CRONACHE DA UN LABORATORIO SULLE SCHIAVITÙ MODERNE
Le scomode riflessioni dei ragazzi raccontate dalla nostra animatrice dei percorsi di Educazione alla Cittadinanza Globale
Con questo articolo vorrei condividere con i lettori un’esperienza vissuta insieme agli alunni del Liceo Cairoli di Vigevano, coinvolti nella Campagna Molto più di un Pacchetto Regalo e nei percorsi di Educazione alla Cittadinanza Globale sul tema delle schiavitù moderne.
Questa vicenda ha inizio già quando varco le porte delle aule, armata di post-it, fogli e pennarelli, ma anche munita di spezzoni di film, link utili al lavoro di approfondimento e ricerca. I ragazzi rompono le file di banchi, si mettono in cerchio con le sedie insieme ai loro professori e “a partire da un quiz cinematografico” vengono invitati a riflettere sul fenomeno delle schiavitù, su quelle di ieri e di oggi. Scoprono un che di paradossale: se durante gli anni della tratta atlantica le vittime di schiavitù sono stimate tra i 12 ed i 15 milioni di persone, i report dell’ILO ci parlano di 40 milioni di persone coinvolte in qualche forma di schiavitù moderna; proprio oggi, epoca nella quale la schiavitù è illegale in tutto il mondo. Reazioni di sbigottimento e perplessità si leggono negli occhi dei partecipanti, ma affiorano anche le spiegazioni di questa crescita del fenomeno. Le analizziamo insieme, alla stregua di quello che Kevin Bales, uno dei maggiori studiosi del tema, ci spiega a proposito: tre sono i macro-fattori che possiamo individuare per comprendere l’esplosione delle nuove forme di schiavitù, ossia la rapida crescita demografica, il repentino cambiamento economico (che ha stravolto le forme tradizionali di sussistenza) e la mancanza dello Stato di Diritto.
Per entrare nel merito di queste nuove forme di schiavitù e capire quindi CHI davvero siano gli schiavi del XXI secolo, i ragazzi sono stati invitati a soffermarsi sulle cause che possono rendere una persona prigioniera, alla luce dei tre macro fattori considerati. Hanno modellato con le loro stesse mani le catene degli schiavi moderni: a partire da alcuni grandi fogli di carta hanno tagliato delle lunghe strisce, scrivendo su ognuna uno dei fattori che può rendere una persona schiava; hanno poi piegato le bande di carta, dando visibilità a quelle che sono i tanti anelli delle catene invisibili degli schiavi contemporanei. Se ogni studente ha messo in luce una parte della catena, tutti insieme hanno formato quella maglia di singole cause che fanno sì che 40 milioni di persone siano ridotte in schiavitù. Debiti, minacce (fisiche e psicologiche), violenze, confisca dei documenti, falsi contratti, isolamento, inganno e confino sono alcuni degli elementi che ci permettono di riconoscere gli schiavi di oggi.
La catena viene quindi posata a terra, al centro del cerchio formato dalle sedie su cui sono seduti i ragazzi, a ricordarci la pesantezza di queste prigioni invisibili. Allora la mia domanda, posta a tutta la classe: “Queste catene, secondo voi, riguardano anche noi? Se pensate di sì, avvicinatevi ad esse e se invece pensate di no allontanatevene, rimanendo seduti”. A questo punto del percorso, le risposte sono state multiple e poco scontate, mettendo in luce quanto questo tema ci possa mettere in discussione in prima persona.
In una prima classe si è “materializzato” un discorso di genere: le ragazze si sono prontamente alzate e avvicinate alla catena, i ragazzi sono rimasti seduti al loro posto. Questo gruppo sembra aver inconsapevolmente ricostruito quella questione di genere sottesa al fenomeno delle schiavitù moderne. Le stime del 2017 infatti ci dicono che il 71% delle vittime intercettate sono donne. Le ragazze in classe si sono sentite toccate dal fenomeno per varie motivazioni, riconoscendo che le vittime erano in qualche modo “a loro vicine”: anche solo geograficamente, per genere o anagraficamente; sono sempre ragazze quelle che lavorano in strada, appostate di notte poco lontano dal centro cittadino.
Nella seconda classe coinvolta negli incontri, gli animi si sono accesi su altre argomentazioni: una parte della classe si riteneva corresponsabile del fenomeno delle schiavitù moderne in quanto consumatori; leggendo le etichette dei proprio vestiti e delle proprie scarpe i ragazzi hanno messo in luce che tutto ciò che compriamo è frutto del lavoro di qualcuno e che nella maggioranza dei casi quel qualcuno non ha voce in capitolo sulle ore di lavoro, sul proprio stipendio ed in generale sul proprio contratto. L’altra parte della classe ha reagito in maniera curiosamente diversa, schierandosi a favore di una NON responsabilità personale. La responsabilità, affermavano, è della società e non del singolo individuo. A quel punto la mia domanda è stata: “e quindi la società da chi è composta?”.
Un ragazzo ha preso parola, osannato dagli altri: “Io non sono parte della società, non ne sono parte perché non produco PIL, non fatturo”. A quel punto il dibattito si è animato e la campanella è suonata. Giusto il tempo di lasciare per strada gli ultimi sassolini per una riflessione (mia e loro) futura: “eppure-rispondo io- c’è qualcuno che dice che “la società bisogna costruirla, continuamente, tutti insieme”. Curioso è pensare che questa frase non viene da un filosofo né da un rivoluzionario bensì dalla pagina 6 delle Indicazioni nazionali per il I ciclo di istruzione. Allo stesso tempo-penso tra me e me- è significativo realizzare che l’argomentazione portata dal ragazzo in questione rispecchi un’altra anima della società: quella che ci racconta quotidianamente che nel mondo globalizzato al peso economico corrisponde il potere politico. L’esclusione dalla società che questo studente testimonia non trova le sue radici proprio in quel sistema economico iniquo e insostenibile, che punta a sfruttare i vulnerabili e a farci dimenticare della loro esistenza?