Gli effetti della guerra Russia-Ucraina in Kenya

L’aumento dei prezzi sta mettendo in difficoltà produttori e famiglie e si aggiunge all’instabilità politica, già esacerbata da siccità e cambiamenti climatici.

di Samuele Tini, Responsabile Mani Tese in Kenya

Il conflitto fra Russia e Ucraina non coinvolge solo l’Europa ma colpisce anche Paesi lontani, già fragili, come il Kenya.

Cosa fa sì che le bombe a Kiev siano fonte di problemi anche per i produttori coinvolti nei nostri progetti di sviluppo a Molo o Baringo, già duramente provati da questi due anni di pandemia e crisi economica?

Grano e prodotti alimentari

La risposta risiede nel fatto che il Kenya importa oltre il 75% del suo fabbisogno di grano e di altri prodotti alimentari, fra cui il mais per l’alimentazione animale (importato al 100%) e l’olio di semi di girasole.

Per quanto riguarda gli ingredienti per i mangimi animali, la richiesta nell’ultimo anno aveva già avuto una crescita esponenziale, con conseguente raddoppio dei prezzi. Alla fine dello scorso anno, infatti, le grandi aziende zootecniche del Paese avevano parlato di un imminente collasso.

Per quanto riguarda il grano, numerosi Paesi africani dipendono per oltre il 60-80% dalle importazioni del prodotto da Ucraina e Russia. Una situazione davvero problematica, che sicuramente non mancherà di far sentire i suoi contraccolpi a livello sociale.

Altri problemi riguardano poi le esportazioni: la Russia era fra i primi importatori di tè, rose e prodotti agricoli dal Kenya. Ma ora con le sanzioni è tutto bloccato e questo comporterà un ulteriore danno.

Materie prime, energia, inflazione

La guerra ha già fatto sì che il prezzo delle materie prime stia crescendo e le interruzioni degli approvvigionamenti da Russia e Ucraina, che vendono il 40% della produzione ai Paesi Africani e del Medio Oriente, sicuramente si faranno sentire in maniera ancora più intensa.

Il costo del greggio a 110 USD non è una buona notizia per il Kenya, un Paese quasi al 100% dipendente dai combustibili fossili.  Il prezzo dei fertilizzanti, anche questi importati da Russia e Cina per quanto riguarda il Kenya, è in aumento ed è già raddoppiato dallo scorso anno.

L’inflazione del paniere alimentare è del 9%. Secondo i dati del Kenya National Bureau of Statistics, il peso di questa situazione è maggiore soprattutto per le famiglie povere, dato che il cibo costituisce quasi il 40% della loro spesa.

L’energia è un altro problema. Il prezzo del kerosene e della paraffina è aumentato del 21% in meno di un anno, ed è in crescita. Il gas da cucina da 6kg è più che raddoppiato e questa non è una buona notizia per le risorse forestali.  L’aumento del gas spinge infatti le persone a tornare a utilizzare legna e carbone vegetale anche nelle città.  

La situazione sociale

La protesta per questa situazione in Kenya è dilagata anche sui social, mostrando come la tensione sui prezzi stia mettendo a dura prova il Paese.  Difficilmente, però, un hashtag su Twitter cambierà le cose.

Alle tensioni create dall’aumento alle stelle dei prezzi di grano e mangimi, si uniscono le tensioni politiche e di instabilità locali, esacerbate dalla siccità e dal cambiamento climatico.

I venti di guerra che soffiano in Europa non si sono mai placati in Africa ed in particolare nei paesi intorno al Kenya, con il duro conflitto in Etiopia e le lotte a bassa intensità sul confine della Somalia, e il problema del banditismo e del furto di bestiame.

Purtroppo, infatti, nei giorni scorsi i banditi della zona di Baringo hanno ucciso 7 persone durante alcuni attacchi a Loruk.

Il nostro lavoro a fianco delle comunità locali

Questa situazione provoca inevitabili sofferenze anche per i produttori con cui collaboriamo.

Nella zona di Baringo, attraverso i nostri progetti di cooperazione allo sviluppo come “Agri-change: piccole imprese grandi opportunità. Sviluppo di filiere agro-alimentari nel bacino del fiume Molo”, cofinanziato dall’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo, lavoriamo proprio per ridurre la dipendenza dai combustibili fossili attraverso la promozione del biogas. Cerchiamo, inoltre, di introdurre prodotti locali nella composizione dei mangimi. In agricoltura promuoviamo l’uso di sementi migliorate locali e la transizione agroecologica per ridurre la dipendenza da fertilizzanti chimici di sintesi.

In questo momento, pur con i limiti delle nostre risorse, cerchiamo di essere al fianco delle comunità e delle piccole imprese aiutandole nel compiere scelte difficili. Sicuramente i produttori dovranno ridurre gli stock di animali e prepararsi a un periodo complesso, ma siamo certi della loro resilienza e della capacità dimostrate in questi due anni durissimi di pandemie, lockdown e crisi economica.

Le speranze per una ripresa in questo scenario sicuramente non sono rosee, ma noi continuiamo il nostro lavoro e il nostro impegno di giustizia a fianco delle comunità locali.

Per sostenere il nostro impegno di giustizia in Kenya, usa la causale “Emergenza Kenya” e DONA ONLINE oppure via bonifico tramite iban IT 57 F 05018 01600 000010203040 e Bic/Swift CCRTIT2T84A intestati a Associazione MANI TESE ONG Onlus.

Agricoltura circolare: storia di Isaías Manuel

Isaías Manuel ci racconta come la vita nella comunità di Barrone è migliorata grazie al progetto “Agricoltura Circolare”.

Nella provincia della Zambezia, in Mozambico, stiamo lavorando per migliorare la sicurezza alimentare e la situazione nutrizionale delle comunità più vulnerabili, attraverso il rafforzamento dell’agricoltura e dell’allevamento. Lo facciamo grazie al progetto “Agricoltura circolare per ridurre la fame in Zambezia”, cofinanziato dall’8×1000 a gestione statale, che potete sostenere anche voi donando qui.

Il mese scorso, dalla comunità di Barrone, ci è arrivata la testimonianza di uno dei beneficiari del progetto, il signor Isaías Manuel, a cui lasciamo la parola.

“Prima del progetto – esordisce Isaías – avevamo difficoltà nell’agricoltura, per via di tecniche di coltivazione non efficaci, problemi con l’irrigazione dei campi e scarso accesso alle sementi. In alcuni casi, poi, ci mancavano le conoscenze: non eravamo consapevoli dell’importanza di avere una varietà di colture e il mais, per esempio, lo coltivavamo soltanto nella seconda parte dell’anno e non nella prima.

Mani Tese ci ha aiutato con nuova attrezzatura, sementi e formazioni sull’agricoltura. Adesso abbiamo cambiato il modo di coltivare e stiamo già raccogliendo i primi frutti di questo lavoro.

Un altro problema della comunità – continua Isaías – era l’acqua potabile. Il pozzo che avevamo nel villaggio era vecchio e l’acqua non era più buona da bere, la utilizzavamo solo l’agricoltura e per lavarci. Ora, grazie al progetto di Mani Tese, è stato costruito un nuovo pozzo e abbiamo a disposizione acqua potabile tutti i giorni.

Mani Tese ci ha aiutato anche a migliorare l’alimentazione dei nostri bambini. Purtroppo i nostri figli e figlie devono percorrere circa 5 km per arrivare a scuola e hanno bisogno di cibo nutriente e che dia energia. In passato davamo ai bambini il porridge con riso e zucchero, ma le famiglie che non potevano permetterselo mettevano il sale al posto dello zucchero. Grazie agli insegnamenti del progetto, abbiamo imparato altri modi per preparare il cibo per i nostri bambini. Ora prepariamo il porridge di soia e lo rendiamo più nutriente con uova, pesce o altro ancora.

Una difficoltà in più che dobbiamo affrontare – prosegue Isaías – è il cambiamento climatico. In passato seminavamo nel mese di novembre, adesso per adattarci abbiamo seminato nel mese di gennaio, ma è un mese piovoso e questo rende più difficile la produzione. Con l’aiuto di Mani Tese, però, speriamo di superare anche questa difficoltà.

In futuro – conclude Isaías – speriamo di essere nuovamente coinvolti nei progetti di Mani Tese perché abbiamo imparato tanto, ma abbiamo bisogno anche di scuole e nuovi pozzi per la raccolta di acqua potabile. Grazie a Mani Tese e grazie a tutti quelli che ci aiuteranno.”

Leggi le altre storie del progetto “Agricoltura circolare per ridurre la fame in Zambezia” e aiutaci a migliorare la sicurezza alimentare della Zambezia: https://manitese.it/progetto/agricoltura-circolare-per-ridurre-fame-in-zambezia

Sviluppo e migrazione: esperienze dal progetto “Ripartire dai giovani” in Senegal e Guinea-Bissau

Evento conclusivo del progetto “Ripartire dai giovani: pro-motori dello sviluppo locale e della migrazione consapevole”.

Nel mese di marzo terminerà il progetto “Ripartire dai giovani: pro-motori dello sviluppo locale e della migrazione consapevole”, cofinanziato dall’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo e promosso da ACRA (capofila), Mani Tese e altri partner in Senegal, Guinea-Bissau e Italia.

Il 12 marzo presso il BASE di Milano si terrà un evento conclusivo per approfondire i temi e riportare testimonianze di questo progetto.

L’evento avrà un numero di partecipanti limitato, nel rispetto delle normative Covid. Per partecipare è quindi necessario registrarsi entro il 10 marzo tramite il seguente form di iscrizione. Attenzione: posti in esaurimento

Il programma della mattina sarà anche trasmesso online su Zoom ed è prevista la traduzione simultanea nelle lingue Italiano, Francese e Portoghese. Per seguire la mattinata su Zoom iscriversi qui.

Di seguito il programma dettagliato dell’evento:

Programma mattina

Modera la giornalista Stefania Ragusa, Africa Rivista

9.30 – 10.15 Registrazioni e welcome coffee

10.15 – 10.45 Saluti istituzionali

10.45 – 11.00 Presentazione del progetto “Ripartire dai Giovani”: risultati e buone pratiche dal Senegal con Valentina Zita, ACRA

11.00 – 11.15 Presentazione del progetto “Ripartire dai Giovani”: risultati e buone pratiche dalla Guinea-Bissau con Erica Beuzer, Mani Tese

11.15 – 11.45 La migrazione in prospettiva con Alice Bellagamba – Professoressa di Antropologia politica e Culture e società dell’Africa, Università Milano-Bicocca e Rita Finco – Pedagogista etnoclinica e responsabile scientifico Fo.R.M.E., cooperativa Ruah Bergamo

11.45 – 12.00 Break

12.00 – 12.30 Presentazione del lavoro dei partner con filmati di AFDEC – Association pour la Formation, le Développement, l’Education et la Culture e SDM – Stretta di Mano

12.30 – 12.45 Abbattere il digital divide per democratizzare l’informazione con Giovanna Bottani – Operations Senior Consultant, STMicroelectronics Foundation

12.45 – 13.00 Idee imprenditoriali giovanili della diaspora in Italia: il racconto di due protagoniste Amanatoulaye Fall e Mariame Seye

13.00 – 15.00 Buffet

Programma pomeriggio

Modera staff ACRA

15.00 – 15.15 Giovani, migrazione, sviluppo: MENTOR 2 e Dakar Reve con Monica Dragone – Ufficio Cooperazione e Solidarietà Internazionale presso Comune di Milano

15.15 – 16.45 Workshop con divisione in gruppi di lavoro sui temi: 1. imprenditoria migrante; 2. le nuove generazioni e lo sviluppo; 3. buone pratiche di co-sviluppo.

17.00 – 17.30 Restituzione dei gruppi di lavoro e saluti

Questo evento è organizzato nel quadro del progetto “Ripartire dai giovani: pro-motori dello sviluppo locale e della migrazione consapevole” (AID 011.472), cofinanziato dall’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo.

Vi ricordiamo che per partecipare è necessaria la registrazione a questo link.

Sreypin, storia di una bambina che ha ricominciato a sognare

Sreypin, vittima di sfruttamento fin da piccola, è ora ospite del centro di accoglienza Damnok Toek in Cambogia e sogna di diventare sarta o contadina.

Sreypin* è una ragazza cambogiana di 15 anni ed è la quarta di otto fratelli. Dopo la morte del padre, la madre della bambina si è risposata e si è accordata con un intermediario per portare i suoi figli e figlie in Tailandia a lavorare.

Sreypin ha così cominciato a lavorare per una famiglia tailandese come domestica, pulendo la casa e prendendosi cura dei loro cani. Inizialmente guadagnava 4.000 bath tailandesi, equivalenti a 107 euro al mese, ma la metà del suo primo stipendio è stata data all’intermediario. Dopo alcuni mesi di lavoro, la madre di Sreypin ha chiesto un prestito al datore di lavoro della ragazza e questi ha ridotto il suo stipendio a 3.000 bath al mese, circa 80 euro.

Sreypin racconta: “Quando mia madre si è risposata, non le importava più di me, chiedeva solo i soldi. Avevo paura quando ero in Tailandia e non volevo vivere o lavorare lì, ma mia madre non mi ha aiutata. Lei non aveva idea di quanto fossero brutte le condizioni di lavoro”.

A un certo punto il datore di lavoro di Sreypin ha cominciato ad accusarla di furto di denaro e di rompere apposta oggetti di valore della casa. Così, un giorno, ha preso Sreypin e l’ha portata in una zona sconosciuta, abbandonandola in mezzo al nulla.

La giovane aveva molta paura e ricorda: “Non sapevo come tornare a casa, mi sentivo persa. A un certo punto ho visto una venditrice ambulante e le ho chiesto aiuto, ma lei ha chiamato la polizia tailandese. Sono arrivati i poliziotti e mi hanno portata in un centro di accoglienza per ragazze. Sono rimasta lì per due mesi, prima di essere riportata in Cambogia”.

Una volta arrivata in Cambogia è stata lasciata nel centro di transito di Poipet e a quel punto Damnok Toek, in collaborazione con le autorità locali, ha indirizzato la giovane al centro di accoglienza di Damnok Toek dove vive tutt’oggi.

“Ora sono qui al centro di accoglienza – dice Sreypin – posso studiare il Khmer (la lingua cambogiana) e imparare cose nuove. Sono molto felice al centro perché abbiamo una casa dove stare e ciò che apprendo mi serve per la vita e mi rende felice. Facciamo meditazione, danza, artigianato, giardinaggio, cucina, disegno e possiamo parlare con lo psicologo”.

In futuro, Sreypin sogna di fare la sarta o la contadina perché le piace il giardinaggio e vuole che la frutta e la verdura siano coltivate in maniera naturale, senza prodotti chimici. Infine, desidera fortemente che anche altri bambini vulnerabili, come lei, possano andare a scuola e imparare.

Aiutaci a supportare il centro di accoglienza per bambini e bambine di Damnok Toek: https://donazioni.manitese.it/

*Sreypin è un nome di fantasia per proteggere la privacy del minore.

UE, nuove regole sulla responsabilità sociale d’impresa

Un importante passo avanti, ma non basta.

La Commissione Europea ha presentato la proposta di Direttiva sulla dovuta diligenza per le imprese in materia di diritti umani e ambiente attesa da tempo. Lo scopo è quello di imporre alle imprese obblighi di verifica e prevenzione degli impatti negativi derivanti dalle loro attività su lavoratori, consumatori, comunità vulnerabili ed ecosistemi (in inglese, cd. due diligence).

La proposta rappresenta certamente una svolta significativa, ma non è ancora sufficiente a contribuire al rispetto dei diritti umani e dell’ambiente nel mondo, avverte la campagna Impresa2030.

Giosuè De Salvo, responsabile Advocacy, Educazione e Campagne di Mani Tese e co-portavoce di Impresa2030, dichiara: “Si tratta sicuramente di un passo in avanti, ma ci sono una serie di criticità evidenti. La legge, così pensata, prevede che solo le grandi imprese – quelle cioè con fatturato superiore 150 milioni di euro e più di 500 dipendenti – siano considerate legalmente responsabili delle violazioni generate direttamente o indirettamente dalle loro attività. In settori particolarmente ad alto rischio come agricoltura, tessile\abbigliamento ed estrattivo la soglia scende a 250 dipendenti con ricavi superiori a 40 milioni di euro, ma questo non basta ad estendere la normativa alla stragrande maggioranza delle imprese Europee, che per il 99% sono piccole e medie, incluse quelle dei settori considerati ad alto rischio. Il numero di personale impiegato e il fatturato annuo non sono dati che, necessariamente, raccontano come un’azienda possa creare danni all’ambiente e alle persone. Se la direttiva dovesse riguardare solo lo 0,2% delle imprese europee si perderebbe l’occasione storica di utilizzare la Due Diligence come leva strategica per modificare la cultura aziendale che ha sempre anteposto e tuttora antepone il profitto al rispetto dei diritti fondamentali e della natura”. 

Martina Rogato, co-portavoce di Impresa2030, specifica: “La proposta lascia inoltre ampi margini di aggirabilità. Le grandi imprese, per esempio, potrebbero aggiungere nuove clausole di condotta nei contratti con i partner fornitori minori e, così facendo, liberarsi dall’obbligo di vigilanza trasferendolo a questi ultimi”. 

Se da un lato la proposta prevede l’introduzione della responsabilità civile per la mancata osservanza degli obblighi di Due Diligence, il testo non tiene conto di una serie di ostacoli nell’accesso alla giustizia da parte delle vittime. “Non c’è alcun rimedio a una serie di fattori che spesso negano alle vittime di avere un equo processo – ha spiegato De Salvo –  come il costo elevato delle spese legali, i termini di denuncia troppo brevi, un onere della prova sproporzionato rispetto alla forza delle controparti. Immaginate, per esempio, una comunità indigena nigeriana che accusa una multinazionale del petrolio”. 

“Il progetto di direttiva della Commissione promette un nuovo percorso verso la giustizia e il risarcimento per le comunità e i lavoratori sfruttati, traumatizzati e feriti. Ma – illustra Rogato –  se non si rende più facile per le vittime citare le imprese in giudizio, è improbabile che faccia la differenza. E questa mancanza di responsabilità sostanziale rischia di perpetuare grandi problemi quali lo sfruttamento del lavoro, anche minorile, l’accesso alla terra e alle foreste, la distruzione di biodiversità e le emissioni di CO2 in atmosfera”. 

“A proposito di riscaldamento globale” – chiosa De Salvo – la Commissione Europea vuole che le imprese adottino un piano di transizione climatica in linea con l’obiettivo di 1,5 gradi dell’Accordo di Parigi sul clima. Tuttavia, la proposta non prevede conseguenze specifiche per la violazione di tale obbligo”.

La proposta, attesa e posticipata da giugno 2021 fino a oggi, sarà adesso oggetto di negoziazione da parte del Parlamento Europeo e del Consiglio: “Chiediamo ora al Parlamento Europeo e al Consiglio di rafforzare il testo e colmarne le mancanze, per  adattarla alle evidenti e urgenti esigenze di tutela delle persone e del Pianeta” conclude Rogato.

In Burkina Faso al fianco delle donne produttrici di riso

Ottimi risultati dopo due anni di progetto focalizzati sulla formazione delle donne rurali e sulla creazione di centri di trasformazione del riso.

Si è appena concluso il secondo anno del “Progetto per il miglioramento delle condizioni nutrizionali di donne e bambini nei distretti sanitari di Garango e Tenkodogo, Burkina Faso”, cofinanziato dall’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo e con capofila l’ONG AES-CCC.

All’interno di questo progetto, ci occupiamo di realizzare formazioni destinate a 2000 donne rurali coltivatrici di riso al fine di migliorare la produzione (obiettivo 1) e, allo stesso tempo, stiamo creando dei centri di trasformazione del riso specializzati nella tecnica dell’étuvage che permette di produrre un riso di qualità migliore (il riso paraboiled) (obiettivo 2).

Per quanto riguarda il primo obiettivo, quest’anno abbiamo formato 1300 donne produttrici di riso che hanno imparato a seminare in linea (invece che in maniera randomica) e hanno  compreso l’importanza di una semina precoce, oggi fondamentale per far fronte ai cambiamenti climatici e alla diminuzione delle piogge stagionali.

Inoltre, abbiamo completato la formazione di tutte le 2000 donne coinvolte nel progetto sulle tecniche di produzione del compost partendo dai materiali organici disponibili nel villaggio, il che comporta l’abbandono di fertilizzanti chimici con un risparmio economico per le famiglie e benefici importanti per la salute dei terreni.

Alcune di queste donne, sono poi state coinvolte nella creazione di 4 piccoli campi sperimentali dove il riso è stato piantato, da una parte, con la tecnica tradizionale in uso dalle donne prima di essere coinvolte nel progetto, e dall’altro lato secondo le tecniche di produzione e uso di compost promosse da Mani Tese. In questo modo, col passare del tempo e vedendo crescere il riso, le donne hanno potuto confrontare il risultato delle due tecniche e verificare l’efficacia delle tecniche apprese.

È bello vedere come questa sperimentazione motivi e incoraggi le donne a utilizzare le nuove tecniche e le porta ad abbandonare i fertilizzanti chimici. Ed è bello vedere come anche molte donne non coinvolte nel progetto, ma che vivono in quest’area, vedendo i risultati della sperimentazione prendano esempio per migliorare la coltivazione e il rendimento dei propri campi.

Per quanto riguarda il secondo obiettivo, siamo molto felici di aver creato quattro nuovi centri di trasformazione del riso, formando 12 donne nella tecnica dell’étuvage (parboilizzazione). Durante questo processo, il riso paddy viene sottoposto a vari cicli di chauffage e sechage, ovvero il riso viene cotto con il vapore per poi essere essiccato prima della decorticazione. Il risultato è un riso di qualità fisica, organolettica e nutrizionale superiore al classico riso bianco; un riso che può essere venduto sul mercato a un prezzo leggermente più alto dando alle donne che lo hanno trasformato un margine di guadagno più interessante.

Per ogni centro di trasformazione del riso, sono stati poi organizzati dei momenti di condivisione, in cui le donne che hanno imparato la tecnica la mostrano alle altre donne del villaggio (anche non coinvolte nel progetto). Ogni centro è stato poi dotato di materiali e macchinari utili al processo di trasformazione e siamo riusciti anche ad aggiungere un piccolo kit di illuminazione utile alle donne che spesso lavorano anche dopo il tramonto.

I gruppi di donne dei centri di trasformazione, sono infine stati accompagnati in un processo di organizzazione in cooperativa. Sono state realizzate formazioni sulla gestione amministrativa ed è stato preparato un business plan per rendere sostenibili i centri di trasformazione.

Per scoprire tutte le storie del progetto, visitate la pagina dedicata sul sito: https://manitese.it/progetto/miglioramento-condizioni-nutrizionali-donne-e-bambini

Qui di seguito alcune foto di progetto:

A LEZIONE DI SOSTENIBILITÀ CON L’AGENDA 2030

Gli studenti e le studentesse del Liceo Classico Cesare Beccaria di Milano sono stati coinvolti/e in un percorso sugli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite.

L’Agenda 2030 sullo Sviluppo Sostenibile, sottoscritta da 193 Paesi delle Nazioni Unite nel settembre 2015, denuncia apertamente l’insostenibilità dell’attuale modello di sviluppo (business as usual) non solo dal punto di vista ambientale, ma anche da quello economico e sociale, sottolineando in questo modo l’interdipendenza tra le diverse aree interessate.

Interdipendenza che si esplicita nei cinque concetti base su cui si fonda l’Agenda, ovvero le 5P: Persone, Pianeta, Prosperità, Pace e Partnership. Tra queste sono proprio le Persone il focus dei nostri percorsi formativi, in quanto sono le prime destinatarie del documento, ma anche parte attiva del cambiamento. Nel momento in cui si rendono capaci di adottare un approccio innovativo, le Persone sono il fattore determinante del buon successo rispetto alle sfide globali.

Ecco l’obiettivo che anima il percorso “Sapiens a 5P: fare educazione civica con gli SDGs”: vogliamo avvicinare gli studenti all’Agenda 2030 e accrescere la consapevolezza del ruolo che ciascun individuo gioca all’interno del processo di cambiamento che li e ci attende.

Abbiamo da poco concluso questo percorso al Liceo Classico Cesare Beccaria di Milano, un’esperienza ricca di spunti interessanti che si è sviluppata in due incontri.

Durante il primo incontro, abbiamo ripreso gli aspetti fondamentali che caratterizzano la storia e la struttura degli organismi dell’ONU. A seguire, gli studenti e le studentesse hanno simulato una seduta dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite.

Estraendo uno/una alla volta una carta di ruolo, i ragazzi e le ragazze hanno interpretato i diplomatici delle 193 Nazioni che siedono presso l’Assemblea Generale dell’ONU; hanno avuto un po’ di tempo per entrare nella parte, si sono informati riguardo alle problematiche dei loro rispettivi Paesi e hanno deciso quali priorità discutere in sede d’Assemblea. Successivamente, hanno presentato e poi votato gli obiettivi, andando così a elaborare una loro Agenda 2030 e  proponendo i “Goals” universali, condivisi da tutte le Nazioni.

È stato proprio a partire dall’Agenda elaborata dagli studenti/studentesse che è stato poi possibile restituire il senso dell’Agenda 2030 reale: quali punti in comune? Quali parole sono venute a mancare? Quali sono gli ostacoli al cambiamento proposto?

Nel secondo e ultimo incontro si è ricondotta l’attenzione all’Agenda degli studenti, collegando tutti i punti con gli SDGs e i target relativi.

Il percorso si è sviluppato con un gioco di ruolo “Eroi ed Eroine”: la classe è stata divisa in piccoli gruppi e ciascuno di essi ha dovuto estrarre la card di un/una attivista per poi ricostruirne l’identikit, con domande da noi formulate. Al termine, due studenti per ogni gruppo hanno avuto  il compito di realizzare un’intervista doppia.

Attraverso questi due incontri è stata offerta ai ragazzi e alle ragazze la possibilità di familiarizzare con l’ONU, una realtà che spesso è vissuta come distante dal quotidiano e di cui  poco si conosce rispetto al ruolo strategico che gioca riguardo ai temi della sostenibilità.

Vuoi sperimentare anche tu, nella tua classe, il percorso didattico sull’Agenda 2030? Visita la nostra pagina dedicata: https://manitese.it/campagne/offerta-formativa-scuole

Qui di seguito alcune foto del percorso didattico:

La tutela dell’ambiente entra nella nostra costituzione

Giosuè De Salvo: “Molto soddisfatti, adesso regole cogenti per le imprese e rimedio per le vittime di abusi”.

Con 468 voti a favore, un contrario e sei astenuti, questa settimana la Camera dei Deputati ha introdotto nella Carta Costituzionale “la tutela dell’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni” (aggiunta all’Articolo 9). La modifica, in seconda lettura e già approvata al Senato con maggioranza dei due terzi lo scorso novembre, entrerà in vigore con effetto immediato.

Cambia anche l’articolo 41, che tutela l’iniziativa economica privata. “L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana, ALLA SALUTE e ALL’AMBIENTE. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali E AMBIENTALI”.

“Quest’ultima modifica, in particolare, è sostanziale – ha spiegato Giosuè De Salvo, responsabile Advocacy, Educazione e Campagne di Mani Tese e portavoce della campagna Impresa2030 – La sua approvazione ci lascia molto soddisfatti, adesso è indispensabile proseguire in questa direzione. La storia del nostro Paese è ricca di esiti sanitari e ambientali drammatici per quanto riguarda le iniziative imprenditoriali. Adesso che la tutela dell’ambiente è entrata nella nostra Costituzione, bisogna prevedere regole più severe per le aziende e rimedi certi ai loro impatti”.

È ora di darci una regolata

La campagna Impresa2030 nasce da dodici ONG italiane – ActionAid Italia, Equo Garantito, Fair, Fairtrade, Focsiv, Fondazione Finanza Etica, Human Rights International Corner (HRIC), Large Movements APS, Mani Tese, Oxfam Italia, Save the Children e WeWorld – per fare pressione sulla Commissione Europea che sta lavorando al testo di una direttiva sulla “dovuta diligenza” in materia di diritti umani e ambiente.

“Chiediamo che i nostri rappresentanti istituzionali colgano questa occasione storica per ripensare il ruolo delle imprese nella società, e che quando la proposta di direttiva verrà pubblicata e si aprirà la fase di negoziazione, non cedano alle pressioni del mondo delle grandi lobby conservatrici. La tutela dell’ambiente deve essere un caposaldo di tutte le legislazioni che regolano le attività imprenditoriali”.

Dopo una serie di slittamenti indotti da contrasti in seno al collegio dei Commissari UE, la proposta di direttiva è ora attesa entro la fine del mese di febbraio.

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