Osservatorio kenya: come la guerra “impatta” lontano dall’Europa
“Eat cassava if there is no bread”. Mangiate la cassava se non avete il pane: la frase pronunciata dal presidente Ugandese Museveni ha ben riassunto la situazione critica che il conflitto in Ucraina ha causato in questa parte del mondo. La zona del Corno d’Africa sta infatti vivendo la più forte siccità da 40 anni […]
“Eat cassava if there is no bread”. Mangiate la cassava se non avete il pane: la frase pronunciata dal presidente Ugandese Museveni ha ben riassunto la situazione critica che il conflitto in Ucraina ha causato in questa parte del mondo. La zona del Corno d’Africa sta infatti vivendo la più forte siccità da 40 anni a questa parte (fonte: Financial Times, 3 maggio 2022) e 20 milioni di persone sono a rischio, fra cui quelle nelle zone di Baringo, in Kenya, dove operiamo.
Una drammatica situazione
Il mese di aprile ha visto code e blocchi dovuti alla scarsità di carburante in Kenya, che purtroppo ancora persiste in molte aree. Anche a Nakuru le pompe hanno rifornimenti a singhiozzo. Nairobi ha vissuto momenti drammatici con il traffico paralizzato da automobilisti in coda all’unica stazione con un po’ di rifornimento. E ovviamente la speculazione ha fatto il suo ingresso con richieste di prezzi esorbitanti alla pompa. I fertilizzanti e i prezzi di molte materie prime per l’alimentazione animale e umana sono raddoppiati o più con una forte pressione inflazionistica. Il settore della alimentazione animale, che aveva già lanciato un disperato grido d’allarme nel dicembre scorso, oggi si trova in una crisi peggiore. La dipendenza della regione dalle importazioni da Ucraina e Russia (oltre il 60% sul grano) ha mostrato tutta la vulnerabilità delle politiche agricole. Il prezzo alla tonnellata è passato da circa 280 dollari a quasi 600 e le conseguenze si stanno già facendo sentire con rincari di oltre il 10% per il pane. Le previsioni sono di ulteriori rincari in una situazione in cui i sottoprodotti del grano per l’alimentazione animale già scarseggiano.
Anche il latte, l’alimento più consumato in Kenya con circa 100 litri pro-capite all’anno, ha visto una drammatica riduzione a causa della siccità e della crisi dei mangimi. Si fa fatica a trovarlo nei supermercati e molto spesso le poche forniture sono limitate e gli acquisti razionati. La fame di investimenti ha fatto salire il debito del paese dal 38% del Pil nel 2012 al quasi 70% odierno, con un bilancio del governo in disavanzo dell’8%. Ha fatto scalpore che per la prima volta nella storia del paese la spesa per rimborso del debito abbia superato le spese per personale dello stato ed è la prima uscita del bilancio del governo. Il rating delle principali agenzie è negativo e appena un gradino sopra la zona C.
L’impatto sulle risorse ambientali
La pressione inflazionistica derivata dalla guerra è stata esacerbata dall’aumento del carburante, che nei due anni progettuali è aumentato del 70%. E con esso quello di gas e paraffina. Questo fatto è particolarmente drammatico in quanto spinge la popolazione verso le risorse da biomasse. Legna e carbone stanno quindi diventando alternative per i bisogni domestici non solo per le zone rurali ma anche per quelle urbane, vista la diminuzione di reddito disponibile. La domanda urbana spinge purtroppo le aree rurali, colpite dalla crisi, a rispondere. Nelle strade di Baringo è possibile constatare coi propri occhi la drammaticità della situazione: decine e decine di moto cariche di sacchi di charcoal si incrociano sulla strada in direzione delle cittadine di Mogotio e Nakuru. Una processione dolorosa che mostra il danno ambientale causato dalla situazione e la disperazione delle comunità.
Gli strascichi della pandemia
Il Kenya, tra l’altro, era appena uscito dalla crisi pandemica, che ha portato al blocco quasi totale del turismo, (-95% degli arrivi), alla perdita di numerosi posti di lavoro e al fallimento di numerose imprese nonché ad una forte minaccia agli sforzi di conservazione. Sul fronte turistico il famoso hotel Hilton, centro della Nairobi del business e del turismo di alta fascia, ha annunciato la sua chiusura, come sono stati chiusi gli storici alberghi negli Aberderes, che avevano visto la principessa Elisabetta diventare regina alla morte del padre. Il progetto Agrichange Mani Tese da anni in Kenya si batte per una politica di sostegno ai piccoli produttori che permetta loro di essere protagonisti e di ottenere un giusto ritorno dalla propria attività. Dal 2020 a fine 2022, Mani Tese insieme allo storico partner locale NECOFA e ai partner KOAN, E4IMPACT, APAM, Università di Torino, SIVAM e Università Cattolica, sta implementando il progetto “Agri-change: piccole imprese grandi opportunità. Sviluppo di filiere agro-alimentari nel bacino del fiume Molo”, cofinanziato dall’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo, che mira alla creazione di opportunità di reddito e di resilienza nelle aree focus del nostro lavoro: Baringo e in parte Molo.
Purtroppo il progetto sin dal suo inizio ha dovuto affrontare mari sempre più in burrasca: dai lockdown del 2021 e le varie ondate pandemiche, che hanno dato un primo duro colpo alla economia locale, fino alla crisi attuale. Aleggia inoltre l’incertezza tipica del processo elettorale, in quanto il paese si sta preparando alle elezioni presidenziali che si preannunciano complesse e tese. La menzionata siccità e gli effetti del cambiamento climatico hanno ulteriormente alimentato questa tempesta perfetta. L’obiettivo di Agrichange è la promozione di due catene del valore, quella animale e quella del miele, nella zona di Baringo e la promozione della funghicoltura nella zona di Molo. Nonostante le difficoltà, siamo riusciti a realizzare tutte le strutture ed è stato fatto un importante sforzo per supportare le filiere del miele e dell’allevamento circolare. A oggi il miele è stato colpito duramente dalla siccità con volumi ridotti di produzione ma ha ancora un forte potenziale specie qualora la stagione umida aiuti nella ripresa produttiva. La recente missione dei tecnici di APAM in Kenya, inoltre, ha aiutato i piccoli produttori locali, che hanno potuto apprendere una migliore gestione degli alveari. Per quanto riguarda l’allevamento circolare, attualmente i prezzi di vendita hanno reso l’allevamento suino altamente poco redditizio e i gruppi formati stanno riducendo drasticamente il numero di capi in attesa di un miglioramento. Particolarmente critica è la situazione a Baringo, dove però Mani Tese sta operando con altri progetti per sostenere la comunità con attività alternative generatrici di reddito. La parte di funghicoltura, per fortuna, è quella che più sta avendo successo, con la costituzione di cinque gruppi produttori attivi e una produzione costante di orecchioni nella zona di Molo, la quale fornisce un forte sostegno al reddito dei produttori. Con il timido inizio delle precipitazioni a inizio maggio, il team di progetto ha provveduto alla distribuzione di semi e fitocelle per le comunità a Marigat in modo da supportare in questo momento di difficoltà i gruppi e le famiglie. Grazie ad Agrichange abbiamo poi lavorato con E4Impact per la formazione e l’avvio di piccole imprese locali. Grazie a questa attività alcuni giovani beneficeranno di un fondo per intraprendere piccole attività imprenditoriali dando così un messaggio di speranza in questa situazione difficile. Insieme all’Università di Torino abbiamo poi lavorato alla creazione di un allevamento di mosche soldato per la produzione di larve per alimentazione animale, che, seppur risenta della situazione generale, ha margini potenziali per il futuro. A 6 mesi dalla fine del progetto Agrichange stiamo vivendo un momento complesso. Le continue crisi hanno dato un durissimo colpo al morale dello staff e del partner locale NECOFA. Nonostante tutto, continuiamo a lavorare anche nei momenti più bui e complessi perché questa è la nostra responsabilità e questo è il nostro concreto impegno di giustizia.