“L’APICOLTURA MI HA CAMBIATO LA VITA”, PAROLA DI JOEL!

Grazie al progetto AGRI-CHANGE che Mani Tese sta realizzando in Kenya, Joel Kiprotich, cieco da quando aveva tre anni, diventerà un grande apicoltore.

Joel Kiprotich è un apicoltore della contea di Baringo (Kenya). Oggi la sua vita è ricca di speranza, ma la sua infanzia è stata molto difficile.

All’età di tre anni gli fu diagnosticato un problema all’occhio e, nonostante l’infezione venne curata, da quell’occhio non riuscì più a vedere. Dopo due anni, in seguito a un grave incidente, Joel perse anche il secondo occhio rimanendo così completamente cieco.

Sebbene dipendente dai suoi genitori, che lo aiutavano a camminare e a svolgere le attività quotidiane, Joel è sempre stato un ragazzo determinato e, crescendo, ha tentato di rendersi autosufficiente lavorando nell’ambito della frutticoltura. Purtroppo la siccità, ricorrente nella zona, ha fatto fallire l’attività.

Joel, allora, ha deciso di sperimentare l’apicoltura, che già il padre praticava e che può essere gestita con meno impegno fisico rispetto alle attività di agricoltura e frutticoltura. Ha iniziato con cinque arnie e, dopo un primo abbondante raccolto, si è comprato un altro alveare.

La determinazione di Joel ci ha spinto a coinvolgerlo nel progetto “Agri-change: piccole imprese grandi opportunità. Sviluppo di filiere agro-alimentari nel bacino del fiume Molo”, cofinanziato dall’Agenzia Italiana per la cooperazione allo sviluppo. Grazie al progetto, gli sono state fornite tre nuove arnie e attrezzature moderne per la raccolta e la cura degli alveari. Joel è inoltre potuto entrare in contatto con la raffineria di miele di Rabai, che lo stesso progetto ha realizzato nel corso della prima annualità.

L’ultima volta che siamo andati a visitarlo, Joel aveva in totale venti arnie e la produzione stava andando così bene che col ricavato ora può aiutare la propria famiglia e fare anche dei piccoli investimenti nella sua attività.

L’apicoltura si può dire che abbia cambiato la vita di Joel, che adesso ha una moglie, un figlio e coltiva il sogno di diventare un grande apicoltore.

“Ringrazio Mani Tese per avermi supportato – dice Joel – Nella maggior parte dei casi noi persone con disabilità siamo invisibili. Ora spero di migliorare la mia vita e di mostrare a tutti che la disabilità non è incapacità!”

Qui di seguito alcune foto di Joel:

IN BURKINA FASO FORMIAMO LE ORGANIZZAZIONI SULLA VIOLENZA DI GENERE

Nei mesi scorsi abbiamo coinvolto le organizzazioni della società civile di tre regioni del Burkina Faso per far riflettere sul tema della violenza di genere.

Se nasci, cresci e vivi in un contesto dove la donna è considerata inferiore all’uomo, al primo schiaffo non dirai nulla, perché ti sembrerà normale, ti sembrerà di essertelo meritato, ti sembrerà giusto. Se nasci, cresci e vivi in un contesto del genere, quando tuo marito tornerà a casa la sera e urlerà dicendo che la cena non è ancora pronta e c’è della polvere nell’angolo, ti sentirai in colpa per aver fatto tardi a raccogliere quintali di legna nel bosco, trasportandola sulle spalle. Gli darai ragione e ti scuserai. Se nasci, cresci e vivi in un contesto di questo tipo e nessuno te lo dice, semplicemente non puoi sapere che tutto ciò non va bene, non è affatto normale e che hai dei diritti.

Per questo negli ultimi due mesi, con il progetto Promozione sociale e dei diritti delle donne e dei bambini per il miglioramento dei servizi sanitari e di stato civile, cofinanziato dall’Unione Europea nell’ambito del programma “Population”, abbiamo formato le organizzazioni della società civile di 7 province in 3 regioni del Burkina Faso su cosa sono le violenze di genere, come riconoscerne i segni, quali sono gli strumenti di tutela e come accompagnare le vittime ad avere il supporto psicologico e giuridico che serve loro.

La formazione, rivolta a persone, sia uomini sia donne, con un certo livello di formazione e apertura mentale di modo da responsabilizzarli in seno alle comunità di appartenenza, partiva da una domanda molto semplice ovvero: qual è un compito prettamente maschile e uno prettamente femminile? Le risposte sono state quelle che immaginiamo: “la donna deve occuparsi dei bambini”, “la donna deve cucinare”, “la donna deve curare la casa”, “l’uomo lavora”.

La formatrice ha quindi chiesto agli uomini presenti se fosse mai capitato loro di spazzare il cortile o lavare i piatti. La maggior parte di loro ha risposto di sì. Lei allora ha chiesto loro di alzarsi e di mostrarsi per bene: in effetti non sembravano aver subito danni permanenti. Risate in sala. È stato poi mostrato visivamente, con l’aiuto di cartelli, il numero di incarichi e compiti che tradizionalmente incombono sulla donna e quelli che invece sono attribuiti all’uomo. Sono stati letti e ad ognuno è stato assegnato un tempo di esecuzione realistico. Alla fine c’era il silenzio in sala. E a quel punto, di fronte ad un lieve imbarazzo ma soprattutto ad una maggiore comprensione, abbiamo iniziato a parlare di violenza, che è sbagliata a prescindere dal contesto culturale e dalle abitudini, che va denunciata e le cui vittime vanno individuate e supportate.

I partecipanti hanno accettato la sfida: si sono confrontati su casi molto crudi e duri delle loro comunità (parliamo di spose bambine, di ragazzine di 11 anni messe incinte da un familiare e poi allontanate dalla famiglia in quanto streghe, di mutilazione genitale femminile e tanto altro) e si sono impegnati ad essere un punto di riferimento, sia per sensibilizzare le persone della propria zona, sia per farsi carico di individuare e supportare le vittime con gli strumenti che la legge mette a disposizione.

Nei prossimi mesi organizzeremo delle sessioni di teatro per arrivare direttamente al cuore delle comunità e diffondere il messaggio, in modo che le stesse potenziali vittime sappiano a chi rivolgersi in caso di bisogno. E speriamo che il cambiamento inizi da qui, dalla consapevolezza che NO!, non è giusto.

Qui sotto alcune foto della formazione:

17. Moumini e l’olio di sesamo

La cooperativa Koumare ha un progetto ambizioso: realizzare un centro di trasformazione del sesamo in olio. Scopri la storia di Moumini.

Moumini ha 35 anni ed è il giovane presidente della cooperativa “Koumare”, che in lingua bissa significa “l’intesa”. Koumare si trova nel villaggio di Sampema, nel comune di Zabré, in Burkina Faso, e per arrivare la strada è difficile, bisogna attraversare la savana e ad un certo punto ti viene quasi da pensare che non ci arriverai più. E invece, ecco in fondo alla strada spuntare il villaggio, dove la cooperativa lavora per dare una speranza ai giovani, sfruttando la materia prima a disposizione: il sesamo.

Il progetto di Moumini e di Koumare, ambizioso e particolare, è quello di realizzare un centro di trasformazione del sesamo in olio, un prodotto prezioso, molto pregiato e costoso. Per questo si è impegnato e ha ottenuto, grazie al progetto “Imprese sociali innovative e partecipazione dei migranti per l’inclusione sociale in Burkina Faso” cofinanziato dall’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo e da Fondazione Maria Enrica, un supporto per la realizzazione della sua idea.

Moumini e i suoi colleghi hanno seguito tutto il percorso di incubazione e formazione d’impresa previsto dal progetto e hanno potuto acquistare l’estrattore dell’olio e un triciclo a motore per il trasporto dei propri prodotti. La cooperativa ha anche ricevuto un sostegno particolare dall’Associazione della  diaspora burkinabé in Italia UABT (Unione delle Associazioni del Burkina Faso di Treviso), che li ha accompagnati durante tutto il progetto, non solo con un contributo economico, ma anche con visite e consigli. Il suo Presidente Idriss Tarabure, che si è recato in Burkina Faso nell’ambito del progetto proprio per sostenere Koumare, è da anni impegnato con la sua associazione per il suo Paese ed in particolare per i giovani e le donne che sono per lui i soggetti sui cui investire per un vero sviluppo.

Ovviamente le sfide non sono state poche, ma Moumini e i membri di Koumare, piano piano, le stanno affrontando tutte: dapprima l’estrattore dell’olio ordinato dalla Cina non arrivava, causa pandemia; poi il prezzo del triciclo è aumentato ed ora stanno cercando una struttura in affitto più grande da poter trasformare in laboratorio; ma grazie all’impegno e al contributo di tutti, il futuro sembra radioso per quest’impresa così ambiziosa. Moumini, in conclusione della nostra chiacchierata, si rivolge direttamente agli amici italiani: “Innanzitutto, la nostra associazione desidera ringraziare i partner in Italia per il loro sostegno finanziario. Come sapete, siamo in un paese in via di sviluppo dove le sfide sono enormi e lo Stato da solo non può fare tutto subito. A ciò si aggiungono l’insicurezza e la pandemia che incidono negativamente sulla marcia verso lo sviluppo. In questo contesto, la presenza di amici come voi è un fatto di cui essere riconoscenti e orgogliosi. Osiamo credere che avremo ancora e sempre il vostro supporto per commercializzare il nostro olio di sesamo in Italia e nel mondo. Da parte nostra, vi rassicuriamo che faremo tutto il possibile per meritare la fiducia che avete riposto in noi”.

Qui sotto alcune foto di Moumini:

Moumini con l’estrattore dell’olio
Moumini con il triciclo a motore

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L’IMPRESA DI CRESCERE INSIEME IN BURKINA FASO

Online l’evento conclusivo del progetto “Imprese sociali innovative e partecipazione sociale dei migranti per l’inclusione sociale in Burkina Faso”.

Il 13 luglio 2021 Mani Tese ha ospitato online il convegno conclusivo del progetto “Imprese sociali innovative e partecipazione sociale dei migranti per l’inclusione sociale in Burkina Faso”.

Il progetto, promosso dall’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo e dalla Fondazione Maria Enrica, ha avuto inizio nel 2018 con la prospettiva di contribuire al miglioramento delle condizioni di vita della popolazione rurale in Burkina Faso, favorendo lo sviluppo di attività produttive, imprenditoriali e innovative, valorizzando soprattutto il ruolo dei giovani, delle donne e dei migranti in Italia.

Nel corso di tre anni ha portato allo sviluppo di 20 imprese sociali, coinvolgendo direttamente le associazioni della diaspora burkinabé in Italia, e formato più di 900 giovani sull’informatica di base e le nuove tecnologie.

L’evento ha visto la partecipazione di quasi tutte le realtà che hanno contribuito alla implementazione del progetto (ACRA, CeSPI, una delle Associazioni della Diaspora che ha partecipato al progetto UABT – Unione delle Associazioni del Burkina Faso di Treviso, Chico Mendes, Watinoma e il Comune di Milano) che sono intervenute, non solo per condividere i risultati raggiunti, ma anche per individuare e mettere in evidenza le pratiche che hanno portato ad una realizzazione positiva dell’attività e che hanno messo le fondamenta per la sostenibilità dell’iniziativa.

L’evento è riuscito nel suo intento di dare un assaggio di tutte le componenti di progetto: dalla formazione dei giovani imprenditori e imprenditrici e l’accompagnamento delle imprese nel loro sviluppo, dal coinvolgimento della diaspora burkinabé residente in Italia, l’esperienza del Teatro Forum e di altre campagne per la sensibilizzazione delle comunità a più temi, fino alla presentazione di alcuni dei prodotti alimentari realizzati dalle imprese.

Molti i concetti chiave che sono emersi durante l’evento. Tra questi, il fatto che il progetto sia stato in grado di fare leva sui segmenti della società che più hanno potenzialità nel contesto burkinabé: i giovani, le donne che compongono la maggior parte della popolazione e i migranti burkinabé in Italia, di cui si è cercato di riconoscere e rafforzare le capacità e il protagonismo. Idriss Tarabure, portavoce dell’Associazione Diaspora di Treviso, ha evidenziato l’importanza del coinvolgimento della diaspora nel progetto che, grazie al riconoscimento come attore di sviluppo, ha potuto rafforzare il legame con i propri luoghi di nascita e le proprie comunità.

L’evento ha così dato l’opportunità di evidenziare che il lavoro in partenariato con più attori diversi costituisca un enorme vantaggio per rendere concreto il cambiamento.

Qui sotto puoi riguardare l’evento completo:

SAPIENS A 5P: IL KIT DIDATTICO PER PARLARE DI SVILUPPO SOSTENIBILE

Mani Tese propone a docenti e formatori uno strumento per parlare ai ragazzi e alle ragazze di cittadinanza globale, diritto al cibo, economia, clima e migrazioni.

A partire dalle lezioni apprese durante i “percorsi di ricerca azione nella scuola secondaria di primo grado” sviluppati in 5 regioni italiane grazie al progetto “Piccoli che Valgono!”, finanziato dall’Impresa Sociale Con i Bambini, Mani Tese ha realizzato il kit didattico “Sapiens a 5P: proposte di Educazione Civica nell’era dell’antropocene” per parlare ai ragazzi e alle ragazze di cittadinanza globale, diritto al cibo, scelte economiche consapevoli, clima e migrazioni.

Obiettivo del kit didattico, che si inserisce entro il quadro di insegnamento dell’Educazione Civica promosso dal MIUR attraverso la legge n.92 del 2019, è l’integrazione dell’insegnamento delle materie curriculari con moduli specifici incentrati sul tema dello sviluppo sostenibile come definito dai 17 obiettivi dell’Agenda ONU 2030. Una collaborazione volta ad aumentare il potenziale impatto dell’Educazione Civica come motore di un cambiamento che, muovendo dalla scuola, abbraccia il resto della comunità e del mondo.

Attraverso questa nuova lettura, l’Educazione Civica supera i canoni di una tradizionale disciplina, assumendo più propriamente la valenza di matrice valoriale trasversale che va coniugata con le discipline di studio, per evitare superficiali e improduttive aggregazioni di contenuti teorici e per sviluppare processi di interconnessione tra saperi disciplinari ed extradisciplinari.

I percorsi proposti all’interno del kit invitano i ragazzi e le ragazze ad attivarsi per compiere il salto evolutivo necessario a contrastare l’insostenibilità dell’attuale modello di sviluppo, proponendo nuovi modelli educativi in grado di coinvolgere i loro pari in un processo di attivismo, rinnovamento ed interscambio continuo.

Il kit didattico rappresenta uno strumento utile a formatori e docenti per proporre percorsi, fuori e dentro la scuola, in cui i reali protagonisti siano i ragazzi e le ragazze. La metodologia proposta vuole superare il sistema classe, inteso come uno spazio fisico fisso abitato da un gruppo di ragazzi intorno a cui girano gli insegnanti che impostano la didattica, a favore di un modello più diffuso, fruibile a piccoli gruppi e in spazi diversi, magari in parte gestiti fuori dalla scuola, in collaborazione con tutti gli attori delle comunità educanti territoriali.

Come Mani Tese crediamo che, nella lotta alla dispersione scolastica, soprattutto durante questo periodo di emergenza, sia necessaria una rinnovata alleanza tra scuola e terzo settore. Attraverso questo kit didattico, vogliamo mettere a disposizione attività, metodi, spazi e capacità progettuale, per facilitare lo sviluppo di competenze, conoscenze e abilità al fine di migliorare il benessere degli studenti attraverso la sperimentazione di meccanismi partecipativi.

Siamo convinti, infatti, che sia fondamentale essere presenti per lavorare insieme a docenti e studenti nella costruzione di un nuovo modello di scuola, più creativo e partecipato.

“Piccoli che Valgono!”  è un progetto selezionato da Con i Bambini nell’ambito del Fondo per il contrasto della povertà educativa minorile promosso da Mani Tese  insieme ad altri partner.

SCARICA GRATUITAMENTE IL KIT DIDATTICO

IL PROGETTO SEMINA: SUPERARE L’EMERGENZA INCENTIVANDO L’AGRICOLTURA

Il progetto si svolge in un contesto molto difficile a causa delle condizioni ambientali e dell’insicurezza. Ma l’azione di Mani Tese non si ferma.

Il progetto SEmInA – Superare l’emergenza incentivando l’agricoltura, cofinanziato dall’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo, è partito quest’anno nella Regione del Nord del Burkina Faso e in particolare nella provincia di Yatenga. Qui, le condizioni ambientali sono molto difficili a causa della scarsità d’acqua e delle alte temperature e la situazione, a causa dei cambiamenti climatici, non va migliorando.

Questa zona (detta “dei tre confini” per la vicinanza dei Paesi Burkina Faso, Mali e Niger) nasconde tuttavia importanti risorse nel sottosuolo ed è quindi di grande interesse strategico, economico e geopolitico, sia per i governi occidentali e le grandi imprese multinazionali, sia per l’estremismo islamico.

Oggi purtroppo, in quest’area, l’insicurezza alimentare si somma al radicalismo sempre più dilagante: da molti anni, ormai, gruppi armati affiliati ad Al-Qaeda e Isis guadagnano terreno. Una vera e propria guerra silenziosa per il controllo di questi territori, della quale in Europa la percezione è minima nel generale silenzio mediatico.

Questo radicalismo sfrutta ogni opportunità per ampliare la sua influenza: si insinua nell’incapacità degli attori statali di controllare un territorio vasto e complesso, fa leva sulle tensioni etniche e soprattutto sulla povertà e sulle difficoltà delle famiglie. La popolazione ha pochissime alternative: la maggior parte degli abitanti scappa verso altri territori, altri, per fortuna una minoranza, per varie ragioni si affiliano a questi gruppi o ne finiscono comunque sotto il controllo.

In questo contesto molto complesso e delicato, il progetto SEmInA interviene con azioni mirate per fronteggiare la situazione di emergenza umanitaria e per promuovere uno sviluppo agricolo sostenibile.

Sul fronte emergenziale, e con il supporto delle istituzioni locali, vengono sostenute alcune famiglie che si trovano in condizioni di estrema vulnerabilità e una particolare attenzione è data agli sfollati di Ouahigouya, che hanno mezzi di sostentamento praticamente nulli. A loro viene distribuito cibo, un po’ di denaro per le spese di prima necessità e kit d’igiene personale che includono anche assorbenti igienici per le donne.

Per quanto riguarda lo sviluppo agricolo sostenibile, verranno creati degli orti agroecologici e un perimetro misto di cereali e orticoltura di contro stagione, dotato di appositi sistemi di approvvigionamento idrico e d’irrigazione.

Verranno inoltre implementati dei centri di trasformazione che saranno gestiti dai beneficiari, preventivamente formati sia nelle tecniche di trasformazione dei prodotti orticoli, sia dal punto di vista della gestione amministrativa delle strutture.

Mappa dei villaggi coinvolti dal progetto SEmInA

Burkina Faso, 20 nuove imprese contro la povertà

Nonostante la crisi, in tre anni Mani Tese ha avviato 20 imprese sociali ha e formato più di 900 giovani sull’informatica di base e le nuove tecnologie.

Nonostante in Burkina Faso gli attacchi alla popolazione civile siano sempre più frequenti nelle regioni del Nord e dell’Est, Mani Tese, ONG che da oltre 57 anni si batte per la giustizia nel mondo, prosegue il suo impegno nel Paese contro la povertà, sviluppando venti nuove attività produttive, imprenditoriali e innovative coinvolgendo donne, giovani locali e migranti della diaspora in Italia.

Si avvia infatti alla conclusione il progetto “Imprese sociali innovative e partecipazione dei migranti per l’inclusione sociale in Burkina Faso” cofinanziato dall’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo (AICS) e da Fondazione Maria Enrica, e realizzato da Mani Tese, in qualità di capofila, in partenariato con Fondazione ACRA, CeSPI, Chico Mendes, Fenafer-B, FIAB, Comune di Ouagadougou, Comune di Milano, ITAL-WATINOMA e associazione Watinoma.

In Burkina Faso i risultati del progetto sono stati presentati durante un evento pubblico il 1° giugno 2021. In Italia il progetto verrà illustrato il 13 luglio alle 18 in diretta on line con il coinvolgimento di alcuni dei protagonisti del progetto sia dall’Italia che dal Burkina Faso. L’evento è un’occasione per dare voce a tutte le realtà coinvolte, che potranno così raccontare in maniera diretta le loro esperienze.

La crisi in Burkina Faso

In Burkina Faso, Mali e Niger è in atto una crisi che sembra inarrestabile e che sta causando immani sofferenze alla popolazione civile: attacchi, morti e migliaia di sfollati che devono fuggire dalle proprie terre.“Le persone e, in particolare, le comunità rurali stanno soffrendo molto questa situazione di vera e propria guerra” racconta Giulia Polato, Responsabile Paese di Mani Tese in Burkina, che a Ouagadougou gestisce i progetti dell’Ong “Con il suo impegno e quello dei suoi collaboratori Mani Tese attualmente sta portando avanti cinque progetti per combattere la povertà diffusa che colpisce la sua popolazione. La povertà è purtroppo un terreno fertile per i terroristi, che riescono così a reclutare giovani senza prospettive di futuro”.

Il progetto “Imprese sociali”

Tra gli interventi di Mani Tese nel Paese in risposta alla povertà è quasi giunto alla sua conclusione il progetto, di una durata complessiva di 38 mesi, Imprese sociali innovative e partecipazione dei migranti per l’inclusione sociale in Burkina Faso” cofinanziato dall’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo e da Fondazione Maria Enrica.

Le diverse organizzazioni coinvolte – Mani Tese, capofila del progetto, e i già citati partner – hanno operato su più fronti per rispondere alle sfide della “terra degli uomini integri”. Nell’ambito del progetto sono state infatti numerose e importanti le attività imprenditoriali promosse.

Tra queste, la creazione e l’avvio di 20 piccole imprese di donne e giovani della filiera agro-alimentare nelle regioni Centro-Est e Centro-Ovest del Burkina Faso, che ha visto il coinvolgimento anche delle associazioni della diaspora burkinabé in Italia, sostenitrici di alcune di queste imprese grazie a un reinvestimento utile delle loro rimesse.

A queste imprese Mani Tese ha dedicato la web serie “Imprese per crescere insieme in Burkina Faso”, on line sul canale YouTube della ONG: una raccolta di 20 video (con sottotitoli in italiano e francese) che racconta le storie delle imprenditrici e degli imprenditori che hanno contribuito a crearle. A loro è anche dedicato un blog tematico sul sito di Mani Tese: “L’impresa di crescere insieme”.

Nell’ambito del progetto sono stati inoltre formati oltre 900 giovani e 60 insegnanti sull’informatica di base e le nuove tecnologie ed è stata avviata un’impresa sociale di commercializzazione di prodotti burkinabé sostenuta anche da campagne di sensibilizzazione sull’alimentazione sana e sostenibile.

Il progetto ha visto anche l’installazione di un impianto di irrigazione sulla cintura verde della città di Ouagadougou, la distribuzione di kit di orticoltura e motopompe a 201 donne agricoltrici della capitale e l’organizzazione, a Ouagadougou, del Forum Africano del Milan Urban Food Policy Pact, a cui hanno aderito diverse città africane raccogliendo la sfida per una prospettiva sostenibile di urban food system.

I risultati del progetto sono stati presentati a Koudougou il 1° giugno 2021 durante un evento alla presenza delle autorità locali, che hanno sempre accompagnato il progetto, e del direttore e dello staff dell’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo in Burkina Faso e Niger, che hanno seguito da vicino tutti gli interventi realizzati in questi tre anni.

All’evento erano presenti tutte le 20 imprese e alcuni dei produttori sostenuti dal progetto, con stand espositivi dei loro prodotti.

“È stato un lavoro impegnativo” conclude Giulia Polato “ma pensiamo di aver dato tutti gli strumenti alle imprese formate affinché siano solide e continuino a crescere. Non possiamo che augurare loro un beog neere (“avvenire migliore” in lingua locale mooré) per tutto ciò che le aspetta”.

Domenico Bruzzonedirettore della sede AICS di Ouagadougou, ha espresso la propria soddisfazione per il lavoro svolto, complimentandosi per l’impegno profuso dai partner dell’iniziativa e sottolineando come le tematiche relative all’inserimento lavorativo dei giovani e allo sviluppo dell’imprenditorialità siano due temi chiave dell’Agenzia. Mirko Tricoli, funzionario di supporto alla sede AICS di Ouagadougou e in precedenza referente per AICS del Summit Nazionale delle Diaspore in Italia, ha rimarcato quanto anche il coinvolgimento attivo della diaspora in questo progetto sia stato da apprezzare. Nel nostro Paese, infatti, la diaspora burkinabé è spesso un attore attivo, integrato e partecipe dello sviluppo economico: integrarla nel progetto non solo ha dimostrato un’attenzione particolare e una conoscenza delle dinamiche relazionali Italia-Burkina, ma anche “un perfetto allineamento con il lavoro e la strategia dell’Agenzia”.

Per informazioni sull’evento on-line del 13 luglio: cooperazione@manitese.it

Iscrizioni: https://manitese.it/l-impresa-di-crescere-insieme

Mani Tese aderisce alla Climate Open Platform

L’appello della società civile e dei movimenti per fermare e invertire gli effetti del cambiamento climatico e ridistribuire in modo equo risorse e benessere.

Da sempre Mani Tese promuove la giustizia ambientale nel mondo, come il diritto delle comunità a esercitare il pieno controllo sulle risorse naturali ed energetiche del proprio territorio.

Negli ultimi anni, però, il cambiamento climatico sta alterando l’accesso a queste risorse, causando gravi danni soprattutto alle popolazioni indigene del Sud del mondo.

Come spesso accade, sono i soggetti più vulnerabili a pagare il prezzo delle scelte scellerate delle grandi aziende e della politica.

Per questo motivo abbiamo deciso di aderire alla Climate Open Platform, una rete di organizzazioni e individui che vuole prendere voce in occasione della COP26 del prossimo novembre a Glasgow (Scozia), dove si riuniranno le nazioni di tutto il mondo per decidere sul futuro di tutti gli abitanti del pianeta.

Leggi qui sotto l’appello

Gli Accordi di Parigi della COP21 del 2015 sembravano un importante primo passo nella giusta direzione. A sei anni di distanza i risultati conseguiti sono largamente insoddisfacenti.

L’obiettivo di limitare il riscaldamento globale al di sotto di 1,5 gradi è stato messo in discussione, tanto che ora si parla di non superare i 2 gradi. Ma tra i due valori c’è un’enorme differenza rispetto all’impatto sugli ecosistemi e alla vita delle persone che vivono nelle zone più a rischio. Siamo stanchi che la crisi climatica non venga presa sul serio e siamo stanchi delle promesse vuote di politici e governi di tutto il mondo. Sono stati fatti timidi passi avanti, ma non si è ancora agito con la necessaria urgenza e concretezza, mentre già si abbattono su di noi fenomeni meteorologici estremi, desertificazione e molti altri eventi cataclismici. Siamo stanchi dell’opera di inquinamento e greenwashing del dibattito pubblico da parte delle compagnie petrolifere, delle lobby private e di tutti gli altri grandi devastatori del pianeta. Pensiamo sia importante che la vita sul pianeta venga difesa dall’approccio predatorio ed estrattivista che i potenti della terra hanno portato avanti negli ultimi secoli.

Per questo è fondamentale prendere voce in occasione della COP26 del prossimo novembre, a Glasgow (Scozia) dove si riuniranno le nazioni di tutto il mondo per decidere sul futuro di tutti gli abitanti del pianeta.

Le tappe di avvicinamento verso questo evento si terranno proprio nel nostro Paese, a Milanotra il 28 settembre e il 2 Ottobre. La Youth4Climate e la PreCOP sono chiamate ad avanzare raccomandazioni e a definire i temi chiave per i negoziati del mese successivo.

Diamo quindi vita al percorso “Climate Open Platform”. Come società civile movimenti vogliamo fare la nostra parte, monitorando e cercando di influenzare i processi istituzionali, in accordo con le associazioni e i movimenti che agiranno a Glasgow e che condividono il principio guida della nostra azione: la Giustizia Climatica.

Con giustizia climatica intendiamo quel cambiamento sociale, economico e politico volto a fermare ed invertire gli effetti del cambiamento climatico e ridistribuire in modo equo risorse e benessere a livello globale, attraverso un ruolo forte degli stati e la centralità della democrazia reale e della partecipazione.

Un impegno di giustizia che conferisce al riscaldamento globale una dimensione etica e politica, oltre che ambientale, e che esige di considerare l’impatto sproporzionato dei cambiamenti climatici sui cittadini e sulle comunità, sia nelle economie ricche che in quelle impoverite. I gruppi sociali e i popoli più vulnerabili sono infatti quelli che ne subiscono l’impatto maggiore anche se sono i meno responsabili delle emissioni climalteranti complessive. I diritti dei popoli, specialmente nelle aree del mondo storicamente e/o tuttora sfruttate, devono essere tutelati.

Premettendo che:

  • Nei rapporti IPCC (in particolare “Special Report: Global Warming of 1.5°C”), l’abbandono dei combustibili fossili è una costante per gli scenari di sviluppo che permetterebbero di raggiungere il traguardo degli 1.5°C. Pertanto è necessario che non siano autorizzati nuovi progetti di ricerca, estrazione, processazione (trasformazione) e consumo di combustibili fossili, e che si proceda ad una graduale riconversione di quelli esistenti, procedendo verso una giusta transizione.
  • UNFCCC sostiene che la transizione ad un’economia circolare sia necessaria: la produzione ed i consumi devono seguire i ritmi dettati dai reali bisogni umani compatibilmente con le risorse naturali. Abbandonando quindi l’idea di una crescita infinita in un mondo finito, anche la finanza deve cambiare radicalmente il suo approccio disinvestendo dalle fonti fossili e dai progetti estrattivi incompatibili con la tutela del pianeta e chi lo vive, reindirizzando le risorse verso iniziative realmente sostenibili e solidali.
  • Affinché la lotta per la giustizia climatica segua il consenso scientifico affidandosi alla migliore scienza a disposizione e affinché la comunità scientifica abbia un ruolo attivo nel contribuire a determinare gli obiettivi ed i passaggi della transizione verso uno scenario climatico stabile e sicuro per il pianeta e chi lo vive, la conoscenza scientifica deve essere libera, gratuita, accessibile e partecipabile. Nessuno deve trarre profitto sulla conoscenza scientifica e per questo ribadiamo anche la necessità che i vaccini per il Covid siano liberi dai diritti di proprietà intellettuale.
  • Numerosi studi e statistiche sottolineano il legame tra crisi climatica e violazioni dei diritti umani: il cambiamento climatico mette a rischio la sicurezza ed i mezzi di sostentamento di miliardi di esseri umani. I diritti umani (includendo ma non limitandosi a quelli sanciti nella carta internazionale dei diritti umani) e i diritti dei lavoratori e delle lavoratrici, devono essere garantiti per tutte e tutti, ovunque. Assieme ai diritti umani vanno riconosciuti i diritti della natura, così come sostenuto dalle cosmogonie indigene.
  • I popoli e territori che stanno soffrendo per primi e più duramente gli effetti della crisi climatica hanno in comune un passato di sfruttamento da parte delle potenze coloniali e sono quelli che hanno minori responsabilità per la crisi climatica. La lotta per la giustizia climatica è quindi una lotta antirazzista e anticolonialista. È necessario smantellare il sistema che continua a perpetrare disuguaglianze e sfruttamento su scala globale. È necessaria l’introduzione di riparazioni verso le comunità del Sud Globale e le comunità indigene di tutto il mondo, esigendo il finanziamento immediato del Green Climate Fund e ripagandole appieno attraverso una redistribuzione di potere e risorse, nonché la cancellazione del debito dei paesi più poveri.
  • La lotta per la giustizia climatica è una lotta transfemminista che promuove l’abolizione dei ruoli di genere e delle dinamiche patriarcali nella famiglia, nella società, nell’economia, nella politica ed in ogni altro contesto.
  • È ormai appurato il legame tra pandemia, zoonosi e distruzione degli ecosistemi. La tutela degli ecosistemi è tutela del benessere e della salute umana, e poiché vige una relazione di interdipendenza tra ogni essere vivente, è importante che venga protetta. Al perseguimento di questo obiettivo sarà fondamentale la COP15 sulla Biodiversità che deve definire limiti più stringenti per la conservazione della biodiversità e opporsi a tutti gli interventi che la alterano, a partire dall’introduzione di specie invasive fino all’inquinamento di suolo, acqua e aria.
  • La crisi climatica mette a rischio milioni di posti di lavoro in tutto il mondo. Per tutelare le lavoratrici ed i lavoratori è necessaria una giusta transizione ecologica, che non può avvenire a loro spese. Devono essere definiti, attraverso percorsi partecipativi, piani per la giusta transizione per pianificare un nuovo modello di sviluppo sostenibile e creare nuovi posti di lavoro e misure di giusta transizione, ammortizzatori sociali universali, formazione permanente e riqualificazione professionale. I diritti delle lavoratrici e dei lavoratori devono essere tutelati ed i loro mezzi di sostentamento garantiti durante e dopo la transizione verso un’economia sostenibile.
  • Il nostro pianeta, l’unico che abbiamo, è un bene comune condiviso da chiunque lo abiti. Ogni individuo ha diritto alla libertà di movimento e ogni migrante deve vedersi riconosciuti i diritti fondamentali, soprattutto in una situazione di crisi pandemica e climatica che aumenta le disuguaglianze su scala globale. La COP26 deve procedere speditamente per il riconoscimento dei migranti ambientali e relativo sostegno a programmi di adattamento e riparazione di danni e perdite (loss & damages).
  • I progetti delle grandi opere inutili, dannose e inquinanti non sono più sostenibili e vanno favoriti interventi più localizzati che garantiscano la salute dei territori e di chi li abita.
  • Riconosciamo il fondamentale ruolo che un’istruzione gratuita e libera dai finanziamenti dei privati ha nel dare a noi e alle prossime generazioni gli strumenti essenziali per immaginare e praticare una transizione ecologica e un cambiamento giusto ed equo.

A partire da queste premesse, la Climate Open Platform si propone di essere uno spazio di convergenza politica e organizzativa, in cui continuare un lavoro collettivo basato sul confronto e il consenso tra tutte le realtà e gli individui che vorranno prendere parte alla costruzione di questo percorso.

Durante l’ultima settimana di settembre, in contemporanea con gli incontri di Youth Cop e Pre Cop, Climate Open Platform organizzerà a Milano l’Eco-social Forum, una settimana, di eventi, iniziative, dibattiti, azioni, che mettano al centro la battaglia per la giustizia climatica e sociale, e scenderà in piazza il 1 e 2 ottobre, tornando a portare nelle strade della città la lotta per un mondo più giusto.

Inoltre Climate Open Platform valuterà la partecipazione o la solidarietà ad azioni e mobilitazioni non violente per la giustizia climatica organizzate da altri/e attivisti/e, organizzazioni e movimenti, che promuovano un orizzonte di rivendicazione coerente con questo appello.

Verso e durante questi importanti eventi vogliamo costruire un percorso che faccia sentire la nostra voce, la voce di tutte e tutti, la voce di chi vuole dare un futuro diverso al pianeta.

Diffondiamo, partecipiamo, organizziamoci!