetto di 38 mesi che ha come obiettivo lo sviluppo di attività produttive, imprenditoriali e innovative, e il coinvolgimento di donne e giovani locali e di migranti in Italia.

Mani Tese, capofila del progetto, insieme ai partner Fondazione ACRA, Cespi, Chico Mendes, Fenafer-B, FIAB, Comune di Ouagadougou, Comune di Milano e le associazioni Ital-Watinoma e Watinoma, ha lavorato in questi tre anni su più fronti, per rispondere alle sfide di un Paese come il Burkina Faso, la “terra degli uomini integri”, che lotta tutti i giorni per uscire dalla povertà e dall’insicurezza.

Tante sono state le attività promosse e fra queste vogliamo citare: la formazione e strutturazione di 20 piccole imprese di donne e giovani della filiera agro alimentare nelle regioni Centro-Est e Centro-Ovest del Burkina Faso; il supporto alle associazioni della diaspora burkinabè in Italia per coinvolgerla maggiormente nei progetti di sviluppo del proprio Paese; le campagne di sensibilizzazione sull’alimentazione sana e sul reinvestimento utile delle rimesse della diaspora; l’accompagnamento di un’impresa sociale di commercializzazione di prodotti burkinabè e dei suoi fornitori; la formazione di oltre 900 giovani e 60 insegnanti sull’informatica di base e le nuove tecnologie; l’organizzazione del Forum Africano del Milan Urban Food Policy Pact, a cui hanno aderito diverse città africane raccogliendo la sfida per una prospettiva sostenibile di urban food system; l’installazione di un impianto di irrigazione sulla cintura verde della città di Ouagadougou, la distribuzione di kit di orticoltura e motopompe a 201 donne agricoltrici della capitale e la lista sarebbe ancora lunga.

L’incontro si è svolto alla presenza delle autorità locali, che hanno sempre accompagnato il progetto, e del direttore e dello staff dell’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo in Burkina Faso e Niger, che hanno seguito da vicino tutti gli interventi realizzati in questi tre anni.

Dopo un primo momento di condivisione dei risultati raggiunti e delle prospettive future per i beneficiari del progetto, gli invitati hanno potuto toccare con mano quanto discusso: erano infatti presenti tutte le 20 imprese, e alcuni dei produttori sostenuti dal progetto, con degli stand in cui esponevano e vendevano i loro prodotti che sono stati utilizzati anche per il momento conviviale di rinfresco al termine dell’evento.

Nel suo intervento, il dott. Domenico Bruzzone, direttore della sede AICS di Ouagadougou, ha espresso la sua soddisfazione per il lavoro svolto, complimentandosi per l’impegno profuso dai partner nell’iniziativa e sottolineando come le tematiche relative all’inserimento lavorativo dei giovani e allo sviluppo dell’imprenditorialità siano due temi chiave della stessa agenzia.

Il dott. Mirko Tricoli, ora funzionario di supporto alla sede AICS di Ouagadougou ma prima referente per AICS del Summit Nazionale delle Diaspore in Italia, ha rimarcato quanto anche il coinvolgimento attivo della diaspora in questo progetto sia da apprezzare. Nel nostro Paese, infatti, la diaspora burkinabè è un attore attivo, integrato e partecipe dello sviluppo economico, lo stesso coordinatore del Summit è attualmente un burkinabè, e pertanto integrare questo tipo di soggetto nel progetto, non solo dimostra un’attenzione particolare e una conoscenza delle dinamiche relazionali Italia-Burkina, ma anche “un perfetto allineamento con il lavoro e la strategia dell’agenzia”.

La soddisfazione da parte dello staff in loco è stata invece espressa da Giulia Polato, capo progetto di Mani Tese, che ha dichiarato: “È stato un lavoro impegnativo, ma pensiamo di aver dato tutti gli strumenti alle imprese formate, affinché possano essere solide e continuare a crescere e non possiamo che augurare un beog neere (“avvenire migliore” in lingua locale mooré) per tutto ciò che aspetta loro”.

Qui di seguito alcune foto dell’evento:

© AICS Ouagadougou
© AICS Ouagadougou
© AICS Ouagadougou
© AICS Ouagadougou
© AICS Ouagadougou
© Sougrinoma Ismaël Gansore di Afriktilgre.com

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