GUINEA-BISSAU, IL DRAMMA DEI BAMBINI TALIBÈ
Intervista a Laudolino Carlos Medina, direttore di AMIC, associazione che si occupa della difesa dei diritti dei bambini in Guinea-Bissau.
Laudolino Carlos Medina è direttore di AMIC – Associaçào dos Amigos da Criança (Associazione amici dei bambini). AMIC opera in Guinea-Bissau dal 1984 in difesa dei diritti dei bambini, coinvolgendo le comunità di origine e la società in generale e contribuendo al reinserimento dei bambini in situazioni di vulnerabilità, come i bambini di strada, le vittime dello sfruttamento economico, della tratta e le ragazzine vittime di matrimonio forzato e precoce.
Dal 2018 AMIC è partner di Mani Tese in diversi progetti: “RITORNO ALLA TERRA – processi di inclusione agricola, economica e sociale nel corridoio Gabu e Bafatà” co–finanziato dall’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo (AICS) ; “Sensibilizzazione sui rischi della migrazione irregolare” finanziato dall’Organizzazione Internazionale per le Migrazione – OIM e nella protezione di minori vittime o fuggite da matrimonio forzato precoce, nell’ambito del progetto “Libere dalla violenza” co-finanziato dalla Delegazione della UE in Guinea-Bissau.
Solo nel 2018 AMIC ha riscattato 164 bambini e dal 2005 una media di 100 a 200 minori l’anno. Nonostante la legge guineana sul traffico 12/2011, i trafficanti arrestati sono stati solo 4 in regime di carcere preventivo e nessuno caso è ancora stato giudicato.
In occasione del convegno NUOVI MURI, NUOVI SCHIAVI, a cui Laudolino interverrà come relatore, lo abbiamo intervistato sul fenomeno del traffico di minori in Guinea-Bissau, in particolare sul dramma ancora poco conosciuto dei bambini talibè.
Quali sono le dimensioni del traffico di minori in Guinea-Bissau?
“Si tratta di una realtà che coinvolge tutto il Paese, è un fenomeno nazionale/interno e transnazionale e la Guinea-Bissau è sia un Paese di origine, sia di transito e in minor misura di destino per le vittime di traffico”.
Quali sono le tipologie di traffico di minori più diffuse?
“Esistono differenti forme di traffico di bambini/adolescenti, ma la più visibile è quella di cui si occupa AMIC dal 2005 (i cosiddetti bambini talibè), ossia dei bambini inviati con l’intenzione di apprendere il Corano in altri Paesi, ma che quando arrivano a destinazione vedono cambiare totalmente il proposito del loro viaggio e vengono sfruttati e destinati alla mendicità, a cui si dedicano tutto il giorno perché devono portare una certa somma di denaro la sera al trafficante, altrimenti vengono severamente puniti. Molti bambini/adolescenti riescono a fuggire e rimangono in strada, dove vengono intercettati dalla Rete dell’Africa Occidentale per la Protezione dell’infanzia (RAO) – che copre 15 paesi dell’Africa occidentale più la Mauritania – la quale informa AMIC (fondatrice della stessa) che si muove in Guinea-Bissau per localizzare la famiglia.
Anche il matrimonio forzato e precoce presenta caratteri di traffico, definito da due elementi essenziali: mobilità e schiavitù. Molte ragazzine vengono allontanate dalle proprie famiglie, che ricevono una dote, per essere sfruttate e abusate sessualmente da uomini anziani anche dall’altra parte del paese.
Vi sono anche casi nascosti di traffico interno di ragazze per prostituzione che non sono facili da identificare: ristoranti, motel, hotel sulle isole che organizzano feste e offrono ‘servizi’ a clienti locali e turisti”.
Qual è la forma più comune di “reclutamento”?
“Durante una particolare cerimonia religiosa che vede la partecipazione di molte persone, i cosiddetti ‘maestri coranici’, preparano un gruppo di bambini che cantano e recitano versi del Corano. Questa dimostrazione impressiona molto le persone, facendo loro credere che i bambini abbiano padronanza del testo sacro e ricevano un’educazione superiore alla media e facendo sì che le famiglie desiderino che anche i loro figli abbiano accesso allo studio.
Un’altra forma di reclutamento avviene attraverso bambini talibè che ritornano nei loro villaggi e fungono da intermediari, impressionando con elettrodomestici, attrezzature informatiche e altri beni di ‘lusso’ per convincere le famiglie che avranno gli stessi benefici se consegneranno i loro figli.”
Esiste una differenza di genere nel fenomeno del traffico di minori? Quali sono le forme più comuni di sfruttamento?
“Sicuramente il fenomeno riguarda i bambini maschi. Oltre all’elemosina, sono stati rilevati casi di bambini sfruttati anche nelle piantagioni di cotone del sud del Senegal.
Il fenomeno della mendicità riguarda i bambini maschi perché nella religione musulmana sono gli uomini a studiare il Corano. Per ciò che riguarda lo sfruttamento sessuale (matrimonio forzato e precoce) invece questa forma di traffico è specificamente femminile.
Uno studio sul fenomeno in Senegal promosso da UNICEF e Save the Children ha rilevato che su 6.600 bambini mendicanti nella regione di Dakar, il 30% era di origini della Guinea-Bissau. Ma anche la Guinea-Bissau è destinazione di bambini provenienti dalla Guinea Conakry, sfruttati nei campi di anacardi (prodotto più esportato dal Paese), come lustrascarpe o venditori di ricariche telefoniche”.
Anche i famigliari possono essere dei trafficanti?
“Sì, zii, cugini, persone della comunità sono coinvolti nel fenomeno. In alcune comunità, quando il padre muore, la sposa e la famiglia ‘passano in eredità’ a cugini o zii, che vedono i bambini orfani di padre come pesi e li vendono ai trafficanti”.
Come fornite il vostro aiuto?
“Insieme al Servizio Sociale Internazionale dal 2005 Senegal, Mali e Guinea-Bissau (attraverso AMIC) è stato sviluppato un programma per identificare le vittime, effettuare la ricerca dei famigliari, spiegare loro il fenomeno e garantire un dignitoso rientro nei propri villaggi con un progetto di vita e un accompagnamento individualizzato. Nel 2010 si è costituita la Rete ed è stata così rafforzata la metodologia attraverso standard che sono stati in seguito adottati dalla CEDEAO (Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale) per la cura dell’infanzia vulnerabile in situazione di mobilità”.
Come reagisce la comunità d’origine al ritorno di un minore trafficato?
“Ogni caso è unico, alcune comunità li accolgono facilmente, altri genitori invece oppongono resistenza e per questo si cercano parenti prossimi che siano favorevoli al ritorno dei bambini e all’inserimento nelle loro famiglie”.
Conosce qualche storia di reintegrazione di un minore all’interno della propria famiglia/comunità avvenuta con successo?
“Amadou è un ex bambino trafficato si è impegnato nella sua reintegrazione personalmente. Ci telefona ancora dopo anni tenendoci informati sulla scuola e sulla sua vita. Amadou vuole essere un leader, un governante di questo Paese per migliorare la situazione dell’infanzia, evitare che altri bambini soffrano quello che lui ha vissuto e offrire loro quella seconda opportunità che lui stesso ha ricevuto.
Un altro ragazzino della Sierra Leone, identificato in Guinea-Bissau, a cui AMIC ha organizzato il reintegro con un progetto di vita sul piccolo commercio nel suo Paese di origine, dopo qualche anno insieme al padre è tornato a vivere in Guinea-Bissau. Oggi vende moto e ancora ci chiama per ringraziarci”.