LA STORIA DI VANTHY: DALLE STRADE THAILANDESI ALLA SCUOLA IN CAMBOGIA
“Da grande voglio diventare uno chef che lavora nei migliori hotel e ristoranti. Vorrei ringraziare Damnok Toek che ogni giorno si prende cura di me”
Le migrazioni sono antiche come l’uomo e riguardano tutto il mondo. Se potessimo osservare la terra dall’alto vedremmo puntini impazziti che si spostano da un luogo all’altro, sempre e ovunque.
C’è una migrazione di cui si parla poco ma che coinvolge da anni migliaia di cambogiani. Ogni giorno, infatti, decine di bambine e bambini, uomini e donne, lasciano la Cambogia per raggiungere la Thailandia nella speranza di una vita migliore. Quello che li aspetta, però, è spesso ancor peggio dell’estrema povertà da cui tentano di fuggire. In molti casi, infatti, diventano vittime di trafficking.
Vanthy (nome di fantasia) è uno di questi bambini. È nato a Samaki, un villaggio nella provincia di Pursat, ad ovest della Cambogia. Sua madre è morta subito dopo il parto e qualche tempo dopo suo padre si è risposato con un’altra donna. Incuriosita dalle parole di un vicino di casa, che le raccontava di facili guadagni nella vicina Thailandia, la matrigna di Vanthy decide di pagare 3000 bath (circa 80 euro) a un trafficante per entrare illegalmente nel Paese insieme alle sue figlie e a Vanthy, che a quel tempo aveva 7 anni. Una volta in Thailandia, però, la vita di Vanthy non è stata affatto migliore: costretto a chiedere l’elemosina, non poteva andare a scuola e diventava sempre più denutrito. Ci ha raccontato che mangiava solo una piccola ciotola di riso al giorno, con conseguenti problemi di crescita che tuttora lo fanno sembrare più piccolo per la sua età.
“Ero costretto a sedermi ogni giorno sul ponte per chiedere l’elemosina – racconta Vanthy – Di solito guadagnavo tra i 300 e i 500 bath (tra i 7 e i 13 euro) che di sera consegnavo alla mia matrigna“. Vanthy ricorda perfettamente il giorno in cui è stato arrestato: “Un giorno, mentre ero sul ponte a ‘lavorare’ come al solito, sono comparsi 4 uomini da entrambi i lati del ponte. In realtà erano poliziotti in borghese e mi hanno arrestato. Prima mi hanno portato alla stazione di polizia e in seguito mi hanno mandato al centro di Ban Phum Vet“.
Dopo 2 anni e mezzo trascorsi al centro di Ban Phum Vet, le autorità thailandesi hanno deciso di rimandare Vanthy in Cambogia. Vanthy è arrivato al Poipet Transit Center e, non essendo in grado di rintracciare la sua famiglia, è stato poi trasferito dalle autorità cambogiane al Centro Accoglienza di Damnok Toek sostenuto da Mani Tese.
Qui, gli assistenti sociali di Damnok Toek lo hanno fatto partecipare a una sessione di terapia psicologica e lo hanno invitato a unirsi alle varie attività e alle lezioni offerte all’interno del Centro. Durante le prime settimane Vanthy continuava ad essere ancora molto spaventato: non si ricordava la sua lingua natale, il Khmer, perché ormai era troppo abituato al tailandese,e rimaneva in silenzio per la maggior parte del tempo. Nelle settimane successive, tuttavia, Vanthy ha iniziato a cambiare atteggiamento. Ora si relaziona tranquillamente con gli altri bambini del Centro, ha iniziato a riparlare la lingua Khmer e partecipa con entusiasmo alle attività ludiche e formative del Centro.
“Vorrei rivedere la mia famiglia e soprattutto mio padre. Voglio vivere con lui e le mie sorelle. Da grande voglio diventare uno chef che lavora nei migliori hotel e ristoranti. Infine, vorrei ringraziare Damnok Toek che ogni giorno si prende cura di me e mi offre tante opportunità“.
Damnok Toek dal 2001 ha accolto centinaia di bambini come Vanthy, cercando di ridare loro una vita nonostante i traumi subiti. Mani Tese supporta le attività di Damnok Toek dal 2008: grazie al progetto “Bambini al sicuro” sono circa 100 le bambine e i bambini vittime di trafficking che vengono accolti ogni anno. All’interno del Centro di accoglienza possono ritornare a scuola e vivere all’interno di un luogo sicuro e protetto in cui crescere, frequentare corsi di inglese, sport, informatica e arte-terapia, ricevere cure mediche e assistenza psicologica e, se le condizioni lo permettono, essere reinseriti nelle proprie famiglie d’origine.