“L’ORDINE DELLE COSE”, IL FILM SUI MIGRANTI E CHI LAVORA PER FERMARLI
Andrea Segre si cimenta in una narrazione introspettiva che esplora il punto di vista dei funzionari inviati in Libia a negoziare con le autorità locali
di Martina Milos
La questione della collaborazione tra Italia e Libia per chiudere la rotta del Mediterraneo centrale è stata un punto cruciale del dibattito estivo sulla gestione dei flussi migratori: l’uscita nelle sale de “L’ordine delle cose” di Andrea Segre non poteva capitare in un momento più adatto. Da anni impegnato nel racconto delle migrazioni, questa volta il regista si cimenta in una narrazione introspettiva che esplora il punto di vista dei funzionari inviati in Libia a negoziare con le autorità locali.
Attraverso gli occhi di Corrado, poliziotto specializzato in missioni internazionali, lo spettatore scopre una Libia fuori controllo, in cui il potere è conteso tra una manciata di uomini forti in lotta tra loro e i più deboli diventano fonte di guadagno attraverso estorsioni e lavoro forzato. È la Libia di cui già parlava il dossier ONU del dicembre 2016 e su cui continua a concentrarsi l’attenzione di numerose ONG e osservatori internazionali. Andrea Segre la ricostruisce basandosi sui racconti di centinaia di sopravvissuti (alcuni dei quali recitano nel ruolo dei prigionieri di un centro di detenzione) e sulla documentazione raccolta dal collega Khalifa Abo Khraisse, anch’egli attore nel film, che da anni lavora come giornalista per documentare le condizioni dei migranti in Libia.
Di fronte alle palesi violazioni dei diritti umani con cui è costretto a confrontarsi, il protagonista mantiene un atteggiamento distaccato e professionale, ma l’equilibrio raggiunto in anni di esperienza vacilla davanti alla richiesta d’aiuto di una giovane migrante somala. Dal momento in cui al “flusso” da fermare si sostituiscono un volto e una storia, per Corrado l’accettazione pragmatica dell’ordine delle cose cede il passo ad una dolorosa riflessione sui limiti del compromesso etico su cui si basa la legittimità della sua missione.
Il 7 settembre, giorno in cui il film è stato presentato al Festival di Venezia, il presidente di Medici Senza Frontiere Internazionale ha scritto una lettera aperta ai capi di stato e di governo europei, che conclude chiedendo al Presidente del Consiglio italiano se le violenze che i migranti subiscono in Libia siano davvero il prezzo che, per fermare i flussi, i governi europei sono disposti a pagare. “L’ordine delle cose” pone allo spettatore la stessa domanda, offrendo spunti per cercare insieme una risposta diversa di quella che finora di fatto abbiamo dato.