UN’ALTRA VITTIMA DEL LAVORO MINORILE NELLE FABBRICHE TESSILI INDIANE
di Martina Milos MADURAI, India – Ancora una volta gli occhi del mondo sono puntati sulle fabbriche tessili indiane in cui si riforniscono i brand della moda mondiale, e ancora una volta ad attirare l’attenzione è stata la morte di una giovanissima lavoratrice. La ragazza si chiamava N. Kalaiyarasi, aveva 14 anni e lavorava al […]
di Martina Milos
MADURAI, India – Ancora una volta gli occhi del mondo sono puntati sulle fabbriche tessili indiane in cui si riforniscono i brand della moda mondiale, e ancora una volta ad attirare l’attenzione è stata la morte di una giovanissima lavoratrice. La ragazza si chiamava N. Kalaiyarasi, aveva 14 anni e lavorava al Dingul Cotton Textile Mills, in Tamil Nadu.
Sabato 30 settembre si era sentita male durante il turno di lavoro ed era stata portata in pronto soccorso da una compagna. Era stata dimessa con una prescrizione di riposo assoluto, ma già il giorno seguente Kalaiyarasi era al lavoro. Se non si fosse presentata avrebbe perso il prezioso bonus di 2.700 rupie (41.52 dollari) che le lavoratrici ricevono per Diwali, la “festa delle luci” che si celebra ogni anno tra ottobre e novembre.
La notizia della sua morte è stata diffusa dalla Tamilnadu Textile and Common Labour Union (TTCU) che fa parte del MSI-TN, Multistakeholder Initiative – Tamil Nadu, un network promosso da Mani Tese per mettere in rete le associazioni e gli attivisti che si occupano del tessile. Secondo T. Sesurai, consulente del TTCU, “la sua morte poteva essere evitata. Rendere discrezionale l’elargizione del bonus non è accettabile. Le ragazze sono già pagate meno del dovuto, quindi tecnicamente il bonus è un loro diritto”.
Parlare di diritti nelle fabbriche tessili dell’India non è semplice. La miniera di capi d’abbigliamento e tessuti a basso costo che approvvigiona i mercati internazionali è un’enorme macchina complessa e ramificata che rappresenta il 15% delle esportazioni e conta 45 milioni di lavoratori e lavoratrici.
Si tratta per lo più di giovani donne della più modesta condizione sociale, provenienti da comunità in cui il tasso di alfabetizzazione è minimo e su cui ancora pesa l’eredità dell’appartenenza alle caste più basse. Lavorano fino a 12 ore al giorno in un ambiente in cui le intimidazioni e le molestie a sfondo sessuale sono la norma e le condizioni di sicurezza non sono garantite.
Kalaiyarasi è morta martedì 3 ottobre di polmonite, all’ospedale governativo di Madurai dove era stata ricoverata domenica in seguito all’aggravarsi delle sue condizioni. La sua storia è l’ennesimo episodio di mancato rispetto degli standard minimi di sicurezza dei lavoratori, perché la ragazza lavorava per troppe ore consecutive, senza maschera protettiva e perché non c’era personale sanitario per le 200 dipendenti dello stabilimento.
I dirigenti della fabbrica non hanno rilasciato dichiarazioni. Hanno organizzato un incontro con la famiglia della ragazza, ma per giornalisti e associazioni che chiedono conto dell’accaduto il telefono squilla a vuoto. Il TTCU, intanto, ha chiesto che venga versato ai familiari un risarcimento pari a 15 anni di stipendio: una cifra esorbitante solo a prima vista, perché la paga di Kalaiyarasi ammontava a 3,54 dollari al giorno.