FUGGITA DA UN MATRIMONIO FORZATO, SOGNO DI DIVENTARE UNA DOTTORESSA

La storia di Fatumata, ragazza ospite del centro di accoglienza per vittime di matrimoni forzati e violenza di genere sostenuto da Mani Tese in Guinea-Bissau, dove più della metà delle ragazze fra i 15 e i 19 anni è sposata con uomini più vecchi di almeno 10 anni.

Fatumata (nome di fantasia) è una ragazzina vittima di matrimonio forzato e da ottobre dell’anno scorso è ospite del centro di accoglienza per bambine e donne vittime di violenza di genere e matrimoni forzati e precoci di Bissau. Il centro è sostenuto da Mani Tese nell’ambito del progetto “Libere dalla violenza” finanziato dall’Unione Europea.

Fatumata insieme a un’assistente sociale del centro di accoglienza per bambine e donne vittime di violenza di genere e matrimoni forzati e precoci di Bissau

Fatumata proviene dal Sud della Guinea-Bissau, una zona che presenta tra le più alte percentuali di matrimoni forzati e precoci del paese, le cui cause sono legate soprattutto a questioni culturali e all’impossibilita delle famiglie di mantenere il numero elevato di figli. Nel caso delle ragazze, la “donazione” in matrimonio oggi assume una vera e propria fonte di entrata per la famiglia e l’abbandono scolastico è altissimo, proprio perché sono vittime dei matrimoni precoci, ma anche perché occupate nel lavoro agricolo e a volte vittime di rituali etnici come la mutilazione genitale femminile. Secondo dati del 2014, la percentuale di donne tra i 15 ed i 19 anni sposate con uomini più vecchi di almeno 10 anni sul territorio nazionale è del 59,6%.

Fatumata ci ha raccontato la sua storia.

“Sono nata a Bissau, dove ho vissuto i primi anni con mia madre, mio padre e le mie tre sorelle.

I miei genitori si sono separati e mio ​​padre è andato a lavorare sull’isola di Bolama. Da allora non abbiamo più avuto contatti con lui.

Mia madre non lavorava e aveva quattro figlie da mantenere, così ha deciso di mandarmi a vivere con mia nonna materna a Buba, città del sud del paese Avevo 5 anni, all’epoca, e tutto andava bene: la nonna mi trattava molto bene, frequentavo l’asilo ed ero felice.

L’incubo è iniziato a 10 anni, quando la sorella di mia nonna è venuta a prendermi per andare a vivere con lei in un villaggio che si trovava a due ore di distanza da Buba. Questa mia zia però mi picchiava, mi urlava addosso e mi faceva lavorare duramente per ore e ore nelle faccende domestiche: ero la prima a svegliarmi e l’ultima ad andare a dormire[i].

Io volevo tornare a frequentare la scuola come le altre ragazze e, dopo tante insistenze, mia zia mi ha finalmente iscritto, ma non avevo nemmeno un quaderno. Per pagarmi il materiale didattico, i vestiti e quello di cui avevo bisogno per andare in classe, sono stata mandata a raccogliere la castagna dell’anacardo nei campi.

Nonostante la stanchezza, frequentavo regolarmente le lezioni, ma all’età di 15 anni, un giorno, verso le 5 di mattina, mia zia, mia nonna e alcune altre donne del villaggio sono venute a prendermi per portarmi via. “Dove mi state portando e perché?”, ho chiesto. “Ti stiamo portando da tuo marito.”, è stata la risposta.

All’inizio ho pensato che si trattasse di uno dei figli di mia zia…Invece era suo marito, un uomo di 70 anni. Ho iniziato a piangere e a urlare. Le donne hanno preso a colpirmi sui piedi, sulla schiena e su tutto il corpo. Poi mi hanno tagliato i capelli e mi hanno vestito da sposa.

Nei sei giorni che precedono il matrimonio non ho mai lasciato che quell’uomo mi toccasse. Mia madre è stata chiamata a Bissau per assistere alla cerimonia, ma appena mi ha vista ha iniziato a piangere ed è scappata a Buba a denunciare il fatto alla polizia.

Così sono arrivati i poliziotti e hanno portato via i responsabili, ma il processo è ancora in corso e mia madre ha ricevuto minacce per essere andata contro la decisione della famiglia.

È per questo che mi hanno portato al centro di accoglienza per vittime di violenza, per proteggermi fino a che la situazione non sarà migliorata. Pare che ora, dopo 4 mesi, lo sia e dovrei tornare da mia madre a marzo.

Al centro di accoglienza sto continuando a frequentare la scuola e sto seguendo i corsi di cucina e di sartoria. La mia vita è cambiata molto da quando sono arrivata qui, perché mi stanno aiutando a essere una persona migliore, a pensare che posso avere un futuro insieme a mia madre e un giorno avere una professione. Io desidero continuare a studiare per diventare dottoressa.

Vorrei dire a tutti i genitori che non devono permettere l’allontanamento dei propri figli dalla famiglia per essere cresciuti in condizioni di schiavitù e a tutti coloro che obbligano una ragazza a sposarsi contro la sua volontà che dovrebbero essere puniti secondo la legge”.

Corso di sartoria al centro di accoglienza per bambine e donne vittime di violenza di genere e matrimoni forzati di Bissau

Djenabu Balde, assistente sociale di Mani Tese, racconta che Fatumata ritornerà in famiglia dopo un percorso di reinserimento iniziato già all’interno del centro, con l’accompagnamento di Mani Tese e secondo un piano di vita e familiare pensato per lei.


[i] Il fenomeno di cui parla Fatumata è quello dei “minino di Kriason”, bambini che vengono “affidati” ad altre famiglie perché non desiderati o per mancanza di mezzi di sostentamento, che li utilizzano nel lavoro o in servizi forzati che rasentano la schiavitù. Secondo dati UNICEF del 2014 più di un bambino su 3 in Guinea-Bissau tra i 5 e i 17 anni è occupato in attività economiche e di questi l’85% in lavori non remunerati. I principali luoghi di lavoro per i bambini sono le piantagioni familiari (71,1%).

Alcuni prodotti realizzati durante i corsi di sartoria

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