Migrazioni: operazione verità
Quanti sono i migranti? Da dove vengono? Tolgono risorse agli italiani? La risposta a queste e altre domande frequenti sulle migrazioni.
In Italia c’è un’emergenza migratoria? Gli immigrati tolgono risorse agli Italiani? I nostri valori sono in pericolo?
Sono alcune delle domande a cui Mani Tese, in questo dossier, offre delle risposte, nel tentativo di fare chiarezza su un tema molto dibattuto ma spesso purtroppo oggetto di disinformazione.
LE MIGRAZIONI SONO POSITIVE O NEGATIVE?
Le migrazioni sono un fenomeno demografico che esiste da sempre: ovunque e in tutti i periodi storici le comunità umane in difficoltà sono andate alla ricerca di un luogo migliore in cui vivere. La stessa diffusione dell’homo sapiens, è avvenuta attraverso processi migratori partiti dall’Africa. Come tutti i fenomeni demografici produce effetti sulla società, sia nei luoghi di partenza sia in quelli di arrivo.
Le migrazioni non sono di per sé né negative, né positive, giuste o sbagliate: possono produrre effetti positivi nelle società di partenza e in quelle di arrivo, se gestite in modo corretto. Pensare di cancellarle è un’illusione: il tentativo di determinare i comportamenti demografici (nascite, migrazioni interne e internazionali) è tipico dei regimi autoritari e ha prodotto di norma scarsi risultati e sempre grandi sofferenze (ad esempio la politica del figlio unico in Cina), o addirittura danni incalcolabili (come nella Cambogia dei khmer rossi).
MIGRARE E’ UN DIRITTO?
La questione è complicata perché la comunità internazionale ha sancito in modo chiaro il diritto di emigrare, in particolare con la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo dove indica che “Ogni individuo ha diritto di lasciare qualsiasi paese, incluso il proprio, e di ritornare nel proprio paese” (art. 13). Nessun documento ufficiale tuttavia ha mai affermato il dovere degli Stati di accogliere qualsiasi persona migrante. Diversi accordi, tuttavia, hanno stabilito in modo chiaro l’obbligo dei paesi di garantire l’asilo politico per le persone che fuggono da situazioni di pericolo: in particolare la Convenzione di Ginevra del 1951.
I MIGRANTI SONO TANTI?
Dipende. Nel 2015, su 7,3 miliardi di abitanti del pianeta, circa 243 milioni di persone (il 3,3%) si trovavano in condizione di migrazione[1]. Un numero in crescita, sia in termini assoluti (nel 2000 i migranti erano 170 milioni), sia in percentuale (2,8% sempre nel 2000), ma non straordinario.
Per avere un’idea, alla fine dell’Ottocento i migranti rappresentavano circa il 10% della popolazione totale del pianeta. Altri elementi di riferimento possono essere il numero di turisti (circa 1,2 miliardi all’anno) e il numero di migranti interni (circa 760 milioni). L’Europa è, con l’Asia, la principale area di destinazione (circa 75 milioni di migranti per entrambe)[2].
E I RIFUGIATI?
I rifugiati sono un particolare tipo di migranti che hanno ottenuto asilo politico in uno stato estero perché scappavano da condizioni di insicurezza. Nel mondo sono circa 25 milioni. Le persone che sono in attesa di sapere se la loro domanda di asilo politico è stata accolta si chiamano “richiedenti asilo” e sono circa 3 milioni nel mondo. In Italia ci sono 167.000 rifugiati e 187.000 richiedenti asilo[3]. Il numero dei richiedenti asilo è molto alto perché le pratiche sono molto lente.
IN ITALIA C’È UN’EMERGENZA MIGRATORIA?
In realtà non particolarmente. L’Italia, con circa 5,1 milioni di immigrati (poco meno del 10% della popolazione totale), è l’11esimo paese per numero di migranti[4]. In Europa, Germania, Regno Unito, Francia e Spagna ospitano un numero superiore di migranti. Lo scorso anno in Italia sono nati 464.000 bambini, mentre sono morte 647.000 persone, con un saldo negativo di 183.000 persone. Tale perdita è stata compensata dal saldo migratorio (immigrati-emigrati) pari a 184.000 persone. Allo stesso tempo, il numero di italiani che vivono all’estero è di circa 5 milioni[5].
GLI IMMIGRATI TOLGONO RISORSE AGLI ITALIANI?
Guardando i cognomi delle persone cui vengono assegnate le case popolari o dei posti negli asili nido, si nota un’alta percentuale di cognomi stranieri. Ciò perché a queste, come ad altre misure assistenziali erogate dallo stato italiano, si accede in base al reddito. Oggi gli stranieri in Italia costituiscono circa un terzo sul totale dei poveri ed è questo il motivo di tanta presenza nelle graduatorie[6]. Paradossalmente la spiegazione conferma che i migranti occupano in Italia gli ultimi posti. Bisogna, inoltre, considerare che i cittadini italiani di oggi non sono più solo le persone nate in Italia da genitori italiani. Molti stranieri infatti lo sono perché si diventa cittadini italiani se si risiede nel Paese da almeno 10 anni e dopo una trafila burocratica di almeno 4 anni (termine oggi raddoppiato dal decreto Salvini[7]). Ci sono poi altre persone la cui condizione è in molti casi equiparata a quella dei cittadini italiani: i cittadini comunitari e gli stranieri con permesso di soggiorno di lungo periodo (con più di 5 anni di residenza in Italia secondo la Corte Costituzionale[8]).
La continua contrazione delle misure di assistenza (compresi i servizi scolastici e sanitari) scatena una vera e propria guerra tra poveri: noi pensiamo che la soluzione non debba essere escludere alcuni gruppi di persone, ma passare attraverso un aumento delle risorse destinate a questi settori a beneficio delle fasce più vulnerabili della popolazione senza distinzione.
Non solo i migranti non tolgono risorse agli italiani: con i contributi previdenziali che pagano attraverso il loro lavoro, contribuiscono attivamente al sistema previdenziale italiano. Poiché la maggior parte dei lavoratori migranti è giovane e non percepisce pensione, si tratta di una partita decisamente in attivo per l’INPS che permette all’ente di far fronte all’onere crescente delle pensioni di una popolazione che invecchia sempre di più[9].
I NOSTRI VALORI SONO IN PERICOLO?
I valori culturali dei popoli sono in continua e costante trasformazione. Le manifestazioni di religiosità nell’Italia contemporanea, ad esempio, sono in generale meno frequenti ed evidenti di 100 o anche solo 50 anni fa, ma questo non dipende dall’aumento del numero dei migranti degli ultimi 10 o 20 anni. Si tratta di trasformazioni lente, a cui spesso ci abituiamo senza neanche rendercene conto (pensiamo ad esempio a come il caffè, un prodotto coloniale, sia diventato praticamente la bevanda nazionale o a come la musica rock abbia modificato il tradizionale gusto melodico degli italiani sotto lo sguardo scettico della generazione del dopoguerra).
È vero, manifestazioni culturali diverse da quelle a cui siamo abituati (come ad esempio il velo per le donne musulmane) possono richiedere uno sforzo di adattamento; d’altra parte è però anche assai improbabile che queste manifestazioni esercitino un’influenza diretta sui nostri valori culturali.
GLI IMMIGRATI ARRIVANO DALL’AFRICA?
Anche, ma in realtà arrivano principalmente da altre regioni del mondo.
Nonostante nell’elenco dei primi 20 paesi di provenienza dei migranti in Italia figurino solo 3 paesi africani, il dibattito pubblico negli ultimi anni si è concentrato quasi unicamente sull’ “emergenza” migratoria provocata dagli sbarchi via mare dall’Africa. Questo ha avuto delle ripercussioni importanti non soltanto sull’immaginario legato alla figura del migrante (che nella maggior 6 parte dei casi non è un disperato in fuga dalla guerra o dalla povertà estrema, ma piuttosto un imprenditore o un operaio qualificato in cerca di fortuna), ma anche sulle politiche estere dei paesi europei che sempre di più in Africa hanno messo insieme cooperazione internazionale e sicurezza, spesso con risultati discutibili. Poiché come ONG che opera da più di 50 anni sul continente Africano ci troviamo a fare i conti con questo tipo di politiche, pensiamo sia importante concentrarsi in particolare sulla situazione africana e sulle ragioni per cui il continente è finito al centro del dibattito sulle migrazioni.
PERCHÉ L’AFRICA È COSÌ POVERA?
In realtà, l’Africa è un continente ricchissimo di risorse naturali. Quando pensiamo a queste risorse, è facile che il nostro pensiero vada ai diamanti della Sierra Leone, al petrolio della Nigeria o al coltan del Congo. Si stima che l’Africa possegga i tre quarti delle riserve mondiali di platino e la metà di quelle di diamanti e cromo, oltre a possedere riserve di petrolio pari a 120 miliardi di barili (più della metà di quelle dell’Arabia Saudita)[10].
Le risorse di cui dispone il continente tuttavia non sono solo quelle minerarie. In Africa ci sono, infatti, circa 600 milioni di ettari di terra coltivabile e di bacini idrografici in grado di produrre energia rinnovabile in grandissime quantità. Il problema sta nelle modalità predatorie con cui queste risorse sono state sfruttate fin dall’epoca coloniale da parte di attori esterni al continente – prima le potenze coloniali, poi le multinazionali – con ritorni quasi nulli nei paesi di produzione delle materie prime. Questo sistema economico ha contribuito a riprodurre lo squilibrio internazionale in termini di ricchezza e benessere che si è creato tra l’Africa e il resto del mondo fin dall’epoca coloniale.
MA ALLORA I GOVERNI EUROPEI DOVREBBERO INCORAGGIARE LE AZIENDE A INVESTIRE IN AFRICA!
Lo fanno, ma spesso gli investimenti stranieri non contribuiscono alla crescita economica dei paesi africani. In primo luogo, i profitti delle imprese straniere vengono portati all’estero. In secondo luogo, le multinazionali straniere spesso riescono a strappare illegalmente concessioni pluridecennali i cui unici beneficiari finiscono con l’essere i politici locali corrotti (basti pensare all’affare ENI in Nigeria). Buona parte del fenomeno dal land grabbing, l’accaparramento di terre da parte di imprese straniere nei paesi poveri, avviene in questo modo, senza nessuna considerazione per l’esistenza di popolazioni locali che vivono sulle terre assegnate e da esse dipendono per il loro sostentamento. Anche gli investimenti in infrastrutture intrapresi da aziende straniere hanno spesso conseguenze molto profonde sia a livello sociale sia ambientale, perché comunità a volte anche molto numerose si trovano improvvisamente senza terra (basti pensare alle conseguenze provocate dalla costruzione della diga Gibe 3 in Etiopia da parte dell’italiana Salini-Impregilo[11]) o con un territorio irrimediabilmente inquinato (come ad esempio è accaduto nel Delta del Niger, dove opera l’ENI). Nel 2012, insieme ad altre ONG europee, Mani Tese ha curato un rapporto intitolato “A caccia di risorse” dove il fenomeno degli investimenti stranieri in grandi appezzamenti di terra, detto “land grabbing”, viene analizzato attraverso alcuni casi studio.
ALLORA “AIUTIAMOLI A CASA LORO”?
Si tratta di uno slogan sbagliato, in primo luogo perché riduce la cooperazione a un’assistenza e sono almeno 40 anni che tutte le organizzazioni stanno lavorando nel senso di una vera collaborazione tra soggetti paritari.
Inoltre, il legame tra cooperazione e migrazioni è molto più complesso. Contrariamente a quanto spesso si pensa, la maggior parte dei migranti non provengono dai paesi più poveri, dove la maggior parte della popolazione non ha i mezzi per migrare, ma piuttosto da paesi che hanno indicatori di sviluppo socio-economico medio come Messico, Cina, o Filippine.
Oltre al fatto che nessuno studio ha dimostrato che la cooperazione possa essere uno strumento utile per disincentivare le migrazioni nel breve termine, oggi si tende a chiamare cooperazione anche una serie di politiche governative mirate piuttosto al contenimento dei flussi migratori attraverso il controllo delle frontiere e degli apparati di sicurezza dei paesi di provenienza e transito dei migranti.
La cooperazione non governativa è solitamente diversa da quella governativa: ci sono migliaia di storie di miglioramento della qualità della vita che Mani Tese potrebbe raccontare che in molti casi hanno rappresentato un’alternativa alla migrazione. È anche vero che se il Paese continua ad essere sfruttato, il suo governo corrotto servo degli interessi economico-finanziari e geopolitici di altri Paesi o delle multinazionali, è poi molto difficile che si creino le condizioni per uno sviluppo giusto ed equo che permetta un miglioramento complessivo della situazione.
E MANI TESE?
Mani Tese lavora da oltre 50 anni per promuovere il pieno sviluppo delle comunità del Sud del mondo. Questo lavoro ha un impatto sui comportamenti delle persone e sul lungo periodo potrebbe anche rallentare alcuni flussi migratori, ma non è nostra intenzione ostacolare la scelta libera di ogni persona di lasciare il proprio paese, se lo ritiene necessario. Per questo, nei nostri progetti, cooperiamo con le comunità locali affinché le persone non siano obbligate a migrare, ma abbiano la possibilità di auto-realizzarsi da un punto di vista sociale, famigliare, culturale ed economico, assumendo consapevolezza del loro essere cittadini.
Abbiamo allo stesso tempo anche il dovere di ridurre il numero dei morti a causa della migrazione: negli ultimi anni l’Europa è diventata la regione del mondo in cui si muore di più per cercare di attraversare illegalmente il confine (circa 3000 persone all’anno, con un picco di 5096 nel 2016, all’apice della crisi siriana). Questo vuol dire informare le persone prima della partenza sui rischi della migrazione illegale (come facciamo, ad esempio, nei nostri progetti in Guinea Bissau) e sostenere tutte le azioni di salvataggio in mare. Pur non occupandosi direttamente di operazioni di salvataggio, Mani Tese appoggia il lavoro svolto da altre ONG che hanno salvato migliaia di vite, colmando in molti casi l’assenza delle autorità politiche italiane ed europee.
MANI TESE COSA FA IN ITALIA?
Mani Tese si batte in Italia per contrastare ogni forma di tratta e di sfruttamento delle persone migranti e si impegna in azioni di pressione politica per favorire accordi fra stati e leggi nei paesi di accoglienza che permettano una migrazione sicura e legale. Inoltre, sostiene l’integrazione anche attraverso iniziative di Educazione alla Cittadinanza Globale.
La Federazione Mani Tese, che raccoglie tutte le nostre associazioni locali, accoglie migranti sia in termini di lavoro (nelle nostre Cooperative), sia in termini di accoglienza dei richiedenti asilo (il cosiddetto programma SPRAR, sistema di accoglienza dei richiedenti asilo).
L’ONG, che si occupa di cooperazione internazionale, ha inoltre promosso diversi progetti di co-sviluppo che mettono in collegamento le comunità di migranti presenti sul territorio italiano con le comunità dei paesi di origine.
Il problema, secondo noi, sta nella crisi delle politiche migratorie.
Le attuali politiche migratorie europee e italiane non sono state in grado di gestire la crescita dei flussi migratori, lasciando ai migranti soluzioni individuali che li espongono a sfruttamento (criminalità, lavoro nero, etc).
Aver cancellato tutte le forme di migrazione legale ha come risultato quello di spingere nell’illegalità tutti quelli che comunque trovano un modo per migrare in Italia (o in Europa). Secondo le stime delle Nazioni Unite, un numero compreso tra 2 e 8 milioni di persone si trovano in condizione di irregolarità all’interno del suolo europeo.
Come Mani Tese, riteniamo che la soluzione a questo problema possa passare unicamente per una migliore gestione dei flussi migratori: è necessario attivare canali legali per i migranti in cerca di lavoro e garantire l’adempimento degli accordi internazionali in materia di asilo politico riducendo gli attuali tempi di attesa per lo svolgimento delle pratiche.
Negli ultimi anni l’UE ha investito 13 miliardi di euro per affrontare il tema migratorio (circa l’1% del suo budget) e li ha indirizzato quasi esclusivamente a contrastare l’immigrazione illegale. Occorre investire di più e meglio per valorizzare le opportunità che la migrazione offre ai Paesi di accoglienza e minimizzare le criticità. Per questo, riteniamo che anche a livello italiano esistano una serie di misure che vanno dall’abolizione del reato di clandestinità previsto dalla legge Bossi-Fini, al riconoscimento dello ius soli, cioè dei diritti di chi nasce in Italia, all’elaborazione di un piano nazionale per il contrasto ai fenomeni sempre più diffusi di razzismo, xenofobia, intolleranza: queste misure sono assolutamente necessarie per garantire una convivenza pacifica e la massimizzazione dei benefici derivanti dal fenomeno migratorio, non solo per i migranti, ma anche per tutti noi.
SCARICA IL POSIZIONAMENTO SULLE MIGRAZIONI
[1] Organizzazione Mondiale delle Migrazioni, 2018. ⇑
[2] Nazioni Unite, 2015 ⇑
[3] UNHCR ⇑
[4] Istat, 2018 ⇑
[5] Istat, 2018 ⇑
[6] Istat, 2018 ⇑
[7] Art. 14 del Decreto Sicurezza ⇑
[8] Corte Cost. Sent 24 maggio 2018 n.106 ⇑
[9] Lavoce.info, 2017 ⇑
[10] Al Jazeera, 2018 ⇑
[11] Survival International, 2016 ⇑