IN BURKINA FASO FORMIAMO LE ORGANIZZAZIONI SULLA VIOLENZA DI GENERE
Nei mesi scorsi abbiamo coinvolto le organizzazioni della società civile di tre regioni del Burkina Faso per far riflettere sul tema della violenza di genere.
Se nasci, cresci e vivi in un contesto dove la donna è considerata inferiore all’uomo, al primo schiaffo non dirai nulla, perché ti sembrerà normale, ti sembrerà di essertelo meritato, ti sembrerà giusto. Se nasci, cresci e vivi in un contesto del genere, quando tuo marito tornerà a casa la sera e urlerà dicendo che la cena non è ancora pronta e c’è della polvere nell’angolo, ti sentirai in colpa per aver fatto tardi a raccogliere quintali di legna nel bosco, trasportandola sulle spalle. Gli darai ragione e ti scuserai. Se nasci, cresci e vivi in un contesto di questo tipo e nessuno te lo dice, semplicemente non puoi sapere che tutto ciò non va bene, non è affatto normale e che hai dei diritti.
Per questo negli ultimi due mesi, con il progetto “Promozione sociale e dei diritti delle donne e dei bambini per il miglioramento dei servizi sanitari e di stato civile”, cofinanziato dall’Unione Europea nell’ambito del programma “Population”, abbiamo formato le organizzazioni della società civile di 7 province in 3 regioni del Burkina Faso su cosa sono le violenze di genere, come riconoscerne i segni, quali sono gli strumenti di tutela e come accompagnare le vittime ad avere il supporto psicologico e giuridico che serve loro.
La formazione, rivolta a persone, sia uomini sia donne, con un certo livello di formazione e apertura mentale di modo da responsabilizzarli in seno alle comunità di appartenenza, partiva da una domanda molto semplice ovvero: qual è un compito prettamente maschile e uno prettamente femminile? Le risposte sono state quelle che immaginiamo: “la donna deve occuparsi dei bambini”, “la donna deve cucinare”, “la donna deve curare la casa”, “l’uomo lavora”.
La formatrice ha quindi chiesto agli uomini presenti se fosse mai capitato loro di spazzare il cortile o lavare i piatti. La maggior parte di loro ha risposto di sì. Lei allora ha chiesto loro di alzarsi e di mostrarsi per bene: in effetti non sembravano aver subito danni permanenti. Risate in sala. È stato poi mostrato visivamente, con l’aiuto di cartelli, il numero di incarichi e compiti che tradizionalmente incombono sulla donna e quelli che invece sono attribuiti all’uomo. Sono stati letti e ad ognuno è stato assegnato un tempo di esecuzione realistico. Alla fine c’era il silenzio in sala. E a quel punto, di fronte ad un lieve imbarazzo ma soprattutto ad una maggiore comprensione, abbiamo iniziato a parlare di violenza, che è sbagliata a prescindere dal contesto culturale e dalle abitudini, che va denunciata e le cui vittime vanno individuate e supportate.
I partecipanti hanno accettato la sfida: si sono confrontati su casi molto crudi e duri delle loro comunità (parliamo di spose bambine, di ragazzine di 11 anni messe incinte da un familiare e poi allontanate dalla famiglia in quanto streghe, di mutilazione genitale femminile e tanto altro) e si sono impegnati ad essere un punto di riferimento, sia per sensibilizzare le persone della propria zona, sia per farsi carico di individuare e supportare le vittime con gli strumenti che la legge mette a disposizione.
Nei prossimi mesi organizzeremo delle sessioni di teatro per arrivare direttamente al cuore delle comunità e diffondere il messaggio, in modo che le stesse potenziali vittime sappiano a chi rivolgersi in caso di bisogno. E speriamo che il cambiamento inizi da qui, dalla consapevolezza che NO!, non è giusto.
Qui sotto alcune foto della formazione: