Africa Occidentale e colpi di stato

Le sfide in atto nella zona a seguito del susseguirsi dei golpe.

Di Anna Fatima Pasqual e Giovanni Sartor – Mani Tese

A partire dal 2020 la zona dell’Africa che viene definita dalle Nazioni Unite Africa Occidentale e che comprende 16 Paesi[i] ha subito in 4 dei suoi stati membri (Malì, Guinea, Burkina Faso ed infine il Niger) 6 colpi di stato, a cui se ne aggiungono altri due avvenuti in Paesi limitrofi quali il Ciad e il Gabon. Questi ultimi due Paesi hanno in comune con gli altri in cui è avvenuto il golpe l’essere delle ex colonie francesi e quindi in qualche modo appartenenti alla cosiddetta “Françafrique”.

Colpi di stato sono stati inoltre tentati senza successo, sempre a partire dal 2020, in Gambia e Guinea Bissau. A questa situazione si aggiunge uno scenario politico instabile in Senegal in vista delle elezioni presidenziali previste nel mese di febbraio 2024.

Il susseguirsi di colpi di Stato, molti dei quali tra l’altro avvenuti da parte di alti ranghi dell’esercito che fino a un attimo prima erano stati tra i più fidati collaboratori dei presidenti deposti, farebbe pensare a una strategia comune e coordinata. Tuttavia gli esperti internazionali sono concordi nel rilevare che, se è vero che le motivazioni possono essere in parte comuni e si sia creata anche una sorta di spirito di emulazione, la situazione è diversa Paese per Paese ed è bene tenere in considerazione il contesto di ciascuna realtà.

Molti osservatori sono concordi nel ritenere che il motivo principale dei colpi di Stato e soprattutto del successivo consenso che hanno ricevuto in seno alla popolazione, sia legato a problematiche interne ovvero all’incapacità dei Presidenti dei diversi Paesi e più in generale della classe politica di rispondere ai bisogni dei cittadini. Si tratta di bisogni che sono riconducibili alla mancanza di servizi di base quali sanità e scuola, ma anche a un aumento dei costi dei prodotti alimentari e di conseguenza alla povertà.

A queste motivazioni si aggiungono le problematiche relative alla presenza di gruppi armati non statali di matrice jihadista, in particolare in Malì, Niger e Burkina Faso, che controllano porzioni sempre più grandi dei territori dei rispettivi Paesi, senza che i governi pre-golpisti siano riusciti a dare risposte tali da limitare l’avanzata e il controllo di territori da parte di tali gruppi armati.

Storicamente l’esercito in Africa Occidentale è spesso stato percepito come il soggetto che è intervenuto a tutela degli interessi della nazione e dei suoi cittadini, quando essi sono stati minacciati da una classe politica che non era in grado di adempiere ai suoi compiti, corrotta e guidata da interessi esterni.

Nei giornali si è molto parlato anche di un sentimento antifrancese che indubbiamente esiste e lo abbiamo visto dalle manifestazioni nelle diverse capitali dei Paesi coinvolti e parlando con i nostri collaboratori e partner in Burkina Faso e Benin. Ci sembra però di poter dire che il problema non sia la Francia ed in particolare i suoi cittadini ma il fatto che le sue politiche neo-coloniali incentrate sulla difesa e promozione degli interessi francesi in Africa Occidentale (che è esattamente quello che fanno in realtà tutti i Paesi nello scacchiere africano), pur con le correzioni attuate attraverso l’Aiuto pubblico allo Sviluppo e altre forme di finanziamento, non siano state in grado di portare benessere alla popolazione locale. Anzi, oggi la qualità della vita, in particolare nei tre Paesi del Sahel (Malì, Burkina Faso e Niger), è in peggioramento e la popolazione riconosce nella Francia la causa principale di questa situazione.

Siamo di fronte a una crisi della democrazia. In Africa dopo la colonizzazione e un periodo nel quale la maggior parte degli stati è stata governata dal partito unico dell’indipendenza, si sono aperte le porte negli anni ‘90 al multipartitismo e alle elezioni. Oggi molte di queste democrazie hanno fallito e non sono state in grado di rispondere ai bisogni della popolazione.

L’alternanza al potere è stata limitata anche da tentativi da parte del Presidente di turno al potere di modificare la costituzione per garantirsi più mandati rispetto ai due standard (solo per fare alcuni esempi: in Guinea e Gabon i colpi di stato sono avvenuti dopo l’elezione per un terzo mandato del presidente uscente. In Costa d’Avorio il Presidente Ouattara è riuscito a farsi rieleggere per un terzo mandato).

È una democrazia delle élites quella che molto spesso troviamo nei Paesi dell’Africa Occidentale: intermediari d’affari di potenze varie che rinunciano a fare politica e a difendere gli interessi di chi li ha eletti.  I Paesi citati non si trovano ad affrontare identici problemi. C’è piuttosto una convergenza di nodi irrisolti e un’insofferenza crescente per i regimi che, sotto l’apparenza di elezioni democratiche, nascondono la difesa di interessi privatistici e tradiscono in modo più o meno sfacciato il patto sociale con i cittadini.

I golpe appaiono quindi come l’unico modo di provocare un cambiamento in questo nuovo ciclo storico, di assicurare una forma di alternanza al vertice dello stato e di accelerare la transizione generazionale.

La situazione è molto complessa e le forze in gioco come gli interessi sono molteplici. Mani Tese sta dalla parte della popolazione e delle comunità e crede che stabilità e sviluppo in quest’area del mondo non possano che passare dal loro protagonismo e attivismo.

Riceviamo segnali che i cambiamenti in atto stiano risvegliando e attivando forze endogene. Questo è sicuramente positivo se canalizzato in un interesse collettivo e centrato sui bisogni della popolazione senza ricadere su meccanismi geo-politici di sfere di influenza e di controllo di potenze straniere che schiaccerebbe ancora una volta la popolazione locale su interessi e dinamiche che poco avrebbero a che fare con il loro benessere.

Per questo, il primo tema prioritario è a nostro avviso, qualsiasi regime ci sia, la necessità che vengano garantite le libertà individuali e collettive di espressione, incontro, riunione, stampa, il rispetto dei diritti umani in tutte le sue forme e la risposta ai bisogni essenziali per i cittadini.

È  fondamentale che la società civile possa essere protagonista e proporre a chi è al potere, siano essi civili o militari, un’agenda politica di cambiamento.

L’auspicio è poi quello che in tempi rapidi sia la popolazione a poter scegliere attraverso libere elezioni chi li governerà ma non prima di aver attuato un percorso simile ma molto più autentico rispetto a quello già avvenuto negli anni ’90 con le Conferenze Nazionali, coinvolgendo le cosiddette “forze vive” della nazione in un processo che ponga le basi per un rilancio “vernacolare”, come ama dire J.L. Touadì, dei processi democratici.

Un altro aspetto importante è a nostro avviso l’alleanza tra i diversi Paesi dell’Area per adottare una strategia comune. Essenziale se si vuole sconfiggere il terrorismo ma anche se, insieme, ci si vuole contrapporre a interessi di stampo neocoloniale. Recentemente i governi frutto dei golpe in Malì, Burkina Faso e Niger hanno stretto un patto dando vita all’Alleanza dei Paesi del Sahel (Alliance des États du Sahel – Aes). Il documento, chiamato Carta Liptako-Gourma, prende il nome dalla regione dove le frontiere dei tre Paesi si incontrano, una zona in cui operano negli ultimi anni diversi gruppi armati irregolari. I contenuti del patto riguardano una collaborazione tra i tre Paesi sia in ambito militare sia in ambito economico. Se sarà in grado di ottenere qualche risultato nella lotta ai gruppi armati jhaidisti, lo vedremo nei prossimi mesi. Provare a operare insieme su problemi comuni è in ogni caso positivo.

Da questo punto di vista ECOWAS, comunità economica degli stati dell’Africa Occidentale,  potrebbe giocare un ruolo importante se veramente si superano schieramenti pro o contro la Francia o altre potenze extra africane e ci si concentra sugli interessi della Regione. La Nigeria, di gran lunga il Paese più potente e popoloso dell’area, potrebbe avere un gran vantaggio dal giocare un ruolo da riferimento regionale in una zona in cui si riduce drasticamente la conflittualità e si promuovono politiche di comune interesse.

Un aspetto importante è infine il ruolo della comunità internazionale. L’attuale situazione è anche figlia di un approccio che ha visto la Francia ma non solo (si pensi all’Italia e alle sue politiche finalizzate a ridurre i flussi migratori) concentrarsi sugli interessi nazionali e non su quelli dei Paesi dell’Africa occidentale senza ascoltare i loro bisogni e tenere conto dei loro interessi, se non in minima parte con i progetti di cooperazione finanziati alle ONG e alle diverse Agenzie delle Nazioni Unite. Anche l’approccio prevalentemente securitario, con la formazione degli eserciti e delle forze di polizia, come avvenuto per esempio negli ultimi anni in Niger, ha rivelato tutti i suoi limiti, anche perché oggi al potere ci sono quei militari precedentemente formati dalla Francia e dagli altri Paesi, Italia compresa, presenti in Niger.

Nelle politiche dell’Unione Europea e dei suoi stati membri le priorità siano dunque i diritti e il benessere dei cittadini dei Paesi partner, non tanto e non solo i propri interessi geopolitici.


[i] 15 sono invece i membri dell’ECOWAS, comunità economica degli stati dell’Africa Occidentale di cui non fa più parte la Mauritania