“Dal cambiamento devono nascere i germogli di una vita nuova per tutti”
Questa mattina Papa Francesco, al suo terzo giorno in Kenya, ha visitato la baraccopoli di Kangemi a Nairobi: proprio a Kangemi per tre anni dal 2004 al 2007 ha vissuto Giovanni Sartor, Responsabile Area Cooperazione di Mani Tese. Con la moglie Maria Chiara, entrambi a quel tempo operatori di Caritas Italiana, hanno accompagnato la nascita […]
Questa mattina Papa Francesco, al suo terzo giorno in Kenya, ha visitato la baraccopoli di Kangemi a Nairobi: proprio a Kangemi per tre anni dal 2004 al 2007 ha vissuto Giovanni Sartor, Responsabile Area Cooperazione di Mani Tese.
Con la moglie Maria Chiara, entrambi a quel tempo operatori di Caritas Italiana, hanno accompagnato la nascita dell’ufficio di sviluppo parrocchiale a cui è stata demandata la gestione dei vari progetti avviati negli anni dalla Parrocchia di San Giuseppe Lavoratore, in particolare a favore dell’infanzia e per combattere lo stigma dell’AIDS.
A lui chiediamo come sta vivendo queste ore.
“Sono per me e per la mia famiglia ore di grande emozione e gioia, sono passati già 8 anni da quando abbiamo lasciato Kangemi, ma ci sembra di essere ancora lì e vivere con tutte le persone che abbiamo conosciuto, questo momento eccezionale. Una nostra ex collega ci ha scritto raccontandoci le loro emozioni oltre che tutti gli aspetti organizzativi che hanno contraddistinto la preparazione per il grande giorno. Vedere Papa Francesco camminare su quelle vie polverose e fangose che per anni sono state la nostra quotidianità, mi ha fatto ricordare tanti piccoli episodi, alcuni allegri, altri carichi di sofferenza che hanno contraddistinto la nostra vita nel quartiere. A Kangemi si vive sulle strade, anche perché è impossibile pensare di stare di giorno dentro case fatte in fango o in lamiera, ed è proprio questa forse la cosa che ricordo con più emozione, la voglia di incontrarsi, di salutarsi, di condividere: una stretta di mano, un sorriso anche con persone che non si conoscevano, non esattamente quello che succede nei treni che ora ogni giorno prendo per arrivare in ufficio a Mani Tese”.
Cosa resterà, a tuo avviso, di questa visita?
Papa Francesco è percepito per certi versi come uno di loro, anche lui, nonostante le evidenti origini italiane, viene dal Sud del mondo e questo conta. Fin da subito ha messo i poveri e gli esclusi, ed in particolare le ingiustizie che ne sono la causa, al centro del suo pontificato. La gente di Kangemi si sente amata e considerata da questo Papa e ancor più oggi dopo che è stato a trovarli a casa loro: certo la routine quotidiana riprenderà con le difficoltà di sempre, ma questa giornata e le settimane di lavoro per prepararla hanno dato loro una carica per andare avanti. Ora sanno che il Papa è con loro e per tutti gli abitanti di una baraccopoli, siano essi credenti o non credenti e questo vuol dire moltissimo.
Sappiamo poi tutti, e il Papa questo lo continua a dire con forza, che è il sistema dominante ed il nostro stile di vita a generare ingiustizia e povertà; dal cambiamento devono nascere i germogli di una vita nuova per tutti. Qualcosa però succede anche a Kangemi, proprio tra le persone più fragili che il Papa ha voluto salutare calorosamente durante la sua visita, io stesso ho visto bambini di famiglie poverissime riuscire ad andare a scuola e costruirsi poi una vita dignitosa come anche malati di AIDS, prima senza speranza, poi grazie alle cure ma anche al supporto psicologico e nutrizionale, praticamente rinati.
Come leghi questa tua esperienza al lavoro che Mani Tese porta avanti in Kenya come nel resto del mondo?
Quello che ho capito essere fondamentale è esattamente quello che ogni giorno come Mani Tese cerchiamo di promuovere: un cambiamento qui ed ora attraverso i progetti di cooperazione che creano le condizioni per un miglioramento della qualità della vita degli strati di popolazione più in difficoltà, un cambiamento di mentalità attraverso i percorsi educativi per bambini, giovani ed adulti e le campagne di pressione politica affinché cambino regole e comportamenti a livello globale: questo ci chiedono gli abitanti di Kangemi in rappresentanza delle persone che vivono nelle molteplici periferie, non solo geografiche, di questo nostro mondo globalizzato.