IL DRAMMA DELLA MUTILAZIONE GENITALE FEMMINILE IN GUINEA-BISSAU
Intervista a Fatumata Djau Balde, storica attivista del Paese.
Fatumata Djau Balde è la presidente del Comitato per l’abbandono delle pratiche nefaste per la salute delle donne e dell’infanzia della Guinea Bissau ed è uno degli esempi di attivismo femminista più importanti nel Paese. La incontro nell’ufficio di Mani Tese, poco prima della sua partenza per Lisbona, dove la attende una serie di seminari e conferenze sui diritti delle donne, per cui lotta da tutta la vita, fin da quando era un’adolescente a cui è stata praticata la Mutilazione Genitale Femminile (MGF)*, imposta dalla sua famiglia.
Fatumata sostiene che la differenza tra lei e sua madre risieda nella possibilità di scolarizzazione e più in generale nell’empowerment femminile. Lei infatti ha avuto l’opportunità di studiare contabilità, di insegnare e di seguire un master in studi giuridici. Si dimentica di raccontarmi che è stata anche ministra del Turismo, Solidarietà e Affari Esteri per un breve periodo fino al colpo di stato del settembre 2003. E’ più concentrata a illustrare i dettagli della storia del Comitato, partendo dallo scenario internazionale: nel 1994, a Dakar, si costituisce il Comitato Interafricano per l’abbandono delle pratiche nefaste, ossia mutilazioni genitali femminili, matrimoni precoci, matrimoni forzati, la preferenza per i figli maschi e la pratica della dote. Vi aderiscono 19 paesi africani che creano i comitati nazionali e nel 1995 viene fondato quello della Guinea Bissau.
All’epoca il comitato rappresentava una direzione del ministero degli Affari Sociali che lavorava soprattutto sulla sensibilizzazione contro la mutilazione genitale, ma nel 1998 la guerra civile ne fa cessare le attività. Riprenderà dal 2009 con maggior forza, tanto che a oggi sono 20 le organizzazioni della società civile che lo compongono e, seppur tutelato dal Ministero della Donna, Famiglia e Solidarietà sociale, è un organismo indipendente, come sottolinea Fatumata, che rimarca l’importanza della sua autonomia dal governo.
Negli anni le tematiche affrontate dal comitato aumentano e includono violenza domestica, violenza di genere e scolarizzazione di bambine e ragazze. Tra tutti questi argomenti viene diviene noto in Guinea Bissau soprattutto per la lotta sul tema più difficile da affrontare, ossia la Mutilazione Genitale Femminile (MGF), sia perché insita nella cultura del Paese, sia per le conseguenze che accompagnano la vittima per il resto della sua vita, delle quali si fa fatica a parlare: conseguenze sociali, psicologiche e ovviamente fisiche dovute all’asportazione parziale o totale degli organi sessuali esterni femminili attraverso una lama da taglio e con le quali si stima conviva oggi il 50% delle donne guineensi con età compresa tra 15 e 49 anni.
Lo sa bene Fatumata, che ha subito personalmente questa pratica rituale nella comunità musulmana della città di Bula, da cui proviene. La religione musulmana non deve essere però usata come capro espiatorio: nel Corano infatti, l’argomento non viene neppure citato, ma la presidente mi dice che i leader religiosi seguono più la tradizione che hanno nella testa, che i precetti del profeta.
Queste pratiche tradizionali, esistenti da secoli, non cessano grazie all’esistenza di una legge, ma sicuramente questa può diventare uno strumento di persuasione. Così sta succedendo in Guinea Bissau, dove nel 2011 è stata adottata la legge che proibisce e penalizza la MGF. Fatumata, nel raccontare quel traguardo storico per lei e per il Paese, mi emoziona davvero, descrivendomi come i deputati si alzavano in piedi uno dopo l’altro per votare a favore. Un fatto assolutamente non scontato, visto che la comunità musulmana costituiva la maggioranza nel Parlamento.
Per sottolineare che l’Islam non impone questa pratica, inoltre, 200 Iman di tutto il Paese hanno approvato nel 2013 una fatwa (decreto islamico) che condanna la MGF in nome della religione. Non solo, oggi le testimonianze dirette per la sensibilizzazione avvengono anche all’interno delle moschee. Inoltre 400 comunità hanno dichiarato l’abbandono delle pratiche e la scuola nazionale di salute della Guinea Bissau ha incluso un modulo di studio sulla MGF nel suo programma formativo per assistere in maniera adeguata le donne che l’hanno subita al momento del parto.
Insomma, di traguardi se ne sono raggiunti moltissimi e i dati lo confermano: l’indice di MGF praticata su bambine tra 0 e 14 anni è calato dal 39 al 30% dal 2010 al 2016 e le donne che appoggiano la continuità della pratica sono passate dal 36 al 13%.
Purtroppo, nonostante sia stata proibita e 40 casi siano stati denunciati ai tribunali, la MGF viene ancora praticata a causa soprattutto di una giustizia fragile e lentissima e rimangono ancora molte altre sfide come la maggiore informazione sulla legge contro la violenza domestica. Ma oltre a puntare su strumenti repressivi, serve anche e soprattutto utilizzare quelli educativi.
Il cambio più grande è dunque quello di mentalità e comportamento e ancora una volta la presidente insiste sull’importanza della sensibilizzazione alle ragazze, che hanno il diritto di andare a scuola e ricevere alfabetizzazione ed educazione per raggiungere autonomia ed emancipazione.
L’impegno di Fatumata e dei suoi colleghi è fortemente personale: non esistendo un servizio pubblico di accoglimento per le vittime, nel corso degli anni hanno ospitato a casa propria ragazzine che denunciano matrimonio forzato o scappano dalla MGF e dalla violenza per poi trovare in breve tempo una sistemazione di fortuna da altri parenti, assumendo tutti i rischi che questo comporta. In nome del comitato, la presidente si dichiara estremamente interessata a collaborare con Mani Tese per garantire il funzionamento di una casa rifugio e dei centri di accoglienza di breve permanenza, il cui obiettivo sarà guidare le ragazze verso un inserimento scolastico o la ricerca di un lavoro.
La sua convinzione sull’importanza della formazione è ancora fortissima tanto che, sulla soglia dei cinquanta, Fatuma vuole specializzarsi in diritti umani e insegnare all’università per diffondere le conoscenze e i diritti puntando sui giovani, soprattutto sulle giovani donne di questo Paese.
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* La MGF continua a giustificarsi come preservazione della verginità prima del matrimonio, della purezza e della fedeltà, l’aumento del piacere maschile e soprattutto come tradizione religiosa (nel mondo comunità cristiane, musulmane, ebraiche ed animiste la praticano) e costituisce un rito di passaggio all’età adulta che permette alle bambine e alle donne di compiere adeguatamente il ruolo di sposa, madre e figlia, garantendo l’onore della famiglia. UNICEF stima che almeno 200 milioni di donne e bambine in 30 paesi hanno sofferto la MGF. (fonte UNAF, Union de asociaciones de familiares, www.stopmutilacion.org)